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OTTAVA SERIE

AVVERTENZA

l. Questo volume, quinto della serie ottava, racchiude il materiale relativo al periodo l o settembre-31 dicembre 1936, seguendo anch'esso la divisione per quadrimestri adottata, per motivi editoriali, nei precedenti volumi di questa serie. La fine del 1936 segna, del resto, anche un momento di tutto rilievo per la politica italiana in alcune vicende che sono allora in primo piano nel quadro internazionale.

E' questo, innanzitutto, il caso della guerra civile spagnola, di fronte alla quale l'Italia prende delle decisioni che definiscono la sua linea d'azione in modo praticamente irreversibile. I Protocolli di ottobre, che Ciano sottoscrive a Berlino nel suo primo viaggio all'estero dopo la nomina a Palazzo Chigi, comportano infatti un impegno formale che, andando oltre il coordinamento nello invio degli aiuti agli insorti già realizzato sul piano tecnico dai servizi segreti dei due Paesi, obbliga Italia e Germania ad un'azione comune sul piano politico. E, su questa strada, il riconoscimento del governo di Burgos, avvenuto senza attendere la conquista di Madrid come era stato previsto inizialmente, segna un altro passo decisivo: i due governi sono ora impegnati solidalmente ad appoggiare i nazionali spagnoli fino alla vittoria e la libertà delle loro scelte ne è grandemente ridotta.

La collaborazione tra Roma e Berlino, che a quel momento sembra non incontrare difficoltà, si appanna, però, rapidamente. E' dapprima il trattato concluso il 28 novembre tra il governo italiano e quello di Burgos a suscitare il malcontento delle sfere dirigenti tedesche che lo considerano uno strumento destinato ad assicurare all'Italia una posizione di assoluta preminenza nella Spagna di Franco, a detrimento anche degli interessi tedeschi. Le divergenze crescono dopo che il massiccio intervento sovietico e l'arrivo delle Brigate Internazionali ha reso chiaro che la guerra è destinata a prolungarsi e che senza l'invio di aiuti su larga scala è improbabile che i nazionali riescano ad avere la meglio.

A dicembre, la prospettiva di affrontare un impegno la cui ampiezza va ben al di là delle previsioni iniziali e che oltre a comportare un depauperamento delle riserve di materiale presenta rischi politici rilevanti vede differenziarsi nettamente la posizione di Roma e di Berlino. Su questo momento di crisi, la documentazione degli archivi italiani offre elementi di notevole interesse. La diplomazia italiana percepisce subito il mutato orientamento germanico, ne identifica con esattezza le cause ed i retroscena e vede con ciò anche i limiti ai quali va ora incontro la collaborazione dei due Paesi nella guerra di Spagna. Attraverso questa documentazione è possibile anche ricostruire il processo attraverso il quale si giunge, sul finire dell'anno, agli accordi in cui viene fissato il ruolo che ciascuno è disposto ad assumersi. L'impegno di appoggiare i nazionali fino alla vittoria finale viene ribadito da entrambe le parti ma

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Berlino esclude interventi che possano pregiudicare il suo piano di riarmo e rifiuta di inviare grossi reparti la cui presenza in Spagna avrebbe contraccolpi politici troppo pericolosi; di contro, a Roma ci si avvia a creare un vero e proprio corpo di spedizione, addossandosi il peso maggiore dell'appoggio ai nazionali, un onere che il governo fascista sembra accettare di buon grado anche perché vi vede un mezzo per limitare l'invadenza tedesca in Spagna e la presenza della Germania nel Mediterraneo.

Nonostante queste divergenze, è evidente nello stesso periodo la crescente solidarietà tra Roma e Berlino. L'Asse, tenuta a battesimo da Mussolini nel suo discorso a Milano del 1° novembre, comincia ad acquistare corpo: da parte italiana, forse ancora più che da parte tedesca, si manifesta la tendenza a concordare una azione comune di fronte ai problemi più importanti della politica internazionale -è il caso, ad esempio, delle trattative per una nuova Locarno e ad allineare la propria posizione a quella di Berlino. Sotto questo profilo, è particolarmente rilevante, anche per le conseguenze che avrà a lungo termine, quanto avviene in Estremo Oriente, dove, sul finire del 1936, l'orientamento favorevole alla Cina, fin lì seguito dalla diplomazia italiana, cede progressivamente il posto ad un riavvicinamento con Tokio che sembra voler ricalcare le orme della politica tedesca nel momento in cui Germania e Giappone sottoscrivono il Patto Anticomintern. A questo accordo l'Italia per ora non partecipa ma la nuova cordialità dei rapporti tra Roma e Tokio si presenta come conseguenza del comune impegno a combattere il comunismo e la portata reale delle tendenze che si vanno manifestando nella politica estera italiana -con il marcato avvicinamento a Berlino così come con la svolta in Estremo Oriente -risulta chiara solo se viene considerata nel quadro di una situazione generale che vede l'elemento ideologico crescere progressivamente di importanza per avviarsi a divenire il fattore determinante nella definizione degli schieramenti fra le grandi Potenze.

Eppure, proprio alla fine del 1936 sopravviene un avvenimento che fa ritenere ancora lontana una collocazione definitiva dell'Italia nello scacchiere internazionale secondo la logica dei blocchi: la conclusione del negoziato per .il gentlemen's agreement itala-britannico. Venendo dopo le tensioni provocate dall'impresa in Africa Orientale e dopo che, a settembre, l'ammissione di una delegazione etiopica ai lavori della Società delle Nazioni ha provocato un'altra fiammata di crisi, l'accordo lascia sperare che nei due Paesi prevalga la volontà, se non di tornare all'antica cordialità di rapporti, almeno di evitare che i loro contrasti assumano il carattere di contrapposizione permanente. E queste speranze sono alimentate dal miglioramento che proprio allora si manifesta nelle relazioni fra l'Italia e alcuni dei Paesi mediterranei che durante la fase cruciale della crisi etiopica si erano legati alla Gran Bretagna. Sollecitate da Londra, le iniziative prese in questo senso dal governo italiano tendono a svilupparsi anche al di là di quanto il Foreign Office avesse previsto e desiderato. Il caso più significativo è dato dall'avvio delle trattative per un accordo con Belgrado -poi realizzato con il trattato del marzo 1937-accordo che, visto da Roma, mira innanzitutto a bloccare la manovra messa in atto dalla Francia per legare più strettamente a sé gli Stati della Piccola Intesa in funzione antitedesca ed antitallana ma che ha anche lo scopo di ostacolare la penetrazione tedesca nel settore balcanico, già in pieno svolgimento e certo destinata ad intensificarsi e a crescere di efficacia qualora venisse realizzato l'Anschluss.

2. La documentazione pubblicata privilegia, come è logico, questi temi centrali ma è stata selezionata con la larghezza necessaria per non trascurare alcuni aspetti minori, seguiti con significativa attenzione dalla diplomazia italiana. Come già in precedenza, non sono stati riprodotti, tranne qualche eccezione, i documenti con i quali la delegazione italiana a Ginevra riferiva sui dibattiti alla Società delle Nazioni, il cui andamento può essere trovato nei resoconti ufficiali e, per motivi analoghi, non sono stati qui inseriti, salvo casi particolari, i minuziosi resoconti inviati dall'ambasciatore Grandi sulle sedute del Comitato di Londra per il non intervento in Spagna il cui svolgimento è riportato nei comunicati, con carattere di verbale, diramati dalla segreteria del Comitato al termine di ciascuna seduta.

I documenti provengono dall'Archivio storico del Ministero degli Esteri (fondi archivio di Gabinetto 1923-1943, archivio Affari Politici 1931-1945, raccolta dei telegrammi serie R -compresi i telegrammi con qualifica «segreto non diramare» -e P.R.) Alcuni documenti sono stati poi tratti dal fondo Segreteria particolare di Mussolini conservati presso l'Archivio Centrale dello Stato ed altri dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. Come di consueto, la loro provenienza è stata indicata in nota. Non hanno dato frutto, invece, le ricerche effettuate presso l'Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare e presso quello dello Stato Maggiore dell'Aeronautica. A questo proposito è da segnalare che nelle carte dell'archivio Gabinetto del Ministero degli Esteri è stata ritrovata la relazione del generale Valle su la sua visita in Germania del giugno 1936 che in precedenza era stata cercata invano nell'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Aeronautica. La relazione è stata qui pubblicata in un'appendice dove trovano posto anche alcuni documenti relativi al negoziato per un nuovo trattato di Locarno che per la loro collocazione archivistica anomala sono stati ritrovati quando il volume era già in corso di stampa.

3. Il materiale contenuto nell'archivio del Ministero degli Esteri presenta per questo periodo alcune lacune, fra le quali, particolarmente importante, la mancanza di molti verbali dei colloqui avuti da Ciano. Come già si è avuto occasione di notare nella avvertenza al volume precedente, tale lacuna non è dovuta alla perdita di documenti ma alla mancata redazione dei verbali da parte di Ciano stesso: quelli che Ciano ha scritto sono noti da tempo attraverso il volume L'Europa verso la catastrofe, pubblicato agli inizi del 1948. Altri non ne sono stati trovati.

Il riflesso più grave di questo stato di cose si ha nel caso delle trattative che portarono alla conclusione del gentlemen's agreement itala-britannico. Il negoziato. che inizialmente doveva svolgersi a Londra, fu quasi subito trasferito a Roma su richiesta di Ciano, evidentemente desideroso di giuocare il ruolo di protagonista nella vicenda e di evitare che a Grandi fosse dato il merito di

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avere realizzato un'intesa di cosi vasta eco. Le trattative si svolsero, quindi, attraverso un seguito di colloqui fra Ciano e l'ambasciatore britannico, Drummond, che possono essere ricostruiti solo attraverso i resoconti inviati dallo stesso Drummond al Foreign Office. In particolare, mancano -per !imitarci ai momenti più rilevanti delle trattative -i verbali dei seguenti colloqui (fra parentesi il numero del documento pubblicato in Documents on British Foreign Policy, serie seconda, vol. XVIII): 19 novembre (D. 393), 26 novembre (D. 415), 5 dicembre (D. 440), 7 dicembre (D. 447), 9 dicembre (D. 460), 21 dicembre (DD. 499 e 500), 23 dicembre (D. 502) e 31 dicembre (D. 591). Manca, altresì, il testo dello schema di accordo consegnato da Ciano a Drummond il 5 dicembre

(D. 441).

Per lo stesso motivo -mancanza dei verbali di Ciano -risulta carente, sia la documentazione sulla fase iniziale delle trattative per l'accordo con Belgrado, che furono avviate direttamente da Ciano, sia quella relativa al riavvicinamento con il Giappone che fu negoziato attraverso una serie di colloqui fra Ciano e l'ambasciatore Sugimura.

Un'altra lacuna da rilevare è poi data dall'estrema scarsezza di appunti per il ministro preparati dagli uffici sui problemi del momento, un materiale che certo avrebbe potuto fornire elementi utili per ricostruire il processo interno di formazione della politica di Palazzo Chigi e consentito di meglio identificare le motivazioni che furono alla base delle decisioni prese.

Risulta infine sorprendente la mancanza quasi totale di documenti relativi ai contatti avuti dai funzionari degli uffici centrali del ministero nel quadro di alcune trattative come quelle che precedettero la firma dei Protocolli di ottobre

o quelle per la redazione degli accordi con la Jugoslavia. In entrambi i casi, non è stato possibile accertare se le lacune siano dovute alla perdita del materiale o alla mancata redazione di quei documenti.

Anche in questo volume, come già nel precedente, sono state riprodotte le sottolineature fatte da Mussolini sui documenti da lui avuti in visione e qui indicate da una riga al di sotto delle parole, esattamente come nell'originale.

4. Per la ricerca archivistica di base sui fondi dell'Archivio del Ministero degli Esteri ho avuto la preziosa collaborazione del dott. Andrea Edoardo Visone al quale si deve anche la redazione dell'indice-sommario e della tavola metodica. La ricerca nell'Archivio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito è stata effettuata dalla dott. Antonella Grossi e quella nell'Archivio Centrale dello Stato e nell'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Aeronautica dalla dott. Francesca Grispo che ha inoltre riordinato l'apparato delle note e redatto le appendici. La sig.ra Fiorella Giordano ha curato l'indice dei nomi. A tutti va il mio ringraziamento per la valida, intelligente collaborazione.

GIANLUCA ANDRÈ

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

BD = Documents on British Foreign Policy 1919-1939, serie seconda, London, Her Majesty's Stationery Office, 1946-1984.

DDB = Documents diplomatiques trançais (1932-1939), serie seconda, 1936de Belgique, 1964-1966.

DDF = Documents diplomatiques belges, 1920-1940, Bruxelles, Académie Royale 1939, Paris, Imprimerie Nationale, 1963-1!386.

DDT = Akten zur Deutschen Auswartigen Politik 1918-1945, serie C, 1933-1937, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1971-1981; serie D, 1937-1941, Baden Baden, Imprimerie Nationale, poi altri, 1950-1970.

Documenti di politica internazionale = Documenti di politica internazionale 1936,

Milano, ISPI, 1936.

DP Dez anos de politica externa (1936-1947). A Naçao portuguesa e a segunda guerra mundial, Lisboa, Imprensa Nacional, 1964-1980.

L'Europa verso la catastrofe = L'Europa verso la catastrofe, 184 colloqui ... verbalizzati da Galeazzo Ciano, Verona, Mondadori, 1948.

MARTENS = Nouveau recueil général de traités et autres actes relatifs aux rapports de droit international, serie terza, Leipzig, Dieterich, poi altri, 1909-1969.

MUSSOLINI, Opera omnia B. MUSSOLINI, Opera omnia, Firenze, La Fenice, 1951-1963, voll. 36.

ROVIGHI e STEFANI = La partecipazione italiana alla guerra civile spagnola (1936-1939), a cura di A. ROVIGHI e F. STEFANI, vol. I, Documenti e allegati, Roma, SME-Ufficio storico, 1992.

Trattati e convenzioni = Trattati e convenzioni tra l'Italia e gli altri Stati, Roma. Ministero degli Affari Esteri, 1872 e segg.


DOCUMENTI
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S-Documentt dtp!omatfct -Serle VIII -Vol. V

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3556/1229. Berlino, 1° settembre 1936 (per. il 4).

In questi giorni sono nuovamente nate qui le voci relative a trattative esistenti tra la Germania e la Cecoslovacchia per la stipulazione di un patto di «non aggressione». Naturalmente tali voci rendono molto nervosa questa legazione di Ungheria, che non ha mancato di assumere da ogni parte informazioni per conoscere quale fondamento esse abbiano.

A quanto sembra vi sarebbe stato qui effettivamente, secondo quanto mi dice l'incaricato d'affari della legazione amica, un certo tentativo da parte di sir Robert Vansittart, al momento delle Olimpiadi, per patrocinare dinanzi agli occhi tedeschi la necessità di una regolamentazione dei rapporti con la

Cecoslovacchia. Gli inglesi, e questo è vero, si preoccupano in ogni campo di convogliare verso soluzioni pacifiche e verso definizioni contrattuali l'esuberante attività e la crescente potenza della nuova Germania. Essi, sempre seconào gli ungheresi, avrebbero convinto il capo dei tedeschi dei sudeti, Henlein, a recarsi a Londra per esporvi i suoi « desiderata ». E, forte di questa esposizione, dalla quale risultava come la situazione morale ed economica dei sudeti fosse delle più precarie, dati gli assoluti vantaggi concessi ai cechi, Vansittart avrebbe proposto a Berlino un accordo sulla base della promulgazione da parte cecoslovacca di un nuovo statuto contenente misure di favore per i sudeti, in compenso dell'accettazione da parte tedesca di un patto di «non aggressione». I noti discorsi di Benes, ispirati alla conciliazione, sarebbero stati il corollario della proposta.

Da parte tedesca, pur non negando la possibilità di un futuro accordo, si sarebbe richiesta un'assicurazione da parte cecoslovacca per l'abbandono della politica d'intesa con l'U.R.S.S. e delle concessioni fatte a favore di quest'ultima nel campo militare e particolarmente nel campo aeronautico. Avendo la Cecoslovacchia, tuttora qui considerata come il « campo d'aviazione » dell'U.R.S.S., lasciato cadere tale richiesta tedesca, le trattative si sarebbero arrestate.

I polacchi, a loro volta, sempre secondo le informazioni dell'incaricato d'affari, continuano a mostrare a Berlino la loro ostilità ad un eventuale accordo.

Non ho sufficienti elementi per controllare tutte queste notizie di fonte ungherese. Quello che sembra accertato è che il ministro di Cecoslovacchia a Berlino, Mastny, che da tempo svolge un'azione per definire in un qualsiasi patto la situazione esistente tra i due Paesi, non tralascia occasione per raggiungere lo scopo desiderato (1).

(l) Il documento ha il visto di Mussolini.

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IL MINISTRO AD HELSINKI, KOCH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8624/78 R. Helsinki, 2 settembre 1936, ore 21 (per. ore 22,30).

Mio telegramma-posta 08 del 28 agosto (1).

Presidente della Repubblica, incontrato in occasione riapertura del Parlamento, si è espresso con me con severe parole nei riguardi politica inglese giudicandola stolta per sua ambiguità. A suo avviso, governo inglese dovrebbe essere nettamente contrario ad eventuale regime bolscevico in Spagna. Quanto a iniziativa francese di non ingerenza ha rilevato sua insincerità. Si è compiaciuto per atteggiamento del Portogallo per il quale trattasi di vita o di morte. Ha soggiunto che in definitiva governo italiano non potrà consentire eventuale avvento al potere regime bolscevico in Spagna. Nessun accenno alla politica tedesca.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 3561/1234. Berlino, 2 settembre 1936 (per. il 5).

L'episcopato tedesco, riunito a Fulda, nel suo concilio annuale, ha rivolto a tutti i cattolici della Germania una pastorale che riveste indubbiamente una particolare importanza. Il documento, che è stato letto in tutte le chiese cattoliche del Reich domenica 30 agosto e che dovrebbe ora essere pubblicato in tutti i fogli diocesani, si inizia con un nuovo e forte appello alle competenti autorità perché i cattolici non siano ulteriormente soggetti in Germania ad ingiuste vessazioni.

Esso in proposito si esprime così:

« Noi non chiediamo nessuna posizione di privilegio nel nuovo Stato; niente favori; ma la possibilità di movimento e quella libertà che i nostri avversari si prendono ogni giorno in misura esorbitante. Chiediamo quel sacro diritto che lo stesso Fiihrer, nell'estate di tre anni fa, ha garantito di fronte a tutto il mondo mediante la firma del concordato. Lo chiediamo innanzi tutto perché, in presenza della lotta contro il bolscevismo, occorre sia più che mai cementata l'unione nazionale, senza discordie religiose. Il comunismo non si combatte con le armi guerresche, ma con la fede in Gesù; non col sangue e con manifestazioni temporanee, ma soltanto con quella convinzione che ha tenuto testa a tutte le tempeste ed è basata su Dio sacro ed eterno ».

Ma in seguito, entrando sempre più nel campo della realtà politica attuale, sottolinea il pericolo del boscevismo mondiale e continua:

«I tremendi avvenimenti verificatisi in questi ultimi tempi nell'infelice Spagna, danno da pensare perché a parte le atroci barbarie che una massa fanatica, aizzata dalle menzognere promesse degli inviati di Mosca, ha compiuto suscitando l'orrore di tutto il mondo civile, a parte la doverosa compassione e solidarietà con le vittime di queste inaudite persecuzioni, rimane il fatto che ove la Spagna dovesse soccombere al bolscevismo, le sorti dell'Europa sarebbero compromesse in misura preoccupante. Il compito che spetta al nostro popolo e alla nostra patria è evidente e noi ci auguriamo che il nostro Fuhrer possa riuscire, con l'aiuto di Dio, a compiere quest'opera immensamente difficile, con la collaborazione fedele e incrollabile di tutta la Nazione~.

E conclude rivolgendo un vivo appello al governo tedesco perché le organizzazioni siano lasciate in libertà ~llo scopo preciso di mantenere quella forza che ha fatto grande e gloriosa la Germania nel passato.

Il documento, che porta la firma dei tre cardinali tedeschi, arcivescovi di Breslavia, Monaco e Colonia, e di tutti i vescovi cattolici del Reich, tocca così un preciso aspetto della politica tedesca e contiene indubbiamente, per la prima volta, un accenno completo ad una piattaforma, quella dell'antibolscevismo, sulla quale, negli attuali momenti, potrebbe anche trovarsi un terreno d'intesa tra il governo di Hitler ed i cattolici tedeschi. Appare quindi interessante conoscere se l'iniziativa per un tale passo in avanti sia dovuta a questi cattolici o viceversa ad un suggerimento del Vaticano. Conoscendo le idee di quest'ultimo e particolarmente la netta avversione che il cardinale Segretario di Stato non fa mistero di mostrare nei confronti del regime nazista, dovrebbe concludersi per la prima ipotesi. È da notare in proposito, che la stampa tedesca nel riprodurre la pastorale in un testo contenente solamente le affermazioni antibolsceviche, ha menzionato la presenza a Fulda di un rappresentante ufficiale della S. Sede. Ora le informazioni da me assunte presso questa nunziatura apostolica (il nunzio apostolico è attualmente in congedo in Italia e l'auditore incaricato di affari non si è mosso da Berlino) farebbero invece credere che non sia mai esistito, al Concilio Fulda, un tale rappresentante.

Quanto all'atteggiamento della stessa stampa occorre dire che l'istruzione data dal governo di presentare al pubblico, come ho sopra accennato, solamente le parti adatte a mostrare la completa adesione dei cattolici nei confronti della politica antibolscevica del regime ha ottenuto il migliore dei successi nei confronti dell'opinione pubblica internazionale. Questa infatti, e se ne fanno eco particolarmente gli organi di Francia e d'Inghilterra, ha preso senz'altro atto in certo modo della «conversione» di questi cattolici a favore del già tanto avversato regime nazionalsocialista. Constatazione che non può non servire l'opera di propaganda che il dott. Goebbels svolge all'interno ed all'estero per dimostrare come oramai l'adesione ad Hitler da parte dei tedeschi di qualsiasi confessione vada avviandosi ad essere totalitaria (l).

(l) Vedi serle ottava, vol. IV, D. 818.

(l) Questo documento ha 11 visto di Mussollni.

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IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8636/83 R. Lisbona, 3 settembre 1936, ore 12,46 (per. ore 13,40).

Telegramma di V. E. n. 3990 (1).

Questo governo ha risposto invito costituzione Comitato Londra ad esso rivolto da ministro di Francia appoggiato da ambasciatore d'Inghilterra, con nota in cui chiede precisazioni circa competenza e limitazione Comitato. In essa, di cui trasmetto copia via aerea (2), questo governo insiste per difendere sua libertà movimento, non ammettendo siano eventualmente discusse Comitato due riserve contenute decreto col quale ha aderito embargo. Questo governo è deciso più che mai mantenere energico atteggiamento avverso governo Madrid, non astante continue insistenze francesi e campagna laburista inglese che qui non può non preoccupare e creare imbarazzi per questa ambasciata d'Inghilterra, che vorrebbe convincere Portogallo che la migliore soluzione sarebbe per esso come certamente per l'Inghilterra pace di compromesso che facesse rivivere Spagna imbelle repubblica democratica. Ma non si considera qui possibile per ora tale eventualità e questo governo vuole con la vittoria nazionali spagnoli allontanare ogni pericolo di agitazione comunista.

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IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 8650/475 R. 'l'angert, 3 settembre 1936, ore 21 (per. ore 5.30 del 4).

Comunico V. E. seguente telegramma ricevuto adesso da generale Franco.

«È necessario ed urgente invio altri 24 aeroplani "caccia" (senza piloti) per nostri piloti ai quali mancano apparecchi. Dovrebbero essere inviati Vigo. Sarebbe necessario inoltre inviare un meccanico e un armiere per ogni 3 aeroplani» (3).

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI

T. 4049 R. Roma, 3 settembre 1936, ore 24.

Informi codesto governo che, contrariamente a quanto pubblicato da alcuni giornali stranieri, Italia continua e intende mantenere atteggiamento nettamente ostile a qualsiasi immissione dell'U.R.S.S. nei Patti occidentali.

(l) -Vedi serle ottava, vol. IV, D. 823. (2) -Non pubblicata. SI veda DP, vol. III, D. 252. (3) -Questo docummto ha Il visto di Mussollnl.
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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DÈGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3572/1239. Berlino, 3 settembre 1936 (per. il 5).

Da qualche tempo, com'è noto, e particolarmente a seguito della visita a Varsavia del generale Gamelin (1), sono sorte qui varie voci circa una minore stabilità nei rapporti tra la Polonia e la Germania che sembravano essersi avviati, coll'accordo del 1934 (2), verso un periodo di effettiva ed intima collaborazione. Occorre dire che nessun fatto specifico si è fino ad oggi verificato, tale da dare corpo a quelle voci. Ma sta di fatto che i contatti tra la Polonia e la Francia, nel quadro dell'antica alleanza militare tutt'ora esistente e dichiarata da entrambe le parti interamente in vigore, si sono in questi ultimi mesi intensificati ed hanno dato luogo a precise manifestazioni di cameratismo militare.

Evidentemente l'odierna presenza del generale Rydz-Smigly alle grandi manovre francesi (3), che si svolgono sugli antichi campi di battaglia, e le grandi cortesie a lui usate e culminate con la consegna, da parte dello stesso Presidente Lebrun, della Gran Croce della Legion d'Onore, non contribuiscono al buon umore tedesco. I polacchi qui residenti e particolarmente l'incaricato d'affari, principe Lubomirski, si sforzano, è vero, in ciò aiutati degli amici ungheresi, di rasserenare l'atmosfera. E a questo proposito mi sembra utile riferire che, tra gli argomenti portati, vi è anche quello della necessità per la Polonia antibolscevica di mantenere buoni rapporti, a vantaggio anche della Germania, con quella parte della Francia, e quindi con l'esercito, che non possono e non potranno mai ammettere un trionfo comunista! Ma i dubbi sussistono e, come ho già precedentemente accennato al momento della promulgazione della nuova leg.ge militare tedesca del servizio di due anni (4), non è da escludere che questa rinata incertezza germanica sulla stabilità e sulla sicurezza della frontiera orientale abbia influito in senso positivo per l'adozione di quella così importante misura.

Mi si dice anche in proposito che, in un recentissimo rapporto di carattere riservato ad uso delle sfere dirigenti del partito nazista, si fa aperta allusione, in un giro di orizzonte sulla situazione politica internazionale, alla minore intensità della fiducia riposta nell'accordo polacco-tedesco ed alle sue conseguenze nel campo militare. Ufficialmente però ed anche nel campo della stampa, nessun accenno è stato fatto fino ad oggi al delicato problema. E l'ambasciatore di Polonia, Lipski, si recherà, come l'anno scorso, nei prossimi giorni, tra i primi, a Norimberga, dove avrà certamente contatti con le maggiori personalità del governo e del Regime (5).

(l) -Il generale Gamelln si era recato in Polonia in visita ufficiale dal 12 al 17 agosto. Si veda in proposito serie ottava, vol. IV, DD. 721, 729, 756 e 765. (2) -Dichiarazione di non aggressione e di intesa tra Germania e Polonia del 26 gennaio 1934 (vedi DDT, serie C. vol. II, t. l, D. 219). (3) -Il maresciallo Rydz-Smigly era giunto il 30 agosto in Francia dove doveva trattenersi fino al 6 settembre. Si vedano, in proposito, l DD. 38, 42 e 57. (4) -Si riferisce alla legge del 24 agosto precedente che portava a due anni la durata del servizio m!litare in tutte le forze armate. Per l commenti del ministro Magistrati cui si fa quiriferimento, si veda serle ottava, vol. IV, D. 806. (5) -Questo documento ha il visto di MussoUnl.
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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3573/1240. Berlino, 3 settembre 1936 (per. il 5).

Come ho avuto occasione di comunicare con il mio telegramma n. 382 (1), ho visto ieri il Segretario di Stato Dieckhoff ed ho avuto con lui una nuova conversazione sulla situazione di Spagna.

I tedeschi appaiono preoccupati e diffidenti nei confronti della nuova iniziativa francese di creare a Londra, con i rappresentanti diplomatici dei Paesi interessati colà residenti, un « Comitato » destinato a coordinare le risposte pervenute nei riguardi del «non intervento», allo scopo di facilitare la pratica applicazione dell'art. 3 della proposta francese (2).

Allorché l'ambasciatore François-Poncet si presentò alla Wilhelmstrasse, alla fine della settimana, per chiedere l'adesione tedesca alla iniziativa, venne accolto con tali riserve da fargli ritenere utile un intervento britannico. Questo, come ho già riferito, è avvenuto ieri. All'incaricato d'affari britannico, signor Newton, che faceva presente a Dieckhoff come solamente la Germania avesse presentato obbiezioni per la creazione del Comitato, venne risposto che il governo del Reich, tante volte ammaestrato dalla triste esperienza della azione di comitati, desiderava, prima di aderire, conoscere esattamente i limiti e le finalità di quel nuovo «organo». La Germania infatti, e con una certa ragione, teme che a Londra, in seno al Comitato, sorgano nuove iniziative e nuove proposte, tali da obbligar la a prendere in ·un campo di azione tanto limitato ed in un'atmosfera molto dubbia, nuove ed impreviste decisioni. Essa invece, ritenendo di aver detto, mediante l'adesione alla proposta francese e la conseguente dichiarazione di embargo, la sua parola definitiva nella questione del «non intervento », preferirebbe evidentemente affidare i contatti necessari per il raggiungimento dell'accordo alle normali vie diplomatiche senza avocare ad un nuovo «organo » la delicata materia (3).

Quanto all'atteggiamento dell'Inghilterra, il signor Dieckhoff si è mostrato ieri maggiormente ottimista e a talune mie osservazioni relative al pericolo costituito ancora una volta dall'ambiguo contegno di Londra, ha tenuto ad assicurarmi che, a giudicare dal tono mutato, in questi ultimi giorni, di taluni magni organi dell'opinione pubblica britannica, doveva concludersi che un certo senso di resipiscenza cominciava a farsi strada oltre Manica.

Incaricato d'affari si è riservato far conoscere al più presto risposta di Londra. Se questaapparirà soddisfacente, Germania finirà per comunicare sua adesione. Ho, a mia volta, fatto conoscere a Dieckhoff che nostra adesione è del tutto «platonica » e che c! riserviamo libertà d'azione qualora Comitato agisse oltre limiti assegnatigli ».

(T. 8646/383 R. del 3 settembre, ore 20,41).

Quanto alla partenza dell'ambasciata di Germania a Madrid per Alicante, Dieckhoff, nel ringraziare per avere il R. Governo dato istruzione al nostro

R. Rappresentante nella capitale di Spagna di mantenersi in contatto coll'incaricato d'affari di Germania, mi ha detto che oramai la situazione a Madrid, per i tedeschi, era divenuta insostenibile. L'episodio decisivo che ha portato al trasferimento è stato costituito dalla sostituzione, per la protezione dell'edificio dell'ambasciata, degli agenti di Polizia con uomini delle milizie rosse, il cui atteggiamento è apparso subito minacciante e provocatorio.

Quanto alla collaborazione italo-tedesca nei confronti della situazione di Spagna, il signor Dieckhoff mi ha nuovamente ripetuto ch'essa costituisce un elemento primordiale per fronteggiare lo sforzo bolscevico ed evitare sorprese (1).

(1) -T. 8622/382 R. del 2 settembre, ore 19,05. Riferiva in modo più sintetico su la posizionedel governo tedesco, tendenzialmente contrarlo alla costituzione di un organismo per applicare il non intervento in Spagna. (2) -L'art. 3 del progetto francese impegnava i governi degli Stati aderenti ad informarsi scambievolmente su le misure adottate per applicare il non intervento. Per il testo si veda DDF, vol. III, D. 83, allegato. (3) -Sulla posizione del governo tedeo:co nella questione, Magistrati telegrafava lo stesso giorno: « Dieckoff mi comunica è stata oggi :nuovamente fatta presente a questo incaricato d'affari inglese necessità assoluta da parte tedesca di conoscere esatti limiti di azione del proposto Comitato. Senza precise assicurazioni circa tali limitazioni Germania non potrà dare sua adesione.
9

L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 2804/1093. Mosca, 3 settembre 1936 (per. il 7).

La stampa sovietica, durante questa settimana si è limitata a brevi notizie di cronaca sulle operazioni in Spagna, dando naturalmente risalto alle pretese vittorie del fronte governativo. Può dirsi peraltro che tale tendenza è stata piuttosto attenuata dalla laconicità dei comunicati e dall'assenza dei veri e propri commenti.

Come fatto sintomatico, meritano di essere rilevate le segnalazioni dalla Spagna dallo scrittore giornalista Koltzov il quale, nel fare la cronaca degli avvenimenti, rigetta in sostanza sugli anarchici tutte le colpe degli «eccessi» verificatesi nel campo governativo. Il Koltzov anzi precisa l'intensa propaganda svolta colà dagli anarchici per una totale ed immediata collettivizzazione delle terre e per la confisca di quelle appartenenti ai contadini benestanti, rilevando la resistenza opposta dal governo madrileno per sottrarre i contadini all'influenza degli anarchici. In sostanza, il corrispondente sovietico delle Isvestia non fa che ribadire, attraverso la sua cronaca giornalistica, la tesi «cautamente» affacciata nella stampa moscovita che i comunisti di Spagna non tendono affatto per ora ad una rivoluzione proletaria e contadina ma si limitano a difendere le «libertà democratiche » assolvendo così i «compagni » spagnuoli da ogni responsabilità per gli eccessi commessi !

Senonché due fatti nuovi oggi si presentano: l) la nomina di un ambasciatore sovietico a Madrid e 2) la promulgazione del divieto «di esportare, di riesportare e di far passare in transito per la Spagna, nei possedimenti spagnuoli e nel Marocco, ogni specie di armi, munizioni e materiale di guerra, aeronavi, complete o smontate, come pure navi da guerra» (Tass).

L'un fatto è posto accanto all'altro e tutti e due recano la stessa data del 28 agosto. La coincidenza è evidentemente voluta dal Kremlino, il quale tenterebbe in tal modo di mantenere per quanto possibile il piede nelle due staffe

della mula spagnuola. Mentre da una parte si dimostra, infatti, la piena osservanza del principio di non ingerenza da parte dell'URSS, dall'altra parte, al tempo stesso, si è mirato coll'invio a Madrid del primo effettivo rappresentante diplomatico dell'U.R.S.S. a far cosa grata al governo spagnuolo, ed anche al Frente Popular per dargli una qualche soddisfazione formale e dimostrare l'interesse sovietico.

Come già segnalai per telegramma (l), è da rilevare il fatto che la nomina del Rosenberg venne annunciata dai giornali sovietici il 28 e già il 29 gli stessi fogli pubblicavano le calorose accoglienze fattegli a Madrid dal «governo costituzionale». In proposito Litvinov si è limitato ad accennare a questo ambasciatore britannico ed al mio collega di Francia che tale nomina era dovuta alla necessità per l'U.R.S.S. di avere, non diversamente dalle altre Potenze, un servizio informativo dal teatro degli avvenimenti. Tutto ciò denota come il Narkomindiel non solo agisca con estrema prudenza in tutto l'affare spagnuolo ma si sforzi altresì di evitare per ora di fornire nuovi appigli alle correnti internazionali antisovietiche, anche al fini della pace quale specifico obbiettivo dell'U.R.S.S. In linea generale è poi da osservare che tutto l'affare spagnuolo ha naturalmente giuocato sulla politica sovietica in funzione prevalentemente antigermanica. Ed anche sotto questo aspetto l'obbiettivo sovietico non si sposta (2).

10.

IL CONSOLE GENERALE A BARCELLONA, BOSSI, AL MINISTHO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8660/344/193 R. Barcellona, 4 settembre 1936, ore 3,50 (per. ore 7,55) (3).

Segnalo ad ogni buon fine voce riferita da fonte ben informata, secondo la quale qualora Madrid cadesse in mano nazionali provincie Catalogna, Valenza, Alicante e Baleari, si renderebbero repubblica social-democratica indipendente e chiederebbero protezione inglese. Uomini politici responsabili preferiscono appoggiarsi Inghilterra, poiché opinione pubblica è delusa insufficienza aiuto francese alla causa marxisti.

(l) Il documento ha il visto di Mussol1n1.

11

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 8641/412 R. Ginevra, 4 settembre 1936, ore 21.

Telespresso di V. E. n. 228487/188 del 25 agosto u.s. (4).

Il segretario è -come risulta dalle mie precedenti comunicazioni -perfettamente d'accordo sulla necessità che la prossima Assemblea liquidi definitivamente la questione etiopica. La quale potrà esservi rievocata in due modi:

lO

l) In sede di discussione sul rapporto del segretario generale. Come l'E. V. sa, qualunque delegazione può, se crede, sollevare in questa sede qualunque argomento. Naturalmente è questa una ipotesi incontrollabile in precedenza; eventuale solitario sfogo verbale da parte di una o di qualche delegazione destinato, comunque, a restare tale: cioè senza conseguenza. Mi limito a registrarne la possibilità, sia pure remota.

2) In sede di commissione verifica dei poteri, qualora una sedicente delegazione etiopica ridomandasse di prendere parte ai lavori. Ricostruisco rapidamente il corso della procedura. Alla prima riunione dell'Assemblea saranno presenti tutte le delegazioni, compresa dunque (se ci sarà) la sedicente delegazione etiopica. Come primo suo atto l'Assemblea nomina la commissione di verifica di poteri, composta come è noto, di 9 membri. La quale (mentre l'Assemblea in attesa della elezione del suo presidente, ascolta l'abituale discorso di apertura del presidente del Consiglio) si ritira immediatamente per procedere alla elaborazione del suo rapporto. La commissione di verifica termina d'abitudine, e presenta il suo rapporto, nel corso della stessa seduta.

E' da presumere che -se non vi segga un qualche pericoloso fanatico la commissione dovrebbe rapidamente accordarsi sulla constatazione che la sedicente delegazione non rappresenta che se stessa, e deve, quindi, essere senz'altro esclusa. E' possibile che il signor Jeze, o chi per lui, vorrà a questo punto smaltire -e quindi in seduta plenaria -la sua filippica. Dopo di che dovrebbe aver luogo la votazione del rapporto, la seduta dovrebbe essere tolta e la sedicente delegazione andarsene.

Si tratta dunque: a) che nella commissione di verifica non sia compreso un qualche melanconico energumeno che possa eventualmente creare sorprese ed ostacoli; b) che la commissione completi ed approvi rapidamente una formula di liquidazione.

Su ciò ho intrattenuto lungamente Avenol. Riferisco con fonogramma a parte (1).

(l) -Con T. 8546/163 bis R. del 31 agosto, ore 7.10, non pubblicato. (2) -Questo documento ha il visto di Mussollnl. (3) -Il presente telegramma fu Inviato attraverso la R. nave (<Giussano>>. (4) -Non pubblicato.
12

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8726/0244 R. Parigi, 4 settembre 1936 (per. il 5).

Questo direttore degli Affari Politici mi ha detto che il ministero degli Aff<tri Esteri non ritiene che l'esclusione di Titulescu (2) dal nuovo Gabinetto

romeno debba menomamente indicare un mutamento di indirizzo nella politica estera della Romania: tale esclusione non avrebbe che un significato puramente personale nei confronti di Titulescu, la cui posizione politica è sempre stata priva di basi solide fra i partiti interni romeni: né il dissidio che si era delineato anni fa fra lui e il suo Sovrano avrebbe giocato nelle attuali circostanze. Ha accennato ai sentimenti amichevoli per la Francia del signor Antonescu, già ministro di Romania a Parigi, del quale mi ha tessuto l'elogio. Nondimeno, e nonostante queste constatazioni rassicuranti, il signor Bargeton non mi ha nascosto qualche apprensione per la situazione dei partiti politici in Romania e sopratutto per il movimento delle «Guardie di Ferro~. che egli considera manovrato dalla Germania.

(l) -T. 8642/413 R. del 3 settembre, ore 21,25, non pubbUcato. (2) -Il 29 agosto precedente, il Gabinetto Tatarescu aveva dato le dimissioni e Tatarescu aveva costituito un nuovo governo con elementi provenienti quasi tutti da quello precedente, sostituendo agll Esteri T!tulescu con V!ktor Antonescu. SI veda !n proposito serle ottava. vol. IV, D. 822.
13

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 4061/445 R. Roma, 5 settembre 1936, ore 1.

All'incaricato di affari di Francia fu fatto presente, allorché sollecitava la nostra adesione al Comitato di Controllo, che noi nutrivamo scarsa fiducia nelle possibilità e che comunque avremmo gradito conoscere maggiori particolari sulla composizione del Comitato o sull'eventuale azione del medesimo (l). Nessuna chiarificazione ci è finora pervenuta.

Adesso appare sempre più evidente che il suo compito dovrà essere molto platonico. Per parte nostra bisognerà discretamente fare il possibile per svuotare il Comitato di ogni funz:lone pratica ed effettiva. D'altra parte, le vicende quotidiane e le numerose prove di infrazione di neutralità da parte delle differenti Potenze rendono sempre più problematica la possibilità di rendere operante il cosiddetto accordo di non intervento.

Con altro telegramma ti mando notizia di quanto il Messico ha ufficialmente fatto in favore dei rossi (2): è un documento di valore innegabile, del quale potrai servirti (3).

(l) -Di tale colloquio non è stata 1;rovata documentazione. Peraltro, non risulta che durante il mese di agosto l'ambasciata di Francia a Roma sia stata affidata ad un incaricato d'affari. (2) -Il ministro a Città del Messico, Marchettl, aveva telegrafato che il presidente della Repubblica, nel suo messaggio al Congresso, aveva dichiarato che Il governo messicano aveva messo a disposizione del governo d! Madrid ventimila fucili e venti milioni di cartucce. A sua volta, il presidente del Congresso aveva risposto esortando a continuare nell'azione di aiuto morale e materiale al governo di Madri.d e le sue parole erano state accolte dagli applausi della assemblea. Secondo notizie di fonte skura, il materiale da guerra era già partito dal porto di Vera Cruz (T. 8634/97 R. del 2 settembre, ore 21,55). (3) -Il contenuto di queste istruzioni fu comunicato all'ambasciata a Berlino con l'Incarico di darne notizia confidenzialmente al governo tedesco (T. 4064/256 R. del 5 settembre. Manca l'ora di partenza). Con T. 8712/286 R. del 5 settembre, ore 15,50, l'Incaricato d'affari, Magistrati, comunicava di avere effettuato il passo prescrittogli. ·
14

LA SEGRETERIA DEL GABINETTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO (l)

APPUNTO. Roma, 5 settembre 1936, ore 13.

Il conte Magistrati ha telefonato da Berlino, per comunicare che il governo tedesco ha dato la sua adesione alla costituzione del Comitato di Londra per il «non-intervento» in Spagna, avendo avuto le richieste assicurazioni circa i limiti e le finalità di detto Comitato (non organo che giudica ma organo che coordina e facilita scambio di vedute).

L'ambasciatore tedesco a Londra ha avuto istruzioni di tenersi in contatto con S. E. Grandi ed il ministro del Portogallo (2).

15

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 4068/447 R. Roma, 5 settembre 1936, ore 16,30.

Converrà dare molto rilievo negli ambienti conservatori alle caratteristiche di estrema sinistra del nuovo governo di Madrid (3).

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L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8762/0249 R. Parigi, 5 settembre 1936 (per. il 7).

La frattura fra i radica-socialisti e i comunisti che segnalavo a V. E. negli scorsi giorni, non fa che confermarsi in seguito alla proposta avanzata dal partito comunista a quello socialista di un passo concorde alla presidenza del Consiglio per la levata del «blocco» contro la Spagna. Nel comizio di avant'ieri sera al Velodrome d'Hiver non erano mancati replicati e violenti attacchi al governo di Blum che non si renderebbe conto che in !spagna si starebbe combattendo la «guerra delle democrazie contro i fascismi».

Mi riservo di far conoscere a V. E. quanto potrà risultare dal Consiglio dei ministri di stasera, che dovrà occuparsi della situazione e nel quale ad ogni modo si accentueranno inevitabilmente i contrasti fra le varie tendenze rappresentate nel Gabinetto.

D'altra parte, occorre rilevare che fuori di manifestazioni verbali più o meno violente, l'energia combattiva del partito comunista sembra essersi un po' calmata. È sintomatico ehe i comunisti si siano piegati abbastanza di buona grazia al divieto che il governo ha mantenuto della progettata manifestazione di simpatia davanti all'ambasciata del governo di Madrid, nonostante le eccitazioni e gli aecenti patetici dei delegati del Fronte Popolare madrileno presenti per la cireostanza a Parigi. Rinviata, poi conglobata nella commemorazione repubblicana del 4 settembre in Piace de la République, essa ha avuto luogo più ridotta iersera, al canto dell'« Internazionale" e con la significativa presenza di parecchi militari in uniforme. È vero però che altrettanto significativo era il non indifferente spiegamento di forze della guardia mobile che il governo aveva ordinato.

Da questi indizi [la situazione] sembra su un punto di equilibrio incertissimo, mantenuto, da una parte, da una sia pur debole volontà governativa di conservare un certo ordine, o quanto meno un'apparenza più o meno !egalitaria di ordine,· dall'altra, da una certa perplessità dei comunisti di assumere troppo gravi responsabilità in un momento nel quale almeno nei riguardi della politica estera, essi segnano un certo disorientamento. Forse anche la valvola di sicurezza di questa caldaia a troppo alta pressione sta nel modo singolare con cui si applica qui la neutralità nei confronti della Spagna: il governo promotore dell'accordo e custode ufficiale del medesimo, si rende poi complice sottomano di continue infrazioni, il cui carattere spesso aperto se non scandalistico, rappresenta di volta in volta la soddisfazione che si va dando all'opinione estremista. Pare del resto che nel suo recente viaggio a Perpignano è in sostanza in ordine a questa necessità di cose che si sarebbe espresso il sottosegretario alla Presidenza de Tessan, raccomandando ai comunisti che hanno stabilito in quella tranquilla città di provincia il loro ufficio di collegamento col Fronte Popolare spagnuolo, il metodo del <<si non caste, saltem caute».

Il punto tuttavia sul quale tutti sono d'accordo è il timore della minaccia tedesca. Ciò fa dichiarare ai comunisti, che, contrari per principio a un aggravamento del servizio mUitare, sono tuttavia favorevoli a un potenziamento dell'apparato difensivo della Francia e a una politica realistica di alleanze, fra le quali, perché no? anche quella con l'Italia, come si è benignato di consentire in un suo pubblico discorso il segretario del partito comunista.

E nella politica realistica di alleanze vi è ormai parecchia gente che pensa potrebbe andare compresa anche la revisione degli impegni con la Russia: e si parla delle suggestioni fatte in proposito dal dr. Schacht e anche dal generale Rydz Smigly... e finalmente dell'opinione britannica, non mai completamente favorevole al patto franco-russo. Vi è comunque abbastanza diffuso il sentimento che se si. vuole calmare il turar teutonicus ed avere la pace, bisognerebbe gettare il patto franco-russo per sopra bordo.

(l) -L'appunto è privo di firma. (2) -Il documento ha il visto di Mussolini. (3) -Il 4 settembre, era stato costituito a Madrid un nuovo governo presieduto da Francisco Largo Caballero. In proposito, l'ambasciatore Pedrazzi cosi riferì con T. 8744/296 R. del 5 settembre, ore 19,10: «Nuovo governo costituitosi ieri a Madrid e di cui dà notizia odierna stampa, per quanto appaia tuttora come espressione di intero Fronte Popolare, segna passaggio poterenelle mani dei socialisti comunisti, che hanno in esso netta preponderanza. Tanto presidente del Consiglio e ministro della Guerra, Largo Caballero, quanto ministro Affari Esteri, Alvarez del Vayo, appartengono infatti ala estrema partito socialista e sono notoriamente creature della Terza Internazionale. È Mosca insomma_ che ha inspirato e caldeggiato, forse pel tramite nuovo ambasciatore dell'U.R.S.S. a Madrid, formazione governo. Esso, se potrà più facilmente del precedente controllare organizzazione socialcomunista, sarà però altrettanto impotente, per quanto è possibile prevedere, di fronte eccessi degli anarchici sindacalisti appartenenti Confederazione Nazionale Lavoro e Federazione Anarchica iberica, che finora sono 1 padroni effettivi di quasi tutta la Spagna rossa ».
17

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

L. P. Roma, 5 settembre 1936.

Le ultime estive manifestazioni della politica inglese hanno tutte avuto, volontariamente o no, carattere anti-italiano.

a) Viaggio del Re in Adriatico e nel Mediterraneo Orientale (1), senza toccare alcun porto italiano, pur utilizzando quello di Brindisi per la posta reale. La stampa di Belgrado e di Ankara ha valutato il viaggio come una manifestazione di anti-italianità;

b) visita del Re ad Ataturk;

c) viaggio di Samuel Hoare nel Mediterraneo e a Malta (2);

d) soppressione della lingua italiana a Malta, con un tratto di penna (3);

e) fallimento delle trattative commerciali, a causa delle pretese esorbitanti della Gran Bretagna;

f) accordi con l'Egitto, in funzione prevalentemente anti-italiana (4);

g) notizie circa la creazione di una base navale inglese in Adriatico (5).

Tutto ciò non sorprende, ma ci impone una linea di condotta analoga a cominciare dalle riunioni del cosidetto «Comitato di controllo 1>, per la «non ingerenza in Spagna 1>, nel quale Comitato -se si farà -non bisognerà fare la minima concessione alle vedute della Gran Bretagna e della Francia.

18

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 2821/666. Roma, 5 settembre 1936.

In relazione alla pregiata lettera riservata-personale del 21 agosto numero 10759 (6) e in obbedienza alle istruzioni dell'E. V. impartitemi personalmente stamane, ho intrattenuto il cardinale segretario di Stato sulle tendenze nazionali impresse alle associazioni di Azione Cattolica, specialmente giornali, contrariamente alle disposizioni concordatarie e ai successivi accordi esplicativi.

Il cardinale Pacelli, pure non essendo perfettamente al corrente del movimento di Azione Cattolica da me segnalatogli, mi ha dichiarato, molto ri~olutamente, che, in ogni caso, si doveva ad ogni costo evitare che si rinnovasse la deprecata situazione di anni sono.

Nella giornata stessa di ieri, ho avuto occasione d'incontrare monsignor Pizzardo che ha interrotto il suo congedo ed è ritornato a Roma per ventiquattr'ore, per la morte del comm. Ciriaci. Con il monsignore Assistente Centrale dell'Azione Cattolica, sono stato più esplici.to, contestandogli i fatti quali mi sono stati segnalati dall'E. V. nei due notiziari che mi ha rimessi. Circa la riunione a Pompei, il 3 corr. di tremila giovani dell'Azione Cattolica, monsignor Pizzardo ha dichiarato che gli stessi giovani usavano, gli scorsi anni, di fare la loro manifestazione a Lourdes. Quest'anno non hanno voluto uscire d'Italia e si sono recati a Pompei. Il dott. Gedda è, secondo monsignor Pizzardo, un fascista, anzi un buon fascista. Quanto al labaro della presidenza centrale, credo che i dirigenti ne faranno facilmente il sacrificio se insisteremo nel chiederlo.

Mons. Pizzardo si è dimostrato, quanto il cardinale segretario di Stato, desideroso di regolare le manifestazioni d'Azione Cattolica in modo da non dare luogo a nuovi rilievi. Egli mi ha confermato che a giorni avrà luogo a Bari una conferenza degli universitari di Azione Cattolica. E' una riunione che ha luogo ogni anno. Comunque, è troppo tardi per rinviarla.

Monsignor Pizzardo riprenderà il suo posto, in segreteria di Stato, giovedi 10 corr. Egli risponderà allora, con maggiore larghezza e più precisione, a tutti i rilievi che gli ho fatto.

(l) -Re Edoardo aveva effettuato una crociera nel Mediterraneo visitando la Jugoslavia(9-20 agosto), la Grecia (21-28 agosto) e la Turchia (29 agosto-6 settembre); era previsto che il viaggio di ritorno avvenisse attraverso la Bulgaria, la Jugoslavia e l'Austria. In proposito si veda serie ottava, vol. IV, D. 752 e in questo volume: DD. 23, 41 e 211. (2) -Dal 26 agosto al 22 settembre, il Primo Lord dell'Ammiragliato, Sir Samuel Hoare, effettuò un giro di ispezione nelle basi navali britanniche del Mediterraneo e si recò in forma privata in Grecia dal 7 al 9 settembre. (3) -Si veda in proposito il D. 229. (4) -Riferimento al trattato di alleanza tra Gran Bretagna e Egitto del 26 agosto 1936 (testoin MARTENS vol. XXXIII, pp. 326-342). (5) -Vedi p. 83, nota 2. (6) -Trasmetteva un rapporto di fonte fiduciaria datato Milano, 14 agosto 1936 circa la tendenza dell'Azione Cattolica a dare alle proprie attività un carattere nazionale.
19

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8745/1171 R. Londra, 6 settembre 1936 ore 2,10 (per. ore 6).

In assenza di Eden ammalato, ho veduto oggi Cadogan e gli ho domandato quale è situazione nei riguardi Comitato di controllo. Egli mi ha confermato che Germania non ha ancora dato risposta definitiva, si è per ora limitata a chiedere precisazioni su compiti Comitato (1). Richieste tedesche, égli ha aggiunto, stanno formando oggetto attenta considerazione e Foreign Office non dispera che sarà possibile ottenere adesione tedesca nella prossima settimana. Foreign Office ha allo studio anche la nota del Portogallo (2) e spera sia possibile tenere fra pochi giorni una prima riunione del Comitato.

Ho detto a Cadogan che non vedevo come, di fronte obbiezioni dei governi tedesco e portoghese, egli potesse prevedere una prossima riunione del Comitato senza che vi fosse almeno un minimo di intesa preliminare su sua competenza e suoi limiti.

Cadogan ha risposto che osservazione era giusta ma che, d'altra parte, definizione preventiva dì ogni punto dì dettaglio per via diplomatica importerebbe

ingente perdita di tempo. Egli si riprometteva perciò di poter convincere vari governi interessati a dar adesione di massima perché sia convocata, fra pochi giorni, riunione preliminare del Comitato, nel corso della quale potrà essere ricercata una formula che determini attribuzioni del Comitato stesso .

20.

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 8756/298 R. Saint Jean de Luz, 6 settembre 1936, ore 12,15 (per. ore 17).

Mio rapporto n. 970 (l) e 738 (2).

Ferrarin è tornato Burgos per rendersi conto della situazione militare ed ha avuto colloqui clandestini con generali Mola e Franco. Riassumo sue informazioni.

«Campagna insorti procede bene ed ultime vittorie Irun e Talavera de la Reina permettono immediatamente primo atto dell'investimento Madrid. Morale ed organizzazione ottimi.

Tanto Franco quanto sopratutto Mola lamentano soltanto netta superiorità aviazione rossa in confronto della loro. Su tale argomento Ferrarin riferisce con rapporto che partirà con corriere di domani (3); ma credo opportuno, intanto, informare che sopratutto sarebbero da ritenere utilissimi apparecchi veloci da collegamento tipo R. 9-37, nonché apparecchi da caccia che Franco dice avere ordinati già in Italia. Data scarsezza aviazione, Franco, nel preparare piano per investire Madrid, deve calcolare che aviazione disponibile dovrà essere riservata per aiutare soltanto colonna di assalto generale Yague, lasciando un poco abbandonate a loro stesse altre colonne del nord.

Ferrarin ha notato che viva e costante simpatia e gratitudine verso di noi sta per essere superata da crescente simpatia per Germania che lavora alacremente per valorizzare suoi aiuti e che è secondata da alcuni elementi militari. Ha constatato che livore verso Francia si è esteso anche verso Inghilterra, perché abbondante materiale inglese è stato sequestrato nelle azioni vittoriose presso i rossi che possedevano anche palle dum-dum inglesi dello stesso tipo di quelle già conosciute da noi in Etiopia. Ufficiale d'ordinanza di Mola ha riferito a Ferrarin che negli scorsi giorni emissario inglese avrebbe offerto al generale aiuti, se gli insorti non avessero continuato dare loro movimento carattere di simpatia per l'Italia e non avessero insistito nel profetizzare che Spagna di domani sarà legata da vincoli stretti con Italia. Mola avrebbe rifiutato nettamente e anzi avrebbe accentuato sua avversione ad agire inglese. Notizia non è stata però confermata da membri governo cui Ferrarin ha chiesto notizia al riguardo (4}.

6-Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

(l) -Vedi D. 8. (2) -Vedi D. 4. (l) -R. 2207/970 del 6 settembre (da Irun) pervenuto il 16 settembre. Riportava la smentita della Giunta di Burgos circa un suo preteso programma politico riportato da molti giornali stranieri. (2) -Non rinvenuto. (3) -Non pubblicato. (4) -Questo documento ha il visto di Mussolini.
21

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 10096/1124. Budapest, 6 settembre 1936 (per. il 9).

Telecorriere ministeriale n. 4001/C.R. del 31 agosto u.s. (1).

Notizie pervenute da Londra a questo ministero Esteri confermerebbero che il Foreign Office si stia adoperando in favore di una distensione tra Praga e Berlino, e ciò in ossequio all'« attuale direttiva del governo britannico di soffocare i possibili focolai di conflitti continentali fino a che la Gran Bretagna non abbia portato a termine il suo programma di armamenti ». Considerando, dopo l'inattesa riconciliazione austro-germanica, la Cecoslovacchia come la « regione più nevralgica di Europa », il governo di Londra cercherebbe ora a tale scopo di indurre Praga ad assicurare una larga, reale autonomia ai tedeschi dei Sudeti e Berlino a concludere un patto od accordo bilaterale atto a tranquillizzare i cecoslovacchi. Questi armeggii --si tiene a rilevare qui -non sono però certamente tali da allarmare Budapest, cui il governo germanico ha rinnovato di recente formali assicurazioni che nessuna idea o progetto di patto ceco-germanico è in esame, né alcun negoziato in preparazione; assicurazioni cui Budapest -si aggiunge -presta tanto più facilmente fede in quanto considera ugualmente impossibile per Germania e Cecoslovacchia addivenire alle concessioni che sarebbero necessarie ...

Uguale tranquillità non si manifesta qui invece in questo momento circa i rapporti romeno-germanici (è di ieri la pubblicazione delle dichiarazioni «antirevisionistiche, attribuite da Goga a Hitler) e soprattutto circa quelli romenopolacchi: l'abbandono dell'indirizzo filosovietico patrocinato da Titulescu -ammetteva stamane nel corso di una conversazione confidenziale questo direttore degli Affari Politici -se allontanerà Bucarest da Praga riavvicinerà pure, per converso, Bucarest a ·Varsavia, riducendo in misura apprezzabile le possibilità di collaborazione ungaro-polacca (2).

22

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 10212/1136. Budapest, 6 settembre 1936 (per. il 12).

l. Una conversazione avuta iersera con il Reggente ha confermato in me l'impressione che nulla di sensazionale sia stato detto e tanto meno concluso nel corso dei suoi recenti incontri con il Presidente federale ed il Cancelliere austriaco o con il Fiihrer, Cancelliere del Reich (3).

Sembra in sostanza che l'antico e vivissimo desiderio dell'ammiraglio de Honhy eli uscire dal ristretLo territorio dello Stato, per rivedere in assoluta libertà dopo tanti anni luoghi cari e raccogliere nuovi trofei di caccia, sia venuto a coincidere con l'intenzione accuratamente ponderata di questo governo di far luogo ad una manifestazione a doppio effetto e a larga eco all'indomani dell'accordo austro-germanico: una manifestazione, cioè, che servisse per «tenere il passo » con gli amici e suscitare, nello stesso tempo e secondo il solito, qualche preoccupazione negli avversari, in primo luogo a Praga.

Onoromi tuttavia ripetere qui appresso in dettaglio alla E. V. quanto riferitomi dall'ammiraglio Horthy -nella sua maniera alquanto approssimativa sulla conversazione da lui avuta con Hitler; quelle con Miklas e Schuschnigg avrebbero avuto -a quanto pare -contenuto di sola cortesia.

2. Il Reggente, che non conosceva il Fiihrer, lo ha trovato « calmo, non molto discorsivo, simpatico e assai bene informato». L'incontro a due è durato un'ora e mezzo; poi sono sopraggiunti per il the Neurath e Blomberg. Nessuna personalità politica e militare unghcese -neanche il ministro a Berlino, gen. Sztojay, comandato per la circostanza a Monaco -ha messo invece piede a Berchtesgaden.

Egli, Horthy, è stato lieto di constatare che «Hitler condivide molte delle sue idee»... Anche Hitler ritiene si sia giunti ormai ad una divisione degli Stati europei in Stati con governi d'ordine ed autoritari e Stati deboli, socialistoidi e bolscevizzanti e anche Hitler è d'avviso che l'urto tra i due gruppi sia inevitabile. L'ammiraglio de Horthy ha rilevato quindi con viva soddisfazione che Hitler si esprimeva assai simpaticamente nei riguardi dell'Italia e del Duce.

Il Reggente avrebbe infine manifestato al Fiihrer «la sua preoccupazione per le dimostrazioni troppo calorose fatte recentemente dalla Germania alla Jugoslavia», facendogli presente come sulla Jugoslavia «non si possa far soverchio assegnamento, in quanto è soltanto un agglomerato troppo eterogeneo di nazionalità» e come, in ogni caso, una politica jugoslavofila «dovrebbe, da Berlino, essere svolta d'accordo con Roma (1).

(l) -Ritrasmetteva il T. per corriere 8522/097 R. del 27 agosto da V!enna. Vedi serle ottava, vol. IV, D. 811. (2) -Il documento ha Il visto di Mussolin!. (3) -L'ammiraglio Horthy aveva soggiornato !n Austria per delle partite di caccia dal 20 al 30 agosto e !n quella occasione a.veva avuto del colloqui con il Presidente Miklas e con 11 Cancelliere Schuschnigg. Il 22 aveva passato il confine con la Germania e si era incontrato con Hitler nell' Obersalzberg (si veda !n proposito il D. 27).
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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8777/261 R. Beyoglu, 7 settembre 1936, ore 14,20 (per. ore 16,20).

Mio telegramma 257 (2). Re d'Inghilterra partito iersera per Londra via Vienna. Così Italia non è stata toccata neanche viaggio di ritorno (3).

Soggiorno Istanbul, sebbene privato, ha dato luogo tali manifestazioni cortesia da parte turchi, che poco più si sarebbe potuto fare se visita fosse stata ufficiale. Da fonte britannica !asciasi diffondere voce che turchi abbiano preso la mano, che Sovrano sia stato seccatissimo di tante cerimonie, ecc.

Credo dovere accettare con cautela tali affermazioni poiché se realmente intenzione inglese fosse stata eontenere nei limiti dovuti la visita non sarebbero mancati mezzi per attenerlo. Aggiungo che questo ministro di Ungheria mi ha affermato periplo Balcani sia stato voluto da governo inglese e che carattere privato attribuitogli sia risultato compromesso fra volontà gabinetto 'Londra e quella Sovrano.

Stampa esaltato visita con ogni possibile retorica e deformato e interpretato spudoratamente anche recenti verità storiche a tutti ben note (colgo questo fiore: «ai Dardanelli soldati turchi ed inglesi evitavano di trovarsi faccia a faccia e facevano un giro per occupare posto dell'altro. Giocavano a nascondersi evitando intenzionalmente incontrarsi. Ciò distrusse governo Lloyd George e fu inizio della nuova era amicizia »). Oggi giunge alludere possibile futura alleanza e parla di una visita ufficiale Ismet Pascià Londra ove anche Ghazi è stato invitato da Re Edoardo.

Comunque, fuori di ogni esaltazione e indipendentemente da ogni even

tuale futuro sviluppo, è mio personale subordinato avviso che tale viaggio ha

un preciso significato politico e vuole mantenere fra l'Inghilterra e Paesi già

legati da patto mutua garanzia mediterraneo (l) (alla quale si è dovuto ri

nunziare solo per fermissima attitudine italiana) ma sopratutto con Turchia

quell'atmosfera che fu creata per i comuni interessi nel Mediterraneo orien

tale durante il conflitto itala-etiopico.

Segue rapporto dettagliato (2).

(l) -Il documento reca il visto d! Mussol!n!. Su l'Incontro Hitler -Horthy aveva già riferito l'incaricato d'affari a Berlino, Magistrati, con telespresso 3560/1233 del 2 settembre. Secondo le notizie da lui raccolte, a Berchitesgaden non erano stati trattati argomenti specifici ed il tema politicamente più rilevante era stato la riconosciuta necessità di una maggiore unione tra l Paesi europei decisi a combattere l'influenza comunista. Anche questo documento porta Il visto d! Mussolin!. (2) -T. 8498/257 R. del 29 agosto, ore 14,40: annunciava l'arrivo del Sovrano britannico a Istambul. (3) -Vedi p. 15, nota l.
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L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8797/555 R. Parigi, 7 settembre 1936, ore 17,25 (per. ore 19,55).

Mio telegramma n. 552 (3).

Discorso del presidente Consiglio dei ministri Blum, che si è deciso im

provvisamente a pronunciare iersera alla riunione indetta dalla Federazione

socialista della Senna per commemorare anniversario III Repubblica, ha accen

tuato divisioni esistenti in seno al Fronte Popolare. Infatti, nonostante suo

appello alla Confederazione Ger:.erale del Lavoro, questa ha dovuto cedere da

vanti alle pressioni estremiste e l'ordine per lo sciopero generale di «ammoni

mento » o di protesta contro il «blocco alla Spagna » è stato mantenuto, pur dandogli attenuazione che la manifestazione non è particolarmente diretta contro il governo. Essa quindi ha luogo oggi dalle 16 alle 17 da parte circa 300 mila operai di tutti gli stabilimenti dell'industria metallurgica parigina. Stampa comunista insiste, nonostante appello patetico di Blum per la pace, perché blocco venga tolto e dichiarazione di neutralità revocata.

Situazione quindi va a tendersi, tanto più che Blu.m, per difendere atteggiamento governo francese, ha dovuto dichiarare recisamente nel suo discorso non risultargli che alcune Potenze aderenti all'accordo di neutralità abbiano mancato ai loro impegni. Si è quindi chiusa una possibilità di ritirata.

Si conferma perciò che questione blocco spagnolo vada aggravando minaccia di rottura del Fronte Popolare con conseguente possibilità per i comunisti di riprendere apertamente la propria azione indipendente.

(l) -Si riferisce agli accordi del d'.cembre 1935-gennaio 1936 Intercorsi tra Gran Bretagna, Francia, Grecia, Jugoslavia e Turchia per garantirsi assistenza nel caso di un conflitto derivante dall'applicazione dell'art. 16 del Covenant nei confronti dell'Italia. (2) -Non pubblicato. (3) -T. 8751/552 R. del 6 settembre, ore 14,15. Riferiva che in Francia andava crescendo la pressione delle organizzazioni operaie per indurre il governo ad abolire il blocco degli aiuti alla Spagna.
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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8803/120 R. Bucarest, 7 settembre 1936, ore 21,45 (per. ore 1 dell'B).

In questi giorni Stojadinovic, che non è voluto venire in Romania finché vi era Titulescu, sembra abbia deciso prendere contatto con nuovo governo romeno prima riunione della Piccola Intesa a Bratislava.

Stojadinovic arriverebbe domani sera a Bucarest. Questo viaggio può avere grande influenza sui rapporti romeno-jugoslavi che da circa un anno attraversavano una fase difficile. C'è da aspettarsi un accorciamento delle distanze tra Belgrado e Bucarest, distanze dovute al troppo grande favore che Berlino godeva presso il governo jugoslavo ed al non meno marcato favore di cui Mosca era oggetto presso cancelleria Bucarest. Tanto Belgrado che Bucarest, anche in vista riavvicinamento tra Francia e Polonia, vorranno ora moderare rispettivamente le loro punte avanzate verso Berlino e Mosca, ciò che può agevolare una migliore intesa fra Romania e Jugoslavia.

I punti più importanti dei colloqui con questo governo mi paiono seguenti: 1° Nuovo orientamento della Polonia.

2° Riforma della Società delle Nazioni (e probabile orientamento verso la decisione di non rispondere per iscritto al quesito posto dal Segretariato e riservare così libertà d'azione in occasione del dibattito generale).

3° Rapporti della Romania con la Russia. Mi risulta che sarà data assicurazione esplicita a Stojadinovic che il governo romeno non intende impegnarsi in un patto di mutua assistenza. Cosicché anche il progetto di accordo fra Cecoslovacchia e la Romania di cui Krofta si era fatto spontaneo propalatore (evidentemente per forzare la mano alla Jugoslavia) rimarrà in sofferenza.

4° Rapporti tra Romania e Italia. Prospettiva di un possibile riavvicinamento fra Roma e Bucarest ha molto allarmato governo jugoslavo. Negli

21 ambienti politici di questa capitale si è troppo apertamente detto nei giorni scorsi che caduta Titulescu era stata istigata da noi e strada fra Roma e Bucarest era ormai sbarazzata dal più grave ostacolo sulla ripresa di rapporti.

Tuttociò ha creato a Belgrado un certo nervosismo.

È chiaro che ogni intesa preliminare fra Romania e Jugoslavia, in vista prossimo convegno Bratislava sarà poi influenzata atteggiamento Benes. È perciò da prevedersi che legittimo erede e rappresentante nella Piccola Intesa delle idee e dei programmi di Titulescu rimanga Benes, il quale, sia pure con leggerezza di tocco, è stato sempre in sostanza altrettanto se non più estremista di Titulescu in fatto di societarismo, sicurezza collettiva, indivisibilità pace, patto regionale con Russi.a, antirevisonismo ed altro armamentario simile. Nell'ambito della Piccola Intesa al binomio Romania-Cecoslovacchia con dissidenza di Belgrado c'è da aspet.tare si sostituirà formazione di un binomio Romania-Jugoslavia con dissidenza di Praga.

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COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL SEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, AVENOL

APPUNTO. Roma, 7 settembre 1936.

Ho ricevuto oggi il signor Avenol. Abbiamo trattato, come primo argomento, quello del ritorno dell'Italia a Ginevra.

Gli ho subito messo in chiaro che noi intendevamo, prima di riprendere la nostra collaborazione, che fosse definitivamente chiarito il punto concernente la delegazione etiopica.

Il signor A venol mi ha detto che, a suo parere, difficilmente una delegazione del Negus si presenterà a Ginevra. Il Negus partì l'ultima volta troppo abbattuto per ritentare oggi una pro':~. Comunque, se anche una delegazione si presentasse, il signor Avenol afferma, da informazioni già assunte da lui presso i migliori giuristi, che essa verrebbe allontanata, non riconoscendosi la validità dei poteri. In realtà, Avenol ritiene che sarebbe molto pericoloso per la stessa Società delle Nazioni di trasformarsi in un «rifugio della legittimità ». Troppi sarebbero i governi spossessati che po_trebbero invocare il precedente etiopico per tentare di farsi rappresentare a Ginevra da sedicenti delegazioni. Da ciò la Lega non ne guadagnerebbe né in prestigio né in potenza. Il signor Avenol ritiene inoltre che nessuna rappresentanza si leverà in difesa di una eve11tuale delegazione etiopica non convalidata. Egli dice che in questo momento in tutti i delegati è troppo vivo il senso di preoccupazione per gli avvenimenti maggiori e più gravi che sono in corso e che minacciano costantemente la pace del mondo. Ognuno sarà contento di mettere definitivamente agli atti il sorpassato problema itala-etiopico.

Gli ho detto che prendevo atto di tali sue informazioni. Comunque non mi pareva opportuno che i nostri rappresentanti intervenissero al Consiglio o alla prima seduta dell'Assemblea quando cioè potevano ancora comparire i delegati etiopici. Alla seconda riunione dell'Assemblea noi ci saremmo fatti

rappresentare qualora alla prima gli etiopici non fossero apparsi o, se apparsi,

fossero stati allontanati.

Per quanto concerne la riforma della S.d.N. il signor Avenol mi ha detto che sua impressione che nessun Paese in questo momento vorrà spingere per arrivare ad una conclusione in merito. Se l'argomento verrà abbordato lo sarà soltanto formalmente e senza conclusione positiva.

Mi ha parlato poi della questione Pilotti e mi ha detto che la S.d.N. considererebbe una perdita gravissima quella di Pilotti, giudicato il migliore fra i funzionari della Società stessa (questo mi ha convinto sempre più della necessità di toglierlo da quell'ambiente). In primo luogo, quindi, Avenol chiedeva che si tornasse sul provvedimento riconfermando Pilotti al suo posto attuale. Qualora ciò non fosse stato possibile, a titolo di cortesia personale egli chiedeva che Pilotti gli venisse lasciato a disposizione ancora per qualche mese poiché, con la nomina di Rosenberg a ambasciatore a Madrid e con quella dell'altro delegato aggiunto a ambasciatore a Londra, egli aveva perso in questi ultimi giorni tutti i suoi collaboratori.

Gli ho fatto comprendere chiaramente che non sarebbe stato possibile ritornare sulla decisione presa nei riguardi di Pilotti, però, data la sua richiesta a carattere personale, avrei potuto acconsentire, una volta ottenuto il consenso del mio Capo, a che Pilotti rimanesse fino a marzo.

Avenol ha fatto ancora qualche riserva sul nome di Rocco, non perché questi non gli apparisse persona gradita ma evidentemente poiché voleva confermare il principio che a lui spettava in definitiva la scelta e la nomina del delegato aggiunto, mentre a noi spettava soltanto un suggerimento di nome.

Pur confermandogli che noi desideriamo di veder Rocco a Ginevra, ho aderito al suo desiderio di riesaminare insieme, tra qualche tempo, la questione.

Avenol, in fine di conversazione, ha insistito per essere ammesso a presentare i suoi ossequi al Duce. Gli ho detto che il Duce potrà riceverlo e che mi riservo di accompagnarlo in uno dei prossimi giorni (1).

Avenol rimane a Roma fino a giovedì (2).

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COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL MINISTRO DI UNGHERIA A ROMA, VILLANI (3)

APPUNTO. Roma, 7 settembre 1936.

E' venuto a vedermi, di ritorno dall'Ungheria, il ministro Villani. Mi ha intrattenuto sui seguenti argomenti:

1° -Visita del Reggente a Roma -Il ministro Villani è stato incaricato dal suo governo di far conoscere al Duce che il Reggente accetta l'invito con piacere e che, a partire dal 15 ottobre, è pronto a venire a Roma. Resta in attesa di conoscere quale data sarà più gradita a Sua Maestà il Re e al Duce.

2° -Mia visita in Ungheria. -A nome del suo governo, il ministro Villani ha tenuto a far sapere che una mia visita in Ungheria riuscirebbe particolarmente gradita. Ha vivamente insistito perché in tale visita io sia accompagnato da mia moglie, alla quale il governo ungherese vorrebbe riservare particolari accoglienze. Suggerirebbe che in occasione di questa visita -la quale potrebbe aver luogo in novembre -si tenesse a Budapest la riunione dei tre ministri degli Affari Esteri italo-austro·-Ungherese, secondo quanto previsto dai Protocolli di Roma. Al ritorno e all'andata potrei sostare a Vienna.

Gli ho risposto che da parte mia mi sembrava che nulla ostasse all'idea di una mia visita a Budapest e che mi riservavo di far conoscere la data e le modalità dopo aver preso le opportune ist.ruzioni dal Duce.

3° -Convegno Hitler-Horthy (l). Villani ha subito dichiarato che il colloquio Hitler-Horthy è stato soprattutto determinato dal desiderio personale del reggente di conoscere e di entrare in contatto diretto col Fuhrer, capo di una Nazione per la quale il popolo ungherese ha vivo sentimento di amicizia. La visita è stata sprovvista di carattere politico, tanto è vero che il Reggente Horthy, il quale non tratta mai personalmente problemi politici, non si è fatto accompagnare da alcun ministro, né da funzionari del ministero degli Affari Esteri. Durante il colloquio, però sono stati toccati i seguenti punti:

a) -accordo austro-tedesco. Il reggente si è vivamente compiaciuto con Hitler per il raggiungimento dell'accordo che ha determinato uno stato èi détente nell'Europa centrale e che ha tolto una preoccupazione grave in Unghcrla in quanto ha permesso il ristabilimento di rapporti cordiali fra l'Italia e la Germania, Paesi egualmente cari al popolo magiaro. Hitler ha concordato con Horthy e ha detto che è sua intenzione di rendere sempre più stretti e sicuri i legami che uniscono il popolo tedesco a quello italiano.

b) -Comunismo. Il Fuhrer e il Reggente si sono trovati d'accordo nel riconoscere nel comunismo il maggior pericolo per l'Europa e per la pace. Il Fuhrer ha manifestato al Reggente Horthy la sua intenzione di svolgere un'attiva azione anti-comunista. Gli ha detto che in !spagna opera effettivamente e che a questo proposito era lieto di potergli dare una prova ulteriore dei buoni rapporti esistenti fra l'Italia e la Germania, poiché l'azione in !spagna di fiancheggiamento del generale Franeo era svolta di comune accordo.

c) Cecoslovacchia. Il reggente ha trovato vivo risentimento nel Ftihrer contro la Cecoslovacchia. Per quanto questi gli abbia dichiarato di essere pronto a serrare un patto di non aggressione con i cechi qualora questi abbandonino la loro amicizia con la Russia, Horthy ha riportato l'impressione che la Germania si proporrà, non appena ultimati i suoi armamenti, di manifestare con ge::to concreto la sua avversità verso la Cecoslovacchia.

4° -Società delle Nazioni. ·-L'Ungheria ha preparato un memoriale, di cui il ministro Villani mi ha consegnato copia, relativo alla riforma del Patto. Tale memoriale non sarà consegnato subito, ma soltanto in un secondo tempo. Frattanto egli pregherebbe di fargli eonoscere per iscritto le nostre eventuali osser

vazioni o critiche. La delegazione ungherese a Ginevrà sarà diretta da Kanya. Per quanto l'ultima decisione non sia ancora presa, pur tuttavia sembra sicuro che Kanya solleverà la questione del riarmo ungherese. Anche su questo argomento vorrebbero conoscere l'opinione nostra circa l'opportunità o meno di sollevare la questione adesso. La Germania ha assicurato il pieno appoggio diplomatico. Il signor Villani mi ha detto che il popolo ungherese conta a pieno sulle promessa di aiuti più volte fattagli dal Duce qualora la Piccola Intesa prendesse occasione per mobilitare.

5° -Jugoslavia. -Le conversazioni tra il signor Stojadinovic e il ministro di Ungheria a Belgrado proseguono attivamente ma con scarso risultato. La Jugoslavia vorrebbe, per addivenire ad un accordo, che l'Ungheria facesse dichiarazioni di disinteresse nei confronti delle minoranze soggette al regime serbo. Questa dichiarazione non potrà essere fatta dall'Ungheria, anche e sopratutto perché potrebbe a sua volta essere invocata analogamente dalla Romania e dalla Cecoslovacchia. Comunque il signor Villani ritiene che tra l'Ungheria e la Jugoslavia si potrà addivenire gradualmente, e magari temporaneamente soltanto, a una distensione di rapporti.

6° -Romania. -Il governo ungherese ha visto con piacere l'allontanamento di Titulescu; ma adesso è preoccupato della crescente influenza delle «Guardie di ferro» le quali, se andassero al potere, si preparerebbero a svolgere una politica molto dura nei confronti delle minoranze ungheresi. A tale proposito il ministro Villani sollecitava un eventuale intervento dei nostri rappresentanti a favore di dette minoranze.

Gli ho risposto che i nostri rapporti con la Romania erano stati nel recente passato piuttosto tesi. Il gesto del signor Antonescu li aveva evidentemente migliorati formalmente, ma per ora non vi era niente di concreto. Comunque a suo tempo, se un nostro intervento apparirà utile ed opportuno, non mancherà di prodursi in favore dell'Ungheria.

(l) -Sul colloquio non è stata trovata documentazione negli archivi italiani. (2) -Il documento reca il visto di MussoUni.

(3) Ed. in Europa verso la catastrofe, pp. 63-66.

(l) Vedi p. 18, nota 3.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

L. 11282 (1). Roma, 7 settembre 1936.

Il Duce pensa che fin dalle prime riunioni del Comitato di Controllo, tu dovrai svolgere azione diretta ad inchiodare la Francia alla neutralità. Chiedere, cioè, che il controllo sia stabilito in modo effettivo e diretto. Se la proposta non verrà accettata, ognuno riprenderà, o continuerà, la libertà d'azione e la responsabilità sarà francese. Se invece sarà accolta, le fratture nel governo francese si accentueranno. E nel Fronte Popolare spagnolo si determinerà il contrasto tra gli elementi di estrema -anarchici e comunisti -e gli altri,

poiché i primi accuseranno le democrazie di averli abbandonati al loro destino, di aver disertato le responsabilità nel momento della lotta. Già se ne hanno i primi segni: alle recenti sconfitte dei rossi seguono adesso le recriminazioni contro Blum e contro lo stesso governo sovietico, protettori e alleati giudicati inefficienti. 1\. San Sebastiano, tra anarchici e socialisti si sono già sparati. Un'azione da noi svo:!ta adesso per mettere l'accento sul fatto che il governo franco-giudaico di Blum è stato l'iniziatore della neutralità, abbandonando così il governo similare di Madrid, varrà certamente ad acuire le frizioni che già esistono tra compari e, conseguentemente, ad accelerare il collasso (l).

(l) Lettera autografa.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. RR. 3648/1262. Berlino, 7 settembre 1936 (2).

Ho avuto oggi con il mini3tro dell'Aria del Reich e ministro presidente di Prussia, generale Hermann Gtiring, nella sua residenza di Leipzigerplatz, una esauriente conversazione nel corso della quale egli mi ha esposto in grandi linee alcuni aspetti dell'azione politica della Germania negli attuali momenti.

Il ministro presidente, che mi ha trattenuto per oltre un'ora e mezza, appariva in ottime condizioni fisiche e di spirito. Rivestito del costume classico del cacciatore tedesco (egli è anche, com'è noto, Reichsjorstmeister ossia

Mi ha innanzi tutto accennato ai precedenti, facendo larghissime lodi di Renzett! che, a quantoegli afferma, ebbe a sostenere, con equilibrio e tenacltà, l'azione dei gruppi nazionalsocialisti a Berlino cd a mantenere sempre contatti di grandissima importanza con lui e con lo stesso Hitler.

<<Nel pe;·iodo 1930-32 -ripeto le parole di Goring -l'intimità di Renzetti con noi divenne veramente grande e la sua amicizia fraterna. Non ricordo alcun altro amico tedesco che abbia fatto tanto per me. Egli e::a sempre con noi, e a casa mia, in quei due anni, egli sarà stato assiso duecento volte alla nostra tavola, in una forma di cameratismo veramente profondo e sentito. La sera del 30 gennaio 1933, allorché andammo al potere, due sole persone ebbero subito la lista dei Membri del nuovo Ministero: il Segretario di Stato alla Presidenza,, Meis3ner, per il Presid·ònte Hindenbm·g, e Renzetti per il Duce, avendo io desiderato che il Capo del Fascismo foss.~ il primo ad avere la notizia. Fui io stesso a consegnargll quella lista, a casa mia. Ora in quello stesso momento, probabilmente, l'Ambasciatore Cerruti comunicava ?. Roma che i Nazionalsoc!alisti non sarebbero saliti al potere. Di qui tutto l'inevitabile urto tra l'Ambasciatore e Renzett! e, poi, tra l'Ambasciatore e noi. Renzettl è veramente un fascista e ha sempre agito da fascista. L'Ambasciatore in un primo tempo si è avvicinato a noi, ma poi, forse anche per l'influenza della mogli.e, <<ebrea ungherese», si è messo a frequentare ambienti a noi ostili. Ma qualunque cosa l'Ambasciatore abbia fatto contro Hitler, nulla è apparso più grave, a!'li occhi del Cancelliere, dell'allontanamento, da lui voluto nell'estate 1935, di Renzetti. Su questo punto Hitler non potrà mai transigere nei riguardi di Cerruti ».

Ti ho ripetuto, quasi stenograficamente, il discorso. Prendilo per quello che vale, Sono cd ogni morlo certo che ti interesserà questa <<campana» Goring su una questione che lndubbiamente ha avuto un certo peso nei confronti dell'andamento dei rapporti !taio-tedeschi. Un grande abbraccio, tuo Massimo. P. s. A proposito di Goer!ng, vuoi fa1·gl! preparare, tra qualche settimana, un programmino, leggero " di carattere turistico più che ufficiale. per quel suo viaggio italiano della seconda metà di Ottobre? Potrai, se credi, farmelo poi inviare perché io possa tempestivamente parlargl!ene ».

capo delle caccie e delle foreste dei Reich), con il pugnale alla cintola, con il viso abbronzato dal sole, ha dimostrato, durante tutta la conversazione, una vivacità di pensiero e di espressione che mi hanno particolarmente colpito. Caratteristicamente germanico nell'aspetto fisico, nell'abbigliamento e in talune sue forme di pensiero, durissime e violente, egli ha però sempre nel lampo degli occhi e sopratutto negli atti e nelle affermazioni che testimoniano della sincerità della sua fede politica, un'innegabile attrazione che inspira una simpatia non comune.

Gi:iring mi ha innanzi tutto dichiarato tutta la sua soddisfazione di poter compiere tra breve, dopo una « parentesi » di qualche anno, un nuovo viaggio in Italia per presentare a S. E. il Capo del governo il suo omaggio e l'espressione della sua devota amicizia. Questa sua permanenza a Roma ed in qualche altra città italiana, durante la quale egli avrà occasione di mostrare alla signora Emmy Goring, per la prima volta, le bellezze del nostro Paese. sembra sorridergli in maniera particolare, anche perché egli potrà avere in quei giorni utili diretti contatti con le maggiori personalità dell'Italia Fascista e particolarmente con l'E. V. che è veramente felice di vedere oggi a Palazzo Chigi.

Ciò detto, egli ha iniziato, un vasto giro d'orizzonte politico, del quale riassumo qui appresso i punti principali:

l) Italia e Germania nel momento attuale. Gi:iring ha con viva soddisfazione constatato come, nella crisi di Spagna, il tentativo comunista di creare in seno all'Europa un nuovo pericolosissimo centro di azione e di propaganda abbia urtato nella solida comune resistenza della Germania e dell'Italia. Si è così dimostrato come le ideologie del nazionalsocialismo e del fascismo siano veramente comuni e parallele e come i due Paesi rappresentino oggi per l'Europa, l'elemento primordiale per la «costruzione» e per il benessere collettivo. Ha indubbiamente influito su tale affinità di azione il periodo del conflitto itala-etiopico che ha dato occasione, particolarmente nel suo secondo e decisivo momento, ad una certa identità di linea politica tra la Germania e l'Italia, con efficaci realizzazioni e pratici vantaggi da ambe le parti. Occorre in proposito ricordare, ha aggiunto, come fin dal primo periodo di quel conflitto il Cancelliere Hitler abbia compreso come una sconfitta militare e politica dell'Italia fascista avrebbe costituito un grave colpo per la Germania nazionalsocialista. Furono quindi impartite opportune istruzioni al ministro della Propaganda del Reich, dott. Goebbels, dopo qualche settimana dall'inizio della guerra, perché la stampa del Reich, che nei primi giorni aveva dato segni d't irrequietezza nei confronti dell'Italia, si mettesse assolutamente <<al passo». Praticamente, a mezzo di una quantità di ostacoli amministrativi, tutte le ordinazioni del governo del Negus in Germania non ebbero seguito. Si può dire che, ad eccezione di qualche pilota germanico, il cui arruolamento in Etiopia non poté essere tempestivamente impedito da Berlino, gli aiuti tedeschi all'Etiopia sono stati effettivamente nulli. «Noi -ha continuato -ricordavamo la frase detta dal vostro Capo al parlamento italiano con la quale il conflitto italaetiopico veniva definito la prova decisiva nei confronti dell'atteggiamento dei vari Paesi verso l'Italia e per il conseguente futuro contegno di quest'ultima nella vita internazionale. Il Reich, con i rifornimenti all'Italia e con il rifiutarsi più volte a concorrere a chiudere il ce:rchio che avrebbe dovuto rinchiuàerla e soffocarla, crede di avere bene agito. Oggi ci troviamo dinanzi ad una prova comune. Il bolscevismo -e qui ha dato un violento pugno sul grande tavolo sul quale si appoggiava -non deve vincere. Voi non avete idea quale profondo e vero antibolscevico io sia. Tutta la breve ma tremenda storia di questa guerra civile di Spagna è la testimonianza migliore per la verità di tale mia fede. Il momento per fronteggiare il pericolo appare veramente giunto. Anche se l'Inghilterra nella sua indecisione e nel suo contegno, che noi profondamente disapproviamo, dà oggi una nuova prova della sua mancanza di senso di responsabilità dovuta alla circostanza che essa nella sua azione di governo mostra di essere totalmente priva di «Fiihrung ».

Appare oramai chiaro, che l'asse principale per la solidità del vecchio Continente e per l'avvenire dell'Europa deve essere costituito dal blocco dell'ordine. E questo blocco deve essere formato da Germania, Italia, Austria, Ungheria, Polonia e anche Jugoslavia.

2) Polonia. Si è detto e scritto molto in questi giorni -ha continuato il mio interlocutore -circa i nuovi contatti tra la Polonia e la Francia, a seguito del viaggio di Gamelin a Varsavia (l) e di Rydz-Smigly a Parigi (2). Noi continuiamo a considerare la Polonia un elemento importantissimo per la difesa europea contro il bolscevismo. Certamente i contatti franco-polacchi (qui sembra a me interessante ricordare quanto ho riferito con il mio telespresso n. 3572/1239 del 3 settembre (3) circa l'interpretazione che i polacchi residenti in Germania si sono sforzati, e a quanto pare con successo, a dare al riavvicinamento tra il loro Paese e la Francia) sono stati inspirati alla necessità di non far cadere la parte migliore della Francia nelle spire del comunismo. Indubbiamente lo Stato Maggiore francese non può assistere impassibile a quanto avviene oggi nella Repubblica: è vero che oramai nelle file della truppa e particolarmente negli equipaggi delle unità da guerra di Francia la propaganda di Mosca deve avere fatto tali notevoli progressi da far rimanere scettici dinanzi a taluni ottimismi sulla possibilità di efficaci reazioni anticomuniste da parte degli organi militari francesi.

3) Jugoslavia. È la prima volta -ha ripreso il ministro presidente -che parlo della Jugoslavia con un italiano. Ora voi sapete come io sia considerato in Germania come il promotore dell'avvicinamento a quel Paese dei Balcani verso il quale più volte l'Italia ha mostrato la maggiore ostilità. È opportuno che ve ne dica tutti i motivi. Come vi ho sopra accennato io ritengo che oggi tutto il nostro problema politico si imposti sulla difesa contro il bolscevismo di l\;Iosca. Orbene io, convinto della possibilità di resistenza tedesco-polacca sulle linee di diretto contatto con la Russia, ho desiderato studiare da quale lato avrebbe potuto prodursi l'aggiramento, ai nostri danni, da parte delle forze di Mosca. Evidentemente dai Balcani. La Rumania non può dare e non dà alcun affidamento, anche oggi, dopo l'allontanamento di Titulescu che purtroppo io considero provvisorio. La Bulgaria è un Paese abitato da un popolo

forte e valoroso ma ogg1 m condizione di relativa capacità di resistenza data la deficienza di armamento e l'esistenza di importanti nuclei comunisti. L'Ungheria è in situazione geografica delicata e troppo piccola per costituire un serio ostacolo. E la Turchia è legata alla Russia e solamente con il concorso di questa può sperare di rimettere un piede stabile in Europa.

Concludendo non resta che la Jugoslavia, Paese, per le caratteristiche del suo popolo contadino, nettamente antibolscevico. Oggi in quel Regno, fatta astrazione da un gruppo di individui del tipo dell'antico ministro a Berlino, Balugdic, (verso il quale Goring nutre una profonda personale antipatia) vi sono uomini, come ad esempio il principe Reggente, effettivamente capaci di dare il massimo affidamento. L'esercito è buono, il fondo del Paese sanissimo. Un effettivo riavvicinamento itala-jugoslavo sarebbe profondamente augurabile. Cosa può ancora oggi l'Italia temere dalla Jugoslavia? Una cessione di basi navali adriatiche alla flotta inglese? Sarebbe una vera pazzia per quest'ultima, soggetta a divenire una facile preda, in quel caso, dei mezzi offensivi italiani, di andarsi a rinchiudere in Adriatico. Avete visto, durante la recente minaccia di conflitto come l'Inghilterra, abbandonata Malta, sia andata a porre le proprie basi nei punti più lontani del Mediterraneo, a Gibilterra e sulle coste d'Egitto. È evidente che oggi l'Adriatico è e non può essere altro che un lago italiano.

Oggi assistiamo già, nella realtà se non nella forma, ad un riavvicinamento ungaro-jugoslavo. La Jugoslavia, infatti, non ha avuto timore di far capire alla sua vicina che un armamento effettivo, senza dar luogo a manifestazioni esteriori, capaci di mettere il campo a rumore e sollevare i sospetti e gli interventi degli altri soci della Piccola Intesa e particolarmente della nervosa Rumania, le poteva essere senz'altro concesso. Ed essa quindi chiude oggi non un occhio ma due sulla riorganizzazione militare ungherese.

4) Armamenti aerei tedeschi. Dobbiamo dichiararci ben fortunati in Germania, ha concluso Goring, per il fatto che la grave crisi attuale che pone in netto contrasto le forze del bolscevismo e quelle del blocco dell'ordine sia scoppiata oggi e non nel 1934. Oggi infatti noi possiamo guardare con tranquillità il nostro cammino, sentendoci protetti dalle nostre forze armate, attualmente in quasi completa efficienza. Dico «quasi» perché anche l'Aviazione, pur senza aver raggiunto quel grado di alta potenza che avrà alla fine del 1937 ed ai principi del 1938, ha già un'organizzazione bellica tale da assicurare una efficacissima protezione. Devo dirvi in proposito che siamo rimasti oltremodo soddisfatti, per non dire sorpresi, della magnifica prova data da decine di nostri apparecchi da bombardamento e da caccia che hanno superato, senza il minimo incidente ed in perfetta formazione, in un balzo solo, la distanza non piccola che separa la Germania meridionale da Tetuan dove essi hanno raggiunto i campi del generale Franco. Abbiamo avuto una prova decisiva che oggi, con i nostri Ju 52, capaci di volare regolarmente con qualunque tempo, e con i nuovi veloci e potenti apparecchi da bombardamento che hanno un autonomia, con 2000 chilogrammi di bombe, di migliaia di chilometri di volo, noi possiamo toccare ogni zona della Russia Europea e ogni posizione francese mediterranea.

Quanto alla capacità di guerra dei nostri giovani aviatori, avete visto gli ef~ti precisi del bombardamento della corazzata «Jaime ~-Questi nostri uomini sono partiti entusiasti e felici per quanto sappiano benissimo che, per il fatto che essi sono arruolati in un esercito straniero, la Germania non potrà proteggerli qualora cadano in potere degli avversari. Essi certamente, in una circostanza disgraziata, preferiranno darsi la morte anziché finire vivi nelle mani dei comunisti. Del resto, in proposito, ho già visto, in un caso recentissimo, come tale norma sia anche quella degli aviatori italiani che combattono nel cielo di Spagna.

E su questo accenno preciso ad un episodio significativo della collaborazione e dello spirito di sacrificio dei piloti delle due Nazioni, la conversazione ha avuto termine (1).

(l) -Per il seguito vedi D. 46. (2) -Manca l'indicazione della data. d'arrivo. Questo rapporto fu inviato a Roma allegato alla ceguente lettera di Magistrati a Ciano datata 8 settembre: «Galeazzo carissimo, Troverai qui unito il mio rapporto rele.tivo alla conversazione con Goring. Date talune dichiarazioni circa gli aiuti tedeschi ai na~ionalisti di Spagna. esso è di carattere riservato. Giudicherai se passarlo ::.gli Uffici o farlo conservare presso il tuo Ge.binetto. Goring era ieri di buon umore ed in vena di confidenze. Mi sono fatto raccontare per esteso la situazione che portò alla partenza da Berlino di Rcnzetti ed alla stta nomina a Console Generale a San Francisco di California. (l) -Vedi p. 7, nota l. (2) -Vedi p. 7, nota 3. (3) -Vedi D. 7.
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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 2825/671. Roma, 7 settembre 1936.

A seguito del mio rapporto in data del 5 corrente n. 2821/666 (2) comunico qui unita in copia all'E. V. una lettera, confidenziale, del 6 corrente, di monsignor Pizzardo, a proposito dell'Azione Cattolica (3). Mi riservo di ascoltare giovedì 10 corrente e di riferire quello che mi dirà il monsignore assistente centrale. Credo intanto che si possa prendere atto della dichiarazione di monsignor Pizzardo e cioè che «niente sta tanto a cuore ai responsabili dell'Azione Cattolica come di mantenerla nei suoi limiti e di dare garanzie di una piena e fiduciosa collaborazione con i Poteri dello Stato ».

Per parte mia insisterò fermamente perché tutto il movimento di Azione Cattolica -in modo specialissimo le associazioni giovanili -rientri nell'ambito diocesano.

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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTR.O DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8835/263 R. Istanbul, 8 settembre 1936, ore 19,45 (per. ore 23).

Esaminato con Aras attuali rapporti ìtalo-turchi. Sviluppato ogni concetto indicatomi dalla E. V. tenendo presente direttive impartitemi ( 4). Fatto risaltare intenzioni pacifiche italiane risultanti chiare

da discorso S. E. capo del governo ad A\-cllino (l) e messe in luce tutte le ragioni dell'attuale momento internazionale che consigliano adoperarsi per una distensione degli spiriti. Confermando ancora una volta ferme intenzioni della E. V. dare ogni sviluppo ai rapporti due Paesi.

Aras se ne è mostrato lietissimo, assicuratomi coopererebbe di buon grado agli amichevoli sforzi dell'E. V. Doveva del resto constatare notevolissimo e progressivo miglioramento dell'atmosfera, circostanza che era stata rilevata anche recentemente da presidente della Repubblica e presidente del Consiglio.

D'accordo con lui prenderò contatto col ministro dell'Istruzione per elaborare programma scambi culturali di comune interesse.

Inoltre Aras aveva insistito pFesso autorità militare perché, cessato adesso ogni impedimento, essa si valesse delle replicate offerte fatte in passato per attingere alla aviazione italiana mezzi e insegnamento.

Sfiorando argomento nostra attitudine di fronte convenzione Stretti, chiestomi con insistenza se V. E. andrebbe prossima riunione Ginevra esprimendomi vivo desiderio fare personale conoscenza con V. E.

(l) -Sia il rapporto che la lettera a Ciano hanno 11 visto d! Mussol!nl. Sul rapporto c'è l'annotazione «importante » autografa di Mussolini. (2) -Vedi D. 18. (3) -Non pubblicata. Vi si dava assicurazione che l recenti convegni Indetti dall'Azione Cattolica a Bari, Mondragone e Pompel avevano carattere «chiuso>> ed un contenuto soltanto spirituale. (4) -In proposito si veda serle ottava, vol. IV, DD. 698 e 812.
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IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 8834/500 R. Tangeri, 8 settembre 1936, ore 21,30 (per. ore 4 del 9).

Mio telegramma per corriere 041 del 31 agosto (2).

Segnalo alla E. V. dichiarazione Sultano Marocco, diramata ieri da Agenzia Havas, per deprecare sollevamento zona spagnuola (3). Essa sarebbe preparata da Quai d'Orsay d'intesa con Gran Visir Marocco el Mockry che è attualmente a Parigi.

Dichiarazione, mentre è una conferma diritti Sultano in tutto Impero Marocco fatta ai fini dell'accorc~o franco-spagnuolo del 1927 (4) e per aver sin da ora modo e giustificazione per ogni possibile intervento franco-sceriffiano negli affari della prossima zona spagnuola costituisce indubbiamente larvata manovra per diminuire resistenza morale truppe Franco le quale, come è noto, sono formate nella loro parte migliore e più combattiva da regulares marocchini. Già da giorni-circolavano tutto Marocco stampati lingua araba per deprecare che mussulmani fossero andati combattere per causa completamente estranea loro religione e patria. Oggi autorità franco-sceriffiane ribadiscono sotto altra forma

tali concetti attraverso dichiarazioni Gultano allo scopo impedire, almeno, che nuove truppe musulmane possano essere formate da Franco in Marocco ed inviate Spagna, truppe che hanno inestimabile vantaggio giungere fresche sul campo di battaglia (ove avversari sono ormai materialmente e moralmente «usati») e che costituiscono, per tale ragione, più temibile minaccia per governativi.

Come dall'E. V. sarà rilevato dal telegramma cui mi riferisco, autorità franchiste sono al corrente tali manovre e contano per ora potervi fare argine. Ma è certo che questo martellamento continuo da parte dei francesi può fare danno a Franco e togliergli un elemento efficiente per sua azione; a meno che non si trovi modo di agire in Marocco francese facendo leva su disordine e dissensioni ivi esistenti e sopratutto su agitazione operai comunisti, onde richiamare autorità francesi ad un più realistico senso della situazione Marocco e tarpare ogni loro velleità verso la zona spagnuola (1).

(l) -Nel discorso, pronunciato al termine delle manovre militari in Irpinia, Mussolinl aveva esaltato la potenza militare dell'Italia fascista ma aveva anche (\ichiarato che l'Italia desiderava «vivere il più a lungo possibile in pace con tutti» e che essa intendeva offrire un <<diuturno e concreto contributo per l'opera di collaborazione fra i popoli». Si veda MussOLINI, Opera omnia, vol. XXVIII, pp. 31-33. (2) -Vedi serie ottava, vol. IV, D. 832. (3) -Nella sua dichiarazione, inviata al Residente Generale francese, il Sultano lamentava che 1 suoi sudditi fossero stati chiamati a combattere non per difendere il governo con il qualeesisteva -un rapporto di protettorato ma per servire un'impresa che cercava di rovesciarlo. Il Sultano esprimeva la sua fiducia nella Francia perché fossero salvaguardati 1 suoi diritti di sovranità garantiti dal Trattati. (4) -Non risulta che nel corso del 1927, Francia e Spagna abbiano sottoscritto un trattato telativo al Marocco.
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IL GENERALE ROATTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11. Tangeri, 8 settembre 1936, ore 22,30 (2).

Franco dichiarato: Escluso assolutamente ritorno vecchia Spagna. Governo nazionale ha programma avvicinamento masse che partiti destra dimostrano praticamente accettare. Problema armonizzare varie tendenze sarà affrontato dopo vittoria. Peraltro esiste unione completa circa annientamento attività comunista. Popolazioni provincie rosse sono solo superficialmente inquinate da propaganda sovversiva. Allorché organizzazioni socialcomuniste e anarchiche saranno materialmente soppresse, anche in Catalogna popolazioni accetteranno programma cui sopra. :Ei'ranco rivolge tutta sua gratitudine nostri rappresentanti militari e prende atto che, mentre non chiediamo pagamento nostre forniture, non desideriamo carico nostri piroscafi ritorno con merci spagnole.

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L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 2216/977. Irun, 8 settembre 1936 (per. il 12).

La conquista di Irun, che ha chiuso la porta ai rifornimenti francesi ed ha disperso il sogno separatista dei paesi baschi, la vittoria di Talavera de la Reina, che ha aperto agli insortl la strada di Toledo ed abbreviata quella verso

Madrid, hanno consolidato la superiorità militare della Spagna costruttrice sulla Spagna bolscevica. Potranno gli insorti impiegare più o meno tempo ad occupare la capitale, potranno in un secondo tempo riconquistare con maggiore

o minore lentezza la Catalogna ma, se non accadono miracoli o complicazioni internazionali, una cosa appare certa: gli insorti saranno vittoriosi e quindi avranno domani il potere in Spagna.

Data questa premessa, mi pare opportuno e doveroso prospettare subito a

V. E. la fisonomia precisa che presenta oggi il conglomerato vittorioso, la sua formazione interna, gli sviluppi che vi avranno le parti di cui si compone e gli atteggiamenti che si delineano nel campo nazionale di fronte alle varie Potenze europee. Da questo rapido esame mi permetterò dedurre alcune conclusioni sulla nostra azione in Spagna.

Il fronte nazionale si compone dei seguenti elementi: l'esercito, i tradizionalisti o carlisti, i falangisti o fascisti, i residui di massa dei vecchi partiti destri, i vecchi elementi politici della vecchia Spagna che riaffiorano ad ogni riapparire di una situazione conservatrice e si adoprano a rendere grettamente reazionario ogni gesto di rinnovamento. Appena scoppiato il moto rivoluzionario dei generali, è infatti accaduto un fenomeno che tutte le rivoluzioni conoscono: esercito, tradizionalisti, falangisti e cioè i giovani, sono corsi a battersi; i vecchi politicanti si sono raggruppati intorno al governo provvisorio per prenotare le posizioni di comando, per essere i dominatori di domani sulla pelle dei morti. Il fronte nazionale si è quindi subito diviso in due parti, quella che si batteva e quella che intendeva profittare della vittoria. Si trovano soprattutto, tra costoro, uomini della vecchia corte del Re, consorti delle vecchie clientele semi-medioevali che hanno trascinato per i capelli la monarchia nella rovina e che poi si sono limitati a combattere nella repubblica ogni impeto sociale che ferisse i loro interessi. Costoro hanno subito cercato di dare alla rivoluzione militare un carattere nettamente razionario che producesse un ritorno all'antico e nulla più. Ma essi non avevano fatto i conti con un fenomeno sotterraneo maturatosi in questi ultimissimi anni e cioè un fermento nuovo nella gioventù che ha cambiata subito la rivoluzione da movimento militare in movimento profondamente popolare con accentuato carattere rinnovatore e con acuta punta di antLpatia contro tutto il rancido della vecchia politica spagnola. Accade, perciò, che mentre gli elementi statici figurano alle finestre della rivoluzione (aristocratici . pieni di inutili nostalgie, diplomatici a riposo, generali costretti a partecipare alla rivoluzione, quali il Cabanellas), l'edificio rivoluzionario è pieno di altre forze che già hanno preso il sopravvento e che non intendono farsi ammazzare per rammendare le poltrone del passato. Questi elementi sono, oltre l'esercito, i tradizionalisti ed i falangisti che hanno al loro attivo una guerra combattuta con eroismo ammirevole e che non si sono lasciata sfuggire una recentissima occa-· sione per dar prova del loro stato di animo. La occasione è stata offerta da Gil Robles già capo del partito cattolico e la cui azione politica di temporeggiatore parlamentare ha spento per qualche anno ogni possibilità di resurrezione spagnola. Egli, pure avendo cautamente partecipato alla organizzazione della rivoluzione, aveva sempre negato di esserne parte, si era rifugiato all'estero sconfessando il movimento, aveva insomma tenuto un contegno da

7 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

vecchia Spagna che ha profondamente ripugnato ai giovani combattenti. Portando denaro al governo provvisorio si era presentato a Burgos come un uomo di riserva, buono per quando fossero tornati tempi normali. Falangisti e carlisti si sono adunati nella città, lo hanno solennemente fischiato, gli hanno imposto di lasciare la Spagna entro poche ore sotto pena di ucciderlo. Il Giolitti spagnolo ha dovuto scappare di corsa. Questo episodio che riguarda uno degli uomini più potenti e rappresentanti del passato è indice chiaro del fenomeno che la guerra civile ha maturato tra gli spagnoli: una nuova impetuosa coscienza giovanile che rassomiglia (se si possono paragonare le cose sacre alle cose profane) alla coscienza fascista formatasi da noi nel dopo guerra.

Mentre gli uomini del passato stanno crollando, dilaga il movimento falangista-fascista di Primo de Rivera. Primo de Rivera è in carcere ad Alicante, dove è rimasto ferito in seguito ad un tentativo di evasione, e la sua vita sembra garantita da un gruppo di ostaggi rossi che pagherebbe colla sua scomparsa la morte del giovane capo, ma anche nella sua forzata assenza il movimento ha assunto uno sviluppo travolgente che ha impressionato tutto il campo nazionale. Gli iscritti alla Falange non si contano più, vi sono accorsi tutti i giovani della JAP (Gioventù di Azione Popolare) fondata da Gil Robles e che hanno abbandonato il loro capo, molti altri giovani dei partiti nazionali che soltanto nella Falange trovano il loro elemento spirituale e moltissimi del fronte popolare che trovandosi nelle provincie occupate vi hanno aderito per irregimentarsi nel partito più audacemente riformatore dei trionfatori. L'improvviso accrescimento ha il difetto delle alluvioni politiche, una certa inorganicità, una certa !~enericità, ma la Falange si organizza rapidamente, ha già creato i balilla, chiamandoli proprio balilla, ha formato magnifici reparti di guerra che sono presenti su tutti i fronti in tutti i reparti, lavora nelle città non trascurando le forme di propaganda spettacolari care agli spagnoli ed è insomma in pieno rigoglio. A capo delle sue squadre di azione è un elemento eccellente, Agustin Aznar, molto vicino a noi, e non ho bisogno di dire quali siano i sentimenti di Primo de Rivera.

I tradizionalisti che hanno dato alla guerra trentamila volontari navarrest, nonché molti altri delle altre regioni, avevano già prima una superba organizzazione, la migliore che vi fosse in Spagna e la hanno, si può dire, aumentata. Essi lavorano gomi1;o a gomito coi falangisti ed insieme costituiscono il lievito politico di domani.

Debbo anche aggiungere che politicamente l'esercito tende apertamente verso forme di tipo fascista. Se il generale Cabanellas, vecchio massone demagogo, è capo del governo provvisorio per la sua anzianità militare, i veri animatori militari, generali Mola e Franco, hanno criteri moderni ed autoritari. Essi si occupano adesso soltanto di fare la guerra, ma nella organizzazione del Paese si troveranno facilmente d'accordo coi giovani e contro le antiche oligarchie. Non ho ancora parlato dei monarchici ufficiali, quali Golcoechea, ottime persone ma l'opera dei quali è considerata dalle masse come sorpassata, anche perché nessuno desidera sollevare la questione monarchica che romperebbe il fronte nazionale a beneficio degli avversari.

Per riassumere, la Spagna che sarà al potere domani è una Spagna che ha ritrovato attraverso i giovani combattenti una nuova vigoria che sarà molto più vicina a noi di quella di ieri e colla quale potremo intessere utili rapporti di ogni genere a patto che siamo tra i primi ad accostarla non soltanto cogli aiuti di guerra, ma anche colla presenza, col consiglio, col contatto continuo. Qui si presenta l'altro lato del quadro che dobbiamo guardare: le possibilità e l'opera dei vari Paesi europei in Spagna.

Non parlo della Francia che è segnata all'odio mortale degli insorti di ogni categoria. Non vi è insorto che non imputi agli aiuti francesi per i bolscevici i suoi morti e il sangue versato. Sebbene le simpatie e i rancori dei popoli sieno spesso tanto più brevi quanto più sono acuti, credo potere affermare che per lungo tempo il popolo francese e quello spagnolo saranno divisi da un solco incolmabile.

Anche l'Inghilterra è largamente odiata. Bisogna notare che gli elementi più volitivi degli insorti sono coloro che non hanno mai dimenticata la spina di Gibilterra e che anche durante il periodo delle sanzioni la hanno (d'accordo con noi) rievocata, ma anche se non vi fossero le ragioni antiche vi sarebbero le recenti da me prospettate in precedenti telegrammi e che si possono riassumere nel rifornimento continuo di armi e mumzwni ai rossi, nonché nelle manifestazioni filo-sinistre di certi ambienti politici inglesi e della stessa Ambasciata inglese in Spagna.

Le simpatie degli insorti restano dunque divise tra tre soli paesi: il Portogallo, la Germania e l'Italia. Ho messo primo il Portogallo perché nel gioco internazionale conta tanto poco che non importa dirne altro. Per la Germania bisogna invece guardare le cose diversamente. La Germania ha in Spagna una antica e solidissima rete di relazioni, di interessi e di simpatie che si sono intensificate durante la guerra mondiale. Appena assunto il potere, il governo di Hitler ha riallacciato colla Spagna la vecchia tela, ha mandato emissari dappertutto, ha impiantato uffici di propaganda e di stampa davanti ai quali i nostri sono pallide ombre, ha raddoppiato il numero dei suoi emigrati specialmente al Marocco ed alle Canarie. La Germania aveva già quindi una posizione magnifica che ha portata ad altezze mai raggiunte coi suoi atteggiamenti durante il presente conflitto civile. Bisogna badare anche al fatto che i tedeschi non si limitano ad aiutare gli insorti, ma lavorano con loro elementi presso i vari partiti, hanno emissari presso la Falange che tentano di portare sempre più nei binari nel nazional-socialismo, hanno emissari presso i tradizionalisti, ne hanno nella aviazione militare, ne hanno nell'ufficio stampa del governo di Burgos. La loro azione non è contro di noi, ed anzi è cordiale anche verso di noi, ma naturalmente pone in rilievo gli aiuti tedeschi, mette in valore la politica tedesca, spinge al primo posto la Germania. Tale propaganda trova resistenza presso molti perché è troppo pesante e visibile, ma vale la pena di lasciar la senza risposta? Voglio qui ricordare la questione del riconoscimento ufficiale da parte dei governi. Il Portogallo si è già dichiarato disposto a riconoscere il governo di Burgos appena gli sia possibile e cioè appena sia occupata la capitale e secondo informazioni che mi vengono da Burgos, ma che non sono in grado di controllare, anche la Germania attenderebbe la

occupazione di Madrid per riconoscere gli insorti come il vero governo spagnolo, a meno che qualche incidente non le permetta di riconoscerlo prima.

Questo è lo stato delle cose. Mi pare adesso che sia dovere dell'ambasciatore in Spagna di trarre qualche conclusione. Premetto che io vedo le cose dal solo punto di vista dei rapporti itala-spagnoli e non posseggo i più ampi elementi che V. E. possiede, sieché le mie conclusioni possono essere rese superflue da ragioni generali che sfuggono alla mia possibilità di sintesi. Dalla mia finestra, però, tenendo cioè conto soltanto della situazione che può determinarsi tra il nostro Paese e la Spagna di domani, mi pare di potere giungere alle conclusioni seguenti:

1°) Gli insorti sono ormai vittoriosi, sono nostri amici, battono un governo che si è posto irosamente contro di noi: sarebbe quindi utile, opportuno, logico che noi li riconoscessimo alla prima occasione, appena occupata la capitale, e che in ogni modo fossimo tra i primissimi a riconoscerli quali veri reggitori della Spagna.

2°) La lotta interna per dare alla Spagna di domani una determinata fisonomia è già cominciata e si svolge sopratutto ora, quindi sarebbe opportuno che elementi del Partito nazionale fascista fossero accanto alla Falange, ai tradizionalisti, anche per incoraggiare i nostri amici di fronte alla pressione tedesca.

3°) Il governo di Burgos è un poco in balìa dei primi occupanti e vi trovano posto consigli e suggerimenti di ogni genere, quindi sarebbe necessario mettervi vicino nella attesa di avervi relazioni ufficiali qualche nostro agente che attraverso un ufficio stampa provveda a ribattere l'azione degli altri ed a valorizzare la nostra azione.

4°) Per quanto riguarda eventuali aiuti militari, ritengo che a parte i doverosi criteri tecnici davanti ai quali mi inchino non possono essere dimenticati criteri politici che valorizzino politicamente l nostri sacrifici. Come già ebbi a dire con mio telegramma per corriere n. 269 del giorno 24 agosto u.s. (l), l'esercito nazionale non è un esercito regolare, ma ha settori di volontari che debbono particolarmente interessarci perché composti di gente che ci sarà amica sempre e che ci sarà sempre riconoscente. Questi settori sono quelli dei tradizionalisti e dei falangisti ai qualì credo sarebbe opportuno dare qualche aiuto diretto che i tradizionalisti richiedono. Ripeto che militarmente questo potrà essere un criterio irregolare, ma politicamente ci servirebbe a mantenere contatti colla gente più vieina a noi. I tedeschi lo fanno e ne traggono una atmosfera vibrante a loro vantaggio. Non ripeterò mai abbastanza che ostentare il nostro appoggio alle formazioni dei giovani non vorrà dire soltanto fare cosa giusta ma anche legarci coloro che domani, eliminando dalla politica spagnola i vecchi elementi stanchi o dubbi, terranno il vero governo del Paese.

(l) -Il documento porta il visto di Mussolinl. (2) -Comunicato tramite il Servi.:io Informazioni militare dove era giunto alle ore 3 del 9 settembre.

(l) Vedi serie ottava, vol. IV, D. 794.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BRUXELLES, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4620/817. Bruxelles, 8 settembre 1936 (per. il 10).

Circola insistente la voce di una prossima sostituzione dell'ambasciatore di Francia, signor Laroche, accreditato qui da poco più di un anno. Il provvedimento sarebbe spiegato con le poche simpatie di cui il Laroche godrebbe presso gli uomini del Fronte Popolare francese, ma più autorevolmente come un segno della insoddisfazione che si vorrebbe sottolineare a Parigi dell'indirizzo assunto sempre più dalla politica estera del Belgio.

La notizia non è ancora confermata, ma è da rilevare che essa ha destato qui numerosi commenti ed ha avuto anche qualche eco vivace nella stampa. Anche più vivace è la reazione alle voci dell'invio qui di un uomo più energico del Laroche. Si dice e si pensa chiaramente che se pure il Laroche non ha raccolto speciali simpatie, è assurdo fare di lui il capro espiatorio della situazione, che trova la sua origine negli errori e nella incomprensione dei dirigenti la politica estera francese tanto nei riguardi particolari del Belgio quanto in quelli della situazione generale europea. L'annunzio dell'invio di un ambasciatore «più energico ~ fa dire che ancora una volta il Quai d'Orsay commette un errore psicologico: il Belgio non è né una provincia né una colonia francese, e che qualunque ambasciatore anche il più capace e il più energico insistendo in tali concezioni non potrà che raccogliere degli insuccessi.

L'episodio è significativo dello stato d'animo qui prevalente e non limitato alla parte fiamminga ma partecipato anche largamente dai valloni, e mostra l'orientamento sempre più deciso dell'opinione pubblica per un regime di cauta neutralità, di disimpegno dal dissidio franco-germanico, di un orientamento netto per una politica di equilibrio europeo fuori di blocchi e alleanze e appoggiandosi sopratutto sulla garanzia britannica, contrattuale o anche semplicemente politica.

È così anche da rilevare che i principi di politica estera enunciati dal Partito rexista di conciliazione e equilibrio con e verso tutti i vicini trovano ora una opinione molto più preparata e disposta ad approvarli di quanto non fosse qualche mese fa e sempre più vivaci sono le reazioni alla politica francese tanto sul terreno estero quanto su quello anche più delicato della politica interna.

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L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8851/174 R. Mosca, 9 settembre 1936, ore 0,31 (per. ore 1,48).

Questa stampa, che aveva largamente riprodotto giorni scorsi notizie apparse giornali esteri circa preteso atteggiamento favorevole dell'Italia alla partecipazione U.R.S.S. prossima conferenza Locarno, ha poi completamente taciuto recente smentita R. Ministero Stampa. Mi risulta, peraltro, che smentita ha prodotto viva impressione in queste sfere dirigenti.

Intanto, apprendo che quest'ambasciata d'Inghilterra, pur continuando a dimostrare una certa repulsione al patto franco-sovietico, Io considera in sostanza come un fatto compiuto sul quale è impossibile modificare attitudine francese, e pertanto mostrasi favorevole partecipazione U.R.S.S. convegno locarnisti. Secondo stessa fonte, Foreign Office e Quai d'Orsay sarebbero in principio d'accordo. In proposito consigliere ambasciata inglese mi ha detto che opinione prevalente circoli dirigenti suo Paese sarebbe adesso orientata contro la Germania per nuovi recenti provvedimenti militari (l): di conseguenza azioni U.R.S.S. a Londra seguirebbero un corrispondente rialzo. È sintomatico, comunque, fatto che alle grandi manovre testé iniziatesi Russia Bianca presso confine polacco, cui intervento Voroscilov e maggiori esponenti armata rossa conferisce particolare importanza a fini dimostrativi antitedeschi, sia stata invitata quest'anno, oltre missione militare francese e cecoslovacca, per la prima volta anche una inglese.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8860/1199 R. Londra, 9 settembre 1936, ore 20.

Vansittart (che ho riveduto oggi), mi ha pregato comunicarti che governo britannico avrebbe intenzione convocare a Londra Conferenza delle cinque Potenze Locarno in una data da fissare di comune accordo riunendo governi interessati fra 15 e 31 ottobre. Vansittart nel farmi tale comunicazione ha aggiunto che sarebbe particolarmente grato conoscere Tuo avviso.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8866/562 R. Parigi, 9 settembre 1936, ore 20,30 (per. ore 24).

Miei telegrammi 0247 (2) e 550 (3). Da fonte confidenziale (e generalmente molto bene informata) mi viene assicurato che, contrariamente alle dichiarazioni fattemi al Quai d'Orsay e

dalla stessa ambasciata di Polonia a Parigi, fra governo francese e generale Rydz Smigly è stato scambiato un protocollo {1). Esso contemplerebbe seguenti tre ordini di questioni:

1) Politica militare. Riconferma della convenzione franco-polacca del

1921 (2) degli accordi aggiuntivi 1923 e dell'accordo di mutua assistenza stipu

lato in connessione col Trattato di Locarno (3).

2) Tecnico militare. Adattamento delle intese militari dipendenti dagli

accordi anzidetti (4) alla situazione attuale.

3) Politica commerciale. Intensificazione degli scambi commerciali tra la Francia e Polonia e con le colonie francesi, il cui dettaglio sarà discusso in occasione della visita del ministro del Commercio francese Bastid a Varsavia.

Circa parte finanziaria, la Francia concede alla Polonia un prestito quinquennale da due a tre miliardi di franchi, il cui ammontare verrà per la maggior parte bloccato in Francia e destinato ad acquisti polacchi di materiale di guerra presso industria francese, mentre la parte minore sarà investita in creazione ed ampliamento impianti industriali di guerra in Polonia, ::>Jlo scopo aumentare potenziale bellico polacco e conseguente modernizzazione del suo esercito. Sembra anche che una parte della disponibilità verrebbe impiegata in acquisto di materie prime dalla Russia, ma su questo punto il mio informatore è molto meno tassativo. Infine, seconda tranche di 600 milioni di franchi del prestito ferroviario (da tempo sospesa) sarebbe subito versata dalla Francia alla Polonia.

Il mio informatore rilevava che fino a questo momento non risultava chiaramente che cosa Polonia abbia dato in cambio delle concessioni francesi, dato che non sembra che «contratto di sicurezza collettiva » sia stato toccato nei colloqui di Parigi del generale Rydz-Smigly, né che atteggiamento della Polonia verso la Germania (stando anche alle replicate dichiarazioni della stampa polacca) abbia a subire mutamenti.

Circa rapporti tra Polonia e Cecoslovacchia, richiamo l'attenzione dell'E. V. sulle sintomatiche dichiarazioni di questa stampa. Ufficioso Temps 8 corr. riferisce dichiarazioni di questo ministro Affari Esteri in Consiglio ministri stessa data, secondo le quali generale Rydz Smigly avrebbe riconosciuto inutilità procedere progettate fortificazioni polacche alla frontiera cecoslovacca.

Journal des Débats del 7 corrente avendo pubblicato in corrispondenza da Varsavia che i rapporti Polonia-Cecoslovacchia siano stati comunque toccati nelle conversazioni di Parigi (5), Temps dello stesso giorno (con evidente ispirazione ufficiosa), pur assumendo responsabilità della pubblicazione del1'8 corr., comunica che le dichiarazioni del generale Rydz Smigly circa fortifi

(-4) Convenzione mll!tare franco-polacca del 21 febbraio 1921. Testo !n P!otr S. WANDYcz, France and Her Eastern Allies, 1919-1925, M!nnesota, The Un!vers!ty of Minnesota Press, 1962, appendice III.

cazioni frontiera polacco-cecoslovacca non risultano da fonte ufficiale. È possibile peraltro, che il generale Rydz Smigly (di cui si ama sottolineare la francofilia) sia stato indotto ad esprimersi in termini rassicuranti circa anzidetti progettati lavori fortificazioni, in dipendenza della sospensione dei lavori di fortificazioni che, sembra, sarebbero stati decisi dalla Cecoslovacchia sulla propria frontiera verso la Polonia.

(l) -Si riferisce al decreto del governo tedesco del 24 agosto precedente che prolungava a a due anni il servizio m111tare in tutte le Forze Armate. (2) -T. per corriere 8798/247 R. del 4 settembre. Riferiva che, secondo le d!chiaraz!oni del direttore degli Affari Politici al Qual d'Orsay, Bargeton. il viaggio di Rydz-Smigly a Parigi aveva portato soltanto ad una messa a punto delle Intese militari connesse con l'accordo franco-polacco del 1921. Era stata altresl studiata la possibilità d! acquisti d! materiale bellico in Francia da parte della Polonia e l'!stallaz!one !n Polonia d! fabbriche di materiale bell1co affidate a ditte francesi. (3) -T. 8740/550 R. del 5 settembre, ore 22,30. Riferiva che l'ambasciatore d! Polonia gli aveva preannunciato la prossima partenza del generale Rydz-Smlgly per Venezia dove sl sarebbe trattenuto qualche giorno con la moglie in forma privata. Nell'occasione, l'ambasciatore Lukasiewicz aveva «smentito risolutamente» che fosse prevista la firma di un protocollo ed aveva aggiunto che il valore della visita del generale Rydz-Smigly in Francia risiedeva principalmente «!n un miglioramento generico dell'atmosfera tra 1 due Paesi » che negli ultimi tempi era stata turbata da !ngiustificate diffidenze. (l) -In effetti, il 6 settembre era stato parafato a Rambouillet un accordo che concedeva alla Polonia un prestito d! due m!l!ard! d! Franchi. 1600 m!l!on! erano destinati a spese milltar! (testo !n DDF, vol. III, D. 259, allegato). (2) -Trattato d! Parigi del 19 febbraio 1921. Testo !n MARTENS, vol. XII, pp. 880-881. (3) -Trattato di mutua garanzia tra Francia e Polonia del 16 ottobre 1925 (MARTENS, vol. XVIII, pp. 655-656). (5) -Sic.
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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8861/390 R. Berlino, 9 settembre 1936, ore 20,58 (per. ore 21,50).

Oggi inauguratosi a Norimberga congresso del partito nazionalsocialista.

A seduta erano presenti nostro ambasciatore e delegazione del P.N.F. con a capo dottor Perusino. Saluto rivolto a delegazione stessa da ministro Hess (che ha definito partito fascista maggior realtà antibolscevica) come a partito nazionale socialista, ha suscitato dimostrazioni plauso.

Proclama di Hitler contiene, oltre esaltazione opera compiuta da regime nazionale socialista, seguenti tre punti importanti:

I) Prima netta impostazione ufficiale della necessità per la Germania di rivendicare possedimenti coloniali. Dichiarazione ha preso forma specificatamente polemica nei riguardi dell'Inghilterra avendo Hitler ironizzato affermazione di «uomo politico inglese » (leggi Baldwin) Germania non abbisognare colonie.

II) Esaltazione della funzione antibolscevica della Germania.

III) Enunciazione prossimo piano economico quadriennale per il quale la Germania dovrà (per quanto è possibile) rendersi indipendente dall'estero per il fabbisogno della sua popolazione (conseguenza probabilmente indiretta dell'assedio economico vittoriosamente sostenuto dal nostro Paese durante sanzioni).

Va notata nel proclama stesso, l'assenza assoluta di accenni alle questioni di carattere religioso e di razza.

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IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8932/081 R. Atene, 9 settembre 1936 (per. l'11).

Da alcuni documenti fiduciari che invio con prossimo corriere rilevo:

1°) che, su invito del governo romeno, una riunione dei rappresentanti degli Stati Maggiori dell'Intesa Balcanica per stabilire degli accordi militari tra i quattro Stati che ne fanno parte, avrà luogo a Bucarest nell'ottobre prossimo (l);

2°) che la riunione stessa sarà la continuazione delle conversazioni iniziatesi ad Ankara (telegramma per corriere di codesto ministero n. 1435/CR del

l'otto dicembre us. e mio telegramma n. 311 del 10 dello stesso mese ed anno) (l) e continuate a Belgrado nel maggio u.s. (2); 3°) che ad essa parteciperà anche rappresentante greco che non prese parte a conversazioni precedenti.

Ho pertanto creduto opportuno controllare notizie predette tanto presso questo ministero degli Affari Esteri quanto presso una delle legazioni interessate. Esse sono risultate completamente esatte. Conferenza avrà effettivamente luogo in ottobre o novembre prossimo.

Nel corso di una conversazione su altri argomenti ho poi chiesto a questo sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri come doveva interpretarsi il fatto che, mentre le precedenti conversazioni militari avevano avuto luogo senza la partecipazione dello Stato Maggiore ellenico, questa volta invece esso sarebbe rappresentato a Bucarest. Egli mi ha risposto che, fino all'ultima riunione del Consiglio dell'Intesa balcanica di Belgrado, la situazione militare della Grecia di fronte agli altri Stati balcanici non risultava esattamente definita, specialmente per quel che si riferiva all'eventuale coinvolgimento dell'Italia in un conflitto balcanico, e che perciò essa non aveva ·partecipato agli accordi stessi; oggi, dopo che Metaxas aveva fatto accettare dagli stessi alleati il suo punto di vista a tale riguardo (miei telegrammi 83 e 88 del 5 e 9 maggio u.s. (3) e telespresso di V. E. n. 217136/C del 22 maggio) (4) la Grecia poteva e doveva discutere circa suo contributo militare in tutte le altre ipotesi di conflitto. Oltre questa interpretazione per così dire ufficiale datami dal signor Mavrudis credo che partecipazione greca a prossima riunione Bucarest possa spiegarsi col fatto che contributo militare greco, finora considerato nullo da altri alleati balcanici, incomincia oggi ad essere preso in considerazione dopo che governo ellenico ha trovato fondi per riorganizzazione ed armamento suo esercito e sta ad esso provvedendo.

(l) La conferenza ebbe luogo, lnvecll, Il 6 novembre.

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IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9020/082 R. Atene, 9 settembre 1936 (per tl 14)

Suo telegramma circolare n. 4084/C (5) e seguito mio telegramma per coriere n. 070 (6).

In alcuni ambienti ateniesi sempre disposti ad attribuire soverchia importanza al «fattore greco » nella politica mondiale, si è molto fantasticato sul significato e sulla portata della visita di Re Edoardo in Grecia (1). In essi si è parlato da principio di un possibile matrimonio fra il Re Edoardo ed una sorella di Re Giorgio e le solite persone bene informate raccontavano a tutti in tono misterioso dell'arrivo a Corfù, sotto falso nome, delle principesse !rene e Caterina di Grecia che avrebbero dovuto incontrare l'ospite reale nella villa Mimbelli dove si sarebbero fissati i preliminari di un matrimonio che avrebbe fatto diventare la Grecia... cognata dell'Inghilterra. I fatti hanno subito dimostrato il contrario. Si è quindi parlato di missione politica. Nessuno però ha potuto precisare quale fosse questa missione, quali i doni e le offerte che il Sovrano britannico portava alla Grecia, quali i sacrifici che egli chiedeva in cambio. È bensì vero che il Sovrano era accompagnato dal ministro britannico della Guerra, ma questi, c:he era a sua volta accompagnato dalla moglie, èra a bordo dello yacht reale più come amico personale del Sovrano che come ministro; non solo ma, appena arrivato ad Atene dove avrebbe potuto prendere contatto e discutere coi colleghi greci, aveva abbandonato la comitiva ed era ritornato in Inghilterra via Italia.

Lasciando pertanto da parte le ipotesi e le supposizioni più o meno verosimili, i soli fatti positivi che si possono rilevare circa la crociera del Sovrano inglese nelle acque greche sono che egli ha incontrato e si è intrattenuto due volte col Sovrano greco a Corfù ed ha ricevuto il presidente del Consiglio ellenico ad Atene: essi non mi sembrano sufficienti, né per attribuirle uno scopo speciale, nè per contestarglielo. Comunque occorre riconoscere che, anche se non avesse avuto uno scopo speciale precedentemente stabilito, la visita reale ha avuto qui delle ripercussioni politiche, sia dal punto di vista interno che dal punto di vista internazionale. Dal punto di vista interno, è stato rilevato che essa è stata la prima visita di capo di Stato estero ricevuta da Re Giorgio dopo il suo ritorno sul trono e si è detto che, sebbene non avesse forma ufficiale, era servita a mettere in rilievo la grande amicizia del Sovrano inglese verso quello greco. I due colloqui di Corfù sarebbero stati lunghi ed improntati alla più grande cordialità, il che è stato interpretato dai realisti ellenici come un appoggio inglese alla causa monarchica greca. Dal punto di vista internazionale, è stato poi notato che la visita del Sovrano inglese ha avuto luogo subito dopo la cessazione dei cosiddetti accordi mediterranei dell'inverno scorso (2) e dopo la fine della tensione itala-britannica. Se da un lato quindi il Sovrano inglese ha voluto in certo qual modo fare un atto di cortesia verso i Paesi che avevano aderito a quegli accordi, dall'altro non è escluso che il suo governo -la circostanza mi è stata fatta rilevare da varie persone -abbia voluto con la presenza di Re Edoardo richiamare l'attenzione del pubblico greco sull'Inghilterra, il cui prestigio nei Balcani dava forse -agli occhi degli agenti di Londra -segni evidenti di decadenza. L'evocazione di ricordi storici e gli accenni alla tradizionale e generosa amicizia dell'Inghilterra per la Grecia cui la visita avrebbe certamente dato luogo, doveva servire, nell'idea dei dirigenti

inglesi, a far dimenticare lo scacco che presso l'opinione pubblica greca l'Inghilterra ha subito nel suo conflitto con l'Italia.

Se Re Edoardo sia riuscito o meno nell'intento non è agevole dire subito. Non credo però di andare del tutto errato affermando che, a prescindere dai risultati della visita che potranno essere conosciuti in avvenire e quantunque i giornali ellenici si siano sforzati di lodare la grande semplicità del Sovrano inglese, il popolo greco -che è un popolo orientale e balcanico e quindi abituato a circondare la persona di un Sovrano da fasto e da pomposità -è rimasto alquanto sorpreso e esitante di fronte a questo Sovrano che non ha dubitato di mostrarsi in pubblico in succinto costume da spiaggia e che con i suoi amici ha sopratutto frequentato i ritrovi di divertimento e i locali pubblici di ballo, mescolandosi alla folla di ballerini. A mio avviso sarebbe arrischiato affermare che la crociera di Re Edoardo nelle acque greche sia valsa ad aggiungere prestigio al nome inglese.

Circa la ripercussione giornalistica il viaggio di Re Edoardo ne ha certamente avuta una, nel senso che i giornali hanno ad esso dedicato molto spazio. Se però si eccettua qualche frase generica sulla sua importanza, apparsa sopratutto quando il viaggio stesso fu annunziato, nessun commento di carattere politico degno di rilievo è apparso durante il soggiorno del Re a Corfù e ad Atene. È stata largamente ricordata la tradizionale amicizia greco-britannica e l'antica politica benevola dell'Inghilterra verso la Grecia ma non è stato fatto cenno, né dei recenti accordi mediterranei in relazione all'articolo 16 del patto della S.d.N,. nè dell'altro patto mediterraneo vagheggiato in passato da turchi e da greci. A tale proposito è assai interessante e non privo di significato notare come i commenti della stampa ateniese da vaghi e generici durante il soggiorno del Sovrano inglese in Grecia, siano diventati più precisi ed importanti quando l'ospite reale si è diretto verso la Turchia ed abbiano incominciato allora ad avere chiari accenni ad un patto di amicizia turco-britannico ed alla nuova politica mediterranea dell'Inghilterra.

S.E. il Regio ambasciatore a Costantinopoli riferirà a V.E. sulle ripercussioni e sui risultati che ha avuto colà il viaggio di Re Edoardo (1). Essi saranno forse più grandi e più positivi di quelli constatati in Grecia.

A completamento delle sue informazioni .stimo non del tutto inutile riportare qui appresso quanto al riguardo hanno pubblicato due fra i più importanti giornali ateniesi: la Kathimerini e l'Anexartitos. La prima in data 6 "settembre scrive: «Queste colonne non hanno mai omesso di esaltare la cordialità notatasi negli ultimi mesi nei rapporti anglo turchi. I governi dei due Paesi, continuano il programma di mutua intesa, non ebbero difficoltà di rendere questo avvicinamento ancora più stretto e questo gradevole risultato è stato prodotto dal sincero entusiasmo con cui, sia le autorità ufficiali che il popolo turco, accolsero il Re Edoardo al suo passaggio da Costantinopoli. Già -stando a quanto riferiscono le notizie telegrafiche -questa amicizia sta per essere suggellata da un patto, l'importanza del quale consideriamo superfluo sottolineare. È d'altronde senza dubbio che la collaborazione fra l'Inghilterra e la Turchia costituisce oggi la migliore garanzia per la sicurezza e per l'ordine

nel Mediterraneo Orientale. Ed è per questo che la realizzazione del patto che ora si trova allo studio non può avere che l'approvazione di tutti gli amici della pace ,.

L'Anexartitos dello stesso giorno pubblica un articolo «Le nuove direttive della politica inglese. L'avvicinamento anglo-turco :~J, firmato « GL :~J. In esso si afferma che « tanto con l'intesa con la Russia, quanto coll'avvicinamento alla Turchia, Londra completa il febbrile riadattamento della sua politica alle nuove condizioni createsi nel Mediterraneo da un anno a questa parte. Questo mutamento nelle direttive della politica britannica si manifestò chiaramente anche durante la conferenza di Montreux. Appoggiando le vedute turche, l'Inghilterra mirò certamente al prezioso contributo geografico e militare della Turchia in caso di una conflagrazione mondiale in cui la flotta italiana fosse avversaria comune dell'Inghilterra e della Turchia ed anche all'appoggio, in tale eventualità, della Russia con le sue flotte del Mar Nero e del Baltico :~J. L'articolista parla quindi delle forze della marina russa e, nella parte conclusiva, accenna al viaggio di Herriot e Lavai in Turchia, affermando che essi « discuteranno ad Ankara sopratutto la questione della partecipazione della Turchia al patto franco-sovietico :~J.

(1) -Non pubblicati. Il telegramma del ministero chiedeva, in realtà. di indagare circa una conferenza militare dei Paesi dell'Intesa Balcanica, Grecia esclusa, che si diceva avesse avuto luogo il 26 novembre a Belgrado (e non in dicembre ad Ankara come qui indicato). Il ministro Boscarelli aveva risposto di non essere in grado di confermare tale notizia che peraltro considerava non inattendibile data la scarsa fiducia che gli altri Stati dell'Intesa Balcanica ormai nutrivano nei confronti della Grecia. (2) -Sessione del Consiglio permanente dell'Intesa Balcanica tenutosi a Belgrado dal 4 al 6 maggio 1936. (3) -Vedi serie ottava, vol. III, DD. 829 e 865. (4) -Non pubblicato. (5) -Con T. 4084/C.R. del 6 settembre, ore 10,40, Ciano aveva inviato ad Ankara, Atene e Belgrado le seguenti istruzioni: «Mi faccia avere rapporto circa ripercussioni politiche e giornalistiche del viaggio di Re Edoardo •· (6) -T. per corriere 8593/070 R. del 28 agosto. Riferiva circa il viaggio in Grecia di Re Edoardo. Il ministro BoscarelU osservava che 11 Re aveva visto una sola volta Metaxas per pochi minuti e che il comportamento del Sovrano nella capitale greca faceva «piuttosto pensare ad un uomo che desidera godere le sue vacanze anziché ad un capo di Stato che compia una missione politica:.. (l) -Vedi p. 15, nota l. (2) -Vedi p. 20, nota 1.

(l) Vedl 11 D. 23.

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L'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8902/121 R. Varsavia, 10 settembre 1936, ore 15,20 (per. ore 19,25).

Varsavia oggi tributerà al generale Rydz Smigly onori solenni. La stampa lo proclama successore di Pilsudski. Il convegno di Parigi viene esaltato e si rileva con compiacimento come i rapporti con la Francia ne escano sensibilmente migliorati. Sebbene Beck continui ad affermare che le direttive di politica estera restano immutate, l'atmosfera è tale che non potrebbe sorprendere se dovesse intervenire qualche modifica, tanto più che molti oggi si domandano se fra il generale Hydz Smigly e Beck esista una perfetta coincidenza di vedute.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8901/393 R. Berlino, 10 settembre 1936, ore 19,10 (per. ore 19,50).

Governo tedesco è stato in questi giorni presentito da governo britannico, a mezzo incaricato d'Affari a Londra, per conoscere se appaia ad esso conveniente seconda metà di ottobre per data inizio conferenza dei cinque Paesi già locarnisti. Governo stesso si propone rispondere che appare indubbiamente prematuro parlare di data allorché non sono neanche incominciati contatti diplomatici assolutamente necessari per preparare eventuale conferenza. Tale risposta sarà comunicata per conoscenza incaricato d'affari tedesco a Roma perché questi prenda necessari contatti. E ciò allo scopo di concordare una linea azione per quanto è possibile parallela nei confronti di quei colloqui preliminari. Questo ministero Affari Esteri appare sorpreso per assoluto silenzio Inghilterra che aveva fatto prevedere la presentazione in questa settimana di un suo primo promemoria contenente qualche proposta circa nuovo trattato.

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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1823/829. Ankara, 10 settembre 1936 (per. il 16).

Lo svolgersi degli eventi in Grecia con la dittatura proclamata da Metaxas ed i suoi disegni di un regime che potrebbe ricalcare gli ordinamenti fascisti e le notizie dalla Bulgaria che parlano della eventualità di un gabinetto Zankov, considerato anche simpatizzante col fascismo, sono qui seguite attentissimamente (insieme alla caduta di Titulescu) e considerate sotto l'aspetto di un possibile rafforzamento della influenza dell'Italia fascista nei Balcani.

In proposito il Tan odierno scrive quanto segue: «Il fascismo si estende poco a poco nei Balcani. Per primo è Metaxas che lo ha proclamato in Grecia. Metaxas è l'amico della Germania ed il regime che vuole instaurare in Grecia rassomiglia al fascismo. La Romania ha seguito Metaxas, perché il Re Carol è partigiano della Germania e vuole per conseguenza stabilire il sistema adottato in questo Paese. Il più grande ostacolo a questa trasformazione era Titulescu che è stato messo da parte. La via è così aperta al fascismo. Il Re di Bulgaria, che ebbe dei colloqui con Mussolini e con Hitler, da deciso per mezzo di Zankov, di fondare il fascismo in Bulgaria. Zankov è uno dei principali membri del comitato macedone e da lungo tempo è partigiano della politica germanica, ciò che significa che l'instaurazione del fascismo in Bulgaria prende consistenza. L'instaurazione del fascismo nei Balcani ci interessa da vicino perché esso tocca seriamente la Piccola Intesa e l'Intesa Balcanica. Siamo cosi obbligati a seguire attentamente l'attività politica ed economica dei Paesi balcanici :t.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.• 8926/397 R. Berlino, 11 settembre 1936, ore 12 (per. ore 13,20).

Carattere antibolscevico del Congresso Norimberga assume sempre più forma precisa e violenta. Discorsi di iersera di Rosenberg e particolarmente del ministro Goebbels sono indice manifesto che ormai conflitto tra Berlino e Mosca ha preso aspetto definitivo e aggressivo. Goebbels ha voluto veramente assumersi la funzione di «pubblico ministero » nel processo del bolscevismo e del giudaismo che ne guida le sorti. Dinanzi a tanta virulenza di linguaggio si attende ora reazione Mosca.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. RR. 4138/459 R. (1). Roma, 11 settembre 1936, ore 24.

Tuo 1202 (2).

Lascio a te giudicare l'opportunità tattica di chiedere adesso l'applicazione del controllo effettivo. Hai ragione nel ritenere che l'azione nostra e la tedesca debbano essere parallele; in tal senso parlerò oggi a questo rappresentante tedesco e darò istruzioni alla nostra ambasciata in Berlino (3). Comunque, salvo nuovi elementi di giudizio che possano emergere sul posto, converrà, per le ragioni che ti. feci presenti, cercare di inchiodare la Francia ad una formula di neutralità assoluta, tenendo noi, almeno nelle apparenze, un atteggiamento di chi sta al di sopra della mischia.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 4141/461 R. Roma, 11 settembre 1936, ore 24.

Suo telegramma n. 1199 (4).

Ringrazi Vansittart delle comunicazioni fatteLe. Prima di fissare una data per la conferenza, converrà di procedere ad uno scambio di vedute affinché la conferenza stessa possa essere adeguatamente prepar'ata. In questo senso fu d'altronde risposto a questo ambasciatore di Francia e all'incaricato d'affari d'Inghilterra quando essi ebbero a sollecitare la partecipazione italiana (5).

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IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9022/083 R. Atene, 11 settembre 1936 (per. il 14).

In occasione della visita di congedo che ho fatto ieri al presidente Metaxas prima della mia partenza in vacanze, egli mi ha chiesto di rinnovare

D. -43) e l'incaricato d'affari belga, Chustel (in DDB, vol. IV, D. 102) circa 11 colloquio du essi avuto con Ciano il 31 lugllo.

al Duce ed a V. E. i sensi della sua riconoscenza non solo per l'espressione di simpatia fattagli pervenire a mio mezzo (1), ma anche per la prova di benevolenza che V. E. aveva voluto dare alla Grecia in occasione della stipulazione dell'accordo commerciale provvisorio (2) e dell'acquisto del grano per sementa. Mi ha inoltre chiesto di far sapere al Duce ed a V. E. che egli era molto soddisfatto della situazione interna in tutto il Paese. Sentiva che la sua posizione e quella del governo dittatoriale da lui presieduto andavano sempre più consolidandosi e che il popolo greco mostrava di rendersi conto che in questo primo mese di dittatura molto buon lavoro era stato iniziato e -in gran parte -condotto a termine per il risanamento generale della Grecia. La grandissima maggioranza dei suoi concittadini continuava ad accordargli confidente fiducia. Le misure da lui prese direttamente e indirettamente contro i comunisti non solo avevano incontrato l'approvazione generale ma avevano fatto si che una parte di coloro che nel passato per varie ragioni avevano aderito al comunismo incominciava a venire verso di lui. Egli stava adesso personalmente occupandosi della riforma organica dello Stato dal punto di vista sociale ed economico. Aveva pregato a mio mezzo V. E. di fargli pervenire tutta la nostra legislazione fascista in tale materia perché intendeva studiarla per applicarla subito, con le modifiche richieste dalla speciale situazione locale alla Grecia.

Gli ho comunicato che V. E. mi aveva telegraficamente annunziato l'invio del materiale da lui richiesto ed ho preso l'occasione per richiamare ancora una volta la sua attenzione sulla necessità -a mio avviso urgente -di provvedere alla costituzione del partito unico di governo. Ha risposto che condivideva la mia maniera di vedere su tale imprescindibile necessità ma che credeva che per ora fosse più urgente il cercare di dare un fondamento economico e sociale al suo governo e risanare l'amministrazione dello Stato. Più tardi -fra un anno o due -avrebbe provveduto alla costituzione del partito di governo.

Alla mia obiezione che un periodo di tempo così lungo poteva riuscire pericoloso a lui ed al suo governo, egli ha replicato che non riteneva che tale pericolo fosse così grave ed urgente e mi ha ripetuto la teoria che al riguardo mi aveva esposto in altra occasione. Si è espresso presso a poco nei seguenti termini. Il partito fascista italiano che aveva un programma nettamente definito anche prima di arrivare al governo, ha conquistato il potere in seguito ad una rivoluzione di popolo, sapientemente e lungamente preparata. È stato un movimento dal basso all'alto. La mia situazione è differente. Io ero già al governo quando ho proclamato la dittatura: non avevo però alcun partito politico dietro di me. Prima di fondarne uno debbo perciò e sopratutto preoccuparmi di mostrare al popolo che esso non sarà simile a quelli finora esistenti e contro i quali io sono insorto; debbo cercare in altre parole di dare al nuovo partito nazionale greco un effettivo contenuto politico e sociale. D'altronde non temo la guerra che nel frattempo possono farmi gli antichi partiti politici. Questi sono oggi senza capi. La loro efficienza risulta da tale

fatto enormemente diminuita giacché i vecchi partiti non erano fondati su

differenze ideologiche ma su differenze di persone e le persone intanto avevano un seguito in quanto lecitamente ed illecitamente intervenivano nell'amministrazione dello Stato ed erano in grado di distribuire favori e benefici ai propri aderenti. Sotto il mio governo, esse non hanno né avranno più alcuna ingerenza nelle cose dello Stato, non potranno perciò distribuire favori o benefici come nel passato. I vecchi partiti saranno pertanto a poco a poco abbandonati da tutti i loro superstiti aderenti. Quanto al partito comunista esso era in Grecia composto o da operai, vittime della miseria e dell'abbandono degli altri governi, o da intellettuali, che aderivano al comunismo per la mancanza di ogni ideale che riscontravano negli altri partiti. Come ho esplicitamente dichiarato nel mio discorso di Salonicco, se da un lato il mio governo ha dal primo giorno intrapreso un'opera sociale che oltre ad alleviare la miseria di una parte della popolazione, si preoccupa di rendere migliori le condizioni di tutti i lavoratori, dall'altro il mio sforzo continuo è e sarà volto a ridare un ideale nazionale alla gioventù ed al popolo ellenico. Inoltre, io posso contare sull'appoggio incondizionato dell'esercito al quale appartengo ed il quale sa tutto l'attaccamento che ho sempre per esso e sull'approvazione del Sovrano che segue con benevolo interesse il mio lavoro. È su questa mia sincera fatica che io conto di essere giudicato dai miei connazionali i qua.li, ne sono convinto, preferiranno un governo stabile e permanente che miri alla rinascita materiale e morale del Paese, al susseguirsi illogico ed inefficace degli effimeri governi precedenti.

Ho creduto non inutile riferire a V. E. questa mia conversazione con Metaxas quantunque il presidente greco non abbia fatto che ripetermi cose già dette, perché da essa traspare in maniera non dubbia il proposito ed il convincimento del dittatore greco di considerare il suo governo come un vero, sostanziale e permanente cambiamento di Regime.

Metaxas ha voluto darmi l'impressione di un uomo che incomincia a sentirsi effettivamente sicuro del fatto suo. Pur continuando a ritenere che è ancora troppo presto per dire se i fatti gli daranno ragione, debbo obbiettivamente riconoscere che il lavoro da lui iniziato, la sincerità e la buona volontà in esso apportate fanno bene presagire di lui.

(l) -Minuta autografa. (2) -T. 8878/1202 R del 10 settembre, ore 0,15. Grandi riferiva che nella seduta del Comitato di non intervento si era astenuto dal fare la dichiarazione prescrittagl! (vedi D. 28) circa la necessità che il controllo fosse effettivo e diretto perché in questo senso si erano subito espre11sii rappresentanti francese e britannico, mentre il rappresentante tedesco aveva adottato una tattica temporeggiatrice. Un suo intervento nel senso delle istruzioni ricevute avrebbe perciò portato l'Italia ad affiancare la Francia e la Gran Bretagna e a contrapporsi alla Germania. (3) -Lo stesso giorno, Ciano ebbe effettivamente un colloquio con l'incaricato d'affari tedesco, von Plessen, durante il quale sottol!neò con particolare insistenza la necessità che in sede d! Comitato di non intervento 1 rappresentanti !tal!ano e tedesco agissero !n strettissimo contatto fra loro. Su tale colloquio non è stata trovata documentazione ma si veda DDT, serie C, vol. V, t. 2, D. 533. Anche circa le istruzioni all'ambasciata a Berlino non è stata trovata documentazione. (4) -Vedi D. 37. (5) -Di ciò non vi è documentazione negli archivi italiani ma si veda quanto riferivano l'ambasciatore de Chambrun (in DDF, vol. III, D. 51), il consigliere Ingram (in BD, vol. XVII. (l) -Vedi serle ottava, vol. IV, DD. 805 e 817. (2) -Concluso il 12 agosto. Vedi Trattati e convenzioni, vol. L, pp. 270-271.
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L'AMBASCIATORE ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 11 settembre 1936.

Ho invitato ieri Avenol a easa mia per una colazione intima allo scopo di raccogliere le sue impressioni sul suo soggiorno romano. Egli mi è apparso particolarmente soddisfatto dei eolloqui avuti con il Duce (l) e con l'E. V. (2)

e mi si è mostrato ansioso di ritornare a Ginevra per dissipare talune impressioni e alcuni malevoli commenti suscitati dall'annunzio del suo viaggio romano. Avenol mi ha detto di essersi recato all'ambasciata di Inghilterra subito dopo il suo colloquio con il Duce e ha tenuto a mettermi a parte di una lunga conversazione avuta con quell'incaricato d'affari, signor Ingram. Avendo egli creduto opportuno di porre il suo interlocutore al corrente dei risultati della sua visita romana, Ingram si sarebbe dimostrato piuttosto contrariato dalla decisione presa dal governo italiano di non farsi rappresentare alle sedute del Consiglio e alla prima seduta dell'Assemblea. Avenol gli avrebbe allora fatto intravedere la possibilità che da parte nostra ci si decida a prendere parte fin dall'inizio ai lavori dell'Assemblea nel caso di una totale assenza di ogni delegazione etiopica da Ginevra. Ciò avrebbe interessato molto il signor Ingram ed Avenol ne ha tratto la speranza che il governo inglese, in seguito a tale sua manovra, possa essere indotto ad esercitare una qualche pressione sul Negus perché si astenga dall'inviare a Ginevra la propria delegazione.

Successivamente, Avenol è venuto a parlarmi della situazione politica generale ed in particolare della politica francese mostrandomisi a quest'ultimo riguardo manifestatamente orientato in un senso favorevole a Blum di cui del resto egli è amico personale. Prima di congedarsi, il signor Avenol ha tenuto a rievocare alcuni fatti, ormai forse di un interesse puramente retrospettivo, relativamente alla ostinata, attivissima pressione esercitata dal signor Eden sulla delegazione etiopica perché si irrigidisse nel suo rifiuto ad accettare il principio delle trattative dirette che furono proposte dal governo italiano a Ginevra l'aprile scorso. Non sono mancate a questo proposito da parte sua delle parole piuttosto vivaci contro l'atteggiamento contradittorio tenuto di fronte alla Società delle Nazioni dal governo britannico prima e dopo il conflitto etiopico, specialmente in ordine al problema di Locarno e alla questione degli accordi navali:

Uscendo da casa mia, il signor Avenol, si è recato ad assistere alla sfilata degli avanguardisti sulla via dell'Impero. So che egli ne è rimasto profondamente impressionato e mi è stata riferita una sua frase che mi sembra illumini chiaramente il suo stato d'animo: «Per conoscere l'Italia d'oggi vale certo più l'aver potuto assistere a questo spettacolo che l'avervi trascorso dei mesi interi ».

(l) -Non si è trovata documentazione su tale colloquio. (2) -Vedi D. 26.
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L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, CAPRANICA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. POSTA 5389/1391. Belgrado, 11 settembre 1936 (per. il 14).

Mio telegramma per corriere n. 085 del1'8 corrente (1). Mi onoro riferire che il mistero del quale si è voluta circondare la partenza del signor Stojadinovic per Bucarest ha fatto sorgere le più varie ipotesi sulle ragioni

8 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

che la hanno causata, proprio in questo momento e proprio con tanta precipitazione. A prescindere pertanto dalle spiegazioni ufficiali circa «la visita di cortesia» «la restituzione della visita di Titulescu » (proprio oggi che questi non esiste più?) e <<i necessari preliminari contatti prima della riunione prossima della Piccola Intesa», altre ragioni devono effettivamente aver spinto a partire per Bucarest questo ministro degli Esteri, che si è sempre vantato « di non andare in giro ».

Una delle versioni date, è naturalmente, in funzione antitaliana: Stojadinovic spaventato per un possibile nuovo atteggiamento romeno, specie dopo il telegramma diretto all'E. V. dal signor Antonescu (1), avrebbe immediatamente voluto correre ai ripari: effettivamente gli ultimi avvenimenti hanno fatto temere qui un nuovo orientamento romeno verso l'Italia a detrimento della Piccola Intesa ed avrebbero reso necessario personali contatti per continuare la politica di collaborazione seguita da Titulescu.

Secondo un'altra versione, Belgrado sarebbe rimasta impressionata dell'attività comunista che si va svolgendo in Europa e vorrebbe tentare di allontanare Bucarest da Mosca per formare, unitamente a Sofia un fronte antibolscevico: quando nei discorsi fra i capi delle chiese ortodosse bulgara e jugoslava si è parlato dell'unione contro il «comune nemico» si è inteso alludere appunto al pericolo comunista; nei circoli vicini al ministero degli Affari Esteri, il viaggio viene infatti interpretato anche come una conseguenza del convegno che ha avuto luogo a Bled fra Re Boris ed il Principe Paolo (2) e si fa rilevare che Titulescu ha sempre esercitato pressioni sulla Jugoslavia per ottenere da questa il riconoscimento dei Soviet, al che Belgrado si è sempre rifiutata.

A prescindere dalla necessità di chiarire le direttive del nuovo governo romeno, il viaggio, avvenuto, si sottolinea, dietro invito di Bucarest, invito pervenuto subito dopo l'incontro di Bled con Re Boris, dovrebbe dunque servire non solo ad un preliminare scambio di vedute sull'imminente convegno della Piccola Intesa a Bratislava, ma a gettare an-che le basi per la formazione di un blocco balcanico antibolscevico al quale aderirebbero la Jugoslavia, la Rumenia e la Bulgaria. Si arriva :fino a supporre che il prolungato soggiorno del Re d'Inghilterra in Turchia ed i suoi ripetuti colloqui con Kemal non abbiano avuto altro scopo che quello di guadagnare anche la Turchia ad un tale blocco di Stati che sarebbe capeggiato dall'Inghilterra.

Ma tale atteggiamento verso Mosca del governo di Belgrado, che come è noto non ha mai voluto ricono~.cere i Soviet, non è nuovo e potrebbe mettersi in relazione anche con il progressivo avvicinamento alla Germania e con il timore che sulla Francia di Blum vi sia poco da contare.

Diranno gli avvenimenti e forse a non breve scadenza se da un nuovo atteggiamento della Romania verso l'Italia, da un effettivo accordo fra la Jugoslavia e la Bulgaria (per raggiungere il quale mi si dice che Belgrado non sarebbe neppure aliena dal consentire a qualche rettifica di frontiera a favore

di Sofia) ed infine da una presa di posizione decisamente antisovietica degli Stati di questa parte dell'Europa, verrà attenuata la assiomatica politica antitaliana di questo Paese rendendola non più necessaria alla sua politica interna.

Questa stampa, che ha dato notizia del viaggio di Stojadinovic solo dopo la sua partenza, sottolinea le calorose accoglienze riservategli a Bucarest e scrive che la cordialità dell'incontro varrà a far tacere voci secondo le quali il cambiamento del ministro degli esteri romeno avrebbe significato un certo mutamento rispetto alle direttive di Titulescu per quanto concerne la politica unitaria della Piccola Intesa. I giornali hanno anche pubblicato che sono stati presi accordi commerciali specialmente per quanto riguarda il petrolio romeno ed il rame jugoslavo. Si sarebbe anche nuovamente parlato della costruzione del ponte ferroviario di cui questa R. Legazione ha avuto più volte a riferire, da. ultimo con il telespresso n. 3825/1273 del 4 agosto u.s. (1).

In complesso questi giornali vogliono dare all'incontro una grande importanza, dovuta al fatto che Romania e Jugoslavia fanno parte sia della Piccola Intesa che dell'Intesa Balcanica (2).

(l) T. per corriere 8872/085 R. Riferiva circa la partenza di Stojadinovic per Bucarest.

(l) -Il l" settembre, Antonescu, subito dopo aver assunto il portafoglio degli Esteri, aveva inviato a Ciano un caloroso telegramma. di saluto in cui esprimeva il suo desiderio di collaborare per «il rafforzamento e lo sviluppo delle relazioni amichevoli tra i due Paesi». Il telegramma era stato riportato con risalto dalla stampa. (2) -Si riferisce alla visita effettua·~a il 4 settembre precedente da Re Boris a Eled dove il sovrano bulgaro si era incontrato con il Principe Paolo e con Stojadinovic.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8982/570 R. Parigi, 12 settembre 1936, ore 19,25 (per. ore 22,20).

Circa Commissione di controllo embargo spagnolo, Léger mi ha detto che governo francese era assai risentito per contegno del Portogallo. Egli riteneva che l'Inghilterra sarebbe stata costretta mettere governo portoghese con spalle al muro per obbligarlo partecipare lavori di Londra.

Gli ho chiesto quale fosse in realtà situazione a Lisbona (3) dato che notizie giornali erano contraddittorie.

Léger rispose che ciò faceva credere ad una esagerazione voluta dal governo portoghese, perché pretesa rivolta delle due piccole navi, se era avvenuta, doveva essere stata cosa di scarsa importanza gonfiata ad arte per giustificare atteggiamento da esso assunto. Léger aggiunse che, quando governi italiano, tedesco e sovietico avevano creduto necessario mettere da parte proprie simpatie per collaborare sinceramente ad una azione di solidarietà europea con finalità pacifiche, era inammissibile contegno del Portogallo. «Qualora esso avesse perseverato nel suo atteggiamento si sarebbe dovuto considerare come necessità di conglobare anche Portogallo nell'embargo deciso verso Spagna~-Voleva peraltro sperare che non si dovesse giungere fino a questo punto, tanto più che decisione di tale natura avrebbe avuto spiccato carattere politico e contravvenuto quindi ai principi seguiti sino ad ora governi aderenti all'embargo pro

posto dalla Francia, dai quali era stato esplicitamente escluso il movente politico. Estensione dell'embargo al Portogallo avrebbe, fra l'altro, resa necessaria convocazione di una conferenza dei vari Stati aderenti all'embargo verso Spagna, cosa che doveva essere deprecata (1).

(l) -Non pubblicato. (2) -Il documento ha il visto di Mussollni. (3) -L'8 settembre, c'era stato un ammutinamento a bordo di due navi della marina portoghese ancorate alla foce del Tago, i cui equipaggi intendevano salpare per mettersi agli ordini del governo di Madrid. Gli ammutinati si erano arresi quando dalle altre navi era stato aperto il fuoco contro di loro. Il ministro a Lisbona, Tuozzi, aveva dato notizia dell'accaduto con TT. 8806/85 R. dell'8 settembre, ore 13,36 e 8847/86 R. del 9 settembre, ore 13,06, comunicando che il governo aveva il pieno controllo della situazione. ·
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IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, PITTALIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8991/10 R. Monaco di Baviera, 12 settembre 1936, ore 22,06 (per. ore 1 del 13).

Trasmetto seguente telegramma comunicato da S. E. Attolico da Norimberga:

«Personale per S. E. Ciano.

Ho veduto Frank. Egli si propone venire a Roma il 19. Scopo sua visita con

ferire circa: 0 ) Sviluppo collaborazione giuridico-culturale i t alo tedesca. Frank gradirebbe invito S. E. Solmi per lavoro Accademia Monaco di Baviera. Osservazioni: nessuna. 2°) Collaborazione italo-tedesca in propaganda anti bolscevica. Osservazioni: nessuna in principio, ma in pratica bisogna pur tener conto che situazione ed esigenze due Paesi non sono identiche e che, specialmente per quanto riguarda propaganda, ciascuno ha i suoi sistemi e le sue esigenze. 3°) Situazione politica generale. In questo campo non credo che Frank si proponga nulla di specifico: incoraggiato risultati prima visita (2) egli tiene ad affermarsi come trait-d'union politico fra Germania e Italia. Richiamo in proposito osservazioni già fatte verbalmente Roma. Visita durerebbe tre giorni e sarebbe assolutamente privata. Egli si propone vedere S. E. il capo del governo. Dopo Roma, Frank vorrebbe andare Pompei visitare nuovi scavi. Rivedrò Frank Berlino, dove sarò lunedì. Ritelegraferò ».

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9012/0251 R. Parigi, 12 settembre 1936 (per. il 14).

Nel discorrere stamane col signor Léger degli avvenimenti politici recenti (3),

si parlò anche del congresso del partito nazionalsocialista di Norimberga e

dei vari discorsi che vi erano stati tenuti.

Léger osservò che la sintesi delle manifestazioni stesse era a suo avviso

unicamente l'annuncio delle aspirazioni tedesche a riavere le colonie perdute.

Non attribuiva viceversa alcuna importanza alla levata di scudi di Rosenberg e Goebbels, nonché di Hess contro il comunismo, essendo convinto che la Germania non ha la menoma intenzione di muovere guerra all'U.R.S.S. e sa perfettamente che l'U.R.S.S. non pensa affatto ad attaccarla. Léger precisò il suo pensiero dicendomi che egli scorge nella campagna anti-comunista tedesca il 75 per cento di propaganda, visto che la crociata anti-bolscevica è, in questo momento, dati gli avvenimenti spagnoli, atta ad attirare molte simpatie al Reich, ed il 25 per cento di inganno per far credere a taluni Stati, sempre direttamente minacciati dalla Germania (Francia e Cecoslovacchia) che essi non hanno nulla da temere perché si pensa a battere in breccia il comunismo. Léger aggiunse che mi parlava in tal modo perché la Francia conosce esattamente i piani dello Stato Maggiore tedesco ed in base a tali informazioni sa che, nonostante i discorsi dei luogotenenti più accreditati del Fiihrer, i militari ed anche Schacht non hanno smesso l'idea che l'interesse ben inteso del Reich richiederebbe un'intesa intima con l'U.R.S.S. Poiché la realizzazione di tale progetto significherebbe la spartizione della Polonia e costituirebbe un immenso pericolo per la Francia, questa aveva dovuto far la politica che era culminata con l'accordo franco-sovietico {l) il quale, checché si continuasse a ritenere a Berlino, non era per nulla diretto contro la Germania ed era invece stato concluso come parte di un complesso di accordi atti a garantire la pace nell'oriente d'Europa.

Léger ritiene quindi che l'U.R.S.S. nonostante il linguaggio violentissimo • tenuto dai vari oratori di Norimberga, linguaggio che non aveva nemmeno risparmiato il commissario del popolo per gli Affari Esteri dell'U.R.S.S. ed a vero dire neanche gli uomini politici francesi che avevano concluso l'accordo francosovietico, continuerà a mantenere rapporti diplomatici e commerciali con il Reich, senza preoccuparsi soverchiamente degli eccessi di linguaggio tedeschi. Léger concluse dicendomi che naturalmente il linguaggio che era stato tenuto a Norimberga costituiva per la Francia una nuova prova dello scarso conto che si deve fare delle pretese proposte di amicizia del Reich. La Francia conosce perfettamente quali sono le mire germaniche e la sola sua risposta deve essere quella di prepararsi a reagire contro l'attacco tedesco quando esso sarà sferrato.

(l) -Per il seguito della questione vedi i DD. 60 e 72. (2) -Il ministro Frank era stato in vista a Roma nella prima settimana dell'aprile precedente. Si era incontrato con Mussollni il 3 ed aveva avuto un colloquio con il capo di Gabinetto, Aloisi. 11 giorn.o successivo. Del colloquio cou Mussolini non vi è traccia nella documentazione di archivio; per il colloquio con Aloisi, si VE'da serie ottava, vol. III, D. 589. (3) -Vedi D. 51.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9016/0254 R. Parigi, 12 settembre 1936 (per. il 14).

Mio telegramma odierno n. 570 {2).

Nel corso della conversazione che ho avuto stamane col signor Léger circa la riunione della Commissione di controllo per l'applicazione dell'embargo verso la Spagna egli mi ha dichiarato in tono reciso che la Francia era disposta ad accettare qualsiasi controllo sulla sua frontiera perché «da quando il governo

francese aveva proclamato l'embargo delle armi verso la Spagna, non un uomo né un'arma avevano varcato la frontiera franco-spagnola (sic !).

(l) -Trattato di mutua assistenza tra Francia e U.R.S.S. del 2 maggio 1935 (MARTENS, vol. XXXI, pp. 645-648). (2) -Vedi D. 51.
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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. CONFIDENZIALE 2893/709. Roma, 12 settembre 1936.

Mi riferisco alla mia lettera del 7 corrente n. 2825/671 (1).

Ho avuto altre conversazioni con il cardinale segretario di Stato e con mons. Pizzardo, circa l'Azione Cattolica. I due prelati hanno insistito nel proclamare la lealtà e la rettitudine delle intenzioni dei dirigenti tutti dell'Azione Cattolica e la devozione dei medesimi alle istituzioni e al Regime. Da parte mia, senza porre in dubbio la buona fede dei maggiori esponenti di Azione Cattolica, ho detto e ripetuto che l'Azione Cattolica è e deve restare diocesana e svolgersi alla diretta dipendenza dei vescovi.

Il Papa si è preso a cuore la cosa e sta facendo approntare un memoriale ch'Egli intende consegnarmi personalmente. Il documento sarà pronto fra una settimana o forse dieci giorni. Mons. Pizzardo mi ha promesso -non so se manterrà l'impegno -di farmi leggere il documento prima che mi sia consegnato dal Pontefice.

Ho la convinzione che, indipendentemente da quello che scriverà il Papa, si terrà conto, nella pratica, delle osservazioni da me presentate per incarico dell'E. V. e si metterà molto impegno per fare rientrare in carreggiata l'Azione Cattolica.

Credo che intanto sarà lasdata cadere la candidatura del prof. Gedda a Presidente Centrale, in sostituzione del commendator Ciriaci testé defunto, candidatura patrocinata fino a ieri da monsignor Pizzardo. Per parte mia ho suggerito di mettere alla testa dell'organizzazione un uomo d'età, posato. Ho ragione di pensare che il cardinale Pacelli condivide la mia opinione. Il Papa e mons. Pizzardo non si adattano invece a togliere importanza agli organi centrali di Azione Cattolica (2).

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 3680/1273. Berlino, 12 settembre 1936 (per. il 14).

Mi riferisco al mio rapporto n. 3561/1234 del 2 corrente (3).

Continuano a circolare le voci secondo le quali sarebbe imminente una vera riconciliazione fra la Chiesa cattolica e lo Stato nazionalsocialista. Come è noto, di quelle voci si è fatta specialmente eco una parte della stampa

estera, per il fatto che gli scarsi giornali tedeschi che hanno pubblicato la Pastorale collettiva dell'episcopato germanico in data 28 agosto (l) non ne hanno riprodotto il testo completo; ma un largo sunto dal quale erano stati rigorosamente tolti tutti gli spunti polemici contro il trattamento che lo Stato fa alla Chiesa cattolica in Germania.

Tanto poco è gradita al governo la conoscenza di quel testo e tanto prematura appare l'affermazione che si sia già arrivati ad una fine del Kulturkampf, che il bollettino diocesano di Berlino che, probabilmente come quelli di altre diocesi, lo scorso sabato aveva pubblicato il testo della Pastorale, è stato sequestrato, sotto pretesto che ai bollettini del genere non è permesso di pubblicare scritti di «carattere politico ». Al tempo stesso uno degli organi di stampa più violentemente anticristiani, lo Schwarzes Korps, destinato alla propaganda culturale sopratutto in mezzo alle «SS », o Sezioni di Sicurezza, continua la sua vivacissima campagna, diretta specialmente contro la Chiesa cattolica che, precisamente contraddicendo quanto era detto in uno dei punti principali della Pastorale collettiva, accusa ancora di essere strettamente legata al bolscevismo internazionale. Il ministero dell'Istruzione ha emanato poi una disposizione secondo la quale gli insegnanti di religione sono esclusi dalla direzione di qualsiasi organizzazione giovanile.

Viceversa occorre notare un'importante soddisfazione ottenuta dalle autorità ecclesiastiche: la sospensione dei processi scandalistici per reati contro i costumi commessi da membri di alcune comunità religiose della Renania. Uno dei processi più clamorosi del genere, che doveva essere iniziato a Coblenza in questi giorni e attorno al quale si doveva fare grande pubblicità, tanto che vi erano stati invitati come ospiti molti giornalisti stranieri, all'ultimo momento è stato rinviato, a quanto si dice, sine die. Si parla, anche, di amnistia per i religiosi ed altri ecclesiastici condannati per contravvenzioni alle disposizioni sulle divise e per delitti contro i costumi ma per ora nessun fatto è venuto a confermare tali voci (2).

(l) -Vedi D. 30. (2) -Questo documento ha 11 visto di Mussolini. (3) -Vedi D. 3.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 13 settembre 1936.

Il generale Rydz-Smigly mi ha detto (3) che è rimasto incantato di questo suo primo viaggio in Italia e mi ha incaricato di esprimere al Duce la sua ammirazione ed a V. E. i suoi ringraziamenti per le cortesie usateg!i.

Ha tenuto a dirmi che a Parigi egli aveva parlato molto chiaramente sulla Russia, sia nei riflessi europei rappresentando ces canailles là un pericolo per la tranquillità interna degli Stati, sia nei riflessi polacchi. Egli avrebbe sottolineato che la Polonia non può perdere di vista gli armamenti sovietici perché il popolo polacco non ha fiducia nella Russia, suo tradizionale tiranno e non può nemmeno immaginare che l'esercito bolscevico po

trebbe essergli di aiuto a mantenere la propria libertà. La Francia deve comprendere che il valore dell'alleanza con la Polonia resta integro alle condizioni base dell'alleanza stessa.

Osservo che questo significa netta riconferma dell'opposizione polacca a stabilire fra l'alleanza franco-polacca {1), costituitasi nel 1921 quando la Francia nemica dei Sovieti applicava nei confronti di questi il «cordone sanitario:. e la nuova alleanza franco-sovietica, stretta nel 1935 (2), un legame qualsiasi. La Francia ha cambiato la sua politica verso i Sovieti ma la Polonia è restata sostanzialmente nelle sue posizioni verso Mosca pur avendo normalizzato, con il patto di non aggressione (3) e con la firma della Convenzione Litvinov sull'aggressore (4), le sue relazioni con l'U.R.S.S.

Le condizioni base dell'alleanza franco-polacca sono difensive e bilaterali e si riferiscono puramente e semplicemente al caso di un'aggressione tedesca

o alla Francia o alla Polonia.

Ho chiesto al generale le sue impressioni sulla situazione francese: mi ha risposto che questa è grave e che sono da attendersi gravissime difficoltà interne nei prossimi mesi. Non crede però che la Francia si darà un regime bolscevico. È sua impressione che gli avvenimenti spagnoli servano anche ad aprire gli occhi ai fattori responsabili francesi. Egli spera che i nazionali riescano a vincere in !spagna.

Avendomi chiesto quali fossero le nostre relazioni con la Francia, ho risposto con la domanda se egli riteneva possibile che la Francia potesse assumere in questo momento obbligazioni politiche come si era assunte quelle finanziarie nei confronti della Polonia (5). II generale ha fatto un gesto negativo e mi ha dichiarato che la confusione della situazione interna francese legittimava ogni riserbo.

Circa l'eliminazione di Titulescu, il generale Rydz-Smigly non mi ha nascosto la sua viva soddisfazione. Mi ha infine ripetuto la sua ammirazione per il Duce e per l'attività di cui dà prova il popolo italiano.

Ritengo giustificato lo scontento espressomi ieri sui risultati del viaggio di Rydz-Smigly a Parigi da questo ambasciatore sovietico il quale mi ha detto: sarebbe stato meglio che la Francia non avesse dato quattrini.

Segnalo il malumore suscitato in Francia dalla venuta del generale in Italia e due telefonate allarmiste ricevute da questi a Venezia da parte dell'ambasciata polacca a Parigi, in seguito alle quali egli ha ridotto il suo soggiorno. Faccio notare che per contro il ministero Esteri di Varsavia faceva sapere a mezzo della nostra ambasciata colà che avrebbe molto gradito, sia il mio intervento a Venezia, sia che speciali accoglienze fossero riservate al generale.

A puro titolo di curiosità segnalo il fatto raccontatomi dalla signora Rydz-Smigly che una sera a Parigi durante un grande ricevimento in onore

di suo marito, ignoti malviventi hanno bucato tutti i pneumatici -compresi quelli della scorta -delle ottocento e più automobili che attendevano sulla strada l'uscita degli invitati.

Il generale Rydz-Smigly mi ha espresso la sua viva soddisfazione per non essere stato schiacciato a Venezia dal servizio di sorveglianza alla sua persona.

Segnalo a V. E. la perfezione delle disposizioni date dal comando marittimo e l'estrema amabilità dell'augusto comandante il duca di Genova che hanno suscitato nel generale e nel suo seguito la più viva ammirazione.

Le autorità veneziane tra le quali il segretario federale, il vice podestà, il conte Volpi e l'on. Maraini hanno fatto gli onori di casa durante le numerose visite compiute in città e nei dintorni, con sobria e signorile cordialità fascista (1).

(l) -Vedi D. 3. (2) -Il documento ha il visto di Mussolini. (3) -Il generale Rydz-Smigly era giunto in visita privata a Venezia il 7 settembre (vedi p. 38, nota 3). Il colloquio ebbe luogo, probabilmente, il giorno successivo. (l) -Vedi p. 39, nota 2. (2) -Vedi p. 53, nota l. (3) -Trattato di non aggressione tra Polonia e U.R.S.S. del 25 luglio 1932 (testo in MARTENS, vol. XXVJII, pp. 329-331). (4) -Protocollo relativo alla messa in vigore immediata del trattato concernente la rinuncia alla guerra come strumento di pol!tica. nazionale, sottoscritto a Mosca il 9 febbraio 1929 da Estonia, Lettonia, Polonia e U.R.S.S. (testo in MARTENS, vol. XXXIII, pp. 327-329). (5) -Vedi p. 39, nota l.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI

T. S.N D. 4165/154 R. (2). Roma, 14 settembre 1936, ore 20,30.

Dopo le recenti vittorie delle truppe di Franco mi par giunto il momento in cui il governo di Burgos deve, con un suo gesto sul terreno sociale, dare la sensazione all'interno e all'estero che il movimento nazionale non è uno dei soliti pronunziamenti militari bensì una rivoluzione che è sorta dal popolo spagnuolo e che si sviluppa per il bene del popolo stesso. Da qui non è possibile giudicare e suggerire quale provvedimento appare consigliabile. Bisogna che sul posto considerino e attuino subito qualche riforma che possa dare la sensazione positiva alle classi operaie e contadine che la rivoluzione di Franco mira a realizzare senza ritardi o diaframmi loro elevazione materiale e morale: Oggidi un movimento politico o militare privo di contenuto sociale è destinato all'insuccesso. Non si può tenere il popolo lontano da quella corrente di progresso e di civiltà che, col suo stesso lavoro, il popolo determina e crea.

Faccia presente a mio nome al generale Franco quanto precede e mi comunichi quanto egli pensa (3).

Nelle carte dell'Archivio di Gabinetto, a questo telegramma è allegato 11 seguente documento: «Ing. Matons. Proveniente da Barcellona -Presidente della Società "Amici d'Italia" (pre

sentato dal Segretario del Fascio di Barcellona Cav. Berni).

Fa presente: che la situazione dei nazionali è meno buona di quanto generalmente si ritiene all'estero; che i Governativi si rafforzano specialmente inquadrando ed equipaggiando con criteri sempre più milltari le bande armate comuniste; che 11 Governo di Burgos non incontra nessuna simpatia fra le masse popolari che vedono in esso solo l'esponente della più fosca reazione aristocratico-borghese; che sopratutto Cabanellas -ex deputato di Lerroux -è odiato dal popolo; che la poca fiducia che ispirano i capi nazionalisti tra le masse è l'elemento che maggiormente ostacola la vittoria dei nazionalisti, in quanto che il popolo si batte ferocemente convinto che la vittoria dei nazionalisti significherebbe il ritorno ad un sistema di semi-schiavitù.

Il Matons pensa che sarebbe opportuno far comprendere al Governo di Burgos la necessità di rimuovere la diffidenza popolare elaborando senz'altro un programma di riforme sociali,

ricalcato su quello fascista, e che sarebbe ancor più opportuno che il Governo stesso prendesse

subito qualche provvedimento generale in favore delle classi lavoratrici >>.

Il documento reca 11 visto di Mussolini e la seguente annotazione di De Peppo: «Conferito con Magaz Il quale concorda pienamente e farà il necessario. 14.9.XIV ».

(l) -Questo documento ha il visto di Mussolinl. (2) -Minuta autografa. (3) -Per il seguito si veda il D. 97.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

T. P. 4168/95 R. Roma, 14 settembre 1936, ore 24.

Ho ricevuto il suo rapporto 3 settembre (l) e il suo telegramma 263 (2) circa rapporti italo-turchi. Li ho Ietti con interesse portando la mia attenzione sulle considerazioni da Lei svolte. Resta naturalmente inteso che l'azione che Le raccomandavo con la mia lettera del 27 agosto (3) dovrà svolgersi con la dovuta gradualità e qualora nuovi gravi elementi di fatto non vengano a modificare ulteriormente la situazione.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ATTOLICO, A LONDRA, GRANDI, A PARIGI, CERRUTI, E AL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI

T. 4169/C.R. Roma, 14 settembre 1936, ore 24.

(Solo per Parigi). Suo telegramma 570 (4). (Per tutti meno Parigi). R. ambasciatore Parigi telegrafa in data 12 cor

rente quanto segue:

(Riprodurre telegramma n. 8982/570 R).

Ho risposto quanto segue:

(Per tutti). Non concordo affatto col signor Léger. Da parte nostra non potremmo consentire, né ad esercitare una pressione sul governo portoghese per indurlo a partecipare al Comitato di Londra, né tanto meno ad estendere al Portogallo l'embargo adottato per la Spagna. L'impegno assunto in massima dal Portogallo circa l'embargo per la Spagna, come gli analoghi impegni assunti dai vari Stati partecipanti all'accordo del non intervento, non implica necessariamente l'adesione al Comitato di Londra. Ogni Stato sovrano rimane quindi libero di esaminare l'opportunità della sua partecipazione al detto Comitato. Se da un lato la partecipazione del Portogallo sarebbe desiderabile, dall'altro è da tener conto della posizione particolarmente delicata e ad esso speciale che ha il Portogallo nei riguardi della Spagna, nonché delle particolareggiate considerazioni che fa valere nella sua nota del 1° settembre diretta ai due governi francese e inglese (5).

Qualora le si presenti l'opportunità o la coincidenza, faccia conoscere verbalmente a codesto governo questo nostro punto di vista (6).

{2) Vedi D. 31.

(l) Rapporto 8784 del 3 settembre. L'ambasciatore Galli assicurava che, in ottemperanza alle istruzioni ricevute (vedi serle ottava, vol. IV, D. 812), si sarebbe adoperato per migliorare l rapporti !taio-turchi, pur ribadendo la sua opinione che un miglioramento sarebbe rimasto soltanto superficiale.

(3) -Vedi serie ottava, vol. IV, D. 812. (4) -Vedi D. 51. (5) -Vedi D. 4. (6) -Per Il seguito, vedi il D. 72.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI

T. 4170/272 R. Roma, 14 settembre 1936, ore 24.

Suo telegramma n. 393 (l) e mio telegramma n. 269 (2).

Questo incaricato d'affari di Germania ha fatto 1'11 corrente comunicazione analoga a quella di cui Suo telegramma surriferito. A mia volta gli ho comunicato contenuto telegramma istruzioni per Grandi di cui al mio telegramma anzidetto. Atteggiamento italiano e tedesco sono venuti così a risultare ispirati allo stesso criterio.

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IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1726/496. Lisbona, 14 settembre 1936 (per. il 21).

Mio telegramma n. 83 del 3 settembre u.s. (3).

Questo ambasciatore britannico mi ha detto sabato sera che nonostante le sue reiterate insistenze, nonostante le spiegazioni fornite circa i limiti e gli scopi della Commissione di coordinamento, egli non era ancora giunto a convincere il governo portoghese a lasciar cadere le sue riserve e farsi rappresentare a Londra. Egli aggiungeva che non sapeva rendersi conto di tale resistenza quando gli intenti di tale Commissione erano stati ben definiti e che bisognava supporre che il governo portoghese non desiderasse essere controllato perché non voleva perdere la possibilità di recare aiuti alla causa nazionalista spagnuola. Ma più che da questo desiderio, che ha in pratica scarse possibilità di realizzazione data la deficienza di stocks di armi e di munizioni esistenti in questo Paese, il governo è guidato dal timore di essere obbligato dalla Commis'>ione internazionale a seguire una determinata linea di condotta negli affari di Spagna, mentre esso vuole essere libero nei suoi movimenti perché non ammette che una sola soluzione alla guerra civile che insanguina la vicina repubblica: il trionfo completo delle forze nazionaliste. Tale trionfo è necessario alla tranquillità e alla pace portoghese: è un profondo istinto di conservazione che fa assumere al Portogallo un cosi coraggioso e deciso atteggiamento nonostante che la Francia cerchi di agitare nel Paese i vecchi ferri arruginiti della democrazia massonica, e la «grande alleata» si sforzi di convincere che una tale presa di posizione può essere pericolosa e che la vittoria del governo di Madrid non sarebbe poi un pericolo di morte per lo Stato portoghese. Il presidente del Consiglio Salazar, che ha preso la direzione

della politica estera per quanto riguarda la guerra civile spagnuola, ostinatamente resiste ai consigli britannici che finora in altre occasioni non erano mai discussi, convinto, e sembra a ragione, che la vittoria del comunismo in !spagna non avrebbe soltanto come immediata conseguenza la caduta della dittatura portoghese che ha assicurato a questo Paese dieci anni di ordinato governo e di scrupolosa gestione del pubblico danaro, ma segnerebbe anche la fine dell'indipendenza portoghese almeno per qualche tempo, tempo più che sufficiente per compromettere in modo irrimediabile tutto o gran parte del vasto dominio coloniale portoghese. L'idea della federazione iberica sventolata dai social-comunisti spagnuoli non trova nessuna rispondenza qui nemmeno nei più induriti massoni, nemmeno nelle classi popolari. Il sentimento patriottico in Portogallo è profondo in ogni ceto, basato su secoli di indipendenza, su circa mille anni di stato indipendente che seppe compiere grandi gesta nel mondo e che ebbe per secolare nemico lo spagnuolo: ma più che altro mantiene i portoghesi nel loro sentimento di avversione ad ogni proposta di federazione iberica il pensiero del vasto impero coloniale del cui possesso sono tanto gelosi e tanto orgogliosi. Cosicché Salazar può facilmente mobilitare il sentimento patriottico del Paese per combattere il «governo di Madrid» e nello stesso tempo rinsaldare il governo della dittatura portoghese. Bisogna che riesca trionfante in !spagna il movimento nazionali1:ta e perché ciò avvenga questo Paese è disposto a dar tutto. Ma il tutto non è molto. Esso si rende conto che il suo aiuto è scarso ma ritiene che il suo atteggiamento risoluto rafforzi quello favorevole degli Stati interessati alla sconfitta del comunismo in !spagna, Italia e Germania, e agisca sulla « grande alleata » per convincerla che il suo interesse non è nella vittoria del comunismo spagnuolo. Le simpatie verso l'Italia e la Germania sono in questo momento vivissime: si è dimenticata la campagna svolta con tanta acredine contro il <<Paese aggressore » che minacciava con l'Abissinia l'indipendenza dei piccoli Stati, si è po1·tati quasi a giustificare le pretese tedesche alla restituzione delle sue colonie africane e si è messo a tacere il sospetto della « cubiça » tedesca sull'Angola. Dal fascismo e dal nazismo si spera ogni aiuto alla causa del nazionalismo spagnuolo ma il governo portoghese si guarda bene dal prendere qualche contatto diretto con noi e con la Germania a tale riguardo perché teme di insospettire la «grande alleata» da cui nello stesso tempo non vuole separarsi. Si vorrebbe convincere l'Inghilterra, e in ciò la politica portoghese è identica a quella tedesca, del pericolo che grava non solo sul Portogallo ma sulla civiltà occidentale che sarebbe finita, e qui si corre troppo, se il comunismo si installasse in !spagna e vi è una certa irritazione perché l'Inghilterra «non vuoi capire ». Questo che l'Inghilterra non voglia capire è uno stupido luogo comune: essa ha la sua politica diretta ad ottenere che in !spagna non 'li sia il trionfo di nessuno dei due partiti estremi, che la lotta si svolga senza l'intervento e senza l'aiuto di nessuna Potenza estera in modo che se proprio non è possibile raggiungere una intesa fra le due parti, la lotta venga prolungata il più lungamente possibile, cosicché il Paese, del tutto spossato in ogni sua energia e distrutto nei suoi beni, non possa occuparsi per anni di qualsiasi politica estera e sia solo bisognoso di aiuti finanziari, di facilitazioni economiche che essa specialmente sarebbe in grado di fornire. Impedire che gli Stati europei riforniscano di armi e munizioni i due partiti in lotta in !spagna ha come conseguenza non solo allontanare il pericolo di conflagrazione europea ma, dato l'aspetto selvaggio che la guerra civile ha assunto fra gli spagnuoli, che in mancanza di armi si dilanierebbero con i denti, renderla, nonostante che si affermi proprio il contrario per giustificare il non intervento, più lunga e più sanguinosa. Nel prossimo inverno potrebbe sorgere, in mezzo alla fame e alla miseria che desoleranno quel disgraziato Paese, qualche possibilità di pace di compromesso, vale a dire la restaurazione di quel governo imbelle democratico, basato sul cosidetto suffragio universale, cosi prono ad ogni cenno franco-britannico. Questa soluzione intermedia, dato il grado feroce di intensità che ha raggiunto la lotta in !spagna e il carattere degli spagnoli, sembra che si possa escludere ma non è dubbio che sarebbe l'ideale soluzione per la «grande alleata ». Ma in Portogallo non si pensa a nessuna soluzione intermedia, che del resto se fosse ancora possibile non sarebbe che una tregua; qui si vuole il trionfo dei nazionalisti e si vorrebbe trascinare l'Inghilterra completamente in tal campo mentre si considera la Francia nel campo nemico e non si perde occasione per denigrare con la stampa e con la radio la sua politica e la sua situazione interna. Con le Repubbliche sovietiche il Portogallo non ha relazioni, anzi combatté l'ingresso di esse a Ginevra e allora si poté a stento convincere la delegazione portoghese ad astenersi dal voto contrario.

La posizione del Portogallo è veramente interessante e non vi è dubbio che il suo deciso atteggiamento ha portato e porterà non piccolo contributo alla vittoria che sembra delinearsi del nazionalismo in !spagna (1).

(l) -Vedi D. 43. (2) -T. 4140/269 R. dell'll settembre, non pubblicato: comunicava Il contenuto del D. 47. (3) -Vedi D. 4.
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L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, BARBASETTI, AL CAPO DI STATO MAGGIORE GENERALE, BADOGLIO

L. R. P. 600. Parigi, 14 settembre 1936.

La mattina dell'8 corr., mentre noi addetti militari esteri assistevamo da St. Julien en Provence alle operazioni della seconda giornata delle grandi manovre del sud-est, il generale Gamelin mi ha chiamato in disparte e mi ha comunicato il suo desiderio di mettere al corrente V. E. dei risultati da lui raggiunti nel suo recente viaggio in Polonia (2). Mi ha incaricato di comunicarLe, personalmente e confidenzialmente, quanto segue, che io trascrivo nell'ordine con cui mi è stato riferito e cercando di essere quanto più possibile fedele:

l) I contatti da lui avuti in Polonia gli consentono di affermare che -se le condizioni esistenti l'anno scorso, dopo i colloqui di lui con V. E., sussistono tuttora -ci si deve sentire sicuri;

2) con detti contatti non soltanto si è ottenuto il senso della sicurezza, ma si è messa altresì la Germania nella condizione di non poter agire, in quanto

l'alleanza tra Francia, Inghilterra, Polonia e Italia (ammessa sempre -per quest'ultima -la continuità di validità degli accordi dell'anno scorso) costituisce un blocco contro cui la Germania certamente non cercherà di tentare la prova;

3) lo Stato Maggiore francese non intende approfittare di un tale stato favorevole di cose per dichiarare la guerra o per spingere comunque ad essa; la Francia ha in cima a tutti i suoi pensieri la conservazione della pace;

4) tutto quanto sopra è frutto di sole considerazioni e accordi militari, in quanto il generale Gamelin non può garantire che cosa faranno le mutevoli autorità politiche.

Io ho voluto particolarmente insistere sul punto --alquanto incerto finora -della collaborazione polacca ed ho chiesto se, in conclusione, il generale Gamelio era ormai sicuro di una tale collaborazione e se io avessi dovuto confermarla a V. E.; al che il generale mi ha risposto più volte affermativamente.

Il generale mi ha poi chiesto notizie sulla salute di V. E.; gli ho risposto che le continue visite che Ella fa, anche in volo, in ogni parte d'Italia ne costituiscono il migliore collaudo.

Dal comandante Petibon, segretario del generale e che Ella ha conosciuto a Rio de Janeiro, in un momento nel quale si discuteva sulla linea di condotta del governo social-comunista francese di fronte ai governi fascisti, ho avuto la confidenza che è stato lo stesso governo francese, di sua iniziativa, il quale ha spinto il generale Gamelio a rinsaldare i vincoli militari della Francia con la Polonia, nonostante che quest'ultima abbia un governo non di sinistra.

Nel corso della conversazione il Petibon mi ha anche fatto osservare che le manovre cui assistevamo entrano nel quadro degli accordi stipulati con V. E., in quanto le truppe del XIV e XV corpo d'armata, anziché essere addestrate sull'alta montagna a ridosso della frontiera italiana, come sarebbe stato opportuno se fosse intenzione di destinarle contro l'Italia, eseguivano le loro esercitazioni d'insieme in una zona arretrata di colline, simile a quella della frontiera nord-est.

Nei colloqui col generale Gamelio e col suo segretario io ho riportato l'impressione, Eccellenza, che il generale cor.ti sempre sinceramente sui vecchi accordi con l'Italia e ne desideri assai vivamente la continuità; ma anche nutra un'ombra di incertezza o di dubbio sulle nostre intenzioni. Il desiderio vivissimo della collaborazione italiana esiste, del resto, in tutte le alte autorità militari francesi, membri del Consiglio dell'Esercito, che mi hanno intrattenuto durante le grandi manovre. Certo, tale desiderio è promosso da interesse personale francese, consolidato dalla prova schiacciante dell'A.O. e dalla convinzione, profondamente radicata in tutte le autorità militari francesi, che la preparazione spirituale fisica e tecnica delle forze armate italiane ne fanno uno strumento di primo piano in Europa (1).

(l) -Il documento ha il visto di Mussol!n!. (2) -Dal 12 al 19 agosto precedente. Si veda serie ottava, vol. IV, p. 793, nota l.

(l) Il documento reca l'annotazione a margine autografa di Mussollni: «Importante».

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 9068/1216 R. Londra, 15 settembre 1936, ore 20,40 (per. ore 0,30 del 16).

Ho fatto oggi a Vansittart anzitutto comunicazioni di cui al telegramma di V. E. n. 461 del 12 corrente (1).

Vansittart ne ha preso atto e mi ha detto che nei prossimi giorni governo britannico esaminerà opportunità prendere senz'altro una iniziativa per scambio di vedute preliminari fra i vari governi per preparare lavori della conferenza fra le Potenze firmatarie Trattato di Locarno ed essere così in grado procedere a fissare, d'accordo con tutte le Potenze interessate, una data conveniente per la sua convocazione. Vansittart si affretterà a tenermi informato su quanto possa interessare direttamente od indirettamente la questione.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9133/3726/1280 R. Berlino, 15 settembre 1936 (per. il 17).

Rientrato da Norimberga stamane e sotto riserva di ulteriori, più dettagliate comunicazioni, riassumo intanto brevemente qui appresso a V. E., le mie impressioni sopra la portata politica del Congresso.

Come V. E. avrà rilevato, il proclama del Fiihrer del 9 settembre (2), la cui redazione sembrò -e forse era -non felicissima, aveva una impostazione più interna che estera. Il nucleo ne era costituito da tutto un nuovo «piano economico » che veniva giustificato con la situazione creata alla Germania così dalle sue condizioni economiche naturali, come dagli stessi suoi rapporti commerciali con gli altri Stati. Il proclama -in sostanza -premette il diritto di tutti i popoli, e quindi del tedesco, ad un tenore di vita confacente ai suoi bisogni. Dato che manca di certe materie prime, la Germania ha bisogno di procurarsele con esportazioni industriali, che, pertanto, costituiscono per essa una vera e propria necessità. Gli altri Paesi rifiutandosi di venire incontro a una siffatta esigenza, la Germania è costretta a trovare, e quindi produrre, le materie prime a casa propria. Donde un'autarchia, antieconomica se si vuole ma imposta alla Germania dagli altri. Questa la linea, di fronte alla quale le stesse rivendicazioni coloniali, pure interna

zionalmente importanti e sintomatiche, acquistano valore di incidente. Notevole, in questa parte, che, non solo gli accenni coloniali di cui sopra (sia per se stessi, sia per il loro « modo ») ma la medesima, intera impostazione del problema è tendenzialmente antinglese. Essa parte infatti da principi quasi socialistici, quali l'Inghilterra non ha mai ammesso, né ammetterà mai.

La parte più propriamente politica, o meglio di politica estera, del problema era, o appariva, almeno per lo spazio che vi era dedicato, relativamente secondaria. A mio parere, il Fiihrer abbondò nella parte economica (che mi si dice concepita e dettata assolutamente all'infuori di Schacht) anche perché, comunque, l'insistere sopra un «piano economico» si prestava a impressioni ed interpretazioni « pacifiche » nel momento dato internazionalmente utili. Ma la relativa sproporzione delle due parti si spiega sopratutto con una altra circostanza. Il Fiihrer aveva indubbiamente, in un primo momento, deciso di annunciare la ferma dei due anni a Norimberga. In questo caso, egli sarebbe stato portato a dare alla parte politica ed antibolscevica del « proclama » la preponderanza ed il peso che poi essa ha in fatto assunto nel corso del congresso. Senonché, avendo visto la possibilità di varare il raddoppiamento della ferma prima, e a poco prezzo, egli lo ha fatto. Donde l'apparente squilibrio cui ho accennato più sopra.

In ogni modo sta il fatto che, per chi si fosse tenuto al solo proclama del Fiihrer, la caratteristica e la nota del congresso non sarebbe stata quella antibolscevica, ma quella economica. La realtà, invece, si è rivelata diversa. Quelli che furono nel discorso del Fiihrer come degli accenni, per quanto marcati, diventarono poi, attraverso gli sviluppi successivi del congresso, la nota dominante, tanto dominante, anzi, da soverchiare ed assorbire tutto il resto. Incominciarono i Rosenberg e i Goebbels: ma fu poi, in ogni occasione ed in ogni momento, lo stesso Fiihrer a martellare -more germanico -sullo stesso punto fino a far convergere su di esso quasi tutto il discorso di chiusura, discorso che, nella sua foga e nel suo tono quasi polemico, è stato -pur nello stile prolisso che gli è proprio ·-uno dei migliori finora tenuti da Hitler.

Ho detto tenore quasi polemico dato che, effettivamente, il Filhrer aveva dovuto convincersi che gli accenni al problema bolscevico contenuti nel suo primo discorso e gli sviluppi datigli da altri avevano come «sorpreso» buona parte del pubblico internazionale, specialmente in Inghilterra. Egli è allora intervenuto per richiamare, per così dire, tutti i « precedenti » del problema e dimostrare come e perché esso avesse, anche storicamente, importanza e significato necessariamente maggiori e diversi per la Germania che per altri Paesi. Donde, come ho detto, la foga e quasi la violenza del suo linguaggio, tanto più significative quanto più tutti si aspettavano, o speravano, da lui -dopo quelle che vennero generalmente considerate come intemperanze di Rosenberg e di Goebbels -una parola moderatrice e discreta.

Quale la effettiva portata politica di tutto questo? A me che gliene chiedevo, Neurath, ancora nel terzo giorno del congresso, rispondeva: <<tutta roba ad uso interno». Non avrei io stesso avuto difficoltà ad accettare una tale spiegazione se, come ho detto, in tutta la seconda parte delle assise di Norimberga, la nota antibolscevica non fosse divenuta la nota quasi unica, non solo nelle bocche degli oratori professionali del partito, ma in quella stessa del Fuhrer che pure, si badi bene, aveva, frattanto, avuta la possibilità di apprezzare le ripercussioni all'estero delle prime manifestazioni oratorie del congresso ed essersi reso conto della emozione, per così dire, che esse vi avevano creato. Certo, dopo i più recenti avvenimenti di politica internazionale,

che avevano costretto la Germania, nell'interesse stesso di quella uguaglianza e di quella indipendenza che essa si era unilateralmente acquisite, a smussare le punte delle proprie aspirazioni esteriori in quanto esse avevano di più acuto e quindi di più contrastante con gli interessi altrui, il dinamismo del partito e del Regime aveva bisogno di avviamenti e direzioni nuove. Dopo il 7 marzo, Hitler era stato obbligato a promesse e concessioni capaci di provare il suo desiderio di pacifica convivenza con i terzi. Donde, tutta una serie di atti, intesi, se non alla soluzione, per lo meno all'acquietamento delle questioni internazionalmente più scottanti. L'amicizia con la Polonia viene così fatta resistere alle pur durissime prove danzichesi; la questione dì Memel viene a poco a poco avviata sul terreno delle intese commerciali, viene infine -quasi di sorpresa -risoluta, temporaneamente almeno, la questione austriaca. Tutte queste -specialmente l'ultima -erano per il partito delle vere e proprie rinuncie. E poiché lo stesso Ftihrer ha dichiarato e dichiara di aver le intenzioni più amichevoli possibili per la Francia, bisogna pure che le forze espansive deìla Germania trovino una direzione ed uno sfogo: verso la Russia, in termini territoriali; contro il bolscevismo, in termini ideologici. Questo processo era prevedibile e preveduto; i fatti di Spagna ne hanno soltanto accelerato e fissato lo svolgimento. Né è da ritenere che tutto questo sia soltanto coincidenza od artificio. Il regime hitleriano è certamente solido ed il congresso recente ne è anzi prova. Ma il processo di riassorbimento e di assimilazione dei milioni di comunisti che, ancora non molti anni fa, esistevano in Germania, è poi completo al 100 %? A me, che rilevavo la areligiosità di molta della gioventù tedesca, Ribbentrop, non più tardi di avantieri, osservava: «non dimenticate che questi giovani sono ancora i figli dei comunisti che pullulavano nel nostro seno... ».

Con una Russia bolscevica a destra, le cui intemperanze di linguaggio contro l'hitlerismo (vedi specialmente la propaganda radio) non hanno nulla da invidiare a quelle di Rosenberg, e una Francia a sinistra, che, sotto l'influenza degli avvenimenti spagnuoli, può essa stessa da un momento all'altro, diventare bolscevica, la Germania ha motivi seri e genuini, se non di allarmi (i quali possono effettivamente rispondere a esigenze contingenti di politica e di tattica interna), quanto meno di giusta preoccupazione. L'« altolà» intimato da Hitler può infatti essere inteso non solo per la Russia bolscevica, ma anche per la Francia e, indirettamente, (sintomatico al riguardo il linguaggio usato anche nel discorso di chiusura) della stessa Inghilterra. Non credo, tuttavia, che, all'infuori di questa messa in mora definitiva e solenne, tanto più necessaria quanto più prossima all'inizio di quelle trattative locarniste cui l'Inghilterra si accinge con una disinvoltura ed una faciloneria veramente maggiori del necessario, non credo, dico, che, all'infuori di questo, Hitler si proponga assai di più.

9 --Documenti diplomatici -Serle VITI -Vol. V

A Norimberga v'era, tuttavia, nel corpo diplomatico, chi si domandava sul serio se fossimo alla vigilia di una guerra germano-russa... Lo stesso Ribbentrop (che in questi giorni, come riferirò in altra sede, ho visto ripetutamente ed assai utilmente) mentre da una parte smentiva sui giornali inglesi ogni intenzione aggressiva della Germania, dall'altra domandava a me cosa l'Italia avrebbe fatto in caso di attacco contro la Germania da parte russa...

Non riferirei la cosa se, pur nella sua assurdità non si prestasse a sottolineare un lato piuttosto delicato della situazione presente. Avendo passato quasi cinque anni in Russia, posso attestare che non, dico non, manca a Mosca chi crede nella utilità di una guerra « preventiva :P contro la Germania. Orbene, altrettanto posso dire anche per quanto riguarda la Germania, dove (mi richiamo alle stesse dichiarazioni Milch-Valle (l) indirettamente confermate da quelle Goring-Magistrati (2) di qualche giorno fa) pure esistono tendenze ed elementi estremisti non alieni da guerre di « iniziativa ». Io non credo, però, che questi elementi, così in Russia come in Germania, siano destinati -per ora -a prevalere. Per parlare soltanto della Germania, l'esercito tedesco, mentre è già un possente strumento di difesa, manca certa.. mente ancora di «quadri». Non sarebbe mai senza una preparazione minuziosa e completa in ogni suo dettaglio che un regime nuovo penserebbe a a rischiare, -a meno di esservi costretto da gravi ragioni per ora non visibili -la sua stessa esistenza. Si tratta quindi, ripeto, semplicemente di una messa in mora, fatta in momento particolarmente opportuno così agli effetti russi (voci di rivolte interne) come a quelli francesi (difficoltà ministeriali) : messa in mora la quale, peraltro, non resterà -come vedremo in seguito -priva di conseguenze nella condotta della politica estera della Germania.

(l) -Vedi D. 47. (2) -Vedi D. 39.
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IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9274/044 R. Tangeri, 15 settembre 1936 (per. il 21).

Mio telegramma n. 519 (3).

Ieri è partito incrociatore germanico Graj Spee. Comandante incrociatore,

(per quanto, per accordo intervenuto fra comandanti navi guerra straniere qua

ancorate, siasi astenuto scambiare visite con autorità Zona Internazionale) ha

tenuto, come già fece la scorsa settimana ammiraglio Boehm allorché giunse

qua coll'altro incrociatore germanico Nilrnberg invitarmi a bordo e ricevermi

con speciale deferenza e cordialità.

Succedersi arrivo in rada più belle unità flotta germanica ha prodotto qua più profonda impressione tanto fra gli indigeni quanto fra gli europei. Gli arabi, per quanto siano ormai passati circa trent'anni da Agadir {l) e dalla cavalcata imperiale di Tangeri (2), non hanno ancora dimenticato Germania arbitra sorti Marocco e protettrice dell'Islam. I francesi hanno visto con amara delusione ritorno, in piena efficienza loro forze, di coloro che credevano di aver per sempre eliminato dal Marocco attraverso le vecchie e caduche clausole trattato Versaglia. Gli spagnoli, in gran parte comunisti, hanno assistito con profondo scoramento a questo spiegamento di forza di quelli che con l'Italia fanno senza quartiere argine al bolscevismo e all'anarchia. Gli altri europei, e sopratutto i nostri, hanno accolto arrivo navi germaniche come accolsero nostre belle navi, che con quelle germaniche hanno tenuto qua il primato della forza e del numero, come un pegno sicuro che loro diritti non saranno manomessi e conculcati dalle alleanze internazionali del Fronte Popolare.

~ Equipaggi navi germaniche si sono trattenuti tutta giornata a terra ovunque cordialmente accolti. Essi hanno fraternizzato coi nostri equipaggi e, cosa notevole, anche con vari marinai francesi, senza dar luogo benché minimo incidente (3).

(l) -Vedi Appendice, documento 1. (2) -Vedi D. 29. (3) -Con T. 8981/519 R. del 12 settembre, ore 18, De Rossi aveva dato notizia dell'arrivo a Tangeri dell'incrociatore tedesco Graj von Spee accompagnato dal cacciatorpediniere Greit.
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COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON IL SEGRETARIO AGLI ESTERI AUSTRIACO, SCHMIDT

VVERBALE (4). Rocca delle Caminate, 15 settembre 1936.

Il signor Schmidt, dopo aver portato al Duce il saluto del Cancelliere Schuschnigg, Gli fa presente che quest'ultimo attende con ansia la realizzazione della Sua promessa visita a Vienna.

Il Duce risponde che è suo desiderio di mantenere l'impegno preso, ma che la data dipende dalle condizioni di salute del Presidente Gombos, intendendo egli recarsi da Vienna a Budapest. Pertanto, fino a quando la situazione, in relazione alla salute di Gombos non sarà chiarita, il Duce ritiene più opportuno soprassedere al viaggio, che comunque resta confermato.

Il signor Schmidt, parla quindi delle condizioni generali dell'Austria dopo 1'11 luglio. La realizzazione dell'accordo austro-tedesco ha portato nel complesso un senso di benefica distensione nel Paese e nei rapporti fra l'Austria e la Germania: il governo austriaco è e rimane pronto a fare il possibile

(-4) Il verbale non è firmato ma è da ritenere sia stato redatto da Ciano che era presente al colloquio.

per facilitare l'applicazione dell'accordo. Però ad evitare le interpretazioni false o tendenziose di estremisti e pessimisti, conviene a suo giudizio, dimostrare che l'Italia annette all'indipendenza dell'Austria la stessa importanza che vi annetteva prima dell'accordo austro-tedesco. Dimostrare cioè che i Protocolli di Roma hanno e mantengono la loro piena efficienza. Un altro elemento che potrebbe venire a indebolire la situazione austriaca, sarebbe quello di una eventuale intesa tra Vaticano e Germania nazista. In questi ultimi tempi alcuni segni, oltre quello della lettera pubblicata dal clero tedesco (1), farebbero credere a una détente. Su questo argomento il signor Schmidt sì propone di intrattenere il eardinale segretario di Stato (2).

Non è intenzione del signor Schuschnigg di modificare in questo momento la composizione del governo austriaco. Però i problemi che si pongono con una certa urgenza sono: le Heimwehren e quello personale di Starhemberg il quale non nasconde il suo disappunto pei recenti avvenimenti e il suo risentimento verso Schuschnigg. Anche un tentativo recentemente fatto al fine di fare incontrare i due uomini, è fallito per l'opposizione di Starhemberg. Le Heimwehren sono ancora una forza notevole nel Paese, che comunque non può venire trascurata. Schuschnigg intenderebbe incorporarle nella Milizia dando poi il comando generale allo stesso Starhenberg; ma non è sicuro che questi voglia accettare.

Schuschnigg si propone tra breve di indire una grande adunata di 300 mila persone a Vienna. Adunata che ha lo scopo di tonificare il Paese.

Un altro elemento di difficoltà è dato dal legittimismo. Per quanto il Cancelliere sia di idee profondamente monarchiche, pur tuttavia egli ritiene che oggi sarebbe assolutamente inopportuno parlare di restaurazione in Austria. Di ciò non vogliono però rendersi conto né Otto né i suoi sostenitori. Il signor Schmidt chiede se, presentandosene l'opportunità, il governo italiano è disposto a far arrivare nell'ambiente legittimista una parola che inviti alla calma ed alla attesa.

Chiede infine notizia circa i rapporti italo-tedeschi. Questi negli ultimi tempi sono evidentemente migliorati. Il governo austriaco è sicuro però che ciò non significa mutamento di politica italiana nei confronti dell'Austria; ma in alcuni ambienti di opposizione si dice invece che l'Italia sarebbe pronta a sacrificarla per l'amicizia tedesca. Vorrebbe su questo punto qualche spiegazione e chiarificazione.

Il signor Schmidt parla infine della situazione militare austriaca. Non è stato possibile svolgere il programma completo per cui 250 mila uomini tra

esercito e milizia avrebbero dovuto essere pronti in breve tempo. Però l'anno prossimo, in primavera, sarà disponibile una forza complessiva di 150 mila soldati e militi. Per completare la preparazione e l'allenamento egli chiede che il rifornimento di armi da parte italiana venga continuato con regolarità e che alcuni nuovi tipi di cannone di grosso calibro siano forniti all'esercito austriaco.

Il signor Schmidt conclude il suo dire accennando a questioni di minore importanza che potranno venire trattate attraverso le rappresentanze diplomatiche e parla ancora del prossimo viaggio del fronte nazionale austriaco in Italia, i cui membri saranno capitanati dai signori Schmitz e Zernatto, che egli segnala alle premure del Governo fascista.

Il Duce, riprendendo ad uno ad uno gli argomenti trattati dal signor Schmidt, così risponde.

Dell'accordo austro-tedesco, ai primi di giugno, nella stessa Rocca delle Caminate, furono fissati gli elementi fondamentali. Non vi è dubbio che l'accordo rappresenta una svolta nella storia dell'Austria, ma non ha influenza sui nostri rapporti poiché noi intendiamo mantenerci strettamente fedeli alla amicizia dell'Austria e sostenitori della sua indipendenza. Però non è opportuno fare oggi dichiarazioni relative all'indipendenza stessa. Questa deve essere ormai considerata fuori di discussione, e la realtà operante dei patti di Roma deve essere testimoniata da atti e non da parole. Pertanto il viaggio de! signor Schmidt è stato di rilevante efficacia, così come potrà essere di grande rilievo la riunione dei tre ministri degli Esteri italiano, austriaco e ungherese, riunione che si stabilisce, salvo parere diverso dell'Ungheria, di tenere a Vienna nei primi giorni di ottobre p.v.

Per quanto concerne l'atteggiamento del Vaticano, il Duce ritiene che i rapporti tra Santa Sede e Germania non siano profondamente cambiati né sono suscettibili di radicali mutamenti perché, al di là delle apparenze e dei fatti contingenti, esistono alcuni principi fondamentali che allontanano il cattolicesimo dal nazismo.

In un recente colloquio avuto con Padre Tacchi Venturi, il Duce ha suggerito di non intensificare un'azione di clericalismo in Austria, che determinerebbe inevitabilmente l'opposizione delle sinistre e produrrebbe una reazione delle giovani generazioni. Sarebbe opportuno invece un pellegrinaggio austriaco a Roma, che darebbe modo al Papa di riconfermare, in un suo discorso, l'atteggiamento del Vaticano verso la Repubblica austriaca.

Concorda sull'opportunità di non modificare il governo austriaco: qualsiasi cambiamento determinerebbe una oscillazione e un disorientamento dell'opinione pubblica, con evidente vantaggio dei nazionalsocialisti e dei legittimisti.

Per quanto concerne le Heimwehren il Duce ricorda che in un suo colloquio con Starhemberg nel maggio scorso (l) lo invitò ad astenersi dal creare delle difficoltà a Schuschnigg. Lo Starhemberg mostrò di comprendere tale necessità. Comunque la soluzione deve essere la seguente: abolizione delle Heimwehren come forza armata di partito o loro incorporazione nella Milizia, forza

armata dello Stato. Il comando della Milizia dovrà venire offerto a Starhemberg. Qui le alternative saranno due: o Starhemberg accetta e si immette nel nuovo sistema di vita nazionale austriaco, o Starhemberg rifiuta e, da solo, si taglia fuori dall'attività politica del Paese. Se al momento opportuno apparirà conveniente, noi potremo far conoscere ulteriormente i nostri desideri a Starhemberg, inducendolo ad accettare le offerte del Cancelliere. Comunque la nuova Milizia dovrà essere una forza regolare dello Stato al cui funzionamento dovrà provvedere lo Stato stesso con suo bilancio, eliminando ogni e qualsiasi sovvenzione privata.

Il Duce concorda sull'opportunità di una ampia adunata a Vienna e consiglia che in essa venga fatta larga parte alla gioventù e alla Milizia in un quadro efficacemente coreografico: ciò al fine di controbilanciare l'influenza che sulla gioventù esercita il dinamismo tedesco.

Per quanto concerne il legittimismo, il Duce si dichiara convinto della superiorità del sistema monarchieo su ogni altra forma costituzionale, però concorda sulla assoluta necessità del rinvio ad altra epoca. La minaccia della restaurazione monarchica in Austria è l'elemento prinelpale che tiene unite Germania e Jugoslavia, le quali hanno, contro questa restaurazione, motivi differenti ma convergenti. La situazione potrà modificarsi col tempo: oggi il problema non è maturo.

I rapporti italo-tedeschi sono miglio!"ati fin dal momento in cui contro l'Italia furono applicate le sanzioni e la Germania rifiutò di aderire alle pressioni inglesi perché si unisse alle nazioni societarie in una attività antiitaliana. Però nessun protocollo è firmAto tra la Germania e l'Italia, e non è nelle previsioni di farne. Tra i due Paesi vi è un parallelismo di azione. Fino a quando esso durerà? Non si può ancora dare una risposta. Ciò dipende dai rapporti che si determineranno in futuro con l'Inghilterra. Allo stato de~Ii atti bisogna registrare che le relazioni anglo-italiane non sono buone. Conviene inoltre seguire attentamente la situazione che si sviluppa tra Germania e Gran Bretagna, dato che gli elementi della Wilhelmstrasse, non quelli del Partito nazista, tendono ad una intesa. La Francia di oggi non entra sostanzialmente nel nostro gioco: è difficile fare della politica con un Paese le cui condizioni interne sono quelle note.

Un altro elemento che è valso a rafforzare il parallelismo d'azione tra Italia

e Germania è stato la rivoluzione spagnola. In Spagna, Italia e Germania agi

scono d'accordo e ambedue sostengono la rivoluzione franchista.

Bisogna però considerare che i buoni rapporti tra Italia e Germania sono

un fattore in favore dell'Austria. La Germania ha sempre più ragione di tenere

all'amicizia dell'Italia e non vorrà comprometterla sul terreno austriaco. In

realtà adesso il dinamismo germanico è totalmente rivolto contro la Ceco

slovacchia, che attraversa un'ora di seria crisi e che potrà essere l'elemento de

terminante di un conflitto europeo. Del periodo durante il quale l'Austria non

è l'oggetto primo dell'attenzione della Germania, deve profittare per raffor

zare la sua situazione interna e per migliorare i suoi armamenti i quali po

tranno avere anche una forte influenza psicologica sulle masse che nel futuro

converrà sempre più orientare verso un'educazione militare e nazionale.

Per quanto concerne i particolari circa le nostre forniture di armi, il Duce si riserva di parlarne successivamente con gli esperti tecnici. Il colloquio, che ha avuto luogo alla Rocca delle Caminate, si è iniziato alle ore 10,10 ed ha avuto termine alle ore 12,30 (1).

(l) -Si riferisce all'invio nel porto di Agadir, il 1° luglio 1911, della cannoniera tedesca Panther, episodio che aveva dato inizio alla cosidetta seconda crisi marocchina. (2) -Il 31 marzo 1905, l'imperatore di Germania, Guglielmo Il, giunto a Tangeri con il suo yacht, aveva percorso a cavallo le vie della città per poi dichiarare pubblicamente, con evidente riferimento alla Francia, che la Germania sosteneva la piena sovranità del Marocco di fronte alle pretese di qualsiasi Potenza. L'episodio aveva aperto la prima crisi marocchina. (3) -Questo documento ha il visto di Mussollni.. (l) -Vedi D. 3. (2) -Circa la visita effettuata dal ministro Schmidt in Vaticano, non è stata trovata documentazione all'infuori di un telespresso che riportava quanto in proposito riferiva l'ambasciata presso la Santa Sede in data 29 settembre: «Circa l'atteggiamento dei cattolici in Austria nei loro rapporti con il terzo Reich informo, ad ogni buon fine, che il Cardinale Pacelli, parlandomi della visita avuta <!al Ministro Schmidt mi ha detto che, nella conversazione protrattasi per più di un'ora, aveva avuto occasione di manifestare a più riprese le vive preoccupazioni della Santa Sede sulle conseguenze che potranno verificarsi in seguito alle nuove disposizioni sulle organizzazioni cattoliche. In altri termini, pare che sua Eminenza il Segretario di Stato abbia fatto allusione alle possibilità di vedere ripetersi in Austria una situazione analoga a quella esistente in Germania, tenuto conto delle differenze sostanziali e tradizionali che esistono fra i due popoli ». (Telespresso 233852 del 10 ottobre all'ambasciata a Berlino e alla legazione a Vienna).

(l) Vedi serie ottava, vol. IV, D. 64.

68

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL SEGRETARIO AGLI ESTERI AUSTRIACO, SCHMIDT (2)

APPUNTO. Roma, 15 settembre 1936.

Nel colloquio che ho avuto ieri col segretario di Stato per gli Affari Esteri d'Austria, sono stati trattati i seguenti argomenti:

Spagna. -Il segretario di Stato austriaco mi ha espresso la sua preoccupazione per le condizioni in cui si trovano e verranno a trovarsi in futuro, i sudditi austriaci residenti in Spagna. Da tempo erano avviate le pratiche per l'istituzione di una legazione austriaca in Madrid. Adesso, prima di dare ulteriore corso a tale questione, il governo austriaco desidererebbe conoscere il nostro punto di vista.

Ho detto a Schmidt che allo stato degli atti consideravo assolutamente inopportuno creare una rappresentanza diplomatica presso un Governo che, con ogni probabilità, tra breve sarà definitivamente spodestato. Se, come tutto lascia supporre, Franco raggiungerà la vittoria, noi potremo opportunamente appoggiare presso il nuovo governo nazionale, col quale per le ragioni note si stabiliranno i rapporti più cordiali, i desideri e gli interessi dei cittadini austriaci.

Polonia. -Il signor Schmidt avrebbe voluto conoscere qualche particolare o informazione relativa al risultato conseguito dal generale Rydz-Smigly nel suo recente viaggio a Parigi (3).

Gli ho dato lettura del resoconto del colloquio che ha avuto luogo a Venezia tra detto generale e il sottosegretario di Stato Bastianini (4).

Inoltre in applicazione dei Protocolli di Roma del 1934 è stata decisa (come indicato nel relativo comunicato) la riunione a Vienna del Ministri degli Affari Esteri dei tre Stati ad una data da convenirsi e che, in principio, era stata fissata per la metà del mese di Novembre. Non si è discusso dell'ordine del giorno dl tale riunione che verrà ora stabilito di comune accordo tra Roma, Vienna e Budapest.

Quanto precede per informazione e opportuna norma di linguaggio ».

Il signor Schmidt, pure ammettendo che qualche miglioramento nei rapporti tra Francia e Polonia si è verificato in seguito a tale visita, ritiene che di sostanzialmente mutato nulla vi sia nella politica polacca.

Avuta da me conferma che le relazioni esistenti tra il governo italiano e quello di Varsavia sono, particolarmente in seguito al gesto polacco di abolizione unilaterale delle sanzioni (1), notevolmente cordiali, mi ha espressa l'intenzione del governo austriaco di aecentuare le relazioni già amichevoli che esistono tra Vienna e Varsavia.

Cecoslovacchia. -Gli ho confermato, a sua richiesta, che il modus vivendi commerciale recentemente firmato a Roma (2), non contiene nessuna clausola di particolare vantaggio per la Cecoslovacchia ed è totalmente analogo agli altri accordi commerciali realizzati dopo il 15 luglio coi Paesi ex-sanzionisti. Nessun mutamento è avvenuto, né si prevede, nei rapporti normali esistenti tra Roma e Praga.

U.R.S.S. -Mi ha chiesto se la rottura delle trattative commerciali aveva anche un contenuto politico.

Gli ho detto che le trattative commerciali si erano rotte in quanto la Russia ci chiedeva di deflettere da una linea di condotta adottata verso tutti gli Stati e che tende a condurre al pareggio assoluto la nostra bilancia commerciale. Certamente tale rottura di negoziati ha avuto un riflesso negativo anche nei rapporti politici tra i due Paesi i quali in questi ultimi tempi, particolarmente a causa della rivoluzione spagnuola e dei processi di Mosca (3), si sono intiepiditi, come lo provano le continue e violente campagne di stampa.

Jugoslavia. -Il signor Schmidt mi ha detto che già più volte il presidente Stojadinovic ha fatto conoscere al Cancelliere Schuschnigg il suo desiderio di incontrarsi con lui. Schuschnigg non ha dato risposta in nessun senso perché l'Austria desidera adattare i suoi rapporti con la Jugoslavia a quelle che sono

o saranno le relazioni italo-serbe. Ragioni sostanziali di disaccordo tra Austria e Jugoslavia non esistono, tranne la questione absburgica, sulla quale il governo di Vienna intende d'altronde soprassedere, e l'attrazione che tuttora la capitale austriaca esercita sul popolo croato. Comunque, poiché da molti segni sembra che tra Berlino e Belgrado si tenda a stabilire dei rapporti di particolare cordialità, Schmidt si domanda se non sarebbe opportuno determinare una distensione, che a suo avviso non dovrebbe essere difficile, per attrarre piuttosto Belgrado nell'orbita romana.

Ho detto a Schmidt che anche noi avevamo considerato il problema sotto questo aspetto e che in un prossimo futuro, allorché un nostro rappresentante diplomatico sarà a Belgrado, avremmo, con le dovute cautele e con molta sicurezza (4) esaminato quali possibilità vi fossero, e conseguentemente preso una decisione.

Rapporti economici itala-austriaci. -Il signor Schmidt, a nome del Cancelliere Schuschnigg, ha vivamente pregato perché ai rapporti economici tra i nostri due Paesi venga mantenuto il carattere attuale. L'appoggio dato in tale campo dall'Italia all'Austria è valso e vale profondamente a difenderne l'autonomia e l'indipendenza rispetto alla Germania.

Ho assicurato il signor Schmidt che i rapporti economici tra l'Austria e l'Italia saranno sempre guidati da un criterio politico e improntati allo spirito di amicizia che lega i due Paesi.

Riforma del Patto. -Ho confermato a Schmidt che noi non abbiamo preparato nessun progetto di riforma: comunque siamo contrari a qualsiasi rafforzamento dell'art. 16 e a qualunque modifica del Patto diretta ad aumentare la potenza offensiva della Società delle Nazioni.

Gli ho detto però, secondo quanto Avenol aveva recentemente riferito (1), che non ritenevo che nella prossima Assemblea il problema sarebbe stato discusso a fondo e nell'intento di raggiungere risultati positivi.

Riunione itala-austro-ungherese a Vienna. -Gli ho comunicato di avere richiesto attraverso il ministro Villani il gradimento del governo ungherese a tale riunione. In massima saremmo rimasti d'accordo per fissarla entro la prima decade di ottobre. L'ordine del giorno verrà concordato attraverso le rappresentanze diplomatiche.

(l) Con T. 4208 R/c del 18 settembre, ore 2,30, inviato alle principali rappresentanzediplomatiche italiane, Ciano cosi informava circa la visita del ministro Schmidt: « La visita rientra nel quadro dei Protocolli di Roma del 1934 tra l'Italia, l'Austria e l'Ungheria. Pur non avendo dato occasione alla trattazione di quistioni particolari, essa ha permesso un esame generico di qulstioni di politica generale e di quelle interessanti più particolarmentel'Italia e l'Austria. Schmidt ha espresso la soddisfazione sua e del Cancelliere pel funzionamento dell'Accordo austro-tedesco dell'H luglio e confermato che l! Governo austriaco desidera fare del suo meglio per facilitarne anche in futuro l'appllcazione pratica. In pari tempo ha confermato l'importanza che l'Austria annette ai Protocolli di Roma a cui essa intende continuare a mantenersi fedele. Pel rimanente nessuno speciale elemento o fatto nuovo è app3rsonel corso delle conversazioni, se non la conferma della politica dei due Paesi e degli esistenti rapporti di cordiale amicizia.

(2) -Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 68-71. (3) -Vedi D. 38. (4) -Vedi D. 57. (l) -Il 27 giugno precedente. Vedi sel"ie ottava, vol. IV, D. 391. (2) -Modus vivendi tra Italia e Cecoslovacchia per regolare gli scambi commerciali ed i pagamenti relativi, 31 agosto 1936 (Trattati e convenzioni, vol. L, pp. 287-288). (3) -Si riferisce al processo contro Zinoviev, Kamenev ed altri quattordici esponenti comunisti accusati di tradimento in collusione con Trotzsky. Iniziatosi il 19 agosto, il processo si era concluso con la condanna degli imputat:. che erano stati fucilati il 25 agosto. (4) -Sic.
69

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO UNGHERESE, G6MB6S

L. P. Roma, ... settembre 1936 (2).

La ringrazio sentitamente della Sua lettera (3). Sono spiacente che la Sua salute non si sia ancora completamente ristabilita, ma sono lieto d'altra parte di apprendere che un ulteriore periodo di cura affretterà la guarigione, che le auguro molto sinceramente pronta e completa.

Rinvierò il mio viaggio; ed esso avrà luogo durante la Sua presenza a Budapest. Sarei però d'avviso che intanto potrebbe avvenire la visita di Sua Altezza Serenissima il Reggente. Credo che Ella sarà d'accordo con me che essa dovrebbe aver luogo a Roma: potrebbe anzi essere stabilita senz'altro nella seconda metà d'ottobre. Sua Altezza Serenissima sarà naturalmente accolta con tutti gli onori che competono al suo rango ed è mio desiderio che la visita abbia la dovuta solennità.

V. E. mi farà cosa gradita se vorrà farmi conoscere le decisioni di Sua Altezza Serenissima in proposito.

T. -per corriere 9824/014 R. del 1° ottobre del console generale a Monaco di Baviera, Pittalis.

Gli avvenimenti di Spagna continuano naturalmente ad avere la mia maggiore attenzione, in ragione della loro gravità e complessità e delle ripercussioni che se ne possano attendere.

(l) -Vedi D. 26. (2) -Il documento è privo di data. Fu inviato intorno al 15 settembre, come si desume dal (3) -Il generale Gi:imbi:is, che dal 4 settembre si trovava ricoverato in una clinica di Monaco di Baviera, aveva scritto a Mussolini pregandolo di rinviare la visita in Ungheria perché le sue condizioni di salute richiedevano ancora alcune settimane di cure.
70

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1851/899. Istanbul, 15 settembre 1936 (per. il 24).

Di pari passo col rafforzamento dei rapporti politici si cerca un miglioramento degli scambi tra Turehia ed Inghilterra, come anche si aumenta la penetrazione industriale britannica in Turchia. Specialmente quest'ultimo punto è di tanto più importante in quanto circa un anno addietro, nel segnalare il progressivo indebolimento della influenza britannica ed il lento ma costante abbandono di ogni precedente posizione, riferivo a V. E. che questo consigliere dell'ambasciata britannica mi aveva affermato che era interesse inglese avere in Turchia la situazione più leggera possibile e il minimo di impegni.

A distanza di un anno, e dopo il periodo che si inizia nel dicembre '35 e che ha visto sorgere precisi rapporti turco-inglesi, il viaggio di Re Edoardo (l) ha un indubbio significato politico (anche la stampa inglese, Daily Telegraph e Times, può mettere in evidenza la amicizia turco-britannica ed il periodo di collaborazione apertosi fra i due Paesi).

La conclusione dell'accordo commerciale anglo-turco (2) ha suscitato grande soddisfazione in questi circoli, i quali pongono in particolare rilievo la rapidità del negoziato e l'atteggiamento di comprensione assunto nella circostanza dall'Inghilterra che contrasta con quello adottato nei riguardi dell'Argentina, della Grecia, della Rumania e di altri Paesi. Le parole del signor King, alto funzionario del Board of Trade, secondo cui l'accordo «costituisce un vero record di cui le due parti si pm;sono felicitare » vengono qui riferite con vivo compiacimento.

Notizie di stampa dànno per certo il prossimo arrivo in Turchia di alcuni esponenti dell'industria e della finanza inglesi per studiare sul luogo le possibilità di una collaborazione britannica al piano turco di costruzione industriale. Secondo le stesse notizie, il gruppo Brossert sarebbe già d'accordo con un istituto di credito per il finanziamento della nascente industria metallurgica e siderurgica di Karabuk (cfr. mie precorse segnalazioni in proposito e da ultimo mio telespresso n. 1640/735 dell'8 agosto c.a.) (3). Viene altresì annunziato che il noto finanziere e parlamentare Sommerville, già presidente della delegazione britannica alla Conferenza parlamentare internazionale, verrebbe qui fra giorni per gettare le basi di un'industria edilizia, col proposito di creare

!2) Accordo commerciale di clearing tra Gran Bretagna e Turchia del 2 settembre 1936 (MARi'ENS, VOl. XL, pp. 100-110).

delle città giardino ad Ankara, Istambul e Smirne, d'intesa con la locale Banca Fondiaria.

Le circostanze e le notizie che precedono provano come l'Inghilterra segua oggi nei riguardi della Turchia, anche nel campo economico, una via di stretto e progressivo riavvicinamento.

(l) Vedi D. 23.

(3) Non pubblicato.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2235/545. Bucarest, 15 settembre 1936 (per. il 19).

Faccio seguito al telespresso di questa R. Legazione n. 2184/536 del 10 corrente (l) .

La visita del signor Stojadinovic a Bucarest, avvenuta alla vigilia della riunione di Bratislava (2), sembra debba essere considerata come la manifestazione della volontà comune delle tre Cancellerie di Bucarest, Belgrado e Praga (specialmente di quella di Praga) di dimostrare ancora una volta la perfetta coesione fra tutti gli Stati membri della Piccola Intesa. Mentre fra Praga e Bucarest nulla era avvenuto che potesse far supporre un disaccordo, (anzi la politica di Benes e quella di Titulescu trovavano -oltreché nella comune linea di condotta verso l'Ungheria -un comune denominatore nella attitudine nei confronti della Russia) fra Belgrado e Bucarest invece pesava il mancato intervento di Stojadinovic al convegno dei capi di Stato della Piccola Intesa del 6 giugno, intervento che il signor Titulescu non riuscì ad ottenere nonostante il suo viaggio aereo dell'ultima ora a Belgrado. Per non frustrare quindi gli scopi dimostrativi del convegno di Bratislava era assolutamente necessaria una manifestazione di solidarietà jugoslavo-romena. E tale manifestazione non è mancata: discorsi ufficiali, dichiarazioni di Stojadinovic e di Tatarescu ai giornalisti, stampa dei due Paesi hanno riecheggiato il motivo dell'indissolubile amicizia dei due popoli vicini e dell'indistruttibile solidarietà dei tre membri della Piccola Intesa. Questo, ripeto, sembra essere stato lo scopo precipuo della visita di Stojadinovic a Bucarest, al termine della quale -senza far ritorno a Belgrado -egli si è recato direttamente a Bratislava insieme con il ministro degli Esteri romeno.

In tale atmosfera di rinsaldata amicizia ed a suggello della visita è stato concluso fra Jugoslavia e Romania un accordo in materia di fornitura di petrolio. Per tale accordo la Jugoslavia si impegna ad acquistare tutto il petrolio necessario al suo esercito, alla sua marina ed alla sua aviazione in Romania. La Romania si rifornirà a sua volta in Jugoslavia di alcune materie prime neces

sarie alle sue industrie di guerra (specialmente rame). Da un punto di vista economico non pare che questo accordo apporti sostanziali cambiamenti allo stato di fatto preesistente, poiché la Jugoslavia si riforniva già in Romania di larghi quantitativi di petrolio. L'accordo acquista invece speciale importanza per il fatto che, secondo informazioni di buona fonte, esso conterrebbe delle clausole riguardanti il caso di guerra: la Romania cioè anche in caso in cui essa fosse neutrale in una guerra combattuta dalla Jugoslavia, si impegnerebbe a non interrompere le sue forniture di petrolio alla Jugoslavia. Sembra inoltre che alla Jugoslavia verrebbe accordata una concessione per lo sfruttamento di terreni petroliferi sul genere di quella accordata al governo italiano attraverso l'A.G.I.P. e ì.a Soc. Prahova.

Non v'ha dubbio che se la visita di Stojadinovic ha condotto a delle pratiche realizzazioni, ciò è in gran parte dovuto al fatto che Titulescu non è più alla direzione del ministero degli Esteri romeno. E' noto infatti che egli con i suoi atteggiamenti di protettore e di patrono e con le manifestazioni della sua ambizione aveva finito col disgustare il presidente del Consiglio jugoslavo. A Belgrado, inoltre, non si vedeva di buon occhio la politica filo-sovietica di Titulescu.

La politica di riserva verso la Russia del nuovo ministro degli Esteri romeno, signor Antonescu, non può invece non incontrare le simpatie del signor Stojadinovic, di modo che è possibile prevedere per l'avvenire una sempre maggiore comprensione ed una più intima collaborazione anche nel seno della Piccola Intesa fra i governi di Belgrado e di Bucarest.

(1) -Non pubblicato. Riferiva sull'accoglienza particolarmente cordiale riservata a Stojadlnovicche si era recato a Bucarest in visita ufficiale dal 9 all'H settembre. A sua volta, Stojadinovic con il suo atteggiamento aveva «implicitamente sottolineato che le riserve della Jugoslavia verso la Romania erano dovute alla presenza di Titulescu nel governo e non a profonde divergenze nella dottrina generale della politica dei due Paesi>>. Parlando con il ministro Sola, Stojadinovic aveva poi espresso l'intenzione di agire concretamente per migliorare l rapporti con l'Italia. (2) -Riunione del Consiglio Permanente della Piccola Intesa, vedi p. 84, nota 3.
72

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9124/579 R. Parigi, 16 settembre 1936, ore 23,20 (per. ore 2,15 del 17).

Telegramma di V. E. n. 4169/C (1).

Mi sono espresso con Delbos nel senso che, mentre governo italiano considera che partecipazione del Portogallo al Comitato di Londra sarebbe desiderabile, esso non consente, né ad una pressione sopra il governo di Lisbona, né tanto meno all'estensione al Portogallo dell'embargo deciso verso la Spagna e gli ho esposto la ragione che suffraga nostro atteggiamento.

Delbos si è compiaciuto che l'Italia si renda conto dell'interesse comune

a tutti che il Portogallo partecipi al Comitato di Londra ed ha poi mosso obie

zioni circa discriminazione da noi fatta tra adesione all'embargo e adesione

al Comitato stesso, sostenendo che la prima implica se non proprio neces

sariamente almeno logicamente, la seconda. Riconobbe situazione speciale in

cui si trova Portogallo e necessità di difendersi. Sostenne però che la sua si

tuazione geografica rende necessaria sua partecipazione Comitato di Londra,

perché altrimenti la massima parte del contrabbando potrebbe passare per il suo territorio. Ove ciò non avvenisse, governo francese si troverebbe in posizione difficilissima per resistere alle pressioni dei partiti di sinistra che insistono per abolizione embargo al fine inviare liberamente armi e munizioni al Fronte Popolare spagnuolo.

Delbos mi ha detto che, recandosi domani sera a Ginevra, conta convincere Monteiro ad aderire ai lavori di Londra. Sa che stessa azione verrà svolta dal governo inglese presso il ministro degli Affari Esteri portoghese a Ginevra integrando così quella energica esercitata nei giorni scorsi a Londra.

Delbos mi ha detto che, se V. E. volesse fare pervenire dal suo lato a Monteiro una parola di incoraggiamento nello stesso senso, questa avrebbe molto peso, dato grande prestigio dell'Italia in Portogallo. Secondo Delbos, tutto quello che si richiederebbe a Monteiro, sarebbe in fondo soltanto di discutere a Londra le varie obiezioni contenute nella sua nota del lo settembre diretta ai governi francese ed inglese (l) che egli dichiarò essere giustificata.

(l) Vedi D. 60.

73

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3771/1295. Berlino, 16 settembre 1936 (per. il 18).

La stampa tedesca, com'è ovvio, ha dedicato durante la scorsa settimana praticamente tutto il suo spazio disponibile al Congresso del Partito nazionalsocialista di Norimberga, facendo passare in terza e quarta linea tutto quanto avveniva negli altri Paesi, dai quali riferiva quasi esclusivamente, e, naturalmente non al completo, i commenti di stampa al congresso stesso. Tale atteggiamento era naturale, non solo a causa della concentrazione sempre più forte di tutti gli organi di stampa nelle mani del Partito, delle sue organizzazioni o di persone, o istituti di sua fiducia, ma anche perché ancora l'anno passato furono presi gravissimi provvedimenti a carico di giornali che avevano «sabotato» il congresso non dedicandogli tutta l'importanza che merita secondo i suoi organizzatori.

La netta e precisa tendenza antibolscevica del congresso era prevedibile e, del resto, già prevista in base all'atteggiamento tenuto già da qualche settimana, e cioè subito dopo terminati i giuochi olimpici, da questa stampa, della quale basterà ricordare la campagna contro gli armamenti sovietici, chiusasi coll'adozione della ferma biennale in Germania. Naturalmente rientra nello stesso quadro anche l'atteggiamento appassionatamente antibolscevico tenuto da questa stampa nei riguardi della guerra civile che insanguina la Spagna e che, secondo l'interpretazione tedesca, non è che la conseguenza

del complotto organizzato da Mosca, che vuole iniziare da quella parte la conflagrazione destinata a portare la rivoluzione mondiale in Occidente.

Con tale preparazione spirituale, era naturale che la stampa si sforzasse con ogni suo mezzo di presentare il «Congresso dell'Onore » come la massima parata antibolscevica che sia mai stata vista finora. Uno sguardo alle collezioni dei giornali della settimana scorsa basta a mostrare come il tema dell'antibolscevismo sia quello che di gran lunga supera tutti gli altri, sia nei commenti redazionali ad ognuna delle più importanti manifestazioni del Congresso, sia nei titoli e nei sottotitoli che sono stati messi ai più violenti discorsi antisemiti ed antibolscevichi, come quelli del ministro Goebbels e di Rosenberg.

Nelle tre più importanti manifestazioni personali del Cancelliere, e cioè il proclama di apertura, il discorso alla sezione culturale del congresso, e il discorso di chiusura di esso, l'argomento che più è stato posto in rilievo è stato precisamente quello dell'antibolscevismo, passandosi, salvo rare eccezioni, quasi sotto silenzio tutte le altre parti, pure di primaria importanza, come quella economica, che sono state invece molto sottolineate, ed hanno dato luogo ad importanti commenti della stampa estera. In realtà, mettendo a raffronto i testi completi delle tre manifestazioni, si vede che la lotta senza quartiere dichiarata da Hitler contro il bolscevismo ha assunto uno spazio ed un'importanza sempre maggiore, ed è culminata nella dichiarazione di guerra senza compromessi né temperamenti del discorso di chiusura. Discorso che indubbiamente costituisce una delle più magistrali prove oratorie del Fiihrer tedesco e la cui efficacia non è certamente temperata dall'artifizio retorico di cui si è servito, erigendosi non già ad accusatore del bolscevismo, ma a difensore del proprio operato, impostogli precisamente dai nemici, anzi dal «nemico numero l dell'umanità », come in questi giorni è stato ripetutamente definito il bolscevismo dalla stampa tedesca.

Come ho già accennato precedentemente in questa stampa è stato dato posto abbastanza ampio ai commenti esteri al congresso, naturalmente in quanto lo permetteva lo spazio, ed in quanto i commenti non fossero obiettivamente sfavorevoli. Il contegno tenuto dalla stampa italiana è stato molto lodato, e da vari, se non da tutti, i giornali presentato come un sintomo dell'adesione italiana al fronte antibolscevico. Della stampa francese sono stati riferiti vari commenti elogiativi della stampa di destra pure rappresentata come già interamente guadagnata alla stessa causa. Relativamente scarsissimi, specialmente in paragone dell'usato, sono stati i commenti inglesi riportati da questa stampa, la quale, peraltro, non è del tutto riuscita a nascondere al suo pubblico le preoccupazioni di certi circoli britannici molto influenti, i quali temono che l'atteggiamento intransigente del nazionalsocialismo tedesco possa tagliare ogni possibilità di compromesso e rendere così più difficili che mai le trattative per la «pacificazione europea » a cominciare dai negoziati diplomatici per la Conferenza a cinque per il suo programma e per la sua data.

Entra evidentemente in questo ultimo settore la più importante e significativa manifestazione di stampa di questi giorni, e cioè la pubblicazione, a 24 ore di distanza, di due note politiche che il direttore della Frankturter Zeitung, R. Kircher, di cui sono notissimi i legami con il ministero degli Esteri, ha inviato al suo giornale e che sono in evidentissima contraddizione fra loro: nella prima nota, infatti, intitolata: «L'ombra sull'Europa» pubblicata 1'11 corrente, parlando delle riserve tedesche circa l'invito inglese a fissare per la conferenza di Locarno, una data nella seconda metà di ottobre, non solo accennava alla necessità di stabilire, con adeguata ed accurata preparazione diplomatica, il programma della conferenza, ma faceva a Sir Robert Vansittart un espresso rimprovero perché, pur dopo il suo recente soggiorno a Berlino, non si rendeva abbastanza conto della serietà colla quale la Germania considera l'esistenza del patto franco sovietico e vuole una completa chiarificazione al riguardo, prima di prendere parte a trattative di qualsiasi sorta. La nota concludeva che la Francia, finché mantiene quel patto, han può aspirare ad una intima amicizia colla Polonia od a una leale collaborazione colla Germania.

Quella nota, conoscendosi l'indole ed i sistemi di lavoro del Kircher era stata definita, senza dubbio giustamente, « ispirata » da molti giornali esteri, che l'avevano interpretata come un assoluto rifiuto della Germania a trattare, finché duri il patto franco-sovietico. Lo stupore fu quindi tanto maggiore quando, 24 ore dopo lo stesso Kircher in una nota intitolata: « Norimberga e la politica estera », svalutava quasi del tutto, dal punto di vista della politica estera, le manifestazioni del congresso di Norimberga, smentiva recisamente che esistessero in Germania varie politiche estere, affermando che ogni decisione, anche in quello, come in tutti gli altri campi, è rimessa al Fiihrer-Cancelliere, e dichiarava che la Germania aspira alla collaborazione co.n tutti quelli che abbiano buona volontà e che per questo essa ha già dato la sua adesione alla prossima conferenza di Locarno ed alla «Commissione di controllo» per la non ingerenza in Spagna. Riconosceva poi che a Norimberga ci sono stati dei violenti contrattacchi alla minaccia bolscevica ma si affrettava anche a dire che occorre aspettare per vedere quali ne saranno le conseguenze pratiche per la politica estera del Reich. Ad ogni modo, aggiungeva, le dichiarazioni ufficiali della Germania dicono chiaramente che essa non intende stringere patti di sorta con l'Unione Sovietica, e che è costretta ad agire con grande prudenza nei suoi rapporti con le Potenze che ne abbiano stretti con la stessa Unione ma che sarebbe del tutto sbagliato di volere andare più in là con delle deduzioni premature.

Questo « colpo di scena giornalistico » ha prodotto grandissima sensazione negli ambienti esteri di Berlino, che si sono sforzati di congetturarne in tutti modi le ragioni. Si è parlato perfino di intervento inglese, di rimostranze del signor von Ribbentrop al direttore della Frankfurter Zeitung per la prima nota, nella quale si era visto solo l'effetto dell'entusiasmo causato dall'ambiente di Norimberga e che era stato necessario di domare con la seconda, nella quale si arrivava a vedere la sconfessione, forse anche autorizzata da Hitler, delle intemperanze oratorie di Goebbels e C. che nella seconda nota della Frankfurter Zeitung erano fatte passare per manifestazioni ad uso interno, senza nessuna conseguenza pratica per la politica estera tedesca.

Sta di fatto che questa seconda nota apparve subito anche agli elementi maggiormente responsabili della politica estera tedesca e quindi più propensi a smorzare le tinte ed a facilitare le interpretazioni conciliative, troppo remissiva e troppo in contrasto con le linee generali adottate. Ragione per la quale, dopo la chiusura del congresso, venne pubblicata dalla stessa Frankjurter Zeitung per evidente inspirazione di quegli stessi elementi della Wilhelmstrasse, una terza nota, che può definirsi intermedia tra le due precedenti, nella quale, pur confermando l'atteggiamento difensivo della Germania nei confronti della Russia bolscevica, si attacca la tendenza francese di volere ad ogni costo un'alleanza col «peggiore nemico del nazionalsocialismo ».

Comunque, è bene osservare che il vero colpo di scena è avvenuto al momento della chiusura del congresso, cioè col discorso finale di Hitler, il quale non solo ha ripetuto ma ha integrato ed ampliato enormemente ossia ha dato loro carattere veramente ufficiale le manifestazioni oratorie dei suoi Unterjuhrer, non lasciando più la minima possibilità di dubbio sulle sue idee. Non resta quindi altro che attendere, per vedere quali saranno le istruzioni e le direttive che verranno date alla stampa nei prossimi giorni e dalle quali si potrà forse davvero desumere quali siano le conseguenze pratiche che si vogliono trarre dal fuoco tambureggiante di Norimberga contro il bolscevismo.

Appena ne sarà terminata la pubblicazione, mi riservo di inviare un numero speciale del Deutsches Nachrichten Bureau contenente la cronaca particolareggiata del congresso ed il testo di tutti i discorsi che vi sono stati pronunciati (1).

(l) Vedi D. 4.

74

IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, PITTALIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6891/521. Monaco di Baviera, 16 settembre 1936 (per. il 18).

«Quello che noi vogliamo è che l'Europa un bel giorno non sia dominata da Mosca ed è quindi ovvio che noi non avremo rapporti che con Stati basati su principi nazionali. E se anehe per questo alcuni ci chiameranno selvaggi, noi ci sentiamo nondimeno consci di essere migliori europei ». Queste parole pronunciate da Hitler nel ricevimento da lui offerto ai maggiori esponenti del giornalismo estero e più tardi da lui in termini più o meno simili ripetute nella solenne adunata di chiusura del congresso mi sembrano quelle che forse meglio rispecchiano e riassumono lo spirito che ha improntato tutte le manifestazioni norimberghesi di quest'anno. Di fronte a questo predominante problema hanno dovuto difatti finire col passare nell'ombra anche le rivendicazioni coloniali che per la prima volta sono state apertamente annunciate da Hitler stesso e che formano una delle parti principali del suo proclama che, come ogni anno, fu letto dal ministro Wagner all'adunata di apertura del

congresso. Il problema coloniale, in tal modo inquadrato definitivamente nel programma nazista, non è stato difatti più nemmeno menzionato in nessun'altro dei numerosi discorsi dei Reichsleiter e capi degli uffici del partito (lo stesso capo dell'ufficio coloniale generale von Epp era assente trovandosi a Washington) mentre è indubbia la direttiva unitaria di carattere antibolscevico loro impressa dal Fuehrer stesso che, a quanto so da buona fonte, ha personalmente esaminato e controllato ogni discorso d'ogni singolo oratore fin da una diecina di giorni prima.

Tutte le varie manifestazioni oratorie, in ogni singola sezione del congresso, presentano perciò la caratteristica di una stessa violenza di linguaggio, di uno stesso metodo di esposizione consistente nel raffronto a base di citazioni fra le miserie prodotte dal regime sovietico e le benefiche evolutive creazioni del nazismo.

Anche il problema economico, che dopo quello politico trovò ampio posto nelle varie dissertazioni, fu direttamente o indirettamente influenzato dalla predominante anticomunista. E se anche esso viene nella proclamazione messo in rapporto con quello coloniale (ove il Fuehrer ha affermato che la ricon

quista delle colonie perdute assieme alla produzione propria di alcune materie prime possono assicurare alla Germania la completa emancipazione da l'estero e costituiscono l'unica salvezza per l'economia tedesca) vi ha prevalso evidentemente un certo spirito retorico dell'oratore. Che Hitler stesso non possa seriamente credere che le colonie perdute possano fornire alla Germania tutte o quasi le materie prime necessarie alla sua industria, lo dimostrano le dichiarazioni che il suo fiduciario Hess ha fatte nel corso di una conversazione amichevole con il locale corrispondente Stetani che lo ha interrogato in proposito e che me le ha riferite: la Germania, ha detto Hess, non si ripromette di supplire, con il riacquisto di colonie, all'importazione dall'estero di quasi tutte le materie prime, quanto, piuttosto, di raggiungere la possibilità di risparmiare divise nell'acquisto di certi prodotti esteri impiegandole in quello d'altri che oggi non può comperare.

Dalla stessa conversazione con Hess è emerso anche un altro elemento interessante circa i metodi coi quali il nazismo intende procedere nella sua campagna antibolscevica: al rilievo dell'entusiasmo innegabile manifestato al Fuehrer durante il congresso dei diecimila lavoratori dei sindacati, Hess ebbe a rispondere che era stato espresso desiderio del Fuehrer che il convegno degli operai assumesse quest'anno particolarissima importanza, perché egli vuole che fra essi il seme antibolscevico porti i suoi maggiori frutti e perché fra essi egli desidera trovare la maggiore comprensione per la campagna che egli si propone per una maggior produzione, ciò che per un primo tempo è necessariamente collegato con sensibili sacrifici da parte del ceto operaio. (Vedansi in proposito le dichiarazioni di Hitler circa l'aumento dei salari possibili soltanto con una maggiore produzione). E come anche questo concetto abbia in modo particolare e quasi predominante ispirato il Fuehrer nel congresso di quest'anno, lo dimostra la speciale insistenza colla quale egli in più d'uno dei suoi discorsi ha sottolineato la propria origine operaia e quella del pari della maggior parte dei più alti gerarchi di partito e dei suoi luogotenenti. Le ultime

\0 -lJocumenti diplomutid -H~rie Vlll -Vol. V

parole da lui pronunciate al congresso furono quelle di un ritorno alla prima, originaria ortodossia del partito, colla purezza, egli ha detto, di animo e di carattere che contraddistingueva la sua vecchia guardia, ove la cultura od il censo non erano né potevano essere elemento determinante il merito dei singoli. Agli effetti interni, quindi, e secondo l'impressione riferitami anche da qualche esponente della Casa Bruna, se l'andamento del congresso socialnazionale chiusosi avantiersera a Norimberga può fin d'ora permettere il pronostico di qualche prospettiva, apparirebbe la tendenza del partito ad un assetto più spiccatamente socialista, ad una ancor maggiore differenziazione dalle così dette classi borghesi del passato.

La tendenza antisemita, come del resto era preveduto, ne è uscita ancor più rafforzata, inquadrandosi nella crociata antibolscevica.

Della prevalente preoccupazione antibolscevica e quindi antigiudaica, sembra invece essersi avvantaggiata la questione religiosa nei riguardi dei cattolici, verso i quali ultimi, a differenza dei precedenti, non è uscita quasi nessuna frecciata nel corso di questo congresso, lasciando così adito a quelle più ottimistiche previsioni di cui facevo cenno nella conclusione del mio rapporto del 3 corr. n. 6566/490 (1).

Se sostanzialmente il congresso annuale di Norimberga tende così a diventare un elemento essenziale della politica germanica, ossia l'« assemblea generale » del nazismo, esteriormente esso accenna a cristallizzarsi in una ben determinata serie di manifestazioni, destinata, quasi a guisa di una cornice liturgica, a dare soltanto rilievo e splendore all'avvenimento. Il raduno dei militi del lavoro, della gioventù hitleriana, degli squadristi, e dell'esercito, nonché lo svolgimento del congresso stesso nel padiglione alla Luitpold-Arena e persino l'ordine cronologico dei discorsi non hanno subito varianti.

Forse un giorno la grandiosità aumenterà, come appare dai lavori edilizi progettati fra cui un edificio del congresso capace di contenere 60.000 persone che, come disse Streicher, Gauleiter di Norimberga, sarà «il più grande e più bello al mondo », ma mai vi subentreranno cambiamenti di forma radicale. Ciò ebbe a dichiarare Hitler stesso quando l'inviato speciale del Times mister Ebbut, con dubbio tatto, gli disse che tutto il congresso era bello ed imponente ma che in fondo era sempre la stessa cosa. « Sì, gli rispose Hitler, io stesso voglio che il congresso non cambi la forma che gli abbiamo dato una volta per sempre, ma nello spirito esso è in continua evoluzione, e lo è anche là dove forse non appare affatto, cioè nelle stesse masse della SA, SS, Servizio del lavoro e delle schiere delle camicie brune che vi partecipano poiché ho ordinato che tutti i nazisti almeno una volta vi siano presenti, e ne abbiamo 10 milioni».

Nei nostri riguardi, ed a quanto diversi testimoni oculari mi hanno con

fermato, la delegazione del partito fascista ed il ministro Parini hanno avuto

accoglienze ufficiali e di massa che ricordano il cordiale entusiasmo di tre anni fa, al primo grande « Congresso della Vittoria » dopo l'assunzione al potere di Hitler. Anzi, secondo gli stessi testimoni oculari, che sono in grado di fare il confronto, tali accoglienze sono state questa volta ancor più generali e significative. Mi richiamo altresì alle dichiarazioni che Hitler nei riguardi dell'Italia ebbe a fare durante il ricevimento ai rappresentanti della stampa estera, al corrispondente Stetani e che questi ha già direttamente trasmesse.

Rilevo da ultimo che in questo Congresso, Hitler ha una volta di più imitato Mussolini. Anch'egli si è, per la prima volta ed a due riprese, rivolto nei suoi discorsi direttamente al pubblico, indirizzandogli domande che hanno suscitato risposte entusiastiche di consenso (1).

(l) Questo documento ha il visto di Mussolini.

(l) Il console generale, Pittalis, •i riferiva che le autorità naz!onalsocialiste della Baviera stavano sopprimendo progressivamente ·:e scuole confessionali per sottrarre la gioventù all'influenza della Chiesa cattolica ma aggiungeva che negli ultimi tempi si stava delineando un'atmosfera più serena nel campo della lotta religiosa come conseguenza degli avvenimenti spagnoli, tanto da far intravedere «possibilità di riconciliazione e d! intese fra autorità rel!g!ose ed autorità civile».

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IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RR. 3498/499. Zagabria, 16 settembre 1936 (per. il 21).

L'avvocato zagabrese, dottor Mile Miskulin ex ministro « croato » nei governi di Belgrado e oggi deputato «nazionale croato » (eletto sulla lista di

B. Jeftic) nel governo del dott. Stojadinovic, disse a persona amica, appartenente ai locali circoli militari, che il Principe Paolo ha avuto di recente un convegno con il Re inglese e che lo Stato Maggiore jugoslavo ed il ministro inglese della guerra « hanno già concluso e firmato un accordo circa le Bocche di Cattaro, come base navale ed aerea inglese ». Il contratto porterebbe le sigle del Re inglese, Principe Paolo, Reggenti jugoslavi, tre capi dello Stato Maggiore jugoslavo e tre capi dello Stato Maggiore inglese. Lo Stato Maggiore inglese si sarebbe impegnato di passare alla visibile fortificazione delle Bocche di Cattaro solo fra tre anni e nel frattempo studierebbe invece i necessari piani di fortificazione da ampliare. Oltre al compenso in denaro (il condono di certi debiti) lo Stato Maggiore inglese si sarebbe impegnato a garantire l'integrità statale della Jugoslavia. Pure a detta del dott. Miskulin, della faccenda sarebbe stato informato anche il dott. Macek, al quale gli inglesi avrebbero promesso che essi indurranno i serbi a sistemare lo Stato su base federalista. Deve evidentemente trattarsi della notizia già da me precedentemente segnalata (2) al tempo delle garanzie mediterranee richieste dall'Inghilterra agli Stati mediterranei, durante la guerra etiopica.

Debbo notare che non solo il soggiorno del Sovrano inglese in Dalmazia, ma i consigli e le lusinghe che si assicura siano date da tempo dal governo e

da vari personaggi britannici alla Jugoslavia ufficiale e a questo partito del dott. Macek, mostrano come l'influenza britannica da queste parti sia spiegata in maniera continua e, senza dubbio, antitaliana e antifascista (1).

(l) -Il documento reca il visto di Mussol!n!. (2) -Nel dicembre 1935, il console Umiltà aveva comunicato di avere appreso che Gran Bretagna e Jugoslavia avevano concluso un accordo in base al quale, in caso di conflitto tra l'Ital!a e la Gran Bretagna, quest'ultima avrebbe potuto utilizzare delle basi militari nelle Bocche di Cattaro e a. Sebenico. Come contropartita, Londra si era impegnata ad appoggiare la Jugoslavia nelle sue rivendicazioni territoriali verso l'Italia (T. posta 6984!798 del 28 dicembre 1935. II documento ha il visto di Mussolini). In proposito, si vedano anche i DD. 179 e 400.
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L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9231/0102 R. Vienna, 17 settembre 1936 (per. il 19).

La conferenza della Piccola Intesa (2) è stata seguita in Austria con attenzione, ma con altrettanta calma «Al Ballplatz non ha destato alcuna reazione la circostanza che la riunione sia stata tenuta a Presburgo, al confine cec0-ungaro-austriaco. E quanto al comunicato finale, l'impressione è che la stessa ampiezza di esso non sia proporzionata ai risultati pratici conseguiti, specialmente considerando la vastità dei problemi ai quali la riunione avrebbe dovuto far fronte. Il tono del comunicato è ad ogni modo considerato assai moderato e tale da lasciare apparire il desiderio di facilitare una futura collaborazione con il blocco romano, per quanto alcune frasi possano sollevare fin da ora una certa reazione da parte dell'Ungheria.

A tal proposito, il segretario generale mi ha detto che Krofta, presso il quale il ministro austriaco a Praga si era recato per indagare su le intenzioni cecoslovacche sopratutto in merito ad eventuali dichiarazioni antiabsburgiche, era col signor Marek tornato sull'argomento del riarmo austriaco, dolendosi che Vienna non avesse risolto la questione in previo accordo con Praga e non avesse, più tardi, neppure risposto alle osservazioni della Piccola Intesa, mostrando cosi di non considerare al suo giusto valore lo spirito di cui Praga continuava a dar prova. Il signor Peter anzi ha aggiunto essere d'avviso che a motivo dell'avvicinamento jugoslavo verso Berlino (in parte dovuto all'intimità degli altri àue membri della Piccola Intesa con Mosca, divergenza di strade, questa, sulla quale il Ballplatz sembra voler speculare) Praga e Bucarest mostrerebbero voler affrettare un riavvicinamento con Roma e che anzi in questo senso premerebbero anche su Belgrado, persuase che una chiarificazione fra la Jugoslavia e l'It:::Jia servirebbe ad evitare relazioni troppo amichevoli di tali due Paesi con Berlino.

Segretario generale -il quale, giova osservare, non ha finora condiviso gli entusiasmi di altri dirigenti del Ballplatz per la Piccola Intesa in genere e per la Cecoslovacchia in ispecie -mi ha poi detto che la frase del comunicato finale della Conferenza relativa al riarmo austriaco è stata soppressa da questa stampa che ha ricevuto ordini di non ritornare sull'argomento; che invece i giornali hanno avuto istruzioni di dare ampio risalto al programma di

armamenti della Piccola Intesa; che infine il piano di riorganizzazione danubiana del signor Hodza non viene considerato molto seriamente neppure negli stessi circoli cecoslovacchi.

(l) -Questo documento ha il visto di Mt<ssolini. (2) -XI consiglio della Plccola Intesa tenutosi a Bratislava dal 13 al 15 settembre. Per il testo del comunicato finale, al quale si fa qui riferimento, si vecla Documenti di politica internazionale, pp. 643-644.
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L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2948/1146. Mosca, 17 settembre 1936 (per. il 21).

Le relazioni sovieto-tedesche hanno in queste ultime due settimane raggiunto un punto massimo di tensione. Le quotidiane invettive antinaziste della stampa moscovita non hanno oggi più limiti, oltrepassando ogni elementare decenza. Nel breve corso di poche settimane sono venute ad aggiungere nuova esca al reciproco odio: l) le polemiche sulla ingerenza nella guerra civile in Spagna; 2) il raddoppiamento della ferma militare in Germania; 3) i commenti tedeschi al processo antitrozkista di Mosca (l); 4) il recente congresso di Norimberga.

Senza stare ad esaminare partitamente questi nuovi motivi di attrito fra Mosca e Berlino, basterà rilevare che se le antitesi ideologiche ne costituiscono un inevitabile e costante alimento, le rigide posizioni assunte nello scacchiere politico europeo ne sono indubbiamente il fattore determinante. Almeno per quanto riguarda Mosca, essa ormai reagisce ad ogni questione europea essenzialmente in funzione anti-hitleriana. Sarebbe arduo voler giudicare quale dei due, U.R.S.S. e Germania, si senta maggiormente insidiata dall'altra. Il certo è che il Cremlino crede o ritiene di trovarsi sotto una costante minaccia di una improvvisa aggressione tedesca. Da qui, gli intensi apprestamenti militari sovietici. Da qui, il perseverante sforzo della politica estera di Litvinov per cercare di isolare politicamente la Germania. Per raggiungere questo scopo, non sembra neppure sufficiente la correlazione alleanzistica franco-sovietica con la sua appendice cecoslovacca. E cosi la politica dell'U.R.S.S., mentre tende ad attirare l'Inghilterra, la quale, secondo voci diffuse in questo corpo diplomatico, starebbe adesso diventando ostile a Hitler, cerca poi di non inimicarsi l'Italia, facendo leva sulla minaccia dell'espansione tedesca in Austria e nei Balcani.

Accanto a questi fini positivi e, per cosi dire, immediati, l'U.R.S.S. punta poi, con intensa azione propagandistica, sull'ideologia societaria, sul sistema della sicurezza collettiva e sulla formula della «pace indivisibile ». Da qui, l'offensiva «per la pace su tutti i fronti». Da qui, la tattica collaborazionistica con la democrazia occidentale. La diplomazia ideologica e quella politica convergono a questo stesso fine di lotta senza quartiere contro la Germania.

Da parte sua, il Comintern, fedele servo del Cremlino, fiancheggia la politica sovietica, al servizio della pace ... dell'U.R.S.S. e della lotta contro il

fascismo. Sono noti i temi dei discorsi tenuti nelle cosiddette conferenze pacifiste di Bruxelles (l) e di Ginevra. <<Non è sufficiente lottare contro il pericolo di guerra -si è affermato a Bruxelles -ma bisogna lottare contro i portatori di tale pericolo, contro coloro che ritengono essersi iniziato un nuovo secolo del ferro e del sangue ». Per questa lotta ogni arma è buona. «Per la difesa della pace occorre attrarre i lavoratori senza distinzione di convinzioni politiche o religiose affinché partecipino alla lotta contro gli aggressori ».

Che l'aggressore potenziale sia la Germania, la stampa non ne ha certo fatto mistero, scrivendosi in proposito nelle lsvestia del 6 corrente che «i fascisti tedeschi ricattano il mondo borgheEe, sperando acquistare alleati per una crociata contro l'U.R.S.S. e concludono un'alleanza con la Chiesa cattolica. Essi tendono a stabilire il dominio del capitale germanico sul mondo; allar:>;ano la loro piazza d'armi per la futura guerra che stanno preparando ». «Il fascismo è la guerra. Chi è contro la guerra è contro il fascismo. Non è sufficiente per arginare i pericoli di guerra l'opera delle Società delle Nazioni, ma anche le masse popolari e piccolo-borghesi debbono prepararsi ad opporre le 'sanzioni proletarie ' per arrestare tempestivamente l'aggressore di domani ».

Il raduno di Norimberga ha poi esasperato i dirigenti sovietici, toccati nel vivo della loro politica interna, specie dopo la fucilazione dei sedici. Mosca cerca quindi di passare alla controffensiva, speculando sulla reazione che indubbiamente i discorsi del Fuhrer e dei maggiori gerarchi nazisti hanno prodotto nei cosidetti Paesi demoeratici, Inghilterra e Francia in testa. Contemporaneamente vengono messe in moto tutte le batterie delle propaggini comuniste e filocomuniste all'estero, appoggiandosi sui traballanti fronti popolari e sulle malinconiche «associazioni. degli amici dell'U.R.S.S.».

Concludendo, gli è certo però che l'attuale campagna antigermanica non va considerata come una delle solite sparate antinaziste del bolscevismo russo. Ha profondità, serietà e perseveranza di propositi. Mira a determinare contro la Germania un fattore psicologico internazionale nuovo per la difesa della pace, su cui i Soviet contano soprattutto per la difesa dell'U.R.S.S. E di queste manifestazioni che ormai si ripetono con persistenza, occorre tener conto per una valutazione della situazione generale europea.

(l) Vedi p. 72, nota 3.

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L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2964/1157. Mosca, 17 settembre 1936 (per. il 22).

La correlazione franco-sovietica è e resta -come è noto -un fattore positivo e fondamentale della politica estera di Litvinov. Di essa non se ne

parla nella stampa che per sottolinearne la solidità e registrare la cronaca delle frequenti manifestazioni di amicizia in occasione delle visite nell'U.R.S.S. da parte di delegazioni più o meno ufficiose, dei ministri o altri personaggi, di turisti, di militari, di deputati e senatori, di scienziati, aviatori francesi ecc.

Sarebbe superfluo soffermarsi qui a ricordare l'entusiasmo filosovietico suscitato dalle declamazioni rettoriche di Andrè Gide; le «soddisfazioni» espresse sul paradiso sovietico dalla delegazione di 27 « turisti » della municipalità di Parigi; l'enchantement testimoniato nella stampa e nelle radiodiffusioni dalle numerose e frequenti comitive di socialisti francesi e la premura da loro dimostrata nello smentire le voci sulla carestia nell'U.R.S.S. Il corrispondente della Havas, Gillet, va espressamente in Ucraina per telegrafare che nulla vi è di vero di quanto si è scritto, nei commenti della stampa internazionale, durante il processo dei sedici (1), sul terrore in Ucraina e sulla grave situazione in quella satrapia sovietica. I riservisti francesi, in fiammante uniforme militare, si commuovono arrivando alla Mecca bolscevica e visitano le due storiche capitali sotto il tamburellamento della propaganda dell'lnturist e dei «veterani» sovietici. Il campione tennista Cochet, giuocando con gli sportivi locali, fa delirare le folle degli spettatori moscoviti. Il ministro francese dell'Igiene Sellier ospite del collega Kaminski, esalta in interminabili interviste l'organizzazione ed i servizi sanitari nell'U.R.S.S. Che dire poi della solenne accoglienza fatta alla missione aviatoria francese e ad alcuni deputati socialisti, membri della commissione parlamentare per l'aviazione con a capo il signor Bossontrot, presidente della commissione stessa (telespresso n. 1054 del 27 agosto u.s.) (2). La sovietofilia di Pierre Cot ebbe nella circostanza la più concreta espressione di « cameratismo » politico con chiaro riferimento alle attuali contingenze internazionali.

E' infine appena ora ripartita la missione militare francese venuta ad assistere alle manovre dell'Armata Rossa, cui presenziava il commissario Voroscilov. Il generale Schwetzguth, a nome dell'esercito francese, elogiava le formazione e gli ardimenti militari sovietici, sottolineando le misure prese dall'U.R.S.S. nella preparazione « metodica » della gioventù al servizio militare « avant l'age»...

Sono queste le manifestazioni esteriori quasi quotidiane della correlazione franco-sovietica. Trovano esse, però, negli atteggiamenti dei due governi analoga corrispondenza di forma (3) e di entusiasmi? In sostanza queste sfere dirigenti male dissimulano la diffidenza ideologica verso i socialisti di Blum e gli assillanti dubbi sulla positiva efficenza del governo francese. Qui, sin dalla costituzione del ministero Blum, non si fa che svalutarlo ponendone in rilievo la debolezza congenita e quasi auspicandone l'ingloriosa fine... Nelle ultime settimane, poi, le vecchie tenaci antipatie bolsceviche nei riguardi dei socialisti francesi e del loro capo sono diventate vero e proprio astio in reazione alle vive proteste sollevate negli ambienti francesi della Seconda Internazionale dal processo moscovita contro i cosidetti terroristi trotzkisti-zino

vieviani e dalle sedici condanne capitali che ne sono state la conclusione. I rancori di questi dirigenti e gli interessi di partito sono venuti così a coincidere con le diffidenze espresse nei riguardi del governo Blum dalla politica estera sovietica, la quale teme che esso governo non abbia né l'autorità né la capacità di resistere pienamente alle lusinghe ed alle minaccie di Hitler.

Alla luce di queste considerazioni possono più agevolmente spiegarsi le manovre recentemente iniziate dal partito comunista francese contro il governo Blum. E cioè:

l) L'iniziativa comunista per la creazione di un Front Français, in contrasto con l'internazionalismo proletario cui è rimasto fedele il partito socialista francese con i suoi capi. Ossia, in sostanza, la rottura del Front Populaire trasformato in Front Français dallo ostracismo lanciato contro i socialisti. Costituzione di un nuovo governo, presieduto possibilmente da Herriot. Ma, anche una presidenza Lavai potrebbe essere più accettabile a Stalin che non la continuazione della presidenza Blum ... I comunisti, anche rimanendo estranei a questo nuovo governo « nazionale ~. colla disciplina del loro gruppo parlamentare vorrebbero essere gli arbitri della situazione ed imporre al Quai d'Orsay la politica estera desiderata da Mosca: nessun compromesso colla Germania, dal quale possa essere esclusa l'U.R.S.S.; conservazione ed efficenza del patto franco-sovietico ante amnia.

2) L'agitazione comunista contro l'accordo di «non ingerenza~ in Spagna, d'iniziativa del gabinetto Blum. Questa nuovissima attività dei cominternisti francesi mira a creare ai comunisti una specie di alibi politico nei confronti del proletariato spagnolo ed a riacquistare loro quel prestigio presso gli estremisti francesi che la politica salariale di Blum era riuscita a monopolizzare in favore dei socialisti. Mosca sarebbe indubbiamente lietissima se questa tattica comunista potesse costituire la «scorza d'arancio» per far scivolare l'attuale governo del Fronte Popolare francese... Intanto, è stato qui convocato il segretario del partito comunista di Francia, Thorez. Questi è testé qui giunto, dopo una misteriosa tappa a Varsavia. Si tratta forse di un nuovo tentativo di alibi moscovlta di fronte al governo Blum?

(1) Dal 3 al 6 settembre aveva avuto luogo a Bruxelles una grande manifestazione pacifista0rganizzata dal Rassemblement Universel pour la Paix, precedentemente fissata a Ginevra. In quell'occasione, l'ambasciatore Vannute!li Rey era stato incaricato di far presente al governobelga l'opportunità di ottenere dagli organizzatori l'impegno di non effettuare attacchi all'Italia e al suo regime, prospettando anche le ripercussioni negative che altrimenti si sarebbero potute avere sui rapporti tra Italia e Belgio (T. 8663/91 P.R. del 3 agosto 1936, ore 22). Il governo belga si era mosso nel senso desiderato, anche se la sua azione risultava condizionata dalla partecipazione all'adunata pacifista di esponenti socialisti tra cui il ministro Vandervelde (T. percorriere 7360/052 P.R. del 13 agosto) ma, come riferiva l'ambasciatore, tutto si era risolto in una manifestazione di schietto carattere comunista ed alla cerimonia di chiusura era stata data la parola ad un esponente abissino (T. 8797/157 R. del 7 settembre, ore 15,15).

(l) -Vedi p. 72, nota 3. (2) -Non pubblicato. (3) -Slc.
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L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TE!..ESPR. 2965/1158. Mosca, 17 settembre 1936 (per. il 21).

L'organo del Narkomindiel dedica oggi il consueto editoriale alla adunata di Norimberga. È l'argomento della massima attualità per tutta la stampa sovietica che reagisce nella maniera più viva alle dichiarazioni antibolsceviche dei membri del governo del Reich. Senza risparmiare invettive ed attacchi alle persone del Fiihrer e dei suoi gerarchi, il Journal de Moscou si sforza di dimostrare, con una esposizione circostanziata dell'attività politica internazionale nazista di questi ultimi tempi, la <<furiosa» aggressività della Germania contro la quale i governi occidentali non sanno opporre che delle «infruttuose conversazioni ». L'editoriale arriva a sostenere che nessun governo e neppure la S.d.N. osano esaminare le più cocenti questioni all'ordine del giorno « se ciò non conviene al signor Hitler ». Così a Ginevra vengono rinviate le discussioni più importanti quali quella della riforma della Lega per attendere i risultati della futura conferenza di Locarno alla quale «Hitler non si è ancora degnato accordare il suo pieno consentimento >>! Non è da meravigliarsi quindi -soggiunge l'ufficioso sovietico -che Hitler diventi sempre più insolente. Ergo la «sfacciata rivendicazione di colonie »; la serie dei tentativi per neutralizzare la Cecoslovacchia; «la esigenza imposta alla Romania di defenestrare Titulescu, minacciando di far rianimare l'Ungheria! ». L'articolista peraltro, con tono di ostentazione, affermava per contro che solo l'Unione Sovietica mantiene la sua piena libertà e indipendenza di fronte ad Hitler, accennando come non possa dirsi lo stesso della Francia e dell'Inghilterra le quali con ciò vengono chiaramente biasimate, fra l'altro, anche di aver consentito a cedere a « certe nuove teorie » di diritto internazionale che mettono sullo stesso piede tanto i ribelli che il governo legale di Spagna. E così scrive il Journal de Moscou -le grandi potenze hanno lasciato sfuggire pure tale occasione di arrestare la tracotanza del Fuhrer germanico. I Soviet -con tale ragionamento -cercano evidentemente di rigettare la colpa sui francesi per l'accordo di non ingerenza anche per rispondere a tono al << compagno » Blum che si è schermito dagli attacchi dei comunisti collo sventolare l'adesione dell'U.R.S.S. all'accordo.

L'articolo dell'organo del commissariato degli Esteri non è apparentemente che un'invettiva ma in sostanza offre motivo a diverse considerazioni:

l) Se una rottura definitiva delle relazioni tra Mosca e Berlino non sarebbe ancora desiderata nelle due capitali, malgrado lo stato attuale delle cose, certo oggi più che mai non si può neanche accennare a possibilità di détente nei rapporti tedesco-sovietici e ciò malgrado si assicuri che a Londra sarebbero stati dati suggerimenti in tal senso da Vansittart a Bismarck.

2) Mosca, nella sua lotta delle «democrazie» contro il «fascismo», si sforzerebbe di puntare esclusivamente contro la Germania e di ménager l'Italia, la Polonia e perfino il Giappone.

3) L'U.R.S.S. in carenza delle Potenze occidentali, sarebbe pronta a promuovere un «fronte comune » contro la minaccia germanica, attirando le piccole Potenze attraverso o all'infuori della Lega.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FoNOGRAMMA 9185/917 R. Ginevra, 18 settembre 1936, ore 18,10 (per. ore 19,35).

Avenol mi ha detto che la maggiore difficoltà che egli incontra per risolvere questione delegazione etiopica è quella della Commissione di verifica dei poteri. I vari delegati invitati a farne parte sono esitanti per tema di essere

accusati di prendere in seno ad una cormruss10ne tecnica una decisione di portata politica. Avenol si sforza quindi di convincere gli interessati che la commissione non dovrà fare che puro lavoro obiettivo su terreno giuridico. Secondo Avenol, il problema si porrà alla Commissione di verifica su queste basi che egli ha concordato con Basdevant. Non è il fatto che il Negus abbia abbandonato il territorio dello Stato l'elemento che può fare invalidare i poteri da esso emessi, dato che vi sono precedenti di altri sovrani che hanno abbandonato durante la guerra un loro territorio e dato che non si vuole col caso attuale costituire un precedente. Ma Tafari è un sovrano che non solo ha abbandonato il suo Stato ma non ha più alcun rapporto col suo Paese e non può quindi delegare rappresentanti che possano prendere impegni effettivi da porsi in atto sul territorio dello Stato etiopico. Il rapporto della Commissione di verifica dei poteri dovrebbe sostenere questo punto in linea puramente giuridica.

Avenol mi ha detto che Basdevant sosterrà questa tesi in seno alla commissione. Egli ha già conferito con la delegazione britannica che ha trovata consenziente in materia. Naturalmente il rapporto della commissione dovrà essere adottato dall'Assemblea a maggioranza di due terzi dato che trattasi di una questione di procedura. Avenol ha tuttavia dei dubbi che la questione sia solo di procedura ed ha incaricato i giuristi di studiare la cosa. Gli ho detto che a nostro modo di vedere la questione non può essere che di procedura e sarebbe inammissibile che un solo voto contrario lasciasse aperto il problema che nell'interesse stesso della S.d.N. deve essere seppellito in questa sessione. Avenol mi ha precisato che anche egli è d'avviso che la questione debba venire risolta una volta per sempre e per questo era contento che la delegazione etiopica si fosse presentata a Ginevra e che offrisse così il destro ad una decisione definitiva.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9198/1237 R. Londra, 18 settembre 1936, ore 21,47 (per. ore 1,10 del 19).

Trasmetto con corriere aereo che sarà Roma domani ore 16 traduzione testo nota (l) consegnatami personalmente da Eden circa inizio conversazioni diplomatiche in vista della conferenza Potenze firmatarie trattato Locarno.

Dopo avermi comunicato la nota, Eden mi ha domandato se avevo intanto qualche suggerimento da fare. Mi sono limitato a rispondere che avrei trasmesso documento a V. E. e che governo fascista avrebbe dato a tempo dovuto la risposta. Nel consegnarmi il documento Eden mi ha pregato di considerare

\1) Non pubblicato. Il testo della nota è In BD, vol. XVII, D. 206, allegato.

nota di natura segreta e confidenziale, dicendomi che per parte sua governo britannico non fornirà sul contenuto di essa alcuna notizia a indicazione alla stampa (1).

82

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. PERSONALE 9193/406 R. Berlino, 18 settembre 1936, ore 23,15 (per. ore 1,10 del 19).

Von Neurath, fino a ieri assente dall'ufficio per malattia, mi ha oggi comunicato, perché ne informassi in linea strettamente riservata V. E., che prendendo occasione da una visita a sua figlia (moglie del ministro Germania in Ungheria) egli si recherà domani a Budapest, ove parteciperà a qualche «caccia » con il Reggente Horthy, avendo naturalmente contatti e conversazioni così con lui come con le altre maggiori personalità politiche ungheresi. Nell'occasione egli ha mostrato un particolare interesse alla notizia pubblicata stamane di una visita di V. E. a Vienna e, dalle domande che mi ha fatto circa la data della medesima in relazione al periodo di assenza di Hitler da Berlino (che praticamente sembra debbasi protrarre quasi a tutto ottobre), mi è sembarto comprendere che egli stia pensando ad un possibile invito da indirizzare alla E. V., in occasione ed in connessione col convegno di Vienna, per una visita a Berlino. Che la mia interpretazione sia esatta mi sembra dimostrato dalla circostanza che von Neurath ha trovato oggi, per la seconda volta, (lo aveva già fatto una prima circa un mese fà), il modo di esprimere, per quanto in maniera incidentale, il desiderio di incontrarsi con V. E. Per parte mia, mentre non ho mancato rilevare la cosa tanto quanto bastava per mostrare già di aver compreso, mi sono astenuto dal fare di più e ciò in attesa di conoscere quali, al caso, sarebbero gli intendimenti della E. V.

Mi riservo di intrattenere della questione E. V. di persona.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9237/0408 R. Berlino, 18 settembre 1936 (per. il 19).

Von Neurath, appena rimesso da una influenza che lo aveva colpito a Norimberga, mi ha mandato oggi a chiamare per conferire ancora una volta

sulla situazione prima della mia, e sua, partenza. Le dichiarazioni che egli mi ha fatto concordano pienamente con quanto ho già telegrafato in data di ieri (n. 404) (1).

La posizione -egli mi ha detto -che il partito nazionalsocialista nel suo congresso annuale ha preso a Norimberga contro il bolscevismo va intesa come una affermazione --per quanto netta e forte -«ideologica », resa necessaria, da una parte, dalle notizie poco rassicuranti che giungono dalla Francia circa la sua situazione interna e, dall'altra, dalla persistente incomprensione inglese della situazione generale. Quella presa di posizione mira, sopratutto, a porre una buona volta il pericolo bolscevico all'ordine del giorno dell'Europa e del mondo, imponendolo all'attenzione universale. Ma la Germania sa -ha continuato Neurath -che nessun governo francese, e tanto meno quello di Blum, potrebbe senza altro «rinnegare» l'alleanza con la Russia sovietica e, quindi, si guarda dal domandarlo. Tuttavia, la Germania si attende che, se ed in quanto. una intesa con la Francia sopra un nuovo patto di Locarno sarà possibile, essa porterà come «conseguenza naturale» un allentamento dei legami fra Mosca e Parigi. Il senso, del resto, del congresso di Norimberga viene riportato a ragionevoli proporzioni anche negli ambienti di partito, i quali vogliono vedere nell'azione del Fi.i.hrer un avvertimento dato a chi di ragione e specialmente a Blum, che, ove si facesse soverchiare dai comunisti, egli troverebbe tutta la Germania nazionalsocialista pronta alla resistenza e, occorrendo, alla lott.a.

Passando alla questione di Locarno, Neurath, dopo aver sottolineato i persistenti tentativi della stampa inglese per separare l'Italia dalla Germania, ha nuovamente manifestato il desiderio di procedere di pieno accordo con noi, aggiungendo che si riprometteva. di rivedermi subito dopo il suo, e mio, ritorno. Egli non sapeva ancora nulla del contenuto della nuova « nota » che Eden ha annunciato. Eden, avrebbe fon.e posto dei <<quesiti » ai quali, peraltro, egli si riprometteva di rispondere «senza fretta».

P. S. Sulla questione di Loearno ho avuto, in pari data, una interessante conversazione con Ribbentrop è.i cui riferisco a parte (2).

(l) A questo proposito, l'incaricato d'affari a Londra, Crolla, telegrafava qualche giorno più tardi che «secondo informazioni avute da fonte attendibile la ragione principale della segretezzache il governo britannico ha voluto dare al suo memorandum del 17 settembre deve cercarsi nel paragrafo 5 del memorandum medesimo, ove viene fatto cenno al patto aereo. Il governo britannico in altri termini ha modificato la sua politica, finora favorevole ad un patto aereo separato e preferisce evitare per 11 momento pubbliche discussioni su questo punto. Le ragioni della modifica sarebbero le seguenti: l) fare cosa gradita alla Francia; 2) ottenere una maggiore presa sulla Germania rendendo più difficill i suoi eventuali e prevedibili tentativi di evasione; 3) allacciare tecnicamente 11 patto aereo agli altri patti che dovrebbero essere contenuti nel futuro accordo di Locarno ». (T. per corriere 9525/492 R. del 23 settembre).

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 9286/0259 R. Parigi, 18 settembre 1936 (per. il 21).

Ho procurato, subito dopo il ritorno dal congedo, di mettermi in relazione con i circoli politici francesi per rendermi conto della situazione interna, in base ai vari giudizi che avrei raccolto. I parlamentari sono in massima parte

tuttora assenti dalla capitale ed i giornalisti poco mi hanno detto di diverso da quanto scrivono i rispettivi organi di stampa. Le indagini compiute mi permettono ad ogni modo di esprimere sulla situazione della Francia, dal punto di vista interno, un giudizio più ottimista di quello che si poteva formulare un paio di mesi fa. Tale ottimismo è beninteso relativo e non esclude la possibilità di gravi avvenimenti, come conseguenza di azioni imprevedibili. Esso mi è ad ogni modo dettato dalla constatazione che la stragrande maggioranza del popolo francese ha cominciato a realizzare ed in parte ha già realizzato in pieno quello elle è il pericolo comunista. Molti, troppi francesi avevano all'epoca delle ultime elezioni votato per i comunisti perché malcontenti di quanto avevano fatto i vari governi succedutisi al potere negli ultimi anni e sopratutto perché si erano lasciati facilmente convincere che l'evoluzione naturale della Francia si doveva fare verso sinistra, cosicché vi era tutto da guadagnare a seguire decisamente questa corrente. Non convincimento politico ma tornaconto personale era dunque stato il movente di una quantità di pacifici piccoli borghesi francesi, attaccati alle loro proprietà ed ai loro risparmi e quindi tutt'altro che comunisti nel fondo dell'animo loro.

Gli avvenimenti di Spagna fecero aprire gli occhi di questi pseudo-comunisti i quali dovettero rendersi conto che non vi era soltanto da guadagnare a fare i seguaci di Mosca: che vi era pure un serio rischio da correre, quello di essere posti contro un muro e fucilati. Donde una più esatta valutazione delle situazioni ed una maggiore ponderazione di giudizio di quelli che definiremo i «pavidi >>. Si constata pure una forte ribellione da parte di buon numero di operai che, costretti subito dopo l'avvento al potere del governo di Fronte Popolare ad iscriversi ai sindacati comunisti, si sono resi conto che la Conjédération Générale du Travail non ha sempre tutelato i loro interessi, che si è lasciata guidare da idee preconcette anziché dal principio sano di trovare un equo componimento fra industriali e lavoratori.

Ciò per quanto riguarda la parte piccolo-borghese ed operaia. Nel campo politico, e precisamente nel Fronte Popolare, il malcontento dei raùico-socialisti è andato crescendo di mano in mano che essi constatavano gli insuccessi del governo e personalmente di Blum nel risolvere gli scioperi, nel fare evacuare gli stabilimenti industriali occupati dagli operai ed anche nel dare applicazione pratica alle leggi sociali fatte votare dal Parlamento.

La politica finanziaria del governo Blum non poteva fare più completo fallimento. L'emissione di Buoni del Tesoro che era stata prevista per un ammontare di 30 miliardi di franchi e che fu poi, per prudenza, lasciata illimitata, diede in tre mesi soltanto 4 miliardi, per raccogliere i quali si dovette ricorrere ad ogni sorta di provvedimenti. Ora il governo ha bisogno entro l'anno di almeno 20 miliardi e tutti si domandano come farà a procurarseli, dato che i capitalisti francesi hanno dimostrato in modo così palese di non avere alcuna intenzione di sottoscrivere al prestito nazionale.

Blum ha poi commesso recentemente un passo falso che dimostra come quest'uomo colto ed intelligente non si sia ancora immedesimato della sua posizione di capo del governo che lo deve porre al di sopra della ideologia del proprio partito. Quando il prefetto di Lille prima ed il ministro dell'Interno, che è allo stesso tempo sindaco di Lille, non riuscirono a risolvere il grave conflitto sorto nel nord-est della Francia tra industriali tessitori ed operai, Blum non trovò nulla di meglio da fare che recarsi egli stesso sul posto, senza però avere la certezza assoluta che si sarebbe raggiunto un compromesso. Questo fu un grave sbaglio da parte sua che diminuì il prestigio del presidente del Consiglio, tanto più che, dopo il suo ritorno inglorioso a Parigi, le trattative per la soluzione del grave dissidio furono riprese sotto la direzione del ministro di Stato Chautemps, radical-socialista e framassone e notoriamente aspirante alla successione di Blum come capo di un ministero di Fronte Popolare dal quale siano esclusi i comunisti e che possa contare sopra l'appoggio di qualche frazione nazionale. Chautu:1ps agi abilmente, cosicché poté essere concluso ieri un accordo raggiunto a mezzo di trattative condotte a Parigi, separatamente con gli industriali e con gli operai, avendo i pi"imi categoricamente rifiutato di discutere in presenza dei secondi e chiesto come condizione assoluta per iniziare la discussione che fosse loro garantito che i loro stabilimenti sarebbero fatti evacuare e che essi vi potrebbero avere libero accesso, essendo in casa loro e non dovendo sottostare al beneplacito degli operai. Avendo ottenuta soddisfazione accedettero poi a taluni aumenti di salario chiesti dagli operai. Dopo di che in una riunione plenaria si poté firmare un accordo che fu salutato con gioia tanto in Francia che in tutti i Paesi che guardano con ansia legittima ciò che sta accadendo in questo Paese.

Così, il governo del Fronte Popolare può vantare un successo. D'altro canto, questo viene attribuito dai radical-socialisti ad uno dei loro maggiori esponenti, cioè a Chautemps, che effettivamente, agendo seconò.o metodi non inspirati alla rigida dottrina marxista, seppe trovare la via di uscita da una situazione irta di ogni sorta di ostacoli e tranelli. Ciò accrebbe di molto il prestigio di Chautemps, nel quale si vede o;:-a più elle mai il futuro presidente del Consiglio di un Gabinetto di Fronte Popolare, senza però contare sull'appoggio dei comunisti. Per ben marcare che la tendenza del futuro Gabinetto sarebbe sempre decisamente di sinistra, si attribuisce a Chautemps l'intenzione di mantenere nel ministero Blum e si giunse fino a preconizzare quest'ultimo come ministro degli Affari Esteri, ancorché sia nota l'aspirazione di Chautemps di tenere per sé il Quai d'Orsay.

Si sbaglierebbe peraltro se si credesse che Blum è disposto a farsi sbarcare così facilmente. Egli si è reso conto di avere compiuto un passo falso recandosi a Lille e ritornandone a mani vuote ed è quindi sollecitamente corso ai ripari cogliendo l'occm:.\one offertagli dal Cancelliere Hitler con i suoi discorsi di Norimberga e facendo dal suo lato le dichiarazioni di politica estera del 17 corrente (1). Queste ultime pronunciate con la voce melliflua propria a Blum non contennero nulla di nuovo e furono la riaffermazione del credo liberale. Esse ebbero però in Francia una eco assai vasta, anche presso coloro che sono tutt'altro che teneri per il presidente del Consiglio ed il suo governo, perché se deplorano ed osteggiano l'accordo franco-sovietico concordano colla

opmwne espressa da Blum che la Francia non può ammettere che le venga prescritta dal di fuori la linea di condotta politica da seguire. Tutti poi convengono che deve essere attribuito a Blum il merito che gli spetta di non aver tardato a ribattere i discorsi di Norimberga. Si dirà che non ci voleva un grande coraggio ma tutto è relativo a questo mondo ed i precedenti governi francesi avevano abituato la Nazione ad ingoiare senza reagire tutti i rospi provenienti dalla Germania.

Rimane da esaminare la situazione del fronte comunista e di quello nazionale. Il viaggio a Mosca di Thorez forma oggetto dei più svariati commenti. Le destre lo sfruttano per dichiarare che il segretario del partito comunista francese si è recato presso Stalin per ricevere delle istruzioni, il che costituisce un'enormità intollerabile e giungono a chiedere a Blum di rassegnare senz'altro le proprie dimissioni, non riuscendo a mantenere la disciplina nel Fronte Popolare. Non mancano persone più moderate le quali ritegono invece che la partenza segreta di Thorez per Mosca abbia avuto lo scopo di rendere esattamente edotto Stalin e il Comintern dello stato di cose in Francia, stato di cose che, attentamente vagliato dal punto di vista interno ed estero, non dovrebbe far concludere per la ripetizione dell'esperimento della rivoluzione comunista in Francia dopo quello spagnuolo così mal riuscito. A Parigi circola con insistenza la voce, che non ha ancora avuto il modo di controllare, secondo la quale Hitler parlando recentemente con François-Poncet gli avrebbe detto esplicitamente che la Germania non potrebbe rimanere indifferente di fronte ad un rivolgimento comunista in Francia. Se i francesi s'inalberano all'idea che, per qualsiasi ragione, i tedeschi debbano o possano ricalcare il territorio della loro patria, ne ho trovati moltissimi i quali si sono espressi rneco nel senso che, qualora la Francia dovesse divenire teatro di una sommossa bolscevica, essi confiderebbero sull'aiuto dell'Italia, che, come nazione latina, dovrebbe accorrere contro una nuova «Comune » il cui centro si troverebbe nella capitale con qualche frazione nei maggiori centri operai dei dipartimenti.

Il Fronte Nazionale sta svolgendo notevole attività. Il colonnello de la Rocque viaggia nei dipartimenti e tiene numerose conferenze, ostacolate dai comunisti ed anche dalle autorità prefettizie. Mi si assicura che negli ultimi due mesi vi furono numerosissime iscrizioni nuove al movimento delle Croix de Feu. Queste si fanno ascendere ad oltre duecentomila. L'Action Française non è inerte neppure essa e si vale del grande interesse che il conte di Parigi porta al presente momento politico in Francia, sperando, sulla base delle informazioni dei suoi seguaci, che esso possa evolvere in senso favorevole alle sue aspirazioni. Anche Doriot si agita ed anzi le sue azioni, che un paio di mesi fa erano ribassate, stanno nuovamente più alte. Poiché i comunisti notoriamente sono armati e continuano ad introdurre armi e munizioni dalla Svizzera e forse anche dal Belgio, i movimenti del Fronte Nazionale si arrabattano per fare altrettanto. Senza voler fare pronostici, credo in coscienza di poter dire che ciò che sta succedendo in Spagna è stato un grande insegnamento per i francesi benpensanti cosicché essi potrebbero considerare una sollevazione comunista alla stregua di una guerra di invasione ed opporvisi pertanto con quello slancio e quel valore che sono nobilissima tradizione di questo Paese ogni qual volta si sia trattato di difendere la Francia.

Complessivamente dunque il futuro non appare così oscuro come un paio di mesi fa. Tengo a ripetere che sono possibili delle sorprese e pertanto degli sviluppi imprevisti ma nel complesso il buon senso latino ha permesso negli ultimi tempi di smussare delle asperità e di creare una situazione che non richiede necessariamente dei mutamenti drammatici o tragici e che potrebbe invece evolvere normalmente.

(l) -T. 9137/404 R. del 17 settembre, ore 14,31. Attolico smentiva la voce che Il governo tedesco intendesse porre come condizione ad una nuova Locarno una revisione del rapportifranco-russi. Secondo l'ambasciatore, la posizione fortemente anticomunista di Berlino mirava a rafforzare le correnti antisovietiche ehe sembravano manifestarsi, sia in Gran Bretagna che in Francia, e a svuotare di contenuto l'alleanza franco-russa ma senza pretendere di distruggerla. (2) -Vedi Appendice, documento 2.

(l) In un discorso alla radio del giorno precedente, Blum aveva ribadito la ferma decisione della Francia di respingere qualsiasi minaccia, anche indiretta, eJia sua sicurezza e di non per,nettere che fosse colpito il suo prestigio e indebol!te le sue alleanze.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RR. 3782/1299. Berlino, 18 settembre 1936 (per. il 21).

Il Congresso di Norimberga mi ha fornito ottima occasione per utili conversazioni e contatti anche in materia (telespressi V. E. 7 e 8 agosto nn. 6015768) (l) di relazioni fra Germania e S. Sede e ciò con risultati che mi permetto ritenere positivi e favorevoli.

In argomento ho conferito con von Ribbentrop, Rosenberg e lo stesso von Neurath. Mi manca il tempo di riferire in dettaglio il contenuto delle diverse conversazioni avute. In generale, mi sembra di poter constatare che una distensione naturale nella situazione é avvenuta come conseguenza della

strenua presa di posizione del-Vaticano e dei vescovi di Germania contro il bolscevismo. Sembra che qui si siano resi conto, (Neurath lo ha riconosciuto con me esplicitamente) che, come giustamente osservava V. E. nella sua comunicazione dell'8 agosto, non è questo il momento per accrescere, con persecuzioni religiose, le cause di instabilità e di turbamento. Posso aggiungere, in tutta riservatezza, che la distensione accennata diventerebbe ancora maggiore e porterebbe a risultati politicamente benefici ed indubbi se la presa di posizione antibolscevica, finora rimasta nell'ambito del Vaticano e delle pastorali, fosse trasportata, attraverso le prediche domenicali, sui pulpiti delle singole Chiese.

Per quanto riguarda il problema generale, una delle maggiori difficoltà che si oppone ad una intesa fra Stato e Chiesa in Germania sembra a me quella della educazione della giovent1~, nei riguardi della quale l'attuale «Concordato » attribuisce e riconosce 8.ncora alla Chiesa Cattolica diritti maggiori di quelli che, in un regime totalitario, sono praticamente plausibili e possibili. Ove, la larghezza di vedute e facendo prova di un maggiore dinamismo politico, il Vaticano venisse, magari di sua iniziativa, incontro a questa situazione, una possibilità di accordo non sarebbe da escludere. Ritengo che, superata questa pregiudiziale, delle conversazioni, ufficiose naturalmente, aventi per

favore di alcune persone appartenenti al Sodalizio di s. Pietro Claver. Per 11 telespresso 601578 tedi serie ottava, vol. IV, p. 778, nota 2.

oggetto la definizione delle rispettive zone di influenza e la determinazione degli attributi, per dir cosi del lealismo politico di fronte a quello religioso potrebbero riuscire possibili ed opportune.

Intanto, per quanto riguarda le precise questioni sulle quali la E. V. ha voluto richiamare la mia attenzione posso assicurare la E. V. che: l) per quanto riguarda l'azione che sembrerebbe in preparazione contro l'ordine dei Gesuiti essa non mi è stata da S. E. Neurath confermata.

2) che anzi, d'accordo col Ftihrer, su proposta Neurath è stato posto -almeno temporaneamente -un fermo così ai processi antireligiosi come alla loro eccessiva, malsana pubblicità.

3) che, per quanto riguarda il caso delle suore di S. Pietro Claver, Neurath mi ha promesso di occuparsene col maggiore interessamento.

E' inutile dire che le conversazioni da me avute -favorite da circostanze per dir così eccezionali -hanno rivestito carattere puramente ed esclusivamente personale. Mi sembra peraltro che a determinare un ulteriore miglioramento nella situazione una qualche cosa nel senso che mi sono permesso di suggerire potrebbe riuscire utile. Vedrà V. E. se, e in quale misura, ciò possa e debba esser fatto presente a chi di ragione (1).

(l) Il telespresso 601576 conce:cneva un eventuale interessamento del governo italiano in

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3785/1302. Berlino, 18 settembre 1936 (per. il 21).

Prendendo occasione da una recente Diplomatisch-Politische Korrespondenz · che manifestava, in merito alla ultima riunione della Piccola Intesa (2), un ottimismo a mio parere un po' esagerato, ho cercato di approfondire quale fosse qui il vero apprezzamento della situazione creata dall'allontanamento di Titulescu e delle sue ripercussioni su tutta l'attitudine della Piccola Intesa e dell'Intesa Balcanica.

Inutile dire che il defenestramento di Titulescu ha prodotto in questi circoli politici un senso di vero sollievo. Politicamente, il fatto è considerato un indubbio indebolimento della posizione russa. La Germania crede di poterne profittare per migliorare in Rumania le posizioni proprie cominciando, naturalmente, dal campo economico. Anche nei riguardi della Intesa Balcanica si ritiene sia un vantaggio avere «isolato» Aras, lasciando così più libero corso allo sviluppo naturale della politica turca che qui si ritiene porterà fatalmente come per il passato, alla « indipendenza » della Turchia dalla Russia.

Senonché, ci sono ripercussioni indirette, che qui non sfuggono. La politica di Titulescu costituiva, per i suoi lati negativi, un ostacolo alla collaborazione polacco-romena e a quella romeno-jugoslava. Sparito questo ostacolo non è escluso un riavvicinamento romeno-polacco e, come è dimostrato dalla stessa

11 ·--Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

attività testé svolta da Stojadinovic anche una maggiore partecipazione della Jugoslavia all'azione piccolaintesista. E in quale direzione? La cosa interessa molto la Germania, la Jugoslavia essendo qui ritenuta l'anello della Piccola

Intesa più prossimo al Reich tedesco. In altri termini, il profilarsi di una politica di cooperazione jugoslavo-romena si svolgerà in senso favorevole alla Germania, oppure no? La situazione è quindi seguita qui col massimo interesse e si può esser sicuri che la Wilhelmstrasse non lascerà nulla di intentato (bisogna che ne teniamo conto anche noi) per non perdere la presa che, a torto o a ragione, riteneva di aver sul regno serbo-croato-sloveno.

In tutto questo gioco di azioni e reazioni entra naturalmente anche la Polonia. E' evidente interesse tedesco che l'eventuale riavvicinamento romenopolacco non si verifichi a spese dell'amicizia polono-tedesca, amicizia sulla quale il recente accordo franco-polacco (l) -tanto più dopo le prove di Danzica (2) e la ferma biennale (3) -potrebbe avere già messo una prima ipoteca. Al riguardo, peraltro, devo dire che sia dentro, come fuori (Ribbentrop) dell'Auswartiges Amt, non si nutrono in proposito (mio telespresso 3 settembre (4) troppi timori. Si osserva infatti trattarsi di un accordo tra «militari~. come tale verosimilmente non diretto contro la Germania. Di Gamelin si ricorda specialmente la sua personale ostilità al patto franco-russo nonché, in occasione del 7 marzo, la sua decisa opposizione a una reazione armata.

Mentre, per tutte queste ragioni, si ritiene quindi che non vi sia motivo a preoccupazione, si riconosce d'altra parte che la situazione merita di essere vigilata molto da presso.

Interamente all'attivo viene qui invece messa la nuova posizione creata a Benes, del quale si dice che, appunto nell'ultimo convegno della Piccola Intesa (5), avrebbe, a nome della Francia, avanzato agli altri membri della Piccola Intesa una formale proposta di una vera e propria «alleanza militare» contro la Germania. La proposta, auspice la Jugoslavia, sarebbe stata senz'altro respinta (6).

(l) -Questo documento ha 11 visto di Mussolini. (2) -Vedi p. 84, nota l.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9219/1240 R. L.ondra, 19 settembre 1936, ore 0,30 (per. ore 6,40).

Eden è tornato al Foreign Office ed ho avuto con lui lunga conversazione la quale completa la serie dei colloqui avuti con Vansittart sullo stato attuale delle relazioni italo-inglesi sulla politica inglese nel Mediterraneo.

,2) Nel corso del 1936, era cresciuta l'agitazione dell'elemento tedesco di Danzica che reclamava, come misura immediata, una riduzione dei poteri della Società delle Nazioni su la Città Libera. Alla 92• sessione del Consiglio della S.d.N., il 4 luglio, il dibattito in proposito aveva assunto toni d! estrema vivacità per le lntemperanze del presidente del senato di Danzica, Orelser.

,4) Vedi D. 7.

Ho parlato a Eden con precisione e con franchezza, sulla linea delle istruzioni del Duce nella sua lettera del 5 settembre (1).

Eden ha enfaticamente smentito che vi sia nella sua e del suo governo la benché minima intenzione di perseguire una politica di attriti contro l'Italia e che, al contrario, egli ed il suo governo intendevano seriamente attuare una politica di collaborazione con l'Italia in Europa, nel Mediterraneo ed in Africa «questa collaborazione -ha aggiunto Eden -vuole essere, nelle nostre intenzioni più effettiva e più concreta ancora che non lo fosse prima che la questione abissina oscurasse i rapporti tra i nostri due Paesi. Io conto e desidero vivamente incontrarmi col conte Ciano e di avere con lui un franco ed esauriente scambio di vedute».

Ho risposto, naturalmente, ad Eden che le oneste intenzioni debbono essere appoggiate sui fatti e che sino ad oggi le manifestazioni della politica britannica hanno suscitato legittimi sospetti circa aspetti anti-italiani delle direttive inglesi.

Invio per corriere un dettagliato rewconto del colloquio che mi riservo illustrarTi a voce (2).

(l) Vedi p. 39, nota l.

(3) -Vedi p. 38, nota l. (5) -Riunione del Consiglio Permanente della Piccola Intesa a Bratislava (vedi p. 84, nota 2). (6) -Ii documento reca il visto di Mussolini.
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IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. U. 8261/95 R. Praga, 19 settembre 1936, ore 22,15 (per. ore 2,30 del 20).

Ho chiesto a Krofta scopo venuta Praga del sottosegretario di Stato Affari Esteri di Francia.

Krofta ha voluto convincere ambasciata che Vienot vi ha fatto un viaggio di piacere ma non ha escluso, naturalmente, che si sia parlato anche dei problemi del giorno pur senza speciali finalità. Gli ho domandato se forse sottosegretario aveva voluto interpellare Benes circa riforma S.d.N. Krofta mi ha risposto che nelle conversazioni con lui non se ne era fatto alcun cenno ma che forse Vienot ne aveva parlato con Benes nella visita fattagli in Slovacchia.

Ho chiesto ancora a Krofta se Vienot si era fatto interprete della non completa soddisfazione del governo francese per i risultati di Bratislava (3).

Ministro degli Affari Esteri mi ha affermato che governo francese non è affatto scontento delle risoluzioni di Bratislava del resto debitamente chiarite da ministro di Cecoslovacchia a Parigi e che i discordanti accenni di certa stampa francese sono dovuti a gente che rimpiange l'idolo Titulescu e che hanno creduto Piccola Intesa non potesse più funzionare con caduta dell'apprezzato amico della Francia. Piccola Intesa -ha soggiunto Krofta -ha

invece dato a Bratislava prova di completa solidità: eliminazione Titulescu ne ha rafforzato compagine liberando Piccola Intesa da attriti esistenti fra Romania e l'Italia, Romania e Jugoslavia, Romania e Polonia.

(l) -Vedi D. 17. (2) -Non è stato rintracciato alcun documento in proposito. (3) -Vedi p. 84, nota 2.
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IL SEGRETARIO GENEHALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N. BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 9271/931 R. Ginevra, 20 settembre 1936, ore 21,30.

S. E. Pilotti comunica quanto segue:

«Avenol ha posto nettamente il problema della verifica dei poteri a lord Cranborne. Questi ha riconosciuto non meno nettamente che occorre liquidare quest'ultimo strascico della questione, come del resto tutti i membri del Consiglio hanno implicitamente riconosciuto, al dire di alcuni di essi, col loro silenzio dopo il resoconto fatto da Avenol della visita a Roma (l) che la questione va chiusa per sempre. Tanto con Cranborne che con Delbos, Avenol ha insistito sul punto che Francia e Inghilterra devono sormontare le difficoltà sollevate da certi piccoli Stati prendendo all'uopo le necessarie iniziative e responsabilità. Gli scandinavi ostentano una avversione ed è su loro che Cranborne dovrebbe premere. L'Olanda sembra meglio disposta; il Belgio (il cui primo delegato Spaak non è ancora giunto) mostra perplessità. In genere si nota questa sera un desiderio generale di uscire dall'imbarazzo, desiderio non disgiunto dallo scarso coraggio di affrontare una soluzione chiara. Ormai nessuno si fa più illusioni sul significato del problema dei poteri, ben comprendendosi da tutti che l'esclusione della sedicente delegazione non ha un valore puramente formale ma significa sostanzialmente e indirettamente il riconoscimento di fatto del nuovo stato di cose e sopratutto della impossibilità di continuare ad ammettere la legittimità delle antiche legazioni etiopiche. È anzi da ciò che ha tratto motivo Komarnicki per rifiutare la partecipazione polacca alla verifica dei poteri. Egli dice che il suo Paese ha già annuito in Consiglio alla liquidazione della questione e che le delegazioni degli Stati non rappresentati in Consiglio dovrebbero essere sondate una per una per conoscere il loro atteggiamento. Aggiunge che la esclusione della sedicente delegazione etiopica è un problema politico e non di poteri e che Francia ed Inghilterra devono parlo nettamente, al che la Polonia risponderà votando l'esclusione.

La composizione della Commissione non ha fatto grandi progressi: comprenderà delegati di tutte le sfumature, per allontanare il pericolo che, alla lettura dei nomi, qualcuno chieda in Assemblea l'elezione a scrutinio segreto».

(l) Avenol aveva riferito al Consiglio della Società delle Nazioni, nella seduta privata del 18 settembre, che durante il suo recente viaggio a Roma gli era stato assicurato da Mussolini e da Ciano che il governo italiano intendeva riprendere una piena collaborazione con la Lega. una volta eliminato l'ostacolo rappresentato dalla presenza di una delegazione etiopica. Il presidente aveva chiesto se qualcuno dei delegati intendeva fare delle dichiarazioni ma nessuno aveva chiesto la parola. Su ciò Pilotti aveva riferito con T. 9183/920 R. del 18 settembre a firma Bova Scappa.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 9311/934 R. Ginevra, 21 settembre 1936, ore 20,30.

Stein, che ho incontrato per caso, mi ha detto -e riferisco ad ogni buon fine -che era vivo presso alcuni delegati il dubbio che, dopo espulsa la delegazione etiopica, l'Italia avrebbe ridato una collaborazione effettiva a Ginevra e sopratutto che avrebbe agito per Locarno. Anche prima di levare le sanzioni si erano nutrite molte illusioni che, una volta esse abolite, l'Italia avrebbe ripreso la sua collaborazione con le grandi Potenze sanzioniste. Invece, tolte le sanzioni si era assistito ad una sempre più stretta intesa tra Roma e Berlino. Questo elemento, secondo Stein, giocava anche nelle attuali perplessità di molte delegazioni. Ho avuto l'impressione che questo elemento giochi sopratutto per Litvinov e per la delegazione sovietica.

91

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GUGLIELMINETTI

T. 4258/111 R. Roma, 21 settembre 1936, ore 24.

Per opportuna norma comunicale che R. ambasciatore Berlino, segnalando partenza Goebbels per la Grecia, ritiene che viaggio, pur sembrando privo portata politica, costituisca contributo azione propaganda Germania in alcuni Stati balcanici, che converrebbe seguire con attenzione. R. ambasciatore fa presente opportunità che V. S. stabilisca cordiali contatti personali con ministro e signora Goebbels (1).

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L'UFFICIO I DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO (2). Roma, 21 settembre 1936.

Bova telefona da Ginevra quanto segue:

«Nella seduta pomeridiana dell'Assemblea, la Commissione per la verifica dei poteri ha presentato un breve rapporto nel quale, mentre ha convalidato le altre delegazioni, ha dichiarato di dover soprassedere da ogni decisione per quanto riguarda «i poteri emessi da Sua Maestà Hailé Selassié I, per procedere ad un esame più approfondito». Nella Commissione vi è stata vivissima

ostilità da parte di Litvinov e di Limburg (Olanda), mentre Delbos, Politis e, meno a fondo, Eden sono stati favorevoli alla nostra tesi. L'Olanda insiste perché la questione sia portata all'Aja.

Le ipotesi che si fanno per la seduta di domani sono le seguenti:

-o ricorso all'Aja; -o deferimento della questione alla Prima Commissione dell'Assemblea (questioni giuridiche); -o presentazione di un rapporto circostanziato sui fatti e suoi motivi da sottoporsi al voto dell'Assemblea.

È da tener presente che, anche nel caso che la questione venisse rinviata all'Aja, l'Assemblea potrebbe disporre che la delegazione etiopica non fosse ammessa a partecipare ai lavori. Il tenore, infatti, dell'art. 5 alinea 4 del regolamento è il seguente: «Tout représentant dont l'admission soulève de l'opposition siège provisoirement avec les meme droits que les autres représentants, à moins que l'Assemblée n'en décide autrement ». È evidente tuttavia che non si tratta che di una possibilità assolutamente teorica. Intanto, la delegazione etiopica ha partecipato all'elezione del presidente. È stato eletto Saavedra Lamas con 43 voti.

(1) -Per la risposta vedi D. 105. (2) -L'appunto è privo di firma.
93

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9350/409 R. Berlino, 22 settembre 1936, ore 20,15 (per. ore 22,30).

Ho chiesto oggi a Dieckhoff (che i.n assenza di Neurath regge questo ministero degli Affari Esteri) prime impressioni tedesche su documento inglese relativo a nuova Locarno (l). Esse possono così riassume;.·si:

1°) Le proposte inglesi non contengono alcuna novità e non hanno provocato qui alcuna sorpresa. Anche «garanzia triangolare » era già stata come è noto, accennata nel progetto eli patto aereo tra Potenze occidentali.

2°) Ambiguità della parola In tlle lines nei riguardi della possibilità di far entrare anche nel nuovo trattato (come già avvenne in Locarno per la Cecoslovacchia e la Polonia) i trattati di amicizia della Francia, ha naturalmente suscitato, per quanto anche ciò fosse previsto, prime forti diffidenze. In er;se infatti si è già visto nettamente accenno patto franco-sovietico.

3°) Nel complesso, però, documento, dato anche preciso riconoscimento della abolizione della zona smilitarizzata, è considerato come degno di discussione.

Dieckhoff mi ha chiesto se, dato assoluto silenzio inglese nei confronti dell'Italia, noi ci preparassimo a nostra volta a far conoscere le nostre idee in proposito. Ed ha aggiunto che non appena sarà terminato studio più appro

fondito delle proposte, governo Germania si riserva di entrare in contatto con governo italiano per concordare possibilmente linea di azione parallela. Palazzo Chigi (l) non ha alcuna fretta di rispondere.

(l) Vedi p. 90, nota 1.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FoNOGRAMMA 9374/945 R. Ginevra, 23 settembre 1936, ore 12.

V. E. avrà notato anche dal riassunto dei processi verbali delle sedute della Commissione di verifica dei poteri trasmessi ieri che chi dirige in questo momento le azioni ginevrine è il signor Litvinov. Eden, che durante un anno aveva attivamente diretto il concerto internazionale, ha completamente abdicato alle sue funzioni ed è confuso nell'orchestra come un'umile viola di cui appena si sente la voce.

Il processo di evoluzione verso sinistra della Lega si svolge con ritmo crescente. Ginevra oggi è agli ordini di Mosca. Fino a quattro o cinque giorni fa gli inglesi, francesi e alcuni fra gli stessi russi presenti a Ginevra asserivano che il problema della delegazione negussita sarebbe stato risolto lunedì stesso durante la prima seduta dell'Assemblea, tanto a tutti sembrava urgente vedere l'Italia tornare a Ginevra. Ma con l'arrivo di Litvinov la situazione è cambiata di colpo. I contatti fra la delegazione sovietica e le delegazioni dei piccoli Stati sono stati numerosi come lo erano un tempo fra quegli stessi piccoli Stati e la delegazione britannica. E si è visto subito che sui piccoli Stati era la paura del precedente fornito dall'incubo germanico, pazientemente agitato da Litvinov, l'elemento che determinava una vivace ostilità verso ogni rapida decisione di carattere politico da parte dell'Assemblea.

La verità è che non è la cosidetta insurrezione dell'Olanda, della Danimarca e della Svezia -che avrebbero potuto essere benissimo amadoués dalla delegazione britannica -il motivo per cui l'Assemblea si è rifiutata all'ultimo ostacolo ma è l'improvvisa netta e decisa azione del signor Litvinov nelle coulisses l'elemento che spiega la nuova paralisi ginevrina. Molti pensano qui che con questa sua aperta offensiva Litvinov miri: 1°) ad ottenere che l'Italia abbandoni la S.d.N. per fare di quest'ultima un baluardo offensivo della democrazia e del social-comunismo contro Berlino e Roma e far prendere quindi netta posizione a tutti gli Stati che resteranno a Ginevra contro il fascismo e il nazional-socialismo; 2°) a obbligare l'Italia a una sempre più stretta intesa con la Germania per consolidare così l'alleanza franco-sovietica e obbligare l'Inghilterra e la Piccola Intesa a prendere posizione di fronte alla minaccia costituita dal blocco italo-tedesco.

La manovra riesca o meno, la morale è che la delegazione francese si mostra preoccupata e irritata della situazione. «Locarno est à l'eau » si sente

dire negli ambienti della stessa delegazione. Eden si è chiuso in un abbottonato silenzio. Non si agita più in nessun senso; lascia fare agli altri con estremo rispetto questa volta della libertà d'azione dei singoli Stati.

Massigli mi ha chiesto ieri sera con apparente ansietà se, decidendo l'Assemblea che la delegazione etiopica non può sedere in attesa del responso dell'Aja, V. E. avrebbe considerato questo fatto come sufficiente per fare intervenire la delegazione italiana a Ginevra. Gli ho risposto che Io ignoravo. Tutto quello che potevo dirgli con conoscenza di causa era che a Roma governo e opinione pubblica si infischiavano solennemente di tutto quello che faceva e sopratutto disfaceva Ginevra.

(l) Sic. Evidentemente: WUhelmstrasse.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 9391/410 R. Berlino, 23 settembre 1936, ore 12,55 (per. ore 15,40).

Lettera di V. E. 379 del 15 u.s. (1).

Segretario di Stato Dieckhoff, convinto dell'assoluta necessità di una collaborazione tedesca in seno al Comitato di controllo a Londra, rinnoverà istruzioni a incaricato d'affari tedesco di mantenersi in stretti rapporti con nostro ambasciatore Grandi per sviluppare azione concordata nel corso prossima seduta. Anche Dieckhoff ritiene che oramai in convegno Londra Germania e Italia svolgeranno azione per obbligare Francia a stretta neutralità allo scopo di accentuare inevitabili dissensi interni tra elementi di estrema e elementi moderati del governo di Parigi.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FoNOGRAN.rn4A 9384/486 R. Ginevra, 23 settembre 1936, ore 15 (per. ore 16,45).

La Commissione di verifica dei poteri si è riunita questa mattina ed ha tenuto una lunga seduta durante la quale tutto è stato rimesso in discussione. Non si è riusciti ad accordarsi, né sul testo definitivo di risoluzione di rinvio all'Aja, né sull'esclusione provvisoria dei delegati etiopici. In queste condizioni, è da prevedersi che all'Assemblea convocata oggi alle ore 17,30 il comitato farà un rapporto esponendo Io stato delle sue discussioni ed il dubbio che si è "in esso sollevato circa la validità dei poteri delegati di Tafari, lasciando all'As

semblea di pronunciarsi per quella qualunque soluzione che riterrà opportuna. Il comitato si riunirà ancora nel pomeriggio prima dell'Assemblea. Predomina in questo momento tra le delegazioni la maggiore confusione.

(l) Non rintracciata.

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IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 9410-9409/567-568 R. Tangeri, 23 settembre 1936, ore 18 (per. ore 3,25 del 24).

Mi riferisco al telegramma di V. E. Gabinetto n. 154 (1).

Ho regolarmente e con assoluta segretezza compiuto missione Siviglia secondo modalità indicate nel telegramma n. 546 (2). Ho avuto con Franco colloquio circa di un'ora senza che alcuno (anche del suo seguito) ne abbia avuto sentore. Unica eccezione (a richiesta di Franco) è stata fatta per generale Queipo de Llano, governatore e membro del governo di Burgos, col quale scambiai brevi saluti.

Ho letto e illustrato Franco contenuto telegramma di V. E. n. 154.

Mi ha assicurato che suggerimenti di V. E. corrispondono esattamente suo pensiero in proposito. Egli intende basare nuova Spagna sull'esercito (3), tenuto sino ad ora sempre estraneo dal governo e che ha in sé ogni possibilità di riuscita se all'inizio sarà opportunamente guidato e diretto. Esercito non deve avere altra missione che rompere ed annientare resistenza forze sovversive ed essere guida e sostegno nuova Spagna per impedire che forze giovani ed esuberanti possano sul principio sviare e fallire loro compito. Nell'ultimo Consiglio dei Ministri egli aveva già esposto ai colleghi tale programma. Ne riparlerà in settimana e, con essi, concreterà proclama che intenderebbe rivolgere alla Spagna ed al mondo non appena occuperà capitale e formerà colà nuovo governo nazionale.

Franco ha voluto cogliere l'occasione per ringraziare nuovamente il governo italiano ed il Duce pel nostro generoso concorso, materiale e morale, alla rinascita del suo Paese che egli intende legare al nostro per il mantenimento dell'ordine e della pace romana nel Mediterraneo contro ogni invadenza bolscevica.

Gli ho chiesto a quale punto fossero le operazioni militari. Mi ha risposto che progrediscono ma che è alieno da ogni fretta imprudente per l'attacco della capitale, che egli intende effettuare nell'ottobre quando la preparazione logistica e strategica delle sue truppe sarà completa e quando il dissolvimento dei governativi sarà tale da renderne inefficiente la difesa. Ma, d'altra parte, egli non intendeva ritardare tali operazioni oltre ottobre, essendo le

\:!} Vedi D. 58.

sue truppe male equipaggiate e non abituate al rigore della stagione invernale. Franco ha aggiunto che era al corrente che i Sovieti preparavano prossima, grande fornitura militare che dovrebbe giungere nei porti spagnuoli del Mediterraneo durante l'ottobre e che altre numerose forniture erano giunte in questi ultimi giorni dalla Francia e dal Messico. Per impedire tale traffico marittimo e sgretolare la resistenza dei r:;overnativi nella regione del Mediterraneo, egli fa grande affidamento sulla possibilità di potere impiegare ai più presto la nave Canarias che, come è noto, deve andare tra breve in bacino per completare il suo armamento.

Gli ho domandato se tale nave sia pronta e se equipaggio sufficientemente istruito per adoperare una unità così moderna.

Mi ha assicurato che tutto a bordo era completamente in regola. Ma, ad onta di tali assicurazioni, temo che Franco si faccia qualche illusione sul rapido concorso del Canarias ad operazioni in corso (1). Vedrà inoltre V. E. se non sia il caso di inviare (insieme coi cannoni antiaerei) qualche ufficiale per mettere in efficienza l'incrociatore suddetto il quale, se effettivamente potesse rapidamente entrare in servizio in piena efficienza, recherebbe sicuramente largo contributo a dare ai nazionali il dominio del mare anche nel Mediterraneo (2). A tale proposito Franco mi ha accennato aver saputo da Magaz che già si sarebbe parlato a Roma della possibilità della cooperazione dei nostri sottomarini con la nostra aviazione, qua dislocata, allo scopo di porre fuori combattimento unità dei governativi spagnuoli che rendono precarie le comunicazioni col Marocco e che contribuiscono a mantenere fedeli a Madrid tutte le città del Mediterraneo. Franco sarebbe veramente riconoscente al governo italiano se tale concorso fosse al più presto concretato.

Mi permetto di far presente a V. E. (3) che se effettivamente si è pensato acl una simile collaborazione tra i nostri mezzi aerei e marittimi, sarebbe opportuno che ciò avesse seguito al più presto per poter rapidamente decidere le sorti della lotta che, per ragioni di politica internazlonale (ma sopratutto per la salvezza della Spagna (4) è necessario non venga ulteriormente procrastinata. Non ritengo che l'impresa presenterebbe eccessivo rischio o grandi difficoltà poiché unità governative spagnole sono poche ed in uno stato di grande usura dopo due mesi che tengono il mare con equipaggi rivoltatisi ed italofobi (5).

Franco mi ha altresì accennato aver saputo da Magaz che «Generale Garibaldi» stava preparando in Italia corpo di spedizione 20.000 volontari per combattere contro governativi Spagna. Non sapeva se notizia avesse serio fondamento, ma in ogni modo :J.on aveva voluto dare seguito alcuna trattativa prima sapere se R. Governo fosse al corrente e approvasse tale iniziati.va.

-

Sarei grato a V. E. pertanto darmi in merito opportune informazioni da comunicare Franco.

Ringrazio l'E. V. avere permesso compimento questa missione presso Franco. Sembrami infatti necessario che debbano continuare aver luogo tali diretti contatti anche quando in seguito potranno essere stabilite comunicazioni radiotelegrafiche fra Franco e Magaz, poiché soltanto con tali mezzi sarà possibile intervenire opportunamente ed efficacemente (secondo nostri interessi e direttive V. E.) presso colui cbe per preparazione e programma di Governo sembra designato assumere suprema direzione nuovo regime Spagna (l).

(2) -Con T.s. 9155/546 R. del 17 settembre, ore 21,30, il console De Rossi aveva comunicato che, dovendo fare di persona la comunicazione di cui era stato Incaricato, aveva concordato con Franco di incontrarsi a Siviglia, dove si sarebbe recato a bordo di un cacciatorpediniere. Il colloquio si sarebbe svolto su la nave, dove Franco sarebbe salito per una visita di protocollo. (3) -Sic. Nel testo in partenza da Tangeri: «sul popolo». (l) -Il testo in partenza da Tangeri reca di seguito: «Nella migliore delle ipotesi suo armamento antiaereo chiederà almeno ventina giorni e non meno sarà necessario mettere a posto et organizzare nave in modo da poter partecipare efficacemente et rapidamente ad azione che deve, come ho indicato avanti, avere e3ito fra breve ». (3) -Il testo in partenza da Tangeri aggiunge: «anche per ragioni avanti espresse circa impossibilità far entrare rapidamente servizio incrociatore Canarias ». (4) -Sic. Il testo in partenza da Tangeri dice: «ma soprattutto per ragioni politiche interne spagnole e per non esporre truppe Franco a lotta troppo lunga e superiore a loro possibilità morali e fisiche ». (5) -Slc. Nel testo !n partenza da Tangerl: «indisciplinati e inadatti».
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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRA~A 9396/854 R. Ginevra, 23 settembre 1936, ore 22,45.

Malgrado che il risultato della votazione sul rapporto della Commissione verifica dei poteri (2) fosse previsto, l'esito della votazione non ha mancato di produrre in questi ambienti grande impressione. Fra gli stessi delegati ve ne sono parecchi che ammettono l'enormità dell'errore commesso oggi dalla S.d.N. Ma come accade sempre a Ginevra, la maggior parte dei Piccoli Stati ha obbedito alle leggi dell'ambiente: mancanza di coraggio, supina acquiescenza a una volontà politica che manovra, per i propri fini, scrupoli e timori sapientemente agitati e sfruttati.

Gli elementi che vanno messi in particolare rilievo stasera subito dopo la votazione sono i seguenti:

l) l'antifascismo questa volta condotto dal tandem Litvinov -Alvarez Del Vayo ha tentato in una questione di procedura di prendersi una rivincita sugli innumerevoli scacchi che l'Italia aveva inflitto, durante l'anno trascorso, alla S.d.N., cellula operante ed attiva del Front Populaire e del Grande Oriente. Rivincita magra che non altera di una linea la vittoria solare di Roma ma basta perché qui tutti gli elementi antifascisti diano in clamorose manifestazioni di gioia. E' prevista per domattina su tutta la stampa di sinistra francese un coro di grida vittoriose e una ripresa della campagna antifascista.

2) Delegazioni francese ed inglese si mostrano almeno apparentemente preoccupate delle conseguenze della votazione odierna, sopratutto per quanto

concerne la conferenza di Locarno che minaccia di fallire prima ancora di cominciare.

La realtà è che Eden non è esistito in questa sessione ginevrina ed ha seguito il gregge. Lo ha seguito evidentemente perché così ha voluto Londra con la quale stamattina stessa egli aveva avuto lunghe conversazioni telefoniche. Ha dichiarato ai francesi di essere dolente di quello che avveniva ma che tutti i dominions avevano deciso di votare a favore delle conclusioni del rapporto.

Delbos ha confidato a persona mia amica che quanto era accaduto era assolutamente contrario alle sue intenzioni ed ha chiarito che si è arrivati alle note decisioni, primo per il desiderio di ottenere l'unanimità nella Commissione in seno alla quale l'ostilità sistematica di Litvinov e Limburg paralizzavano altre possibilità; secondo, per il desiderio di evitare che si desse col ricorso all'Aja l'impressione di voler scansare delle precise responsabilità. Il ricorso all'Aja era -secondo Delbos -la soluzione meno coraggiosa. D'altra parte egli ritiene che i «consJderant » del rapporto adottato diminuiscono la portata politica di esso. L'Assemblea non nominando neppure oggi i vice presidenti, ha affermato Delbos, ha dato prova del desiderio di vedere la delegazione italiana giungere domani o dopo (sic!).

Come V. E., vede, parliamo due lingue diverse e siamo destinati a non comprenderci affatto in questa torre di Babele ginevrina.

3) La realtà è che Francia ed Inghilterra, che avevano assunto dirette e precise responsabilità durante la guerra italo-etiopica, sono le vere sconfitte oggi sul terreno diplomatico societario. Il gregge delle Piccole Potenze ha rifiutato di seguire o quanto meno ha rifiutato di seguire la Francia, dato il tepore dell'azione britannica. E così è stata la Francia a dover seguire in questa occasione la sua clientela, dando evidenti prove della sua assoluta mancanza di coraggio politico.

4) Il vero trionfatore della giornata odierna è Litvinov. Egli ha condotto tutta la manovra (come ho segnalato con mio telegramma n. 945) (1) e si deve alla sua azione personale se il Comitato di verifica dei poteri non è riuscito a trovare una formula coraggiosa che permettesse all'Assemblea di affrontare nettamente ed apertamente il problema e risolverlo.

5) Qui si ritiene che la reazione di Roma sarà violenta di fronte a questa nuova prova di codardia e di insensibilità politica offerta dalla Lega. Alcuni parlano di rottura di rapporti e di ogni collaborazione fra Roma e Ginevra per lungo tempo, altri affermano che l'Italia abbandonerà definitivamente la Lega.

Certo a me corre l'obbligo di segnalare che l'ambiente qui -salvo che per alcune note delegazioni -ci è decisamente ostile; che la S.d.N. nella lotta di religione che divide il mondo ha già preso posizione e che il voto di oggi è un aspetto di questa lotta. Ginevra, munita trincea della consorteria giudaicomassonica, dopo aver incassato e digerito le più umilianti disfatte dà battaglia su una questione di procedura che trasforma in questione politica, permette al

{l) Vedi D. 94.

nero Taizez « di accettare il rapporto con riconoscenza~; prepara il terreno per l'altra battaglia che sarà combattuta domani da Alvarez Del Vayo, si asnervisce ai soviets e, pur comprendendo la gravità del gesto, accetta -col pretesto di restare sul piano del diritto -la delegazione di Gore, chiudendo così le porte a quella dì Roma.

Col sentimento di chi commette gesta assai più forti del proprio coraggio Ginevra ora attende con trepidazione che sa di paura ìnconfessata una sentenza da Palazzo Venezia che potrà essere di condanna ma anche di giustizia romana e sommaria.

(l) -Questo documento reca il visto di Mussolinl. Su l'incontro con Franco riferiva anche l'ufficiale addetto al Consolato a Tangeri, maggiore Luccardi, nei seguenti termini: «Jn colloquio confidenziale Franco assicurato che futuro governo sarà tipo fascista. Affermato massima intesa campo politico militare con generale Mola attualmente molto tradizionalista dato carattere province suo territorio. Materiale da noi inviato può essere diretto nei portiche meglio soddisfino nostre esigenze vario ordine» (T. 795 del 23 settembre, ore 21,30. Il telegramma fu ritrasmesso al ministero degli esteri n mattino successivo). (2) -Nel pomeriggio del 23 settembre, l'Assemblea della Società delle Nazioni aveva deliberato con 39 voti favorevoli, 4 contrari (Albania, Austria, Equatore, Ungheria) e 6 astensioni (Bulgaria,Panamà, Portogallo, Siam, Svizzera, Venezuela) di considerare validi i poteri della delegazioneetiopica.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI

1'. S. 4271/235 R. Roma, 23 settembre 1936, ore 24.

Morning Post riceve da Cairo che giornali arabi pubblicano che parecchi uomini politici egiziani disapprovando trattato anglo-egiziano (l) hanno formato partito opposizione cui aderirebbero tre ex ministri e capo di un gruppo politico.

Avendo presente quanto V. S. ha riferito con suo rapporto 1089 (2), e precedenti, prego telegrafare se trattato abbia suscitato così ampie opposizioni e quale eco abbiano destato nel Paese (3). Comunque ogni ambiente di opposizione dovrà da noi venire lavorato ora ed in futuro.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9468/484 R. Ginevra, 23 settembre 1936 (per. il 25).

n voto di stasera all'Assemblea (4) suggerisce le considerazioni seguenti.

La Francia, e, in minor misura, l'Inghilterra hanno perduto la direzione autoritaria della generalità dei membri della S.d.N. Per non rimanere isolate o quasi, hanno scelto la soluzione più semplice: quella di rassegnarsi all'opinione degli altri che un tempo erano i loro umili seguaci. Ma in realtà, poiché l'opposizione era incitata e guidata da un nuovo leader, la Russia (che è una grande Potenza disgraziatamente rientrata nel gioco mondiale con la sua massa con

siderevole), la soluzione semplice finisce per essere uno scacco per la Francia e per l'Inghilterra (qualunque possa essere la segreta soddisfazione di questa ultima) in quanto l'una e l'altra si lasciano soppiantare dalla Russia.

La situazione non ha potuto essere salvata neppure da un abile compromesso, come tante volte qui è accaduto, in tempi ormai lontani. Il tentativo personale di Politis di far consistere il compromesso nel consultare la Corte dell'Aja e nell'allontanare in pendenza del giudizio gli etiopi è miseramente fallito per improvvisa decisione della Francia e dell'Inghilterra, le quali, fatto il conto dei voti che il compromesso avrebbe raccolto in Assemblea, si sono accorte non già (come esse pretendono e come hanno dichiarato al segretario generale) che una enorme maggioranza si sarebbe pronunciata in senso contrario ma che quel qualunque gruppo di Paesi che si sarebbe riunito intorno ad esse, quando pure avesse formato una maggioranza, sarebbe sempre stato talmente esiguo da dare al mondo lo spettacolo, concretato in cifre, della perdita da parte loro della antica leadership. Naturalmente Eden ha cercato di salvare se stesso e il suo governo in seno alla Commissione di verifica dei poteri dichiarando, per non restare troppo indietro rispetto a Litvinov, che l'opinione pubblica inglese non avrebbe accettato la soluzione di compromesso.

Litvinov ha realizzato il facile successo di trar seco per primi alcuni dei nordici nonostante il solare antagonismo fra Russia e Svezia. Ma la Svezia ha un governo socialista e l'Olanda è rappresentata da un semita che cominciò con appoggiare il compromesso Politis, adatto alla sua mentalità di avvocato, e poi si schierò a favore del solito argomento hitleriano (non si possono cacciare gli etiopi pe;:ché domani questo caso formerà precedente contro l'Olanda e la Danimarca qualora venga in mente a Hitler di farle invadere dall'esercito germanico; tesi grottesca e non presentabile da tecnici ma comoda come cavillo diplomatico).

Lo scopo di Litvinov è cl1laramente indicato da un giornale locale: egli tiene a che l'Italia sia assente e il Portogallo isolato quando la questione spagnuola sarà evocata, anche soltanto in margine all'Assemblea.

La spiegazione che i russi dànno del loro atteggiamento, tanto mutato verso l'Italia da quello che avevano preso dal mese di marzo in poi, è che non si può sperare in una collaborazione dell'Italia che ormai è già acquisita alla Germania. Hanno trovato chi ha risposto al puerile pretesto che si tratta invece di uno schieramento di forze socialiste e comuniste. Tali forze hanno risentito come un colpo inaspettato la serena resistenza del blocco italiano, Austria, Ungheria, Albania, Equatore; il riavvicinamento a tale blocco degli astenuti, che comprendono Paesi di politica indipendente come la Svizzera e il Venezuela, il Paese verso cui le minaccie e le blandizie della Piccola Intesa si vengono àa tempo esercitando, cioè la Bulgaria, e il Paese che tutti consideravano come una specie di dominion, cioè il Portogallo.

La vanità di Saavedra ha dovuto subire la molesta impressione del distacco dal gruppo sud-americano di cinque Stati. Particolarmente spiacevole deve essergli stata la volontaria assenza del Cile che, avendo la presidenza protempore del Consiglio ed avendo avuto fino a domenica scorsa l'assicurazione che i poteri sarebbero stati invalidati, ha preferito allontanarsi dall'Assemblea.

11 o

(l) -Vedi D. 17, nota 4. (2) -Non rinvenuto. (3) -Il ministro Ghigi rispondeva (T. 9547/526 R. del 26 settembre, ore 5,45) che le voci raccolte dal Morning Post non trovavano riscontro nella realtà: in Egitto non esistevano forze di opposizione in grado di far sentire la loro voce e le masse avevano accolto la notizia del trattato «con la massima apatia». SI veda in proposito anche Il D. 141. (4) -Vedi p. 107, nota 2.
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COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON IL MINISTRO TEDESCO, FRANK (l)

VERBALE. Roma, 23 settembre 1936 (Palazzo Venezia).

Il ministro Frank ha iniziato il suo dire porgendo al Duce il saluto del Filhrer e il ringraziamento per l'opera svolta dalle autorità consolari italiane, dagli equipaggi dei piroscafi e dalle autorità del Regno in favore dei tedeschi profughi dalla Spagna. Ha proseguito, quindi, esprimendo al Duce il desiderio del Fuhrer di riceverlo non appena possibile in Germania, non solo nella sua veste di capo del governo, ma anche in quella di fondatore e Duce di un partito affine al nazional-socialismo. Ha detto anche che il FUhrer desidera poter prendere contatti personali con il ministro degli Esteri e che pertanto era stato incaricato di invitarlo a recarsi in Germania.

Per quanto concerne la Spagna, il ministro Frank ha assicurato che la Germania presta aiuto ai partiti nazionali unicamente per solidarietà di concezione politica ma che non ha, né interessi, né mire nel Mediterraneo. Il Flihrer tiene a far sapere che considera il mare Mediterraneo quale un mare prettamente italiano. All'Italia spettano nel Mediterraneo posizioni di privilegio e di controllo. Gli interessi dei tedeschi volgono verso il Baltico che è il << loro Mediterraneo ».

Un problema sul quale il ministro Frank vuole richiamare l'attenzione del Duce era quello delle rivendicazioni coloniali, problema che trova la sua base nelle necessità economiche del popolo tedesco. Il FUhrer non si nasconde che su questo punto troverà la netta ostilità britannica. L'invio di Ribbentrop a Londra rappresenta l'ultimo tentativo di far comprendere alla Gran Bretagna le necessità e la posizione della Germania. È chiaro però che qualsiasi azione di riavvicinamento alla Germania da parte inglese dovrebbe essere seguita da un'azione di riavvicinamento britannico all'Italia. Comunque su tale possibilità il Filhrer non si fa troppe illusioni.

Tra le gerarchie naziste e le gerarchie fasciste sono necessari dei rapporti diretti al di fuori ed al di sopra della diplomazia ufficiale. L'azione dei due Paesi, è, come quella dei due partiti, specialmente diretta contro la propaganda ed il pericolo bolscevico.

Negli ambienti governativi tedeschi la questione austriaca è considerata liquidata con l'accordo austro-tedesco dell'll luglio, cui il governo germanico intende mantenersi strettamente fedele. Ne è una prova il fatto che Hitler abbia rifiutato di accogliere al congresso di Norimberga il rappresentante del partito nazista austriaco.

Nei riguardi dell'Ungheria, Fra:nk dichiara che le relazioni germano-magiare sono buone e che si deve ii.1 esse trovare un nuovo elemento di collaborazione con l'Italia.

Per quanto concerne Ginevra, è intenzione del Fii.hrer di marciare d'intesa con il governo fascista ed il ministro Frank aggiunge che la Germania è pronta a compiere, in qualsiasi momento si ritenga opportuno, il riconoscimento dell'Impero in Etiopia.

Il signor Frank conclude il suo dire esprimendo la fiducia sua personale e del governo del Reich nella necessità di una sempre più stretta collaborazione tra la Germania e l'Italia.

Il Duce risponde che in Italia non abbiamo nessuna fretta di vedere riconosciuto l'Impero etiopico: ciò, più che nostro interesse, è un interesse delle altre Potenze. Però apprezza le intenzioni del governo tedesco e fa presente che il riconoscimento offerto, fatto in occasione di uno speciale avvenimento, quale potrebbe essere ad esempio la vislta a Berlino del ministro degli Este:.:i, assumerebbe particolare importanza.

Per quanto riguarda Ginevra, l'Italia ne è praticamente fuori, e può darsi che nel giro di poche ore, qualora la Società delle Nazioni, alla presenza della delegazione italiana, anteponga quella della sedicente delegazione etiopica, ne sia fuori anche giuridicamente.

I rapporti con l'Austria sono e si mantengono dei più amichevoli. L'accordo dell'H luglio ha trovato le sue basi nei suggerimenti che lo stesso Duce dava il 5 giugno a Schuschnigg (1), consigliandolo di favorire un'intesa con la Germania, perché l'Austria era in primo luogo un Paese tedesco e poi perché era un Paese troppo debole per fare una politica antigermanica.

È lieto di constatare come le relazioni tra l'Austria e la Germania siano migliorate.

Per quanto concerne la Francia dichiara che per noi, date le condizioni di politica interna di tale Paese, non è possibile di svolgere con essa una qualsiasi politica. La Francia è malata e vecchia. Non si pensa che a mangiare: è un Paese in cui la cw~ina è diventata un'« arte dello Stato». La decadenza demografica è spaventosa. In Francia si perdono duemlla unità alla settimana. In questi ultimi giorni i radicali tentavano una riscossa, però le forze comuniste sono imponenti. Se Blum cercasse di sbarcarle, probabilmente il partito comunista si rivolgerebbe alla piazza. La Francia non ci interessa sino a quando non sarà finita la crisi interna.

In Spagna si sono già formati i due fronti, da un lato quello tedescoitaliano, dall'altro quello franco-belga-russo. Il Duce concorda con Hitler nel ritenere che la determinazione dei due fronti è ormai un fatto compiuto.

L'Italia ha aiutato gli sp2"gnuoli ed anche attualmente numerosi aiuti sono in corso, senza condizioni, per quanto molto sangue italiano sia stato versato e le Baleari siano state salvate soltanto da uomini e materiale italiano. Per ora bisogna vincere. Dopo la vittoria non chiederemo niente alla Spagna che possa modificare la posizione geografica deì Mediterraneo ma le chiederemo soltanto di svolgere una politica che non sia contraria agli interessi dell'Italia.

La nostra azione in Spagna è una prova effettiva della nostra partecipazione alla lotta antibolscevica.

Per quanto concerne l'Inghilterra, il Duce ritiene che Hitler abbia ragione di compiere il tentativo Ribbentrop. Non riuscirà. Ribbentrop non farà nulla. Le posizioni sono già definite: Francia e Russia, ed insieme alla Francia l'Inghilterra. Quindi Londra non potrà mai fare una politica con la Germania. Tra l'Inghilterra e la Francia c'è un vecchio patto per cui i due Paesi, padroni della Società delle Nazioni, si sono impegnati a fare una politica comune. Talvolta potranno forse scontrarsi ma non arriveranno mai ad una rottura. È una solidarietà storica tra due Paesi ricchi, conservatori e democratici.

È in possesso del Duce un documento (l) che quando Ribbentrop conoscerà, varrà a fissarlo su quelli che potranno essere i risultati della sua missione: l'Inghilterra intende ménager la Germania soltanto per avere il tempo di realizzare il riarmo.

I nostri rapporti con Londra sono cattivi, né possono migliorare. Ogni misura britannica provoca una nostra contro-misura. Quando gli inglesi mandarono la flotta in Alessandria d'Egitto, il Duce inviò 5 divisioni al confine cirenaico. Adesso che gli inglesi preparano nuove basi navali, noi prepariamo le controbasi. Il dominio dell'aria, nel Mediterraneo è e sarà sempre dell'Italia.

Se tuttavia l'Inghilterra volesse fare una politica nuova nei nostri confronti, ne potremmo anche esser contenti. Ma, allo stato degli atti, nessun segno lascia prevedere questa eventualità. È da tenere presente, tra gli altri sintomi, il carattere del viaggio di Edoardo VIII (2) il quale, come ha evitato di toccare l'Italia, ha altrettanto accuratamente evitato di toccare la Germania.

Per quanto concerne le colonie, il Duce ritiene che i tedeschi hanno ragione di sollevare e di agitare il problema. I tedeschi, come gli italiani, sono un popolo senza spazio. Al momento opportuno l'Italia s'impegna ad appoggiarli. Si sa già quale risposta la democrazia inglese si prepara a dare alla richiesta tedesca: le popolazioni che per 20 anni hanno goduto i vantaggi del sistema liberale inglese, non devono essere messe sotto il regime autocratico tedesco. È pacifico che con un pretesto o con l'altro, sul terreno coloniale, in Germania si avrà sempre l'Inghilterra contro.

Il Duce consiglia, inoltre, di respingere la conferenza per le materie prime. Essa non risolverebbe niente. Le materie prime che si trovano nel terreno nazionale o coloniale si pagano con la semplice moneta dello Stato, ma se si acquistano all'estero, si debbono pagare con l'oro.

Per quanto concerne la visita in Germania, il Duce ha detto che è suo desiderio di compierla. Essa però deve essere ben preparata per dare senz'altro dei risultati concreti. Avrà un immenso clamore e quindi anche nelle sue conseguenze deve avere una portata storica. Essa determinerà l'incontro dei Capi di due movimenti e di due filosofie affini. La visita sarà preparata anche dal punto di vista della diplomazia ufficiale: deve determinare e segnare non sol

12 --Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

tanto 1a solidarietà dei regimi ma anche la politica comune dei due Stati che bisogna chiaramente tracciare verso Oriente e verso Occidente, verso sud e verso nord.

Il ministro Frank rivolge ancora al Duce una domanda e cioè desidera sapere come l'Italia sia riuscita a normalizzare i suoi rapporti con la Chiesa, mentre in Germania la questione è irta di difficoltà.

Il Duce risponde che la lotta contro la religione, sia cattolica che protestante, (non contro gli ebrei, perché in tal caso si tratta di razza) è inutile perché la religione è inafferrabile c_ome la nebbia. Per lo Stato è importante di dividere nettamente il compito con la Chiesa: voi, preti, vi occupate della religione, non della politica; dell'anima e non del corpo. Il cittadino appartiene allo Stato: la Chiesa cura in lui soltanto il settore religioso. Dopo la conciliazione anche in Italia si produsse una crisi assai grave e poco mancò che il Papa non arrivasse alla scomunica. La lotta si concluse col trionfo dello Stato. La gioventù viene educata dallo Stato. La Chiesa fornisce i cappellani, che si limitano a dire la messa. Ma non devono occuparsi né di sport, né di dopolavoro, né di ginnastica, né di circoli ricreativi: il campo ecclesiastico è la teologia. Dal la settembre 1931, l'Azione Cattolica, in Italia, praticamente non esiste più (1). Conviene riconoscere che i risultati di tale politica sono stati soddisfacenti: nessun contrasto notevole si è prodotto da allora, ed anzi, nelle ore difficili del conflitto itala-etiopico, il clero ha dato ottima prova. Comunque conviene vigilare continuamente. La Chiesa cattolica è come una palla elastica: per vedere il segno della pressione, bisogna che la pressione sia costantemente esercitata, altrimenti la palla riprende la forma primitiva.

Il ministro Frank parla infine dei suoi progetti culturali e dell'intenzione di fondare a Monaco un palazzo del diritto in cui dovrà essere un istituto di legislazione fascista al quale saranno ammessi i migliori studenti di legge in Germania. All'inaugurazione verrà invitato il ministro Salmi.

Chiede infine al Capo quali debbano essere a suo avviso i rapporti fra Stato e Partito. Il Duce risponde che in Italia il problema fu risolto facendo divenire il Partito un organo dello Stato, anzi una milizia civile agli ordini dello Stato.

(l) Ed. ln L'Europa verso la catastrofe, pp. 74-81.

(l) Vedi serie ottava, vol. IV, D. 192.

(1) -Vedi p. 316, nota l. (2) -Vedi p. 15, nota l.
102

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, DE PEPPO, CON L'AMBASCIATORE DI CINA A ROMA, LIU VON-TAO

APPUNTO. Roma, 23 settembre 1936.

Ho ricevuto stasera l'ambasciatore di Cina Liu Von-Tao che ho intrattenuto circa la missione De Stefani presso il governo di Nankino. L'ambasciatore di Cina mi ha informato che l'idea di invitare S. E. De Stefani in Cina era partita direttamente dal Maresciallo Chiang Kai-shek,

il quale in questi giorni gli ha al riguardo inviato un telegramma, nel quale ha precisato le questioni su cui il governo cinese desidera avere il diretto consiglio di questo noto economista e finanziere italiano.

Queste sono; l) L'economia in funzione della difesa nazionale; 2) la riforma del sistema monetario e della circolazione della moneta; 3). la riorganizzazione dei cespiti dello Stato.

Prendendo atto di quanto mi diceva, ho, da parte mia, assicurato l'ambasciatore di Cina che una missione di S. E. De Stefani presso il Maresciallo Chiang Kai-shek era vista con favore dal governo italiano e che il ministero degli Esteri gli sarebbe grato di ogni ulteriore dettaglio relativo a detta missione.

Sono rimasto d'accordo con il signor Liu Von-Tao che egli si metterà in questi giorni personalmente in contatto con S. E. De Stefani, al quale chiarirà la portata dell'invito del governo cinese, e riferirà il risultato di questa conversazione al suo governo.

Non appena il Maresciallo Chian.; Kai-shek avrà fatto pervenire il definitivo suo benestare per la missione De Stefani, l'ambasciatore di Cina comunicherà ufficialmente al ministero degli Esteri il relativo invito ufficiale ed un programma dettagliato del viaggio (1).

(l) Si riferisce all'accordo del 2 settembre 1931 tra Santa Sede e governo ital!ano che regolava l'attività dell'Azione Cattolica. L'accordo fu reso subito di pubblica ragione e riportatolargamente dalla stampa dell'epoca.

103

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9435/105 R. Lisbona, 24 settembre 1936, ore 14,15 (per. ore 17).

Telegramma di V. E. n. 53 (2). Nell'assenza primo ministro e ministro degli Affari Esteri, ho fatto comunicazione segretario generale degli Affari Esteri.

Nell'assicurarmi che avrebbe immediatamente portato a conoscenza del suo governo, ha osservato che non aveva particolari circa situazione e motivi che avevano indotto ministro degli Affari Esteri a Ginevra ad astenersi dal partecipare Commissione verifica poteri. Era propenso ritenere che ciò fosse dovuto a circostanze contingenti che non consentissero azione nel senso da

28.9.XIV ».

n 26 novembre, l'ambasciata di Cina comunicava le condizioni proposte a De Stefani per la sua missione: l) titolo di Alto Consulente Economico e Sociale; 2) contratto di sei mesi rinnovabile con stipendio di 4.000 dollari al mese e di mille dollari per il suo segretario calcolato a partire dal momento del loro imbarco per la Cina e rimborso delle spese di viaggio (nota verbale dell'ambasciata di Cina del 26 novembre). Di ciò Ciano diede comunicazione a De Stefani con lettera n. 240316/39 del 7 dicembre e De Stefani rispose il 9 dicembre accettando.

De Stefani arrivò in Cina il 2 aprile 1937 e vi rimase fino ad ottobre.

V. E. desiderato. In ogni caso esclude a priori, e mi pregava informarne senza indugio V. E., che in tale attitudine fosse alcuna intenzione meno che amichevole nei riguardi nostri.

Ho preso atto, ma poiché segretario generale degli Affari Esteri insisteva vivo sincero desiderio suo governo cordiale e amichevole collaborazione di cui governo fascista ha dato chiare tangibili prove (l) non può essere né unilaterale né circoscritto problemi che sono vitali per il Portogallo. Particolarmente nei riguardi nuova commedia inscenata a Ginevra (di cui ho rilevato oltre ridicolaggini il pericolo) governo italiano ha diritto attendersi che Portogallo dimostri desiderio sincera collaborazione.

Segretario generale mi ha da parte sua assicurato che Portogallo tiene troppo nostra collaborazione per non intenderla appunto con spirito completamente reciproco.

Non dubito fosse sincero nelle sue dichiarazioni come nei suoi intendimenti. Ma non sono altrettanto sicuro che questi si accordino con quelli del ministro degli Affari Esteri poiché attitudine attuale a Ginevra appare anche troppo chiaramente che continua sua politica personale durante conflitto italaetiopico. Ad ulteriore illustrazione situazione interna di questo governo, debbo aggiungere che è tutt'altro che chiaro quanto lo stesso primo ministro sia oggi in grado inquadrare questa come altra tendenza personale politica del suo ministro degli Affari Esteri. Non mancherò dal canto mio continuare svolgere azione secondo la linea prescritta dall'E. V. (2).

(l) Il documento reca in calce la seguente annotazione autografa di De Peppo: << Parlatone con s. E. De Stefani che è già stato convocato dall'ambasciatore di Cina e riferirà in merito.

(2) Con T. 4262/53 R. del 22 settembre, ore 24. Ciano aveva rilevato che 11 rappresentante del Portogallo alla Società delle Nazioni aveva evitato di partecipare alla commissione per la verifica dei poteri incaricata di pronunciarsi sull'ammissibilità della delegazione etiopica ed aveva incaricato !l ministro Mameli di far presente al governo portoghese che da parte italiana ci si aspettava <<qualche cosa di più conforme ai rapporti di cordialità e di collaborazione stabiUti recentemente con Lisbona in questioni di vitale interesse per il Portogallo». Analogherimostranza erano fatte al ministro del Portogallo a Roma (appunto De Peppo del 22 settembre).

104

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI

T. RR. PERSONALE S.D.N. 4283/280 R. (3). Roma, 24 settembre 1936, ore 23.

Decifri Ella stessa.

Durante il colloquio col Duce (4), Frank ha parlato di nuovo della mia visita a Berlino. Poiché anche von Neurath ne parlò recentemente ad Attolico (5) e poiché la situazione sembra particolarmente adatta, mi pare che ormai la cosa possa essere considerata matura. Epoca: verso il 15 ottobre.

Sia von Hassell che Frank hanno detto che il governo tedesco è pronto a riconoscere formalmente l'Impero quando ciò sia da noi desiderato. La visita assumerebbe un particolare valore se nell'occasione della mia venuta a Ber

(-4) Vedi D. 101.

lino il riconoscimento avesse luogo. E sarebbe un'efficace risposta alle vili assurdità ginevrine. Considera quanto sopra, tasta il terreno, se lo credi, e fammi conoscere il tuo pensiero (l).

(l) -Lacuna di decifrazione. (2) -Il 25 settembre, con T. 4307/54 R. delle ore 24, Ciano comunicava a Mameli che nella votazione per l'ammissione della delegazione etiopica il delegato del Portogallo si era astenuto. cosa che, potendo essere considerata una modifica dell'atteggiamento precedente, era stata considerata con compiacimento a Roma. Mameli espresse tale compiacimento il 30 settembre in un colloquio con il segretario generale del ministero degli esteri, Sampayo, che accolse la comunicazione «con soddisfazione visibilissima» (T. 9702/115 R. del 30 settembre, ore 13,35). (3) -Minuta autografa. (5) -Vedi D. 82.
105

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GUGLIELMINETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9755/085 R. Atene, 24 settembre 1936 (per. il t o ottobre).

Telegramma di V. E. n. 111 (2).

Il signor Goebbels con la consorte ed altri personaggi del seguito è arrivato in aeroplano all'aeroporto di Tatoi nel pomeriggio di domenica 20 corr. ricevuto dall'incaricato d'affari di Germania signord Kordt e dal capo del Protocollo di questo ministero degli Affari Esteri.

Sceso ad Atene la mattina seguente fu ricevuto da S. E. Metaxas col quale si intrattenne per circa mezz'ora. Fece poi visita al ministro governatore della città signor Kotzias, di cui è ospite, ed al sottosegretario della Propaganda e del Turismo signor Nicoludis. Da questo ultimo fu invitato ad una colazione al quale presero parte, oltre la signora Goebbels ed il seguito del ministro tedesco, l'incaricato d'Affari di Germania.

Alla sera il signor Metaxas offri un pranzo in suo onore in cui intervennero con Goebbels, la consorte ed altre personalità del seguito, anche alcuni funzionari di questo ministero Esteri nonché il signor Kotzias. Nel pomeriggio di lunedì, come nella giornata successiva, il ministro tedesco visitò i musei ed i monumenti di Atene lasciando la mattina del mercoledì questa città per recarsi nei principali luoghi che hanno un interesse archeologico e nelle isole. Per il suo ritorno che come sembra avverrà sabato non è stato stabilito un programma ma secondo le notizie dei giornali .egli vorrebbe lasciare la Grecia lunedì.

Appena ricevuto il telegramma di V. E., nella mattinata di martedì e cioè alla vigilia della partenza di Goebbels da Atene ho cercato di vederlo interessando anche al riguardo questo incaricato di Germania ma non mi è stato possibile attuare tale desiderio poiché, secondo quanto mi ha detto il signor Kordt, le poche ore che rimanevano al ministro del Reich prima di lasciare Atene gli permettevano già con difficoltà di compiere il programma stabilito. Non so se ciò sia dovuto ad una effettiva assoluta impossibilità di Goebbels di vedermi o se abbia egli invece approfittato delle circostanze per evitare in questo settore contatti che avrebbero potuto essere interpretati in un senso da lui non voluto.

Prima dell'arrivo ed ora si è ripetuto e si vuol fare rilevare che la visita del ministro della Propaganda del Reich non ha carattere ufficiale ma solo scopo di studio. Si dice anche egli sia venuto per trattare questioni economiche che interessano la Grecia e il Reich. Comunque non si può non riconoscere che la visita abbia dei riflessi politici. In Grecia, la Germania gode in

dubbiamente delle simpatie. Ciò appare sopratutto dall'atteggiamento che la stampa ha tenuto prima della dittatura e che tiene tuttora. Essa, anche quando le decisioni di Berlino erano contrarie a Stati legati da stretti interessi politici con la Grecia, è rimasta molte volte neutrale e mai ha assunto un linguaggio particolarmente aspro. Ora rileva con speciale cura tutti i commenti favorevoli al regime Metaxas comparsi nei giornali tedeschi. La Germania, d'altra parte, se per il passato si è limitata a svolgere una propaganda nell'ambito commerciale, oggi non appare abbia solo tali fini. Certo, essa rivolge alla Grecia più attente cure che un tempo e compie verso di essa un'azione più vasta, come dimostrano: la visita del dott. Schacht nel giugno scorso, su cui questa legazione ha già riferito (l); le particolari attenzioni usate dalla Germania alla Grecia in occasione dei giuochi olimpici; la venuta di Goebbels ad Atene ed il progettato viaggio del suo collega ministro dell'Istruzione Pubblica del Reich che arriverà qui nella prima quindicina di ottobre accompagnato da archeologi e da architetti tedeschi per assistere alla inaugurazione degli scavi archeologici di Olimpia per i quali il governo di Berlino ha concesso un primo

credito di 300 mila marchi.

Appare anche considerando tali fatti e propositi che la Germania abbia voluto intensificare queste sue cure specialmente ora per essere particolarmente presente agli inizi della dittatura Metaxas. La stessa attuale situazione nei rapporti economici greco-tedeschi tiene in rilevante parte legati alla Germania r;li interessi ellenici poiché, dati i non indifferenti crediti greci congelati colà, questi produttori sono spinti a comperare merci tedesche e lo stesso governo cerca nelle sue forniture di favorire l'industria del Reich. Da tutto quanto sopra si è indotti a ritenere che il signor Goebbels non possa essere stato spinto da soli scopi turistici a visitare Atene, che in questa estate è stata meta di altri illustri visitatori.

(1) -Per la risposta vedi D. 110. (2) -Vedi D. 91.
106

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1908. lstanbul, 24 settembre 1936 (per. il 2 ottobre).

Mio telegramma n. 279 del 22 corrente (2).

Ho avuto occasione di riferire ampiamente all'E. V. sullo stato d'animo

prodottosi in seguito alla visita fatta da Edoardo VIII a Istanbul (3). Gli ul

timi successi politico-diplomatici facilmente conseguiti dai dirigenti turchi,

i quali, bisogna però dirlo, hanno saputo abilmente sfruttare favorevoli circo

stanze contingenti, hanno qui determinato una specie di ebbrezza e la con

seguente convinzione che la Turchia sia oggi l'asse sul quale poggia la situazione politica dell'Europa sud-orientale (convinzione cui contribuisce anche la stampa francese -vedi Journal del 21 settembre), con riflessi sulla situazione politica europea in genere. Ne sono sicuri sintomi il linguaggio deciso, se pur sempre amichevole, nei riguardi dell'U.R.S.S., l'atteggiamento verso la Gran Bretagna, con la quale la Turchia non esita a mettersi sullo stesso piano, le rivendicazioni territoriali categoricamente poste per Alessandretta ed Antiochia. Su questi vari argomenti riferisco, per regolarità di carteggio, con separati rapporti.

E' noto come, al momento della partenza, S.M. Edoardo VIII abbia invitato a Londra tanto il presidente della Repubblica quanto il presidente del Consiglio. La stampa locale, evidentemente su analoghe istruzioni ricevute, ha colto l'occasione da questo invito per menare grande scalpore e per pubblicare le più disparate notizie, sia sulla data della visita che sulla composizione della delegazione turca. In particolare La République dell'll c.m., in una nota che aveva tutta l'aria di voler apparire ufficiosa, smentendo la data della visita pel maggio 1937, la preannunciava invece per l'ottobre prossimo e dava la seguente composizione della delegazione turca: presidente del Consiglio, ministro degli Esteri, ministro dell'Economia, segretario generale del ministero degli Esteri, sottosegretario alle Finanze ed alla Marina, generale di divisione Fahreddin (che ebbe ad accompagnare il Re d'Inghilterra durante il suo soggiorno qui) e probabilmente il Capo di Stato Maggiore con un primo generale di divisione.

Il corrispondente della Stejani da Istanbul telegrafò naturalmente queste notizie ma io ebbi occasione di riferire all'E. V. con miei telegrammi n. 265 del1'8 c.m. e n. 276 del 14 corrente (1) che la visita era stata in massima fissata pel maggio 1937 e che ogni altra differente notizia era stata messa in circolazione a scopi di politica interna.

Come ho comunicato con mio telegramma n. 279 del 22 settembre, il noto quotidiano La République, dopo aver riferito il 21 corrente della eco suscitata nei giornali italiani da tale notizia, ha pubblicato il successivo giorno 22 un articolo di fondo in cui, polemizzando coi nostri giornali e dimenticando che l'origine di tali informazioni doveva ricercarsi nelle sue colonne di dieci giorni prima, ha l'aria di rimproverare all'Italia inquetudini ed un nervosismo assolutamente inesistenti. A titolo di documentazione accludo gli articoli della République dell'll e del 22 c.m. E' questo un sistema evidentemente che in Turchia, dove la stampa dei giornali si fa tuttora in grassetto, ha fortuna e «attacca).

Per quanto riguarda la visita, un collega dell'ambasciata britannica e l'incaricato d'affari di Francia mi dicevano ancora ieri che nulla vi era di stabilito. Dal canto mio, come ho già riferito all'E. V. con mio telegramma n. 279, pur confermando che trattasi sempre di manovra ad uso interno, non voglio del tutto escludere che il viaggio possa anche esser~ anticipato se il governo turco riterrà ciò necessario per mantenere la temperatura all'interno ad un

grado elevato e se, superate le naturali diffidenze sovietiche, si veda la possibilità di concludere qualche buon affare finanziario a Londra.

Per quanto concerne poi la polemica con la nostra stampa, essa parte in primo luogo dalla segnalazione di questo corrispondente Stejani, data senza nessuna prudenziale riserva. Mi permetto quindi di esprimere il subordinato avviso che tutte le notizie in genere provenienti dalla Turchia siano accolte con qualche cautela, tenendo specialmente conto dello stato d'animo og~i prevalente in questo Paese e considerato che qui non si domanda di meglio che attirare l'attenzione su questo settore per dimostrare oltre la sazietà l'egocentrismo della Turchia e della politica turca. A titolo di utile curiosità ed a riprova della presunzione e dell'esaltazione di questi ambienti, trasmetto una vignetta pubblicata in copertina dal settimanale Akbaba, che porta scritto: «Gli amanti della pace», «Il turco, l'inglese: Non temere, se ci siamo noi nessuno ci tocca ~.

(l) -Il presidente della Reichsbank, Schacht, aveva soggiornato ad Atene dal 13 al 16 giugnoin restituzione della visita fattagli dal suo omologo greco. Il ministro Boscarelli aveva riferito che con tutta probabilità nell'occasione sarebbero stati discussi alcuni aspetti particolarmenteImportanti dell'interscambio commerciale greco-germanico, reso difficile dal congelamento del crediti greci per 34 milioni di marchi (T. per corriere 5694/037 R. del 10 giugno). (2) -T. 9357/279 R. del 22 settembre. ore 18,40. Il suo contenuto è riassunto In questo documento. (3) -Vedi D. 23.

(1) T. 8839/265 R. dell'8 settembre, ore 19,15 e T. 9031/276 R. del 14 settembre, ore 14.15, non pubbllcati.

107

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 10622/117R Budapest, 24 settembre 1936 (per. il 26).

Mio telegramma 96 del 16 c.m. (1).

l. Preceduto dalla pubblic:nione di qualche articolo segnalante prossimi viaggi di membri del governo francese nelle capitali della Piccola Intesa e dalla notizla di una imminente venuta a Budapest del segretario di Stato austriaco Schmidt, è qui giunto in aeroplano da Berlino il 19 corr. il ministro degli Affari Esteri germanico, accompagnato dalla consorte e dal consigliere di legazione Kotze. Nel darne al pubblico l'annunzio da esso inatteso i giornali nngheresi sottolineavano in brevi commenti il carattere privato del viaggio del barone von Neurath -venuto a visitare la figlia, moglie di questo ministro di Germania von Mackensen -ma davano anche espressione «alla viva gioia di tutta la nazione ungherese per la visita dell'illustre rappresentante del Paese amico», visita che «pur non perseguendo scopi particolari costituisce una manifestazione dei cordiali rapporti ungaro-germanici ».

L'indomani, 20 settembre, il barone von Neurath si recava a far visita al signor de Kanya, col quale aveva un colloquio di due ore. Dopo l'incontro non veniva pubblicato alcun comunieato ma soltanto in alcuni giornali una dichiarazione di Kanya che tra lui e von Neurath aveva avuto luogo «un amichevole scambio di vedute sulle questioni interessanti reciprocamente Germania e Ungheria». Qualche altro foglio rilevava nello stesso tempo come, avendo la conclusione dell'accordo austro germanico eliminato ogni possibilità di contrasto fra Budapest e Berlino, la collaborazione ungaro-germanica potesse attualmente svilupparsi con facilità anche maggiore che nel prossimo passato; altri ancora riferivano «da buona fonte » che nel colloquio non si era parlato

della questione del riarmo ungherese «dato che, nonostante l'ultima minaccia dalla Piccola Intesa, tale questione non è considerata di attualità dal governo di Budapest ».

In un editoriale ispirato e riassuntivo il Pester Lloyd scriveva successivamente: «Il viaggio, nonostante il suo carattere privato, segna un contatto personale tra i dirigenti della politica germanica e ungherese, derivante dalle relazioni cordiali esistenti tra i due Paesi. Sarebbe però errato cercare dietro questa visita piani di grande portata o nuove iniziative politiche della Gerffifc\nia e dell'Ungheria. Voci in tal senso sono diffuse come sempre da certi ambienti che approfittano di ogni occasione per suscitare sospetti contro le manifestazioni più normali e pacifiche di altri Paesi. Né la Germ::mia, né l'Ungheria hanno la minima intenzione di allontanarsi dalla linea politica seguita :i'inora e di assumersi la parte di guasta-mestieri della pace europea. Ciò vale anche per le varie congetture architettate in relazione alla convocazione della conferenza itala-austro-ungherese di Vienna: anche qui non si tratta che del normale perseguimento degli obbiettivi pacifici, ovunque noti, del Patto di Roma, strumento il quale non può essere scisso dall'idea della ricostruzione

europea».

Una informazione diramata dall'Agenzia Telegrafica ungherese all'estero teneva infine a rilevare come « i rapporti di buona amicizia esistenti facciano apparire naturale che i dirigenti dei due Paesi prendano contatto periodicamente» .

Il 21 settembre, il barone von Neurath partecipava a Géidi:illo all'annunziata partita di caccia del Reggente. Il 22, riceveva alla legazione i locali corrispondenti della stampa germanica per confermare la natura familiare della sua visita a Budapest che «gli aveva offerto d'altra parte l'occasione di vedere Kanya ed esaminare con lui le questioni che interessano in comune l'Ungheria ed il Reich ». La sera il ministro von Mackensen offriva in onore del suocero un pranzo al quale il governo interveniva pressoché al completo e che era seguito da un ricevimento pure « intimo », di un centinaio di persone. Il 23, il barone Neurath interveniva ad una riunione della colonia germanica, indetta per l'occasione nei locali della scuola tedesca. Stamattina, 24 settembre, è ripartito infine in aeroplano alla volta di Berlino, ossequiato al campo di Matyasfiild da questo vice ministro degli Esteri e dal sottosegretario alla Presidenza Barczy.

2. Circa il contenuto del colloquio tra il ministro degli Esteri germanico ed il suo collega ungherese, il barone Apor mi ha riferito -Kanya è partito per Ginevra subito dopo il suo incontro con von Neurath -che nel corso della cordiale conversazione, la quale avrebbe avuto soprattutto carattere di «giro di orizzonte», von Neurath avrebbe dichiarato a Kanya di essere assai soddisfatto dell'attuale aspetto delle relazioni itala-germaniche. Gli avrebbe detto pure essere suo vivo desiderio poter migliorare le relazioni tra Francia e Germania, dato che tra l'una e l'altra non è più pendente alcuna seria questione, «senonché la cosa è difficile perché nelle presenti circostanze non si sa con chi trattare a Parigi ».

Nonostante l'intensità ed i progressi della propaganda bolscevica in Europa, von Neurath non vedrebbe per ora il pericolo di un conflitto armato tra il Reìch e l'U.R.S.S.: il Reich, in ogni caso, non avrebbe alcuna intenzione aggressiva verso l'U.R.S.S. Quanto ai rapporti ceco-germanici, von Neurath si sarebbe limitato ad affermare che, sebbene questi continuino a non essere buoni in conseguenza del trattamento usato dal governo cecoslovacco ai tre milioni di tedeschi dei sudeti, la Germania non ha propositi aggressivi neanche verso la Cecoslovacchia.

In relazione alla recente manifestazione antimagiara della Piccola Intesa a Bratislava (1), von Neurath avrebbe assicurato Kanya che appena tornato a Berlino avrebbe a mezzo di quel ministro jugoslavo .attirato l'attenzione del governo di Belgrado sull'inammissibilità di siffatti atteggiamenti. Apor -e questo è abbastanza interessante -si mostrava convinto che, date le relazioni attualmente esistenti tra Germania e Jugoslavia, non fosse difficile a von Neurath esercitare un'influenza in tal senso su Belgrado.

Quanto finalmente alle relazioni germanico-polacche, von Neurath avrebbe dichiarato continuare queste ad essere ottime e non avere la visita dell'Ispet

-

tore dell'esercito polacco a Parigi (2), creato preoccupazioni di sorta in Germania.

3. Non so ancora fino a che punto le considerazioni di carattere politico abbiano prevalso su quelle di carattere personale e familiare nella scelta del momento del viaggio del barone von Neurath in Ungheria; né se maggiore sia stato il desiderio del barone von Neurath di recarsi a Budapest in questi giorni, o maggiore quello ungherese ài potervelo ospitare. Sta comunque in fatto che la sua visita -per l'eco che avrebbe necessariamente suscitato in Europa e per le apprensioni che qui si era certi avrebbe destato nelle capitali della Piccola Intesa -è giunta al governo ungherese assai acconcia, come manifestazione da contrapporre a quella testè effettuata a Bratislava contro l'Ungheria, e particolarmente gradita dopo che un siffatto carattere non gli era stato possibile veder conferito, nella misura desiderata, alla prossima riunione itala-austro-ungherese (3).

(l) T. 9100/96 R. del 16 settembre, ore 14,04. Riferiva che il ministro degli esteri ungherese,de Kanya, lo aveva informato del prossimo arrivo a Budapest di von Neurath, sottolineando che la visita avrebbe avuto carattere privato.

108

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 3865/1333. Berlino, 24 settembre 1936 (per. il 26).

Alla vigilia dei primi diretti contatti intesi a preparare il terreno per la futura conferenza a cinque, destinata a formulare un trattato impropriamente definito << nuovo Locarno », si va delineando, in taluni ambienti responsabili

tedeschi, un interessante atteggiamento nei confronti della Francia. Già la visita di Schacht a Parigi (l) ritenuta a torto o a ragione, un successo ripor~ tato dal capo dell'Economia tedesca, aveva costituito indubbiamente un primo passo in avanti. Ora poi, secondo quanto mi risulta da fonte sicura, l'ambasciatore di Germania Parigi, conte Welczeck, è venuto a Norimberga, per assistere al congresso del partito nazionalsocialista, portando con sé impressioni definite che condurrebbero, in certo modo, ad un programma che mi sembra opportuno riassumere in brevi linee.

Secondo il Welczeck ed anche, a quanto appare, secondo lo Schacht, la tendenza moderatrice di Delbos e di Blum è destinata ad affermarsi, qualora essa possa raggiungere pratici risultati. Alla Germania converrebbe un tale solidificarsi di posizioni perché altrimenti si andrebbe verso l'avventura costituita dalla creazione in Francia di un governo proveniente nettamente dalle file più accese del Fronte Popolare.

Delbos e Blum non avrebbero fatto mistero, anche con i due rappresentanti tedeschi, che non è esatto affermare che la sola via di uscita per la Francia, nella delicata situazione politica attuale, sia una sempre più stretta intesa con la Russia bolscevica. Anzi, una volta data all'opinione francese la soddisfazione di trovare un accordo in Europa con conseguente solidificazione della pace all'infuori dell'influenza sovietica, sarebbe facile avviarsi verso una liquidazione di quelle forme estremiste che sono in realtà nettamente antitedesche. In altre parole, se la Germania potesse dare ad un governo di sinistra moderato la possibilità di un'intesa su una qualsiasi piattaforma, diretta o indiretta, si potrebbe pensare a dare veramente un colpo definitivo al trattato franco-sovietico che sarebbe già, secondo le informazioni del conte Welczeck, sostanzialmente ripudiato non solamente da Delbos ma dallo stesso Blum. Il ragionamento non è del tutto nuovo perché se ne sentì già parlare al momento della visita del generale polacco Rydz-Smigly a Parigi (2), allorché in Germania, appunto perché considerata in funzione più anti-bolscevica che anti-tedesca, la visita non sollevò quella reazione che sarebbe stato normale e naturale di attendere.

Sempre secondo le impressioni Welczeck-Schacht, il cosidetto «Fronte Nazionale» francese, proprio perché (e qui credo che essi abbiano ragione) mancante di una piattaforma positiva capace di dare alla gioventù francese un programma di conquiste ideali, è destinato a non affermarsi. Blum anzi vorrebbe, con un'affermazione di pacifismo e di intesa, ottenibile con un avvicinamento alla Germania, togliere a quel Fronte anche le armi di una propaganda che si basa, un po' meschinamente, unicamente su quell'orrore della guerra che sembra formare oggi la caratteristica psicologica di ogni piccolo borghese di Francia. In tali condizioni il programma Welczeck-Schacht, rappresentanti ambedue correnti non perfettamente nazionalsocialiste, si avvici

D. -213). In proposito si vedano anche le dichiarazioni dello stesso Schacht all'ambasciatore Attolico in D. 143.

nerebbe, nei risultati alla crociata anti-bolscevica bandita dagli elementi di avanguardia del partito stesso e dello stesso Cancelliere Hitler. Esso infatti porterebbe alla conseguenza di stroncare praticamente, mediante l'affermazione della tendenza radicale moderata e tendenzialmente anti-bolscevica, l'attività ed i successi del comunismo in Francia. Ad un tale punto di vista non sarebbe contraria in definitiva, anche la Wilhelmstrasse che vi vedrebbe oltre l'eliminazione dell'influenza russa nell'Europa Occidentale, un piano di collaborazione, anche in funzione britannica, capace di raggiungere una cristallizzazione diplomatica e politica nell'Europa Occidentale.

Contro le impressioni del conte Welczeck e di Schacht sembrano agire quelle riportate d'altri gruppi tedeschi che hanno avuto recentemente contatti con il mondo politico francese. Secondo essi, infatti, la figura che maggiormente potrebbe rappresentare l'avvenire della Francia anche per le sue caratteristiche che lo fanno in certo modo avvicinare a quelle dei creatori degli attuali Regimi di Italia e di Germania, sarebbe l'ex-comunista Doriot, uomo capace di dire una parola nuova nel decadente mondo politico francese attuale.

Ignoro se le impressioni che ho sopra riferito rispondano all'effettiva situazione francese. Ma mi sembra in ogni modo interessante porre in rilievo come a Parigi non si sia alieni, a quanto sembra da far balenare agli occhi tedeschi programmi di contatti e di avvicinamenti (1).

(l) -All'undicesima riunione del Consiglio permanente della Piccola Intesa, tenutosi a Brat!slava dal 13 al 15 settembre (vedi D. 76), i tre Paesi avevano deplorato il riarmo austriaco ed avevano dichiarato, con chiara allusione ad un eventuale riarmo dell'Ungheria, di essersi accordati circa le misure da prendere qualora si fossero verificate altre violazioni del genere. Anche il fatto che il consiglio si fosse riunito a Bratislava, città che fino al 1919 era appartenuta alla Corona di Ungheria, era stato considerato come un monito al revlsionismo ungherese. (2) -Vec'i p. 7, nota 3. (3) -Questo documento ha il visto di Mussollnl. Circa il contenuto delle conversazioni avute a Budapest da von Neurath, si veda anche il D. 311. (l) -Il ministro dell'Economia tedesca, Schacht, aveva effettuato, dal 25 al 28 agosto, una visita a Parigi dove si era incontrato con i titolari dei dicasteri economici franc<:si ed aveva avuto un colloquio di carattere più strettamente politico con Blum (si veda DDF, vol. III, (2) -Vedi p. 7, nota 3.
109

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9483/417 R. Berlino, 25 settembre 1936, ore 21,54 (per. ore 0,20 del 26).

Barone von Neurat, rientrato in volo a Berlino (2), si prepara a ripartire domani per Baviera, dove vedrà Cancelliere Hitler. Parlando del documento inglese (3), mi ha confermato che Germania non ha nessuna fretta di rispondere. Dopo aver sentito impressioni del Cancelliere, egli si riserva di inviare precise istruzioni a von Hassell col quale ha già parlato personalmente qui oggi, perché prenda diretti contatti con V. E. allo scopo di concertare linea di azione parallela tra Germania e Italia. In linea generale mi ha già detto che proposta contenuta nel documento inglese di voler sottoporre anche nel nuovo trattato le eventuali applicazioni alla decisione della

S.d.N. incontrerà netta opposizione tedesca.

110.

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE S.N.D. 9501/418 R. Berlino, 25 settembre 1936, ore 22,05 (per. ore 0,20 del 26). Suo telegramma odierno 280 (l).

Ho avuto oggi occasione di parlare dell'argomento con barone von Neurath ritornato da Budapest (2) e che partirà domani per Baviera dove vedrà Hitler.

Neurath pensa anche egli che in situazione politica attuale sarebbe molto opportuno un tuo diretto contatto personale con principali uomini politici tedeschi. Sarà quindi lieto di parlarne subito a Hitler per essere autorizzato a farti pervenire invito recarti in Germania. Epoca preferibile sarebbe tra 15 e 25 ottobre, dato che Cancelliere Hitler sarà in quei giorni di ritorno a Berlino. Neurath conta darmi notizie precise entro prossima settimana.

Pregati informare di quanto sopra e dare eventuali istruzioni ad ambasciatore Attolico che sarà di passaggio a Roma nei prossimi giorni. Con corriere in arrivo costà lunedì mezzogiorno ti invio lettera personale (3).

(l) -Questo documento ha il visto eli Mussolin!. (2) -Dalla sua visita a Budapest. Vedi D. 107. (3) -Si riferisce al memorandum del governo britannico per un nuovo trattato di Locarno in data 17 settembre. Vedi p. 90, nota l.
111

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GUGLIELMINETTI

T. 4308/118 R. Roma, 25 settembre 1936, ore 24.

In recente votazione Assemblea ginevrina (4) delegazione greca ha votato a favore convalida poteri sedicente delegazione etiopica, in base a rapporto redatto da delegato greco signor Politis. Faccia sapere a codesto governo che ci aspettavamo a Ginevra qualche cosa di più conforme alla cordialità che stava ritornando nei rapporti fra l'Italia e la Grecia (5).

112

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9583/088 R. Belgrado, 25 settembre 1936 (per. il 28).

In odierna conversazione, questo ministro aggiunto Esteri, Martinaz, mi ha riferito -secondo notizie pervenute dalla delegazione jugoslava a Ginevra -essere accertato che l'esito del voto per l'ammissione degli etiopi alla

Assemblea (l) è dovuto a una manovra sovietica diretta a sabotare Locarno. A titolo di assaggio ho detto a Martinaz di aver sentito che la Piccola Intesa avrebbe assecondato tale manovra, il che non sorprendeva data la nota contrarietà per una nuova Locarno e il timore che, una volta sistemata la sicurezza sul Reno, le Potenze si disinteressino della sicurezza orientale e danubiana.

Martinaz non ha escluso l'esistenza di preoccupazioni della Piccola Intesa di fronte alle prospettive della Conferenza a cinque ma ha tenuto ad escludere in via assoluta che esse abbiano influito sull'atteggiamento delle rispettive delegazioni nella questione dell'ammissione dei rappresentanti di Tafari. La Piccola Intesa non ha fatto che seguire la Francia la quale, fino all'ultimo momento, si sarebbe battuta per l'esclusione degli etiopi e a tal fine si era tenuta in stretto contatto col.le delegazioni della Piccola Intesa. Chi invece, contrariamente a quanto era preveduto ed era stato assicurato negli ambienti inglesi della Lega, ha assecondato la manovra sovietica, è stato Eden, senza di che è opinione generale a Ginevra che essa non sarebbe riuscita.

A riprova delle precedenti buone intenzioni jugoslave e di tutta la Piccola Intesa, nonché delle istruzioni che le rispettive delegazioni avevano avuto nel senso di favorire la liquidazione dell'affare abissino, Martinaz mi ha tradotto un telegramma di Purié in cui si spiega « che non si è potuto fare altrimenti>> e che il voto non ha che un significato di applicazione procedurale ma lascia impregiudicata la questione di fondo. Lo stesso telegramma riferisce il contenuto di un telegramma di Krofta al suo governo nel quale sono dette in sostanza le stesse cose, però il ministro degli Esteri aggiunge che sarebbe stato deciso di rinviare la constatazione dell'inesistenza di un governo abissino e conseguentemente il non riconoscimento della delegazione di Tafari fino a quando siasi effettivamente verificata l'occupazione di Gore da parte delle truppe italiane. Dal che si dovrebbe dedurre che a Ginevra non si è soltanto obbedito a preoccupazioni di ordine procedurale ma si è altresì discussa la « questione di fondo » sulla base delle allegazioni etiopiche.

(l) -Vedi D. 104. (2) -Vedi D. 107. (3) -Vedi D. 121. Questo documento ha il visto di Mussolini. (4) -Vedi p. 107, nota 2. (5) -Il 27 settembre, l'incaricato d'affari ad Atene, Guglielminetti telegrafava di avere effettuato il passo prescrittogli in un colloquio con il sottosegretario agli esteri, Melas, il quale gli aveva assicurato che il governo greco desiderava continuare ad ayere con l'Italia «i rapporti più cordiali ed amichevoli» (T. 9566/197 R del 27 settembre, ore 14,30). Qualche giorno più tardi lo stesso Metaxas faceva pervenire a Guglielminetti assicurazioni nello stesso senso (T. 9715/205 R. del 30 settembre, ore 21,30).
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 25 settembre 1936.

È venuto a vedermi il consigliere dell'ambasciata di Francia, il quale mi ha detto che non potendo il conte de Chambrun, a causa della sua malattia, parlare con V. E., desiderava lui per conto del suo ambasciatore avere, se

possibile, qualche idea sull'atteggiamento dell'Italia dopo la deliberazione presa a Ginevra (1).

Mi ha fatto presente che, sia all'ambasciata francese a Roma, come in Francia, la deliberazione di Ginevra aveva prodotto una penosa impressione. Egli sperava che fosse stato da noi rimarcato l'atteggiamento della delegazione francese e del signor Delbos, il quale si è prodigato per evitare il ricorso all'Aja, che non avrebbe potuto far piacere all'Italia ed avrebbe potuto anche, una volta ammesso, essere d'impaccio in altre questioni. Eliminato questo pericolo, la delegazione francese non era fiuscita, con vivo rammarico, a impedire la deliberazione che è stata poi adottata. Egli mi pregava di rimarcare tuttavia la frase, in essa contenuta, che fa ogni riserva per l'avvenire.

Ho risposto che tale riserva era ridicola anche dal punto di vista giuridico, in quantoché la convalida di una delegazione si fa per ogni sessione e vale per la sola durata della sessione, così come la convalida di un deputato alla Camera. Essendosi voluta giustificare la deliberazione presa come conclusione di un esame puramente procedurale e giuridico, non potevo non rimarcare che anche sotto tale punto di vista la inutile riserva era un errore.

Egli ha insistito nel sottolineare che lo spirito della riserva aveva invece nel pensiero della delegazione francese un significato e un valore che a lui pareva dovesse essere da noi apprezzato.

Gli ho fatto osservare che quello che noi apprezziamo e soppesiamo in tutto il loro valore sono i fatti, che la deliberazione ginevrina è quella che è e che naturalmente sulla base dei fatti l'Italia esaminerà la situazione, senza fretta e senza calore.

Egli mi ha espresso l'augurio che l'Italia non voglia prendere deliberazioni di tale portata da aggravare una situzione internazionale già così difficile.

Ho risposto che non sapevo nulla in proposito, ma che mi pareva strano si continuasse sempre a fare appello al profondo senso di responsabilità europea e all'alta coscienza del Duce e non si trovasse mai la maniera di far prevalere le stesse cose a Ginevra e nemmeno di farle intendere a quei Paesi che, pur essendo legati alla Francia da patti che impegnano tutta la forza e il prestigio francese, agiscono, come sarebbe avvenuto stavolta, in maniera non corrispondente ai pensieri o ai propositi francesi. Se era vero infatti che il signor Litvinov aveva organizzato e capeggiato la manovra per impedire la soluzione che il signor Delbos aveva in vista, un tale fatto mi pareva suscettibile di conseguenze non meno importanti di quelle che potrebbe avere la ridicola deliberazione con la quale Ginevra ha perduto quel minimo residuo credito che le restava.

Gli ho detto che, come egli aveva potuto constatare, l'Italia aveva accolto quest'ultimo gesto della Lega con molta calma e sopratutto con molto umorismo, dato che da un anno a questa parte gli italiani si sono abituati ad assistere agli spettacoli di Ginevra come a una farsa, magari un po' lunga ma non priva di piacevolezze.

(l) Vecll p. 107, nota 2.

(l) Vedi p. 107, nota 2.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RR. 3880/1341. Berlino, 25 settembre 1936 (per. il 28).

Mi sembra utile riassumere qui appresso quanto, da fonte fiduciaria, mi viene riferito sulle impressioni e notizie raccolte da questa legazione di Jugoslavia nei riguardi delle reazioni prodotte, all'estero e in Germania, dai discorsi di Norimberga.

« La crociata contro il bolscevismo, pronunciata a Norlmberga, ha prodotto a Parigi l'effetto di accentuare le divergenze tra la destra e la sinistra. Al Quai d'Orsay si ha l'impressione che delle proposte concrete, da parte della Germania, alla Francia e all'Inghilterra, che fossero di natura da produrre un effetto persuasivo, creerebbero un favorevole orientamento verso i partiti di destra.

A Londra la posizione a:ssunta a Norimberga dai dirigenti tedeschi ha prodotto un pessimo effetto. Si considera che la decretata campagna contro il bolscevismo è un nuovo grave problema che viene a turbare la già tanto complicata situazione internazionale. Londra, che sta preparando, con grande interesse, la Conferenza a cinque, prova un vivo risentimento contro il rigido atteggiamento tedesco verso l'U.R.S.S., perché esso può compromettere l'esito della conferenza stessa. Non si comprendono le ragioni vere della campagna antibolscevica e perciò si fanno molte supposizioni, fra le quali anche che Hitler, non potendo più offrire altre riforme, ha voluto occupare l'opinione pubblica tedesca con un grande problema ideologico di carattere internazionale. In complesso il congresso di Norimberga ha fatto aumentare la sfiducia inglese nella Germania e la sorda ostilità di Eden e Vansittart.

Nell'URSS, naturalmente, :l discorsi di Norimben~a hanno avuto una profonda ripercussione. Non si prevede, però, che il governo sovietico abbia intenzione di rompere le relazioni diplomatiche o di fare passi diplomatici, ma che si prepari a lottare, con ogni mezzo, contro la spinta del pangermanesimo verso i territori russi. L'accenno di Hitler che la Russia è un grande deposito di materie prime ha particolarmente colpito i dirigenti sovietici. Si tiene a far notare che mai uomini di governo sovietici si sono espressi verso la Germania nei termini usati dai ministri tedeschi a Norimberga. Negli ambienti dello Stato Maggiore sovietico si è convinti che i nazionalsocialisti tedeschi sono unanimi nel preparare una aggressione contro l'U.R.S.S. e che perciò bisogna far tutto per affrontare questa crescente minaccia tedesca.

Anche in Germania il tono bellicoso e violento dei discorsi di Norimberga ha sollevato qualche preoccupazione, sia negli ambienti politici che in quelli militari. In questi ultimi si costaterebbe, con una certa inquietudine, che quanto si è detto sul processo di disgregazione dell'U.R.S.S. è stato ad arte molto esagerato, ciò che potrebbe avere per conseguenza di rinforzare nel popolo russo lo spirito patriottico, contribuendo così all'unità :mssa ed all'aumento della sua potenza militare.

Si osserva infine che mentre si manifesta un certo avvicinamento fra Praga e Varsavia, si registra invece un aumento di sfiducia di Praga verso Berlino» (l).

115

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9564/592 R. Parigi, 26 settembre 1936, ore 13,40 (per. ore 15).

Quai d'Orsay nel comunicarmi testo nota dichiarazione comune circa allineamento monetario (2), pubblicata simultaneamente 26 corr. a Parigi Londra e Washington, mi prega attirare attenzione R. Governo su paragrafo 5° dichiarazione stessa, nel quale detto che governi firmatari desiderano e sollecitano cooperazione delle altre Nazioni per la realizzazione della politica formulata in tale dichiarazione. Essi contano che nessun Paese cercherà ottenere un vantaggio di cambio irragionevole, ostacolando con ciò lo sforzo che intendono perseguire i governi d'America, Gran Bretagna e Francia per restaurazione delle relazioni economiche più stabili.

Invio per corriere testo della nota (3).

116

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI

T. 4329/107 R. Roma, 26 settembre 1936, ore 24.

In votazione Assemblea (4) delegato romeno ha dato voto favorevole alla convaliria sedicente delegazione etiopica. Delegazione romena in questa occasione non ha neppure avuto cura di attenuare la sua opposizione seguendo quegli Stati ex-sanzionisti che, come Bulgaria e Portogallo, si sono in detta votazione, astenuti. Non so più quindi come interpretare dichiarazioni nuovo ministro degli Esteri nei riguardi italiani (5) di cui è evidente il contrasto coll'atteggiamento assunto a Ginevra. Ponga il problema a codesto governo (6).

13 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

(l) -Questo documento ha il visto di Mussolin!. (2) -Nella notte tra il 25 e il 26 settembre era stata annunciata la svalutazione del franco francese come parte di un accordo, monetario tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia che portava allo scioglimento del cosidetto «blocco dell'oro » costituito nel giugno 1933. Molti Paesi alllnearono subito la propria moneta alla nuova situazione valutaria. Il valore della lira fu fissato, con provvedimento del 5 ottobre, a quota 90 rispetto alla sterllna e a 19 rispetto al dollaro. La svalutazione della lira In rapporto all'oro risultava del 40,94 %. (3) -Non pubbllcato. (4) -Vedi p. 107, nota 2. (5) -Vedi serie ottava, vol. IV, D. 830. (6) -Per il seguito della questione si veda il D. 167.
117

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE

T. 4330/92 R. Roma, 26 settembre 1936, ore 24.

Delegato polacco Assemblea S.d.N. ha votato per la convalida sedicente delegazione etiopica (1). Delegazione polacca non ha neppure creduto di attenuare la sua posizione, astenendosi dal voto, come hanno fatto alcuni Stati ex-sanzionisti quali Portogallo e Bulgaria. Tutto ciò è in contrasto con la politica di cordialità che codesto governo ha ripetutamente dichiarato di voler fare nei nostri riguardi, coll'atteggiamento amichevole da noi costantemente tenuto verso Varsavia, e non risponde infine all'interesse comune dei due Paesi. Faccia conoscere quanto precede a codesto governo (2).

118

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A VIENNA, SALATA

T. PERSONALE S.N.D. 4331/163 R. Roma, 26 settembre 1936, ore 22.

Questo Gabinetto ha deciso di sospendere dal settembre in corso la concessione del sussidio finora dato al principe di Starhemberg per le Heimwehren. E' infatti evidente che sono venute a mancare le ragioni di tale concessione. PregoLa comunicare tale decisione allo Starhemberg nel modo che riterrà più opportuno.

119

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, INGRAM (3)

APPUNTO. Roma, 26 settembre 1936.

E' venuto a vedermi l'Incaricato d'Affari d'Inghilterra, signor Ingram, il quale dopo avermi espresso il suo compiacimento per l'atteggiamento calmo mantenuto dall'Italia dopo le recenti deliberazioni ginevrine (1), mi ha parlato della situazione nel Mediterraneo. Ha tenuto a dirmi, a nome di Vansittart, che tutte le manifestazioni recenti britanniche in Mediterraneo, quali il viaggio del Re (4), il viaggio di Sir Samuel Hoare (5), il viaggio del ministro del

l'Aria Stanhope (1), l'invio di truppe in Palestina (2), la visita della flotta turca a Malta (3), non avevano e non hanno nessun carattere di politica antiitaliana. Esse devono venire invece considerate quali manifestazioni normali della attività britannica.

A suo dire, la cattiva interpretazione di tali avvenimenti sarebbe dovuta ai giornalisti italiani in Londra, e particolarmente al corrispondente della Tribuna, Sansa, i quali tenderebbero a far credere ad un tentativo di accerchiamento contro l'Italia, cui da parte inglese non si pensa né si è mai pensato.

Mi sono limitato ad ascoltare quanto Ingram ha detto ribattendo soltanto quando egli ha fatto vago accenno ad eventuali rapporti tra il governo fascista ed i capi del movimento arabo in Palestina (accenno che egli ha ritirato alla mia prima reazione); e, nei riguardi della stampa, gli ho risposto che non solo i nostri corrispondenti avevano dato tale interpretazione agli avvenimenti in parola, bensì quasi tutta la stampa mondiale.

Il signor Ingram ha tenuto a sottolineare che da parte inglese non si pensa né si desidera una politica anti-italiana.

. . . Ma, anche de Kerillis che ho ricevuto pochi minuti dopo e che è ritornato dall'Inghilterra, mi ha ripetuto che i sentimenti anti-italiani sono diffusi e radicati in tutto il popolo inglese, che nutre verso l'Italia « un odio irriducibile~.

(l) -Vedi p. 107, nota 2. (2) -L'ambasciatore Arane effettuò !l passo prescr!ttogl! !l 29 settembre !n un colloquio con !l sottosegretario agli ester!, conte Szembek (T. 9739/137 R. del 30 settembre, ore 1,50).S! veda anche !l D. 127.

(3) Ed. !n L'Europa verso la catastrofe, pp. 81-82.

(4) -Vedi p. 15, nota 1. (5) -Vedi p. 15, nota 2.
120

L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO LA SANTA SEDE, CASSINIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2920/756. Roma, 26 settembre 1936 (4).

Telespresso n. 1669/C del 15 settembre e 601668/C Ufficio Santa Sede (5).

In una conversazione avuta in Segreteria di Stato circa la nota pastorale del Concilio di Fulda (6) e del presunto nuovo atteggiamento del clero cattolico tedesco verso il nazismo, mi sono state fatte le seguenti precisazioni:

1.) al Concilio non è intervenuto un delegato speciale del Vaticano. Le notizie sulle deliberazioni prese sono state riferite in Santa Sede col consueto tramite gerarchico;

2.) gli accenni favorevoli a Hitler della pastorale sono stati fatti per iniziativa dei vescovi tedeschi e non per suggerimento del Vaticano;

3.) la riunione del cardinale Faulhaber ed altri vescovi per prendere contatti con rappresentanti del Reich era stata stabilita per trattare esclusivamente sul problema della scuola.

Queste affermazioni lasciano sottintendere che il Vaticano non vuole assumersi alcuna responsabilità, ma è chiaro che l'iniziativa dei vescovi tedeschi se porterà buoni frutti non sarà disapprovata. Ad ogni modo poiché il cardinale segretario di Stato ha più volte espresso l'opinione che non vi sia nessun rimedio nei rapporti dei cattolici col terzo Reich, mi riservo di riparlarne direttamente con lui alla prima occasione.

(l) -Lord Stanhope aveva ricoperto la carica di sottosegretario agli esteri fino al 17 giugno precedente quando era stato nominato ministro dei Lavori Pubblici. Il riferimento è errato. (2) -Il 2 settembre, il governo britannico aveva deciso di inviare una divisione in Palestina per fronteggiare la situazione di disordine creata dalla rivolta araba. Nel commentare il fatto, l'ambasciatore Grandi osservava che le misure adottate e il modo in cui erano state giustificate nel comunicato del Colonia! Oftice confermavano che il Gabinetto britannico intendeva valersi della situazione palestinese per dare una prova di forza che rialzasse il prestigiodella Gran Bretagna nel Mediterraneo (T. per corriere 8917/0487 R dell'8 settembre). (3) -Il 31 agosto Ciano aveva chiesto a Londra e ad Ankara di controllare le voci circa un prossimo invito alla flotta turca a visitare dei porti britannici (T.10168/436 PR per Londra e 10168/84 PR per Ankara) e Grandi aveva confermato la notizia, precisando che la visita era prevista nella seconda metà di novembre (T. 8830/1196 R. dell'8 settembre). (4) -Manca l'indicazione della data di arrivo. (5) -Non rinvenuti. (6) -Vedi D. 3.
121

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. PERSONALE S. Berlino, 26 settembre 1936.

Ti ho sommariamente telegrafato ieri sera il resoconto della mia conversazione con von Neurath (1). Aggiungo ora qualche dettaglio.

II ministro, che era giunto la sera innanzi da Budapest (2) e che si prepara a ripartire oggi per la Germania meridionale dove vedrà il Cancelliere Hitler, mi ha accennato alla circostanza che effettivamente, nello scorso luglio, egli non si mostrò entusiasta dell'idea di averTi qui nel momento delle Olimpiadi allorché, per la massa enorme di folla convenuta a Berlino, Tu non avresti potuto avere un ricevimento del tutto particolare quale è quello qui desiderato e quando Ja generale stanchezza di tutti non avrebbe creato l'atmosfera necessaria per un utile e costruttivo scambio di idee. Ora invece anche egli pensa che, particolarmente nell'attuale momento politico, alla vigilia della Conferenza cosidetta a cinque e mentre il parallelismo di azione tra Germania e Italia diviene sempre più preciso, un Tuo contatto personale con il capo dello Stato tedesco, con questo ministero degli Esteri e con 1 principali uomini responsabili della politica tedesca, sarebbe veramente dei più opportuni. In tali condizioni egli fa sua l'iniziativa dell'invito e a tale scopo si rlserva di parlare senza indugio con il FUhrer perché essa si realizzi al più presto.

Per l'epoca, dato il ritorno del Cancelliere a Berlino dopo il 15 ottobre, il periodo migliore sarebbe ad una data da destinarsi tra il 15 ed il 25 (stamane ho ritenuto opportuno, con una mia lettera personale, insistere perché la data stessa sia tra il 15 ed il 20). In settimana egli, dopo l'incontro con il Cancelliere, mi farà conoscere notizie precise in proposito. Aggiungo che il ministro riter

rebbe bene che Tu vedessi il FUhrer qui a Berlino e non nella casa di montagna di Berchtesgaden.

Resta ora l'interessante e importante questione accennatami nel Tuo telegramma (l) relativa ad un «riconoscimento formale» da parte tedesca del nostro Impero. Ieri sera, nella nostra conversazione, io non ho impostato direttamente la questione stessa, perché come Ti ho accennato telefonicamente, ho desiderato innanzi tutto vedere l'impressione prodotta su Neurath dall'accenno alla possibilità della Tua visita in Germania. Tale impressione, ripeto, è stata nettamente favorevole, avendo il ministro, senza alcuna esitazione e senza sollevare alcuna riserva, accennato subito con vera soddisfazione ad un Tuo eventuale viaggio in Germania. (In proposito stimo utile aggiungerTi che lo scopo del mio incontro con Neurath non è stato quello di entrare immediatamente e senz'altro nell'argomento della possibilità della Tua visita, avendo preferito far precedere tale accenno da una conversazione di carattere generale sulla prossima Conferenza a cinque e sul suo viaggio a Budapest).

Ma altra ragione che mi ha trattenuto dall'impostare immediatamente la questione del riconoscimento è stata la circostanza che, praticamente, bisognerebbe preventivamente definire la via ed il mezzo per un tale atto da parte tedesca. A questo proposito desidererei da Te qualche spiegazione per facilitare le nostre conversazioni berlinesi. Conosco anch'io come von Hassell e Frank abbiano sempre dichiarato che la Germania era pronta al riconoscimento al momento da noi desiderato. Ma resta il dubbio in che cosa debba consistere il riconoscimento stesso, dato che la Germania ha già formalmente e praticamente ridotto la sua legazione ad Addis Abeba a consolato generale e che qui a Berlino non esiste una legazione di Etiopia alla quale negare un diritto di rappresentanza diplomatica. In tali condizioni quale atto formale potrebbe ora essere compiuto secondo i nostri desideri dalla Germania? Una dichiarazione scritta in risposta alla nostra notificazione ufficiale della costituzione dell'Impero? O viceversa (e la Tua visita qui costituirebbe allo scopo un'ottima occasione) una dichiarazione, in forma pubblica, da parte del capo dello Stato tedesco o del ministro degli Affari Esteri nella quale si riconoscesse e si affermasse la Tua veste di ministro degli Affari Esteri non solamente del Regno d'Italia ma anche dell'Impero di Etiopia? O una qualunque manifestazione nei confronti del nostro Re, ufficialmente definito «Imperatore di Etiopia»?

Confesso che mi è sempre rimasto un po' oscuro in cosa possa concretarsi, formalmente, il riconoscimento da noi desiderato. Ti rinnovo quindi la preghiera di volermi comunicare con urgenza le Tue istruzioni in proposito, accennandone a S. E. Attolico, che, appunto nel pomeriggio di lunedì, dovrebbe essere a Roma. Per conto mio, vedrò domani von Hassell, che a suo tempo ebbe istruzioni di farTi la nota comunicazione sull'intenzione tedesca di procedere al riconoscimento (2), e penso di avere da lui qualche opportuna precisazione.

Conto, come ho sopra accennato, di inviarTi in settimana le notizie precise, promessemi da von Neurath, sulle formalità relative all'invio dell'invito (3).

122.

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9565/1259 R. Londra, 27 settembre 1936, ore 9,25 (per. ore 13,20).

Decisione governo francese svalutazione franco (l) essendo stata annunziata stamane sabato, giorno semifestivo in Inghilterra e nel quale borse valori sono chiuse, non mi è stato possibile raccogliere dirette impressioni della City. Dal mio fonogramma odierno n. 320 (2) V. E. avrà comunque rilevato primi favorevoli commenti con i quali giornali hanno accolto provvedimento che, per note ragioni di prestigio politico e finanziario, governo britannico aveva sollecitato da quando esso stesso aveva abbandonato tallone aureo. Mi riservo comunicare non appena possibile impressioni e notizie.

(l) -Vedi D. 110. (2) -Vedi D. 107. (l) -Vedi D. 104. (2) -Vedi serie ottava, vol. IV, D. 621. (3) -Per il seguito della questione si veda il D. 134.
123

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9618/333 R. Saint Jean de Luz, 28 settembre 1936, ore 19 (per. ore 23).

Governo di Burgos, che fino ad oggi non si interessava soverchiamente di un pronto riconoscimento da parte Potenze, crede che recenti avvenimenti abbiano causato in America Latina uno stato di animo tale da rendere attuale problema riconoscimento anche prima che sia occupata Madrid.

Per esprimermi desiderio governo che l'Italia sia primissima compiere tale passo è venuto da Burgos ministro plenipotenziario marchese di Aycinèma che lavora con il ministro degli Affari Esteri Yanguas y Messia. Egli ha insistito su fatto che in molti casi riconoscimento di un governo non ha atteso che capitale sia stata nelle mani della parte vincitrice e che, d'altronde, governo legale di Madrid non comandando neppure su provincie non ancora occupate dai nazionali, resta soltanto governo Burgos a governare effettivamente grande maggioranza provincie spagnuole.

Questo in linea generale, ma Giunta di governo ritiene anche Potenze europee non dovrebbero lasciarsi precedere da Stati sud-americani che pare stiano decidendo riconoscimento, senza preoccuparsi che ulteriori vittorie consolidino superiorità evidente dei nazionali.

'

Marchese Aycinèma mi ha anche informato che, secondo notizia giunta Burgos, stesso governo francese si preparerebbe riconoscere ufficialmente vincitore appena Madrid sia occupata e che segretario ambasciata di Francia attualmente residente Madrid avrebbe già ricevuto ordini di mettersi in rapporto coi capi nazionali appena capitale sia in loro potere.

Riferisco notizie datemi senza aver la maniera di controllarle e richiamo

per quanto riguarda opportuni.tà di un riconoscimento appena sia possibile a

mio rapporto n. 977 dell'8 corr. (3).

(l) -Vedi p. 129, nota 2. (2) -Non pubblicato. (3) -Vedi D. 34.
124

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9626/526 R. Washington, 28 settembre 1936, ore 19,05 (per. ore 2,47 del 29).

Mio telegramma n. 524 (1).

Intesa monetaria franco anglo-americano (2) ha qui incontrato accoglienza largamente favorevole. Non solo ambienti ufficiali ma anche quelli finanziari esprimono grande soddisfazione per decisione francese e per cooperazione data dai governo inglese ed americano, affermando che ciò ricondurrà la fiducia nel campo monetario, premessa, questa, necessaria per la ricostruzione economica mondiale. La strada da percorrere verso la « stabilizzazione » appare tuttavia ancora lunga e difficile anche se l'intesa raggiunta sia di eccellente auspicio.

Lo stesso capo del partito repubblicano ha lodato pubblicamente partecipazione americana, pur rilevando come il fallimento della conferenza economica di Londra (3) sia da imputarsi allo stesso presidente Roosevelt, che soltanto dopo ben tre anni si è reso conto J)roprio gravissimo errore.

Stampa dedica all'avvenimento editoriali che ne esaltano la portata e gli scopi presentandoli come una alleanza economica e monetaria fra le «tre grandi democrazie » che sottolinea essere pure le tre maggiori Potenze finanziarie del mondo.

La lira ed i titoli italiani in dollari hanno praticamente mantenuto inalterata rispettiva quotazione.

125

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9620/594 R. Parigi, 28 settembre 1936, ore 23,30 (per. ore 2,45 del 29).

Da lunga conversazione avuta con Léger rilevo seguenti punti:

l) Trattative finanziarie (4) furono condotte con assoluta e sorprendente segretezza. Durarono tre mesi e furono iniziate con gli Stati Uniti. Roosevelt mostrò fin dal primo momento grandissimo interesse soprattutto politico alla riuscita conversazione, desiderando rafforzare posizione della Francia che considera baluardo necessario contro invadenza tedesca in Europa. Governo americano garantì che non avrebbe fatto uso facoltà accordatagli dal Congresso di svalutare di altri dieci punti il dollaro. Chiese, però, alla Francia iniziare discus

sione anche con l'Inghilterra ottenendo da essa garanzie dopo l'apertura stabilita indispensabile anche all'America per concludere accordo.

2) Trattative con l'Inghilterra furono politicamente assai facili, date relazioni con la Francia. Dal punto di vista bancario, si dovettero invece vincere non poche difficoltà ma si ottenne garanzia assoluta che la sterlina non subirebbe ulteriore deprezzamento.

3) Léger ritiene che il governo francese otterrà dal Parlamento senza difficoltà eccessive approvazione legge. Spera che sua applicazione interna non dia luogo a scosse violente ma mi parve non escludere complicazioni.

4) Léger tenne porre in rilievo portata sopratutto politica dell'accordo raggiunto fra tre maggiovi democrazie occidentali per affermare in certo qual modo, solenne funzione di sicurezza che la Francia deve continuare ad esercitare sul continente europeo. Egli aggiunse che Berlino comprese molto bene la portata di questo linguaggio, che avrebbe preferito non sentire (1).

(l) -T. 9552/524 R. del 26 settembre, ore 9,09. Riferiva sull'accoglienza estremamente positivache l'accordo monetario tra Stati Uniti, Gran Gretagna e Francia aveva negli ambienti governativi di Washington. (2) -Vedi p. 129, nota 2. (3) -Conferenza economica mondiale che si era aperta a Londra il 12 giugno 1933 e si era aggiornata sine die il 27 luglio successivo. (4) -Si riferisce all'accordo monetario tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia reso noto !l 26 settembre (vedi p. 129, nota 2).
126

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9604/595 R. Parigi, 28 settembre 1936, ore 20,16 (per. ore 21,45).

Léger mi ha detto che aveva apprezzato moltissimo atteggiamento di assoluta calma tenuto dal governo italiano in presenza inconsulta deliberazione di Ginevra (2). Aggiunse che se ne compiaceva tanto più che, avendo trascorso buona parte della scorsa domenica leggendo numerosi documenti pervenutigli da Ginevra, aveva rilevato che i motivi fatti valere per la presenza dei delegati etiopici alla S.d.N. possono costituire argomenti ottimi in nostro favore e facilitare libertà di azione della nostra sovranità sopra Etiopia. Aggiunse che era certo che la stessa constatazione sarà stata fatta da R. Governo.

127

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, CON L'INCARICATO D'AFFARI DI POLONIA A ROMA, ZAWISZA

APPUNTO. Roma, 28 settembre 1936.

È venuto a vedermi l'incaricato d'affari di Polonia, a suo dire per annunciarmi il ritorno dell'ambasciatore Wysocki del congedo in data di domani. Scopo evidente di tale visita era di dare qualche spiegazione sul voto favorevole della Polonia alla deliberazione di Ginevra {2).

Egli mi ha detto, non senza qualche imbarazzo, che Beck aveva ritenuto di associarsi alla maggioranza dell'Assemblea in quantoché la questione era stata posta sul terreno procedurale, dal quale la Polonia a Ginevra ha cercato di non dipartirsi mai per non offrire il destro a manovre a suo danno. Escluso il ricorso all'Aja, che sembrava a Beck del tutto sfavorevole all'Italia e pericoloso per altre ragioni, egli aveva creduto che non venisse niente di male all'Italia da una deliberazione come quella, redatta in maniera da far comprendere chiaramente che in avvenire le cose sarebbero andate in modo del tutto diverso.

Ho risposto che tale spiegazione era per me incomprensibile, tanto più che la Polonia si era maggiormente distaccata dalla Lega nella questione etiopica e che il signor Komarnicki aveva ripetuto tre giorni prima della riunione dell'assemblea che la Polonia avrebbe votato contro la convalida della delegazione etiopica. Ero molto meravigliato che ciò non fosse avvenuto e che la Polonia si fosse prestata a una manovra sovietica.

L'incaricato d'affari mi ha ~nterrotto per farmi osservare che non si trattava soltanto di un'azione di Litvinov, ma di una certa acquiescenza inglese allo svolgimento di essa e mi ha chiesto subito dopo cosa vi fosse di vero in certe voci che, a suo dire, sarebbero messe in giro dai sovieti sul lavoro italiano per la ripresa del Patto a quattro.

Ho risposto che non mi constava che l'U.R.S.S. mettesse in giro tali voci, né che da parte italiana sia stato interessato alcuno a patti vecchi o nuovi.

(l) -Con successivo T. 9667/603 R. del 29 settembre, ore 19,50, Cerruti modificava alquanto 11 quadro positivo tracclatogll dal segretario generale del Qual d'Orsay. Da conversazioni avute con del parlamentari, risultava che né Gran Bretagna, né Stati Uniti si erano impegnati a stab1!1zzare la loro moneta a un tasso fisso, ciò che faceva sorgere del dubbi circa l'ut111tà dell'accordo sotto 11 profilo strettamente economico e creava delle difficoltà per una rapidaapprovazione della relativa legge nel parlamento francese. (2) -Vedi p. 107, nota 2.
128

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1418/920. Praga, 28 settembre 1936 (per. il 5 ottobre).

Convinzione precisa di questi circoli politici era che la storia abissina fosse finita e lo stesso Krofta prima di partire mi aveva fatto comprendere che non sarebbe stato difficile trovare una formula per chiudere ogni discussione. L'ultima coreografia ginevrina (l) ha perciò destato qui sorpresa e fastidio.

Gli organi ufficiosi non potendo smentire il societarismo tradizionale cecoslovacco hanno dovuto giustificare la risoluzione adottata dall'Assemblea, pur affrettandosi a scagionarne questo governo col mettere in rilievo che la Cecoslovacchia aveva seguito l'indirizzo delle grandi Potenze e che il signor Csusky aveva agito più da esperto giuridico che da rappresentante politico. La maggioranza dell'opinione pubblica si è mostrata seccata di tali strascichi superflui ed ha reclamato la fine di una inutile commedia e la buona volontà delle Potenze perché si decidano a collaborare e a risolvere le questioni che attendono una sistemazione e che non sarà certo la Società delle Nazioni a sistemare.

Bisogna dire, in realtà, che la Cecoslovacchia è coerente con i suoi guai. Per quanto i dirigenti, col signor Benes in testa, si sforzino a declamare la sta

bilità, la sicurezza e l'intransigenza di questa sedicente nazione, non è proprio un equilibrio stabile che sostiene la Cecoslovacchia; concordemente vi soffiano sopra Germania, Polonia e Ungheria a squilibrarne sempre più la posizione. La Cecoslovacchia si afferra a tutte le maniglie per salvarsi: spera nella Società delle Nazioni e perciò si adopera a non farla morire, a salvarne il prestigio, a rinsaldarne possibilmente l'autorità. Ma la Società delle Nazioni non basta e allora mette le sue sorti nelle mani delle Potenze che la crearono e attende fiduciosa la nuova Locarno, e, poiché sa che senza l'Italia nulla sarà possibile, teme che per via Ginevra si comprometta la collaborazione italiana e allora per bocca di una parte dei suoi tanti partiti e dei suoi tanti giornali grida alla fatuità ginevrina e al pericolo di veder naufragare Locarno, àncora di ulteriore speranza per la sua «sicurezza collettiva ». La quale, come è noto a tutti non meno che alla Cecoslovacchia, fa acqua da tutte le parti e quindi la Cecoslovacchia che non è proprio sicura di una eventuale collettiva protezione contro la Germania, suo incubo perenne, si afferra all'ultima ratio, la forza e le alleanze. Non potendo contare sulla Piccola Intesa, concorde solo contro l'Ungheria, poco fidando sull'aiuto francese ed inglese -il revisionismo di Eden ha sconcertato non poco -nulla su quello italiano, si rivolge all'U.R.S.S. e segue il signor Litvinov la cui ultima attività societaria più che in luce antitaliana si vorrebbe qui fare apparire in atteggiamento ostile alla conferenza a cinque.

Da un Paese in tale stato di necessità il quale deve pensare tutti i giorni al come non morire -perfino un diretto accordo con la Germania è paventato quale via di assorbimento e di disfacimento -non si può attendere una qualsiasi politica non dico indipendente ma nemmeno rettilinea.

(l) Vedi p. 107, nota 2.

129

L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3119/1221. Mosca, 28 settembre 1936 (per. il 6 ottobre).

Secondo questi circoli diplomatici e giornalistici, l'atteggiamento di Litvinov a Ginevra andrebbe spiegato alla luce degli avvenimenti svoltisi durante queste ultime settimane che avevano qui creato -come del resto la R. ambasciata aveva segnalato in vari rapporti -un'atmosfera di sospetto verso tutte le Potenze occidentali e non soltanto verso l'Italia. Ne sono prova, sia il contegno della stampa sovietica, sia, in particolare, le diverse manifestazioni del governo dell'U.R.S.S. nei riguardi della pol:itica di Blum e compagni e del Foreign Office. In breve:

0 ) Sospetti e malumori sovietici verso la politica estera francese: a) Accordo di non ingerenza negli affari di Spagna. II Kremlino -come a suo tempo riferito --pur desiderando la conclusione dell'accordo di non intervento in Spagna, quale garanzia contro gravi perturbamenti europei, rimane ferito nella sua esagerata suscettibilità, nel trovarsi improvvisamente po

sto di fronte al fatto compiuto dello scambio di note franco-britannico (1). Pur dando all'accordo la sua adesione, Mosca cercò di salvaguardare il proprio prestigio coi noti ripieghi procedurali, ma trasse dall'azione diplomatica francese motivi di diffidenza, nel vedere come la direttiva estera di Parigi fosse sempre influenzata prevalentemente da Londra. Altri avvenimenti contribuivano poi a creare qui l'impressione che il Quai d'Orsay avesse iniziato una nuova politica non solo indipendente da Mosca ma in contrasto collo spirito del patto francosovietico. E precisamente;

b) La visita di Schacht a Parigi (2) e la restituzione fattagli da Bastid (3). E' noto l'atteggiamento assunto al riguardo dal partito comunista francese, fedele portavoce moscovita. Ma il Kremlino, oltre essere indispettito dal fatto in sé, ch'esso aveva cercato di impedire, fu molto irritato dalla circostanza che il governo francese avrebbe persino evitato dal tenerlo informato delle conversazioni svoltesi nell'occasione. Da ciò le allusioni sovietiche alla debolezza del governo di Blum, che non saprebbe resistere e reagire alle lusinghe e minacce di Hitler (mio rapporto n. 1157 del 17 corrente) (4).

c) Scambio di visite tra Gamelin (5) e Rydz-Smigly (6). Anche di queste visite l'U.R.S.S. non venne informata, come neanche sarebbe stata sinora ragguagliata delle conversazioni svoltesi a Parigi col generalissimo polacco. Per di più, l'U.R.S.S. avrebbe cercato di evitare che la Polonia potesse ottenere un prestito dalla Francia, senza che questa concessione fosse preceduta da un riavvicinamento fra Varsavia e Mosca, ma inutilmente. Ora si teme moltissimo a Mosca che il rafforzamento delle relazioni franco-polacche possa, non solo rivalorizzare a Parigi l'apporto m:litare polacco a scapito dell'assistenza sovietica, ma per giunta possa avere ~elle profonde ripercussioni sulla intimità ceco-russa e sui rapporti romeno-sovietici. Sembra, infatti, che, dopo il defenestramento di Titulescu, vi sia adesso a Bucarest un'atmosfera assai mutata nei riguardi dell'U.R.S.S. cui corrisponderebbe una viva ripresa d'intimità con Varsavia.

2°) Sospetti e malumori sovietici verso l'Inghilterra: a) Negoziati per Locarno. In relazione al noto questionario britannico (7); « inevaso » da Hitler, l'U.R.S.S., sino a poche settimane fa, nutriva fiducia che l'Inghilterra avrebbe mantenuto fermo il proposito che nelle trattative per la nuova Locarno si discutesse anche della questione della sicurezza dell'Europa Orientale. Queste speranze si erano poi consolidate in seguito alla posizione positiva che il governo inglese sembrava aver assunto nei riguardi del

patto franco-sovietico, considerato come un << fatto compiuto » sul quale era impossibile ritornare.

Mentre le prime reazioni inglesi ai discorsi di Norimberga sembravano appunto rafforzare ancora le speranze di Mosca, successivamente la diramazione della nuova nota britannica circa la convocazione della Conferenza dei locarnisti (l) dava al Kremlino il motivato sospetto che Londra, colla «consueta elasticità », si disponesse a cedere alle esigenze del Reich, appoggiate anche dall'Italia.

b) Atteggiamento dell'Inghilterra nella questione spagnola. Insucce:sso dei tentativi sovietici per influenzare l'opinione inglese contro il cosidetto intervento degli Stati fascisti a pro' dei nazionalisti spagnoli (continue voci circa l'insediamento dell'Italia alle Baleari e della Germania e dell'Italia al Marocco, etc.);

c) Incerto atteggiamento dell'Inghilterra nei riguardi del problema della riforma del Covenant.

Su tutte queste varie cause di malcontento contro la Francia e l'Inghilterra si è venuta, poi, ad aggiungere la notizia che i predetti due Stati si erano accordatl coll'Italia per l'esclusione dall'Assemblea della S.d.N. della pretesa delegazione abissina. Alla constatazione, assai penosa, per il prestigio di «grande Potenza » dell'U.R.S.S. di essere ormai sistematicamente messa da parte dalle grandi Potenze occidentali in tutte le importanti questioni europee, si è venuto ad aggiungere il timore che la soluzione della questione etiopica a Ginevra costituisse il preludio della convocazione della Conferenza dei locarnisti, con programma limitato al patto occidentale ossia al ritorno alle sane idee base del Patto a Quattro.

Di fronte a questa possibilità e nell'incertezza del futuro dei rapporti italasovietici (varie manifestazioni di intimità itala-tedesca; politica dell'Italia e del Reich in Spagna; atteggiamento della stampa italiana nei riguardi degli avvenimenti interni sovietici; stato dei negoziati commerciali tra l'Italia e l'U.R.S.S.; attitudine italiana circa l'esclusione dell'U.R.S.S. dalla Conferenza dei locarnisti) la subdola azione di Litvinov a Ginevra, ha voluto evidentemente marcare come, almeno alla S.d.N., non si possa trascurare l'U.R.S.S. e come essa non intenda lasciarsi estraniare dai grandi problemi europei.

Va, peraltro, rilevato, per dovere di ufficio, come in questi ambienti diplomatici e giornalistici, l'attitudine di Litvinov nella questione dei mandati della delegazione del signor Tafari venga interpretata più come una reazione sovietica al binomio franco-britannico che come una decisa azione anti-italiana. Si ritiene al riguardo assai significativo il discorso all'Assemblea della S.d.N. del commissario degli Esteri che viene qui considerato non solo come l'immancabile risposta agli attacchi antisovietici di Norimberga, ma sopratutto come denotante una manifesta volontà di polemica con Eden. Si rileva altresi come l'azione di Litvinov, circa i mandati etiopici sarebbe stata impostata essenzialmente in funzione antitedesca. Tutto ciò, per dedurre che l'U.R.S.S. continua

a studiarsi di evitare una decisiva frattura nelle relazioni coll'Italia. Ma tutto ciò, se può spiegare l'oscuro retroscena delle manovre ginevrine di Litvinov, non diminuisce certo la responsabilità sovietica per quanto è accaduto alla S.d.N. né può valere ad attenuare il nostro legittimo risentimento.

(l) -Bi riferisce allo scambio di note del 15 agosto precedente con !l quale Francia e Gran Bretagna si impegnavano a non esportare materiale da guerra in Spagna a partire dal momento in cui i governi di Germania, Italia, Portogallo e U.R.S.S. avessero preso lo stesso provvedimento (vedi DDF, vol. III, D. 150, allegati). (2) -Vedi p. 123, nota l. (3) -Il ministro del commercio francese, Paul Bastid, era stato in visita in Polonia dal1'11 al 14 settembre e di ritorno In Francia sl era fermato a Berlino dove si era incontrato con Bchacht. (4) -Vedi D. 78. (5) -Vedi p. 7, nota l. (6) -Vedi p. 7, nota 3. (7) -BI tratta della richiesta di chiarimenti sul memorandum tedesco del 31 marzo (concernente la zona smilltarlzzata della Renania e le proposte per una pace durevole) che il governobritannico aveva presentato Il 7 maggio 1936 e reso pubblica il giorno successivo sotto forma di Libro bianco (testo in BD, vol. XVI, D. 307).

(l) Vedi D. 81.

130

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 9700/996 R. Ginevra, 29 settembre 1936 (per. il 30).

Cantilo mi ha pregato di andare a vederlo e mi ha riferito quanto segue: «Verso il 21 o il 22 corrente il noto prof. Jèze si è recato da Saavedra Lamas per pregarlo d'interporre i suoi alti uffici al fine di ottenere che il Duce accettasse di trattare coll'ex Negus per trovare «un componimento onorevole» della questione etiopica. Saavedra Lamas -a detta di Cantilo -avrebbe risposto a Jèze che egli non intendeva mischiarsi della cosa e il consulente di Tafari non avrebbe creduto opportuno di insistere. Senonché, ieri sera, alla fine di un pranzo diplomatico offerto da Saavedra Lamas, nella sua qualità di Presidente dell'Assemblea, pranzo al quale assistevano tutti i capi di delegazione fra cui il famigerato Lorenzo Taizez, quest'ultimo ha abbordato Cantilo e gli ha fatto il seguente discorso: «Tajari, convinto oramai ài non poter più contare sull'appoggio della Francia o dell'Inghilterra, desidererebbe vivamente di accordarsi col governo italiano su una base onorevole. Il signor Lorenzo Taizez ignorava che la démarche di Jèze era stata fatta per ordine espresso dell'ex imperatore. Egli, come «direttore dell'ufficio politico del Negus » aveva avuto mandato analogo dal suo Capo. Le basi su cui Tafari sarebbe disposto a riconoscere il nuovo stato di cose creatosi in Etiopia, sarebbero le seguenti: l) Costituzione di un «piccolo Stato » nell'ovest etiopico nella regione di Gore, che verrebbe posto sotto protettorato italiano e con occupazione militare italiana. 2) L'ex Negus riconoscerebbe l'impero etiopico sotto la sovranità del Re d'Italia. 3) Il Negus, appena creato tale piccolo Stato, abdicherebbe in favore dell'ex principe ereditario che diverrebbe il sovrano di Gore. Taizez ha aggiunto che, qualora il governo italiano accettasse di trattare su queste basi, esso si risparmierebbe una nuova campagna militare nell'ovest etiopico, perché Tafari darebbe ordine a Desta e a Imoru di deporre le armi. In secondo luogo l'ex Negus riconoscerebbe subito l'Impero italiano e così anche il problema di fronte alla S.d.N. verrebbe immediatamente risolto.

Cantilo mi ha dichiarato che aveva parlato subito della cosa con Saavedra Lamas ed entrambi erano stati d'accordo nel riconoscere che la questione, posta su tali basi, presentava un certo interesse e che ad essi incombeva il dovere, a titolo amichevole, d'informare il governo italiano. Per tale ragione egli, Cantilo, mi aveva pregato di andarlo a trovare. Teneva a precisare che il sig. Taizez lo aveva insistentemente pregato, a nome dell'ex Imperatore, di far presenti le grandi linee del suo progetto al governo italiano. Egli si limitava quindi ad espormi la cosa nell'ipotesi che al Regio governo potesse interessare di conoscere che Tatari desiderava, in un certo qual modo, sottomettersi ma voleva tarlo in «una torma onorevole ».

Ho risposto al signor Cantilo che lo ringraziavo della comunicazione e dell'interessamento. Non avrei mancato di riferire fedelmente a V. E. quanto egli mi comunicava. A semplice titolo personale osservavo che il gesto di Tafari mi sembava tardivo. Ormai l'Impero etiopico era passato integralmente sotto la sovranità italiana e costituzionalmente non vedevo come si potesse ora amputarne una fetta, sia pure per farne uno Stato a indipendenza formale, e poi nell'ovest etiopico sulle frontiere cioè del Sudan anglo-egiziano. Mi sembrava impossibile che il governo fascista potesse trattare con un «sovrano~ che per noi non esisteva più come tale e fare un passo indietro. Tutta l'etica del fascismo ci portava -come lui ben sapeva -a fare dei passi avanti. Tuttavia queste considerazioni erano assolutamente personali. Non avrei mancato di riferire quello che egli mi aveva detto con la maggiore obiettività ed urgenza.

Ho tratto l'impressione che, malgrado Cantilo abbia marcato il voluto effacement del suo capo in un primo tempo, sia proprio Saavedra Lamas che si agiti nella speranza forse di accrescere il suo prestigio di mediatore con una azione personale di pacificazione anche in Europa che farebbe salire le sue azioni per la concessione del premio Nobel. Caratteristica al riguardo la frase finale del Cantilo che sapeva di « superiori istruzioni » e cioè che se pel caso le proposte etiopiche avessero potuto interessare in qualche modo Roma, si sarebbe potuto magari organizzare un colloquio a tre nel corso del quale il delegato italiano avrebbe direttamente ascoltato dal sedicente «direttore del Gabinetto politico di Tafari » le modeste aspirazioni territoriali di quest'ultimo.

131

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 9649/998 R. Ginevra, 29 settembre 1936, ore 19,10 (per. ore 21,30).

Continuano a circolare qui le voci più disparate circa gli atteggiamenti che sarebbero da attribuirsi al governo di Madrid. Segnalo, a semplice titolo di cronaca, che quella che trova maggiore credito attribuisce ai rossi madrileni, premuti dall'incalzare degli avvenimenti, l'intenzione di voler riparare a Barcellona dove verrebbe proceduto immediatamente alla proclamazione di una Catalogna indipendente (1). Il riconoscimento da parte degli Stati membri

della S.d.N. del «nuovo Stato catalano » verrebbe immediatamente sollecitato per imperniare sulla nuova situazione che così verrebbe a crearsi, la possibilità di un ricorso all'art. 11 contro il governo di Burgos, suscettibile in tal caso ad essere designato, in termini correttamente societari, come « Stato aggressore :t.

Mentre quanto precede è da riferirsi soltanto, ripeto, a semplice titolo di cronaca, mi consta da fonte certa che il governo francese è seriamente preoccupato della possibilità che Roma o Berlino procedano ad un riconoscimento, uti singuli, del governo di Burgos, indipendentemente cioè da ogni intesa con gli altri Stati che hanno firmato l'accordo di non intervento. Conscio del fatto che i tragici avvenimenti di Spagna volgono. ormai rapidamente verso una soluzione in favore dei nazionali, la Francia intenderebbe porre le mani avanti per evitare che venga del tutto pregiudicata la propria eventuale posizione avvenire dinanzi al probabile governo spagnuolo di domani, e, per far questo, il Quai d'Orsay sarebbe venuto nella determinazione di sottoporre al Comitato londinese la proposta che impegnerebbe reciprocamente le Potenze partecipi dell'accordo di non intervento a non riconoscere il governo di Burgos se non collettivamente (l).

(l) Anche l'addetto mil!tare, GabrlelU, aveva telegrafato qualche giorno prima da Barcellona che i socialcomun!sti stavano preparando la costituzione di una repubbl!ca indipendente comprendente la Catalogna e le province di Castellon, Valenc!a e Alicante. La repubbl!ca sarebbe stata proclamata non appena Madrid fosse caduta nelle mani degl! insorti. Il telegramma d! Gabr!elli, inviato al S.l.M. fu r!trasmesso al ministero degli Esteri !l 13 settembre.

132

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9675/427 R. Berlino, 29 settembre 1936, ore 20,55 (per. ore 22,20).

Ho senz'altro iniziato, agli intenti noti, le prese di contatto su Locarno (2), cominciando oggi stesso da Gaus. Mi sono limitato, in questo primo colloquio, ad una esposizione del punto di vista italiano, facendo chiara nostra netta opposizione ad ogni sorta di «tripartiti ». Gaus ha compreso bene, eccependo però difficoltà tattica ad impostare battaglia su quel terreno. Ha però convenuto che ottimo terreno di resistenza per entrambi sarebbe negare competenza Consiglio S.d.N. di cui ad alinea P nota Eden. Domani vedrò von Neurath (3).

(l) -A questo proposito, Ciano telegrafava il 2 ottobre alle ambasciate a Londra, Berlino e e Parigi: «Questo Incaricato d'Affar! d! Germania ha Informato che il governo Berlino ha avuto notizie da Ginevra -analoghe a quelle r!fer!tec! da Bova Scoppa -circa la preoccupazione francese che riconoscimento governo Burgos avvenga singolarmente da parte Italia e Germania; governo francese preferirebbe che riconoscimento avvenisse collettivamente, magari portando questione dinanzi Comitato Londra. Governo tedesco dubita dell'autenticità di tali notizie. Se tuttavia questione riconoscimento governo Burgos fosse portata dinanzi Comitato Londra, governo tedesco s! dichiarerebbe contrarlo alla competenza del Comitato. È stato risposto che anche governo Italiano è dello stesso avviso~. (T. 4401/R.c. del 2 ottobre, ore 24). (2) -In relazione alla nota britannica per la convocazione di una conferenza degli «Stati locarn!ani ». Vedi D. 81. (3) -Vedi D. 134.
133

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9701/429 R. Berlino, 30 settembre 1936, ore 14,10 (per. ore 17,30).

Magistrati ha già opportunamente richiamato attenzione V. E. sopra l'interesse manifestato da Hess in materia conflitto spagnuolo (telegramma ambasciata 29 corr. n. 423 (1).

Poichè anche a me la cosa sembrava sintomatica e quasi foriera di qualche novità, ne ho domandato espressamente a von Neurath, il quale mi ha detto essere infatti intenzione della Germania, il giorno in cui truppe nazionali entreranno a Madrid, di procedere a un riconoscimento di fatto della nuova situazione. Hassell è incaricato di entrare in contatto a tale proposito con V. E. essendo naturalmente desiderio governo germanico procedere anche in questo in perfetto accordo con Roma (2).

134

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UU. S.N.D. 9703-9720/430-431 R. Berlino, 30 settembre 1936, ore 15,35 (per. ore 20,35).

Ho visto stamane lungamente von Neurath. Egli conferma l'invito da lui già rivolto a V. E. per il 18-22 (3). Hassell (che sarà costì lunedì sera) è incaricato di farlo ufficialmente (4).

Richiesto da me della opportunità di una breve sosta di V. E. a Monaco di Baviera, von Neurath ha risposto in senso affermativo, riservandosi peraltro di indicarne la data (se cioè prima o dopo Berlino) in relazione ai movimenti, sempre difficilmente prevedibili fino all'ultimo momento, del Cancelliere.

Ho quindi sviluppato con von Neurath i cinque punti indicatimi da V. E. come contenuto della visita (5), trovando von Neurath (potrei quasi dire assolutamente) favorevole e consenziente. Preciso:

l) Il riconoscimento. Già d'accordo sulla sostanza egli ritiene (quanto alla forma) che il meglio sarebbe di farne espressamente menzione nel «comunicato di chiusura».

2) Locarno. Ho discusso della questione a fondo. Mi sembra di aver guadagnato von Neurath alla tesi che ogni patto, anche solo tripartito, che comportasse una reciprocità di garanzie equivarrebbe a uno di «quei patti regio

nali di mutua assistenza », come tale per la Germania assolutamente inaccettabile, in cui Francia ed Inghilterra vogliono trovare nuovo strumento di applicazione dell'art. 16. Ho anzi insinuato che, sino dalla prima risposta alla nota di Eden (1), Germania farebbe assai bene a chiarire di essere disposta a qualunque discussione o soluzione << purchè suscettibile di non allontanarla dalla originaria concezione lacarniana di un patto -bilaterale -(come tale strettamente rispondente alla concezione· generale hitleriana in materia di Patti con l'estero) garantito dall'Inghilterra e dall'Italia».

Neurath ha in massima approvato e anzi preso nota della formula suggeritagli, pregandomi di discuterne ulteriormente con Gaus. Comunque una intesa di principio (e cioè Patto anti-tripartito), su questo punto che riteniamo fondamentale, si può ritenere (almeno per quanto riguarda Neurath) acquisito.

3) Società delle Nazioni. Ho domandato nettamente a Neurath quale fosse ora (dopo tutta l'acqua passata sotto i ponti dal 7 marzo scorso) la vera posizione della Germania in materia. Restando nella Lega delle Nazioni, l'Italia ho detto -avrebbe potuto seguire una politica confacente agli interessi tedeschi. Eventualmente uscendone essa avrebbe creato un «fatto nuovo» di cui mi sembra che la Germania non potesse fare a meno di tenere conto ... (2) ... Ove l'Italia uscisse dalla Lega delle Nazioni, egli (il Cancelliere) si riterrebbe sciolto dalla promessa di rientrarvi data il 7 marzo scorso (3). A mia domanda cosa pensasse di una intesa in questo sen:::o, von Neurath ha risposto approvando in pieno e aggiungendo anzi di aver conferito con Hitler attenendone l'assicurazione (e il Cancelliere ne darà a l'E. V. formali assicurazioni tedesche).

4) Simpatia Italiana in materia di aspirazioni coloniali risultante... (2) ...

5) Solidarietà antibolscevica. Essendo naturalmente stata da Neurath accolta senz'altro, posso dire che un accordo oggi sopra tutti i cinque punti fissati dall'E. V. nel suo colloquio di lunedì sera (4) mi sembra -ad ogni effetto raggiunto.

Neurath riparte questa sera rimanendo in vacanza dieci giorni. Ulteriori intese di dettaglio saranno frattanto possibili con Dieckhoff.

(l) -T. 9643/423 R. del 29 settembre, ore 13,27. Riferiva che il ministro Hess aveva inviato, a nome del partito nazionalsociallsta, un telegramma al difensori dell'Alcazar di Toledo. Ciò secondo Magistrati, costituiva una presa di posizione assai significativa nel confronti del conflitto spagnolo ed un primo passo in direzione dl un riconoscimento, da parte tedesca, del governo di Burgos. (2) -Il documento ha 11 visto dl Mussolln1. (3) -Vedi D. 110. (4) -Sul colloquio tra Ciano e l'ambasciatore von Hassell (del 3 ottobre), si veda 11 D. 153. (5) -Non è stato trovato nessun documento relativo a queste istruzioni che con ogni probabilità erano state date all'ambasciatore Attolico quando, nel giorni precedenti, si era recato a Roma.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9716/432 R. Berlino, 30 settembre 1936, ore 20 (per. ore 22).

Una buona fonte giornalistica, che ha avuto a Ginevra frequenti contatti con i francesi, riferisce non essere da escludere che, in caso di vittoria dei

14 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

nazionali, la Francia intervenga per imporre ai vincitori, (mre questi accennino a dirigersi verso il sud) (l) il «rispetto della libertà catalana :.. Non ho naturalmente modo di controllare.

(l) -Memorandum del governo britannico del 18 settembre. Vedi p. 90, nota l. (2) -Seguono alcuni gruppi indecifrab!l1. (3) -Memorandum del governo tedesco relativo alla questione renana del 7 marzo 1936 (testo In DDT, serie C, vol. V, t. l, D. 3, allegato). (4) -28 settembre. Vedi p. 144, nota 5.
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IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 9735/129 R. Sofia, 30 settembre 1936, ore 21 (per. ore 0,45 del 1° ottobre).

Presidente del Consiglio tornando da Ginevra si fermerà a Belgrado ove si incontrerà con Stojadinovic. Notizia è stata stamane confermata dal segretario generale degli Affari Esteri, il quale, pur partendo dal solito luogo comune della visita di cortesia, ha finito con lo ammettere che Kiosseivanov va a Belgrado con intenzione di sondare acque e eventualmente portare questione riavvicinamento Jugoslavia su terreno pratico.

Nel corso della conversazione confidenziale, Nicolaev ha esplicitamente smentito notizia comparsa recentemente su Vreme, che si tratti di continuare trattative già iniziate da Re Boris durante il suo recente soggiorno a Bled (2). Re Boris si sarebbe astenuto dal trattare qualsiasi argomento politico attuale tra i due Stati per non correre il rischio di urtarsi ad un rifiuto, come appunto successe a lui, Nicolaev, ultimamente a Montreux ed a Ginevra, dove, avendo domandato, in seguito alle istruzioni avute, al suo collega jugoslavo se governo di Belgrado avesse intenzione di portare su un terreno pratico le manifestazioni platoniche di riavvicinamento che si sono susseguite dopo visita di Re Alessandro a Sofia (3), come tutta la risposta si sentì dire che, fino a quando essa Bulgaria fosse restata fuori dall'Intesa Balcanica, la Jugoslavia non avrebbe potuto concludere con essa nessun accordo formale.

Le relazioni tra i due Paesi sono rimaste a questa risposta e Belgrado non ha voluto fino ad oggi ammettere la speciosità di tale argomento quando la Turchia, pur essa partecipe dell'Intesa balcanica, aveva firmato con la Bulgaria un trattato di amicizia e di mutua assistenza (4).

Implicitamente Nicolaev ha smentito le voci corse a Belgrado (telespresso di V. E. n. 230920 del 16 settembre) (5) che le idee di un fronte comune antibolscevico possono servire di piattaforma per un'intesa tra gli Stati balcanici e la Bulgaria; questo governo, per quanto si difenda con i mezzi propri contro la propaganda bolscevica, non ha, fino ad ora, speciale necessità di un accordo con altri Stati.

(l) -Sic. (2) -Colloqui del 4 settembre di Re Boris con il Principe Paolo e con Stojadlnovic. (3) -Dal 27 al 30 settembre 1934. (4) -SI riferisce al trattato di neutralità, conciliazione, regolamento giudiziario e arbitrato sottoscritto da Bulgaria e Turchia il 6 marzo 1929 ad Ankara e prorogato per cinque anni il 25 settembre 1933 (MARTENS, vol. XXVIII. pp. 704-710). (5) -Non rinvenuto.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9727/606 R. Parigi, 30 settembre 1936, ore 21,05 (per. ore 22,30).

Mio telegramma n. 601 (1).

Léger, al quale chiesi che cosa vi fosse di vero nella notizia pervenuta al mio orecchio e che vidi riportata stamane da vari giornali, ha smentito in modo categorico che Francia, Inghilterra e America avessero pensato anche un solo momento a fare qualsiasi proposta al governo del Reich.

Anche questi circoli finanziari ritengono infondata voce di trattative con la Germania. Léger aggiunse che la Germania segue una politica di isolamento e che questo suo atteggiamento non permette quindi, né alla Francia, né all'Inghilterra, di compiere qualsiasi gesto che sarebbe contrario alla loro dignità, oltre che venire interpretato falsamente a Berlino. Insistette sulla circostanza che anche Inghilterra non pensa a fare alcun (2) alla Germania, aggiungendo che esistono accordi, secondo cui Londra non oserebbe mai agire nei riguardi di Berlino all'insaputa di Parigi. Avendogli ricordato accordo bilaterale navale anglo-tedesco dello scorso anno (3), Léger mi rispose che era bensì vero che esso non era stato approvato dal governo francese, il quale però ne era stato edotto dal governo inglese prima che facesse le proprie proposte.

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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9883/060 R. Bruxelles, 30 settembre 1936 (per. il 5 ottobre).

Ministro di Germania mi ha chiesto se mi fosse pervenuta la copia della nota britannica del 18 corrente (4), circa il nuovo Locarno. Alla mia risposta negativa, ha voluto leggermi il testo, che aveva portato seco, aggiungendo che me ne avrebbe inviato un esemplare per mia opportuna notizia. Barone Richthofen ha commentato il documento, nel senso che esso era non solo vago ma oscuro; che non era spiegabile perché l'Italia non vi fosse nominata, a meno che da quell'esclusione non si dovesse inferire una tacita proposta per un contemporaneo patto collaterale fra Italia, Germania e Francia, come ne era corsa voce a Berlino; che infine non si riusciva a comprendere la natura del nuovo patto e la qualità degli impegni che Londra sarebbe effettivamente disposta a contrarre.

Il collega ha quindi attirato la mia attenzione sulle correnti sempre qui maggiormente manifestantisi a favore d'una revisione degli impegni internazionali belgi, e anzi in favore d'una loro quasi totale abolizione, com'era appunto nei desideri dei partiti fiamminghi. E al riguardo mi ha confidato che questo ministro degli Esteri Spaak non gli aveva nascosto, qualche tempo addietro, la sua disposizione contraria ad impegni di garanzia, manifestando quindi la sua propensione per una situazione di neutralità di fatto, pur osservando che questa parola non corrispondeva, né nella sua portata giuridica, né in quella politica, al suo reale pensiero.

Nel seguito della conversazione il mio collega si è mostrato incline a ritenere che lo Spaak, pur forse ammettendo, in caso di assoluta necessità, una garanzia reciproca nei confronti dei contraenti il nuovo patto di Locarno, strettamente limitato alla sua antica sfera, sia invece assolutamente contrario ad ogni prestazione per aggressioni che coinvolgessero i partecipanti al nuovo patto, alludendo così al giuoco degli impegni assunti dalla Francia in eventuali conflitti che dovessero toccare la Cecoslovacchia e la Russia.

Ho risposto che Spaak non aveva toccato meco l'argomento, e che io non avevo avuto ancora l'occasione di intrattenerlo al riguardo.

Gli accenni del mio collega tedesco trovano la loro ragione non solo nel desiderio di ricevere da me qualche supplementare informazione, ma sopratutto nel fatto che i colloqui che il signor Spaak ha avuto ed ha a Ginevra con Delbos e Eden provocano qui una ripresa di discussione sull'atteggiamento che dovrà assumere il Belgio di fronte alla preparazione di un nuovo patto occidentale. Ora, non v'è dubbio che il principio giusta il quale il Belgio, in caso di conflitto, debba far di tutto per limitare la sua azione alla stretta difesa del ter-ritorio nazionale e cioè che esso debba assolutamente evitare di venir coinvolto in conflitti in cui non siano direttamente in giuoco i propri interessi, è ormai condiviso dalla maggioranza del Paese; ma la mia impressione è che le sfere dirigenti attendono, prima di scegliere un'esatta direzione, di conoscere il reale e preciso pensiero dell'Inghilterra, nonché la portata degli impegni che essa sia effettivamente pronta ad assumere verso la Francia.

(l) -T. 9674/601 R. del 29 settembre, ore 19,05. Riferiva che, secondo una fonte attendibile, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti avevano avviato delle trattative con Berlino per giungeread un'intesa che armonizzasse la posizione del marco con il recente accordo monetario anglofranco-americano (per il quale vedi p. 129, nota 2). (2) -Lacuna di decifrazione. (3) -Trattato tra Germania e Gran Bretagna per la limitazione degli armamenti navali del 18 giugno 1935 (testo in MARTENS, vol. XXXI, pp. 3-8). (4) -Vedi p. 90, nota l.
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L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2252/1001. Saint Jean de Luz, 30 settembre 1936 (per. il 9 ottobre).

A seguito del mio telegramma 336 del 28 corrente (1), con cui informavo che la Giunta di Difesa di Burgos aveva conferito l'incarico al marchese Magaz di aprire i negoziati con il R. Governo ;_;,l fine di addivenire ad un'intesa preliminare per poter facilitare gli scambi commerciali con l'Italia, mi onoro di comunicare che il R. Console in San Sebastiano con rapporto n. 3109 in data odierna mi ha riferito quanto segue:

«Durante la serata del lunedì 28, ebbi una conversazione con il signor Gonzalez Bueno che mi disse che sarebbe opportuno che gli industriali e commercianti italiani puri e semplici che desiderano esportare in !spagna dovrebbero chiederlo a titolo di compensazione e che la Giunta darà ogni massima facilitazione all'Italia. In via segreta, mi aggiunse che la Germania ha già iniziato tale lavoro (1). Mi accennò anche che appunto industriali tedeschi hanno già ottenute facilitazioni sempre in via di compensazione per le piriti di ferro delle miniere del Rif. Ritornati sull'argomento con S. E. Yanguas e con il console Taverna, si ravvisò l'opportunità di uno scambio di vedute fra il nostro consigliere commerciale comm. Mariani ed il console Taverna che potrebbe avvenire in San Sebastiano previ accordi ed istruzioni di V. E. A tale fine S. E. Yanguas riteneva opportuno che Rom:>1. fosse prevenuta, tantopiù che l'ambasciatore marchese de Magaz ha già iniziate delle trattative che peraltro abbisognerebbero di suggerimenti di tecnici che per trovarsi sul posto hanno una maggiore conoscenza dei reciproci bisogni ».

Gradirei ricevere al riguardo particolari istruzioni dell' E.V., data appunto la coincidenza della già ventilata apertura dei negozi commerciali a Roma per iniziativa del marchese Magaz. Comunque, dato che il consigliere commerciale di questa ambasciata è legato da vecchia amicizia con il console Taverna, già addetto commerciale di Spagna a Parigi e successivamente addetto alla direzione generale del Commercio di Madrid per i negoziati commerciali con l'estero, ho autorizzato lo stesso consigliere commerciale a scambiare delle ideP ad referendum con il console Taverna circa le possibilità che si offrono in questo momento in materia di traffici commerciali fra l'Italia e la Giunta di Burgos.

Per quanto si attiene al lavoro della Germania non ho che richiamare il mio rapporto n. 2251/1000 in data 28 corrente (2).

(l) T. segreto Gabinetto 9610/336 del 28 settembre, ore 19,20. Dava la notizia qui riportata.

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IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 3498/1874. Vienna, 30 settembre 1936 (per. il 3 ottobre).

Il Cancelliere federale mi ha dato a leggere un rapporto confidenzialissimo di un giornalista austriaco di .sua personale fiducia, inviato da lui stesso a Berlino a scopo esplorativo e informativo. Il fiduciario che ha molti rapporti

Anche Attolico telegrafava di aver tratto l'impressione da un colloquio con Schacht che quest'ultimo si stesse « già preoccupando del miglior modo per fare della Spagna una sicura e conveniente fonte di materie prime per la Germania» (T. per corriere 9901/438 R. del 3 ottobre).

Il 7 ottobre, Ciano avvertì il console De Rossi che stava tornando l'agente generale della FIAT in Spagna, Boldori, il quale era stato «incaricato organizzare importazioni ed esportazionicommerciali ed esaminare basi per nostra futura attività commerciale e industriale» (T. segretoGabinetto 4443/187 R. del-7 ottobre, ore 1).

personali con gruppi nazionali e nazisti in Austria e in Germania, ha saputo farsi abilmente presentare anche da von Papen e da Glaise-Horstenau, così che ha avuto porte aoerte presso personauta emment1 del governo german:co e del Partito. Avrà nei pro<;simi giorni un colloquio con Goring. Gli è stata fatta sperare anche un'udienza da Hitler.

Più che altro è interessante in questo primo rapporto l'impressione raccolta a Berlino dal fiduciario di Schuschnigg, di una certa delusione per gli effetti sinora maturati dall'Accordo austro-germanico dell'H luglio nel campo internazionale e di una certa gelosia per l'influenza prevalente che, anche dopo 1'11 luglio, manterrebbe l'Italia negli stessi atteggiamenti dell'Austria verso la Germania.

Così il direttore ministeriale dott. Gritzbach del ministero di Stato prussiano, amico e collaboratore intimo di Goring, ha detto che a Berlino si sarebbe atteso da Vienna almeno un «preavviso'> dei piani perseguiti con il «cosi improvviso~ viaggio di Schmidt a Roma (l) e con la convocazione della conferenza a tre a Vienna (2). «Intende l'Austria -fu chiesto, ad esempio, dallo stesso interlocutore al fiduciario viennese -rimanere, a tutti i costi e in ogni situazione, membro del Patto di Roma?» E ancora una domanda: «Quale sarà, in definitiva, l'atteggiamento dell'Austria di fronte alla Piccola Intesa? ».

Si sarebbe confermato da vari interlocutori, che da parte germanica -pur rimanendo il problema austriaco « una faccenda di cuore » del Ft.ihrer -«si affidava al tempo di trattare e risolvere il problema'>. Goring sarebbe convinto che, lasciando l'Austria così com'è, indipendente, ma legata politicamente alla Germania, questa ha la possibilità di penetrare, con minori ostacoli, nei Balcani. D'altra parte, una libera Austria sarebbe, proprio nel presente momento, della più grande importanza per la Germania come «stazione d'importazione per materie prime». Anche lo sviluppo militare dell'Austria sarebbe seguito da Hitler come « affare proprio della Germania» e Goring ripeterebbe spesso agli intimi il suo vivissimo desiderio che il territorio austriaco possa essere incluso, con qualche finzione, nel raggio di azione dell'aeronautica germanica, naturalmente -fu soggiunto --con pieno rispetto dell'indipendenza austriaca.

Il dott. Berndt, sostituto del capo dell'Ufficio Stampa del Reich, ha molto

insistito sulla necessità di «iniziative », di «primi passi» austriaci per miglio

rare la Stimmung tra i due Paesi. Da Berndt e da altri funzionari del ministero

della Propaganda il fiduciario austriaco si sentì dire che il massimo sforzo deve

essere fatto ancora per impedire la pubblicazione dì notizie sfavorevoli sul

l'Austria ma che non sempre ci si riesce. Ad ·una propaganda in favore della

Austria non sarebbe il caso di pensare per ora. Del resto, ancora in data 17

corrente sarebbe stato emanato dal ministero della Propaganda ai giornali un

formale divieto di ogni articolo comunque elogiativo della situazione austriaca

od anche a favore del concorso di forestieri in Austria, essendo risultata troppo

gravosa per il mercato germanico delle divise l'affluenza di forestieri-tedeschi in

Austria nelle ultime settimane.

Ricorrono in queste conversazioni berlinesi se12:ni insistenti di un Drave malinteso: come se con l'accordo dell'l! luglio l'Austria avesse accettato in pieno, se non la disciplina del nazismo politico, la cultura nazista che è considerata come l'unica attuale cultura tedesca. I resti dell'll luglio dicono il contrario, chiaramente e precisamente. Ma chi non accetta la cultura nazista è considerato al di fuori della comunità nazionale germanica. « Ogni appoggio dato ad istituzioni -dice uno di questi interlocutori -che si propongono nel campo culturale scopi diversi, costituisce una opposizione all'unità morale del Reich ed è atto a pregiudicare, a lungo andare, in modo decisivo, i rapporti tra Vienna e Berlino ».

Fondamentale importanza è assegnata alla campagna contro il bolscevismo bandita a Norimberga. Sarà una vera crociata a cui il Fuhrer ha voluto chiamare l'Europa. Le Cancellerie possono in un primo tempo opporsi o titubare; ma la volontà dei popoli sarà guadagnata dalla forza e dal prestigio del Fuhrer che uno degli interlocutori paragona ad « una corrente irresistibile che travolgerà come fuscelli tutti coloro che persistettero in un atteggiamento diverso di fronte al comunismo ».

Il Cancelliere federale ha richiamato la mia attenzione specialmente sull'impazienza con cui, secondo affermazioni del dott. Gritzbach, si attenderebbe in Germania l'« incontro da tempo progettato tra il Filhrer e il Cancelliere», incontro che varrebbe « sicuramente a strappare molti veli». Il dott. Schuschnigg mi ha detto che egli ha sinora lasciato cadere ripetuti accenni a tale incontro fattigli anche da von Papen, ritenendo ben lungi dall'essere maturi a ciò i tempi. Mi ha del pari assicurato, spontaneamente, che egli non credeva di

dover interpretare le disposizioni, del resto chiare e precise, dell'accordo del1'11 luglio nel senso di ritenersi obbligato a «preavvisare » Berlino di quanto Vienna crede di fare nello svolgimento della sua politica estera, sia perché solo il governo austriaco è giudice di ciò che possa toccare la linea politica generale propria ad uno Stato tedesco quale essa si sente di essere; sia perché, sovra tutto nei rapporti con l'Italia, la stessa Germania ha riconosciuto, negli accordi del luglio, la precedenza non solo cronologica, ma la sostanziale prevalenza, fondamentale per l'Austria, dei Protocolli di Roma.

Il Cancelliere non esclude -ed ho riferito in proposito già in relazione alla prima idea del viaggio di Guido Schmidt a Roma -che nel corso delle trattative di ordine economico ad esecuzione dell'Accordo austro-germanico del1'11 luglio, risulti necessario o inevitabile quel viaggio a Berlino del segretario di Stato agli Esteri, al quale von Neurath ha già fatto indirettamente invitare il dott. Schmidt. Ma neppur questo viaggio il dott. Schuschnigg intende di precipitare, anche perché vorrebbe prima essere ben sicuro che la restituzione di tale visita, da parte germanica, a Vienna segua con tale personalità del governo di Berlino e con tali modalità da escludere una « missione ufficiale di propaganda nazista » o da ridurne al minimo il pericolo e gli evidenti imbarazzi al governo locale.

Il Cancelliere federale mi farà leggere anche i successivi rapporti del fiduciario da lui inviato a Berlino e specialmente quelli sugli eventuali colloqui con Hitler e Goring. Quest'ultimo avrebbe già accettato di trattare a fondo col giornalista viennese il problema del cattolicismo che è il punto di maggiore dissenso tra le due ideologie (l).

(l) Lo stesso giorno il console generale a Tangeri, De Rossi, telegrafava di avere appreso che da Berlino erano stati inviati in Spagna numerosi tecnici e commercianti per studiare le prospettive di espansione che si offrivano al commercio e all'industria tedeschi. De Rossi chiedeva quindi se non fosse il caso di fare altrettanto da parte italiana (T. segreto Gabinetto 9717/605 R. del 30 settembre, ore 12,30).

(2) Non pubblicato.

(l) -Vedi DD. 67 e 68. (2) -Conferenza !taio-austro-ungherese dell'll-12 N-ovembre, vedi D. 397.
141

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 9769/531 R. Alessandria, 1° ottobre 1936, ore 21,20 (per. ore 22).

Mio telegramma n. 526 (2). Continuo a seguire 'attentamente atteggiamento Egitto verso trattato angloegiziano. Senso scontentezza e disapprovazione da parte di vari ambienti (di cui al mio telegramma in riferimento) sembra possa aver tendenza accentuarsi, sebbene finora in forma non concreta. Tali tendenze e mancanza entusiasmo con cui Paese ha accolto trattato avrebbero, secondo buona fonte, provocato sfavorevoli impressioni ambienti inglesi, preoccupati che ratifica parlamento egiziano (completamente ligio voleri Nahas Pascià) possa non essere sufficiente a garantire pacifica, volenterosa esecuzione di esso. Comunque, forse per evitare che governo egiziano abbia a ritardare apertura scuole, ambienti bene informati ritengono che ratifica trattato avrà luogo senza difficoltà prossima sessione straordinaria parlamento egiziano che verrebbe convocato entro corrente mese.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE S. 9763/428 R. Berlino, 1° ottobre 1936, ore 22 (per. ore 22,30 del 2).

Come Ti ho già telegrafato (3), von Hassell giungerà a Roma venerdì sera e chiederà subito di vederti. Sarà interessante per me sapere esattamente quello che dirà, dato che, avendo egli visto a Monaco il Fiihrer ieri, potrà riferire quale sia sulle diverse questioni l'ultimo pensiero di lui. Fra l'altro, von Hassell era stato (su precedenti istruzioni del Cancelliere) incaricato da von Neurath di prendere contatti con Te in materia di Locarno e ciò prima del mio arrivo e delle mie conversazioni qua. Tu potresti quindi, se lo ritenessi conveniente, riferirTi anche alle conversazioni mie sopra questo punto, però Ti pregherei di essere, in ogni caso, particolarmente esplicito e preciso suggerendo opposizione,

netta ed irriducibile, per ogni sorta di patti «tripartiti » (1). Ti pregherei pure di non mostrarTi troppo «inteso » del contenuto « specifico :. delle comunicazioni che sopratutto egli è stato incaricato di farTi e di cui io Ti ho preavvertito. Ciò unicamente per ragioni psicologiche.

(l) -Questo documento ha il visto d! Mussolini. (2) -Vedi p. 109, nota 3. (3) -Vedi D. 134.
143

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. PER CORRIERE 9789/434 R. Berlino, 1° ottobre 1936 (per. stesso giorno).

La contradizione, almeno apparente, fra la decisione -subito annunciata di non svalutare, e la «simpatia» tuttavia proclamata e che si asseriva dover esser proclamata ieri (mio telegramma del 29 settembre) (2) dal capo della Reichsbank nei riguardi dei provvedimenti per la svalutazione del franco (3), mi indusse a chiedere di vedere Schacht ieri stesso onde ottenere da Lui opportune spiegazioni e conoscere quale fosse veramente il suo pensiero. Molto cortesemente egli mi ricevette alle 19, subito dopo avere illustrato ai giornalisti stranieri -nel modo che V. E. a quest'ora saprà -l'atteggiamento e la posizione della Germania.

Le dichiarazioni che Schacht mi fece furono così confidenziali che, anche per espresso desiderio suo, io non potei riferirne estesamente per telegramma. Di ciò informai, anche telefonicamente, subito V. E. onde evitare che R. Governo potesse essere, comunque, tratto in errore da ciò che in un primo momento appariva la facciata esteriore della posizione tedesca.

Sensibile a quel senso di solidarietà anche in questo campo evidente fra Germania e Italia, il dott. Schacht mi espose in tutta sincerità i precedenti della questione. Egli cominciò col richiamare i suoi viaggi e i suoi colloqui di Parigi ( 4) e gli accenni fin da allora apertamente fatti a possibilità di cooperazione franco-tedesca sul terreno economico-finanziario, possibilità ammesse anzi e, sembrava, sinceramente desiderate dallo stesso Blum. Le conversazioni avevano, naturalmente, portato ad un esame della stessa situazione monetaria europea e di possibili «provvedimenti di svalutazione». Anche Schacht non vi si era dichiarato, in principio, contrario. Egli li aveva, però, subordinati alle seguenti condizioni: a) che si procedesse a provvedimenti del genere di pieno accordo e dopo opportuna consultazione con «tutti» i Paesi interessati, compresi la Germania e l'Italia; b) che i provvedimenti di svalutazione implicassero anche la fissazione di un «rapporto» fra le diverse monete; c) che le nuove monete fossero rapportate, e quindi in certo modo ancorate, alla sterlina, e ciò (forse in questo il dott. Schacht peccò di « finezza») per dare la responsabilità morale della operazione all'Inghilterra, costringendola quasi automaticamente ad intervenire a sostegno delle posizioni deboli e pericolanti.

Sembra che fra Blum e Schacht non si fosse arrivati a veri e propri « accordi» ma che, tuttavia, la consonanza rivelatasi fra i due uomini, così negli intenti di raggiungere come nei mezzi necessari a raggiungerli, fosse tale da autorizzare il dott. Schacht a ritenersi in diritto di essere, perlomeno, debitamente consultato in ogni fase ulterio:-e dell'azione ventilata.

Accadde invece il colpo di scena della settimana scorsa e la svalutazione, tripartita per così dire, del franco: a) senza consultazione degli altri interessati sia direttamente (Olanda, Svizzera, ecc.) sia indirettamente (Germania, Italia, ecc.); b) senza fissare alcun rapporto fra le monete; c) senza nessun accordo preventivo inteso a parare le inevitabili gr a vi ripercussioni del provvedimento; d) e ciò soltanto in omaggio ad un proclamato desiderio di pace e di ritorno alla normalità monetaria e commerciale.

Quali le ragioni per le quali i tre si sono decisi ad agire in tale maniera e per conto loro? Essi rimangono ancora per il dott. Schacht poco chiare. !t'arse l'Inghilterra, avendo presentito che sarebbe stata essa a portare il peso finale di una operazione generale debitamente preparata e concordata, ha preferito una azione isolata del «gruppo di testa» nell'attesa che gli altri si sentissero forzati a seguire per loro conto e senza sua responsabilità. D'altra parte, l'attività politica dei partecipanti all'azione legittimava pure il dubbio di «una coalizione di valute democratiche» in opposizione a quelle autoritarie.

Il dott. Schacht si pone questi quesiti ma -per il momento -non vi risponde. Tecnicamente, egli vede, intanto, nell'operazione compiuta quanto appresso:

l) da parte francese, Blum, sorpreso dagli avvenimenti e, specie di fronte al fallimento del prestito interno, preoccupato della situazione finanziaria della Francia e delle sue possibili ripercussioni sulla sua stessa compagine politica, ha visto nella svalutazione solo un'improrogabile «operazione di tesoreria», capace di rimettere fittiziamente a posto il bilancio dello Stato (e con il bilancio sé stesso). Forse Blum, idealista e piuttosto ingenuo, ha pure creduto (per quanto in via accessoria) agendo isolatamente di guadagnare alla propria politica l'appoggio dell'America e ciò tanto più in vista di possibili aiuti finanziari da quella parte.

2) Da parte inglese. Il dott. Schacht vede in tutto questo sopra tutto una abilissima manovra della Tesoreria britannica intesa a liberarsi definitivamente del franco; pro tanto migliorando la situazione della sterlina di fronte al dollaro. Finora, a comandare sul mercato monetario -mi ha detto Schacht -erano in tre: ora, (Schacht presume naturalmente il fallimento sostanziale dell'operazione agli effetti francesi) sono in due. E l'Inghilterra, vis-à-vis della sola America, si trova in una situazione di vantaggio: Morgenthau ha la testa nelle nuvole...

In ogni modo, ha detto Schacht, se anche queste e non altre siano le ragioni dell'azione, si imponeva alla Germania una presa di posizione energica e netta, mostrando, pregiudizialmente e ad ogni buon fine, di non essere disposta a cedere a pressioni e intimida2:ioni di sorta. <<Non posso combattere contro il mondo intero, ma non sono neanche disposto a cedere e cioè uscire, solo per far piacere agli altri, dalla corazza della quale mi sono circondato mediante il rigido controllo delle divise. Svaluteremo ma se e in quanto possa convenire a noi -(aggiungo io) -«a determinate condizioni e dietro adeguata contropartita ~

Arrivato a questo punto, ho infatti ritenuto dover saggiare Schacht sopra il punto più delicato e cioè se e in quale forma egli si attendesse, per indursi eventualmente a demordere dalla posizione presa, compensi e aiuti da parte di altri. Non potendo farlo direttamente l'ho fatto indirettamente e cioè domandando cosa vi fosse di vero nella notizia telefonata dal ministro De Peppo a Magistrati, di una possibile attesa «azione comune~ includente la Germania e ciò a base di prestiti ecc. ecc. e con finale di piani ginevrini e di «conferenze ». La risposta datami da Schacht in proposito è stata tutt'altro che esplicita: per la seconda parte egli ha ammesso di essere a conoscenza di un progetto di conferenza a Basilea, propugnato da Blum, per la prima (prestiti, ecc.) egli si è limitato a dire che non aveva, a quello scopo, ricevuto avances di sorta da parte di alcuno.

Morale della situazione: Schacht, di fronte all'azione tripartita, reagisce, in primo luogo, mostrando che, ove essa sia intesa a sloggiare la Germania dalle sue posizioni, egli si difenderà con le unghie e coi denti. Peraltro, egli non rifiuta al trinomio franco-anglo-americano il beneficio del dubbio. Ammette una certa sincerità da parte di Blum, una certa insipienza da parte di Morgenthau, perfino per quanto riguarda Eden ammettendo che i propositi di pacificazione economico-finanziaria da lui annunciati a Ginevra siano veri, in quanto espressione non della sua opinione personale, ma di ponderate deliberazioni prese dal Gabinetto di Londra e «telefonate» a Ginevra. Per il caso, quindi, che ciò che non è stato fatto prima possa essere fatto dopo, cioè che all'azione tripartita possa seguire un'azione concertata e comune di tutte le maggiori Potenze interessate, Schacht di.chiara di essere pronto a collaborare, indicando tuttavia che non lo farà senza adeguate contropartite «essendo chiaro ad ogni persona seria che, se si vuole un risanamento europeo, bisogna pure che chi può venga in aiuto dei deboli e dei pericolanti». Questo Schacht ha detto a me; questo, in fondo, ha fatto capire nello stesso suo comunicato alla stampa.

E che cosa fa l'Italia? mi ha chiesto Schacht. Non sono in grado, ho risposto io, di dirvi nulla ma non escludo che, quando questa nostra conversazione sia nota a Roma, io possa essere in condizione di dirvene qualche cosa.

Nella domanda di Schacht era implicito un desiderio di collaborazione con l'Italia? (Egli non aveva mancato, nel corso del colloquio, di farmi rilevare che, nelle sue stesse conversazioni con Blum, egli non ci aveva mai considerato assenti). Comunque sia dei desideri di Schacht, mi sembra che ormai una nostra collaborazione possa riuscire utile. Parallelismo di situazioni porta automaticamente a parallelismi di azione. Importa, d'altra parte, a noi di non essere tagliati fuori dagli ulteriori sviluppi di questa grande azione di revisione economicofinanziaria che -per quanto malamente -si è venuta ora ad iniziare in Europa. È possibile che l'Inghilterra comprenda di dover fare ora qualche cosa per tirare a sè la Germania. Essa comprenderà dall'attitudine tedesca che la Germania non si rifiuta ad un allineamento delle valute ma in condizioni che le consentano una ripresa effettiva della vita economica normale e comunque affermandosi -fino ed agli intenti di un accordo -un pericoloso elemento di disaccordo e di insicurezza europea e ciò nel campo economico non meno che in quello politico.

Nell'intervallo fra la reazione tedesca e le iniziative internazionali di pacificazione economica e finanziaria che eventualmente possono dipenderne, potrebbe anche convenirci di prendere posizione anche nol, entrando in contatto allo scopo cosi con Berlino come con Londra, Parigi e Washington? Soltanto l'E. V., che ne possiede tutti gli elementi, potrà giudicarlo. Rimango quindi, per quanto riguarda Berlino, in attesa delle istruzioni che V. E. riterrà di impartirmi.

(l) -Si veda per il seguito 11 D. 164. (2) -T. 9659/426 R. delle ore 20,30, non pubblicato. (3) -Vedi p. 129, nota 2. (4) -Vedi p. 123, nota l.
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IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9823/0110 R. Vienna, 1° ottobre 1936 (per. il 3).

Da vari colleghi del Corpo diplomatico mi sono chieste notizie sull'epoca e sul programma del convegno viennese dei ministri degli Affari Esteri d'Italia, Austria ed Ungheria. Evitando ogni precisazione ho fatto comprendere che, per ragioni del tutto materiali, il convegno non era stato mai previsto per epoca precedente alla prima decade di novembre. Al ministro di Francia, che mostrava di assegnare al convegno di Vienna lo scopo precipuo di qualche iniziativa o deliberazione circa i rapporti tra gli Stati dei Protocolli di Roma e quelli della Piccola Intesa, osservai che, essendo fin dall'origine i Protocolli di Roma aperti ad ogni accessione, una iniziativa doveva attendersi piuttosto dall'uno o l'altro degli Stati della Piccola Intesa.

Come risulta da conversazioni con altri rappresentanti diplomatici, si attribuisce valore sempre più concreto a vari sintomi favorevoli ad una diminuzione delle distanze tra singoli Stati della Piccola Intesa e l'Italia, quali i propositi insistentemente enunciati da Hodza, la scomparsa di Titulescu, la stessa influenza indiretta dei rapporti tra la Germania e l'Italia e la Germania e la Jugoslavia sui rapporti tra questa ultima e l'Italia. Anche i recenti accordi stipulati a Roma per la ripresa dei traffici specialmente con la Cecoslovacchia (l) e la Jugoslavia (2), sono considerati elementi favorevoli ad un accostamento tra i due gruppi di Stati sul terreno economico, che può allargarsi successivamente al campo politico.

Il ministro di Romania che crede ormai tolto ogni ostacolo ad una più intima collaborazione tra il suo Paese e l'Italia, mi ha accennato, senza addurre la fonte, a notizie di opposizione della Germania ad un più largo raggruppamento danubiano che si realizzasse sotto l'egida o con influenza prevalente dell'Italia, considerandosi a Berlino la attuale situazione più comoda per la penetrazione germanica. Seguire con attenzione la politica germanica verso il sud mi è stato indicato come scopo principale della sua missione dal nuovo

ministro di Grecia a Vienna, signor Politis, che non mi ha fatto mistero, né delle sue preoccupazioni antigermaniche, né delle sue simpatie per l'Italia, alimentate dal ricordo del suo viaggio a Roma al seguito di Venizelos (1).

(l) -Vedi D. 68, nota 4. (2) -Accordo tra Italia e Jugoslavia per regolare gli scambi commerciali tra i due Paesi e i pagamenti relativi, 26 settembre 1936; protocollo addizionale al trattato di commercio e di navigazione del 14 luglio 1924, stessa data, (vedi Trattati e convenzioni, vol. L, pp. 301-306).
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 1° ottobre 1936.

L'ambasciatore di Polonia, rientrato ieri dal congedo, è venuto oggi a vedermi e notificarmi a nome del ministro degli Esteri Beck come la Polonia non intenda, né svalutare la sua moneta, né cedere alle pressioni che, a quanto le risulta, Francia e Inghilterra si propongono di esercitare sui Paesi a divisa controllata, per fare abolire i contingenti d'importazione e il controllo delle divise estere (2).

Il governo polacco fa presente che sembrerebbe opportuna una presa di contatto in vista di uno stretto accordo fra quei Paesi, principalmente l'Italia e la Germania, che non hanno voluto svalutare la propria moneta. Se il governo italiano ritiene che un tale punto di vista continui a coincidere con i suoi interessi, il governo polacco sarebbe ben lieto di stabilire uno stretto contatto e una comune linea di condotta.

L'ambasciatore Wysocki mi ha detto che egli ha potuto avere col ministro Beck una lunga conversazione politica e si è rammaricato di non averne avuta una seconda, a causa di un attacco di influenza che lo ha costretto a letto in questi ultimi giorni. Beck ha voluto metterlo al corrente degli ultimi avvenimenti della politica estera polacca, affinché egli potesse informarne al suo ritorno a Roma il governo italiano.

Beck gli ha precisato in maniera categorica che la visita di Rydz-Smigly a Parigi (3) non ha in alcun modo modificato la politica estera di Varsavia. La visita ha avuto lo scopo di migliorare l'atmosfera fra i due Paesi, offuscatasi, non per colpa della Polonia, a causa di certe interpretazioni date a Parigi all'attività estera polacca. Poiché in Francia il ministro Beck veniva continuamente attaccato come fautore di una politica antifrancese e tali attacchi avevano creato nell'opinione pubblica della Francia una opinione errata, che aveva anche ripercussioni a Varsavia in certi circoli specialmente di opposizione, la visita di Rydz-Smigly ha dissipato tali malintesi ed è quindi da considerare principalmente utile alle opinioni pubbliche della Francia e della Polonia.

Il sottosegretario agli Esteri conte Szembeck è stato inviato espressamente a Berlino ove, sia al Fiihrer che a von Neurath, ha spiegato nella maniera più chiara le direttive polacche, ricevendo le assicurazioni più cordiali che

nessun dubbio esiste in Germania sulle intenzioni che certa stampa straniera aveva attribuito alla Polonia, dopo la visita di Rydz Smìgly a Parigi. L'alleanza polono-francese (l) continua a davere lo stesso valore che la Germania le riconobbe quando fu concluso l'accordo polono-tedesco (2) e che non ritenne in alcun modo incompatibile con questo. A Parigi non si sono firmati patti nuovi e non si è nemmeno rifatto o riconfermato il Patto vecchio; si è soltanto schiarita un'atmosfera che troppi circoli avevano avuto interesse di intorbidire.

Beck ebbe anche a questo proposito una conversazione con Litvinov, durante la quale il ministro polacco dichiarò incomprensibile per parte sua certi allarmi sovietici nei confronti della Polonia e del tutto senza fondamento il sospetto dell'Unione Sovietica della esistenza di un accordo polono-tedesco ai suoi danni. Egli confermò che la Polonia non aveva nessuna intenzione aggressiva nei confronti dell'U.R.S.S., che teneva fede all'accordo con questa firmato (3), ma che non intendeva si continuasse da parte dei Soviet a mettere sotto falsa luce quegli accordi che, a scopo pacifico e nel suo interesse, la Polonia aveva stretto con altri Paesi, primo di tutti la Germania. Dopo tale conversazione, l'ambasciatore ha sottolineato che le relazioni russo-polacche parevano ritornate normali, ma che doveva constatare come l'atteggiamento di Litvinov a Ginevra le avesse già presso a poco ricondotte allo stato di prima.

Wysocki ha quindi aggiunto che le relazioni fra Cecoslovacchia e Polonia non sono state in alcun modo influenzate dalla visita di Rydz Smigly, dato che il generale a Parigi non è uscito dal quadro dei rapporti franco-polacchi, limitandosi a correggere talune impressioni errate che esistevano in Francia. La Cecoslovacchia sa molto bene che per migliorare i suoi rapporti con la Polonia non ha che da cessare quell'azione che da tempo persegue e che negli ultimi due anni ha fortemente accentuato di vera e propria persecuzione delle minoranze polacche esistenti nel suo territorio. Fino a quando a questo non si deciderà, la situazione, anziché migliorare, è suscettibile di peggioramenti.

Nei confronti dell'Ungheria, la Polonia resta nelle sue direttive di franca e cordiale amicizia e viva simpatia per quel popolo valoroso, al quale il popolo polacco si sente legato da ragioni storiche e sentimentali.

Con la Romania si è prodotto in queste ultime settimane un miglioramento, senza peraltro che questo abbia un significato speciale.

Beck ha voluto dare espresso incarico all'ambasciatore Wysocki di far conoscere a V. E. che è sua intenzione e vivo desiderio di tutta la nazione polacca di mantenere sempre più cordiali i rapporti con l'Italia. All'ammirazione che il governo polacco ha per il Duce si unisce la comunanza di interessi che consiglia alla Polonia un indirizzo di cordiale amicizia per l'Italia. La Polonia non può prescindere interamente dai suoi obblighi nei confronti della Lega delle Nazioni, ma questo non le impedisce di perseguire verso l'Italtallna politica di cordiale collaborazione. In tal senso Beck gli ha rinnovato le direttive per l'azione che l'ambasciatore dovrà svolgere a Roma.

p. -56, nota 3).

Da ultimo S. E. Wysocki mi ha detto che è sempre più vivo in Polonia 11 problema del riordinamento politico ed economico della nazione e che su tale questione egli si è intrattenuto con S. E. Kotz che sarà il futuro presidente del Consiglio. Kotz lo ha invitato a mandargli al più presto possibile le più ampie notizie sull'organizzazione corporativa italiana, sugli organi creati dal fascismo nella riforma dello Stato, nonché sull'organizzazione pratica, politica e amministrativa del Partito, desiderando i circoli ufficiali polacchi di far tesoro dell'esperienza italiana e creare sulla base etica del fascismo e sulla pratì~a organizzativa di esso il nuovo Stato polacco. L'ambasciatore mi ha pregato pertanto di volergli facilitare questo compito urgente che gli è stato assegnato, facendogli anche visitare, per ricevere sul posto tutte le spiegazioni di dettaglio, una federazione fascista a Roma o in una provincia finitima, nonché qualche federazione sindacale.

Mi ha detto che si ripromette di chiedere a V. E. di volerlo ricevere prossimamente (1).

(1) -Nel settembre 1928. (2) -La questione si poneva in conseguenza della svalutazione del franco francese e delle vicende valutarie ad essa connesse. Si veda p, 129, nota 2. (3) -Vdi p. 7, nota 3. (l) -Vedi p. 39, nota 3. (2) -Vedi p. 7, nota 2. (3) -Si riferisce al trattato di non aggressione tra Polonia e URSS del 25 luglio 1932 (vedi
146

L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO LA SANTA SEDE, CASSINIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 789. Roma, 1° ottobre 1936.

Mio telespresso 2920/756 del 26 settembre 1936 (2).

A seguito del telespresso suindicato ho l'onore di riferire che in una recente conversazione anche il cardinale Pacelli mi ha personalmente confermato che la Santa Sede non aveva inviato alcun rappresentante al concilio di Fulda, perché trattavasi della consueta riunione annuale dove non vi era l'abitudine di farvi intervenire il nunzio apostolico. A questo proposito il cardinale mi aggiunse che analoga domanda gli era stata fatta dal ministro degli Esteri austriaco e che aveva ugualmente risposto che non vi erano state speciali ragioni quest'anno per cambiare intonazione alla riunione con uno speciale intervento di un portavoce del Vaticano. Con ciò il cardinale Pacelli voleva

·confermare che le decisioni prese a Fulda erano di iniziativa dei vescovi e non della Santa Sede. In particolare non era stata suggerita dalla Santa Sede la frase della lettera pastorale dove, parlando contro il bolscevismo, i vescovi avevano espresso il voto che «al nostro Capo (unserem Fuhrer) fosse dato di combattere questo pericolo per la Germania ».

Circa questa frase che pare sia stata molto commentata negli ambienti vaticani, alcuni esponenti della Segreteria di Stato temono che si tratti di una arma a doppio taglio. Vi è infatti il pericolo che il Reich la interpreti come un atto di sottomissione di maggior portata di quello che non sia in realtà e in tal caso il Vaticano dovrebbe sconfessarla; oppure che le autorità tede

sche non ne tengano conto e in tal caso ne scapiterebbe il prestigio dei Rappresentanti della Chiesa Cattolica.

Comunque sta di fatto che le gerarchie cattoliche in Germania cercano di riprendere contatti con i nazisti. Ne è una prova la progettata riunione per trattare la questione delle scuole confessionali in cui oltre ad alcuni vescovi interverrà anche il nunzio apostolico, che a Roma in questi ultimi tempi avrà certamente ricevuto istruzioni dal Vaticano. Tuttavia circa questa conferenza e la possibilità di una distensione a prossima scadenza nei rapporti tra la Santa Sede e governo del Reich, il segretario di Stato ha tenuto a farmi notare che «purtroppo non vedeva ancora un principio di détente >.> e che nella stessa lettera pastorale di cui tanto si era parlato come indice di qualcosa di più di un semplice desiderio di pacificazione, erano ben chiaramente enumerati i gravami di cui soffre la Chiesa ed a cui non era ancora stata data soddisfazione.

Ciononostante, lo stesso cardinale Pacelli in fine della conversazione ritornando ancora una volta su questo argomento, che -come è noto -molto lo occupa e preoccupa, si è lasciato sfuggire che sulla base delle discussioni per le scuole confessionali forse sarebbe possibile aprire l'adito a trattative più ampie la qual cosa sarebbe per ìa Santa Sede di grande soddisfazione, anche se al giorno d'oggi ben poche siano le speranze e si cammini ancora su di un terreno troppo incerto, dove è facile formarsi delle vane illusioni.

(l) -Annotazione a margine: «visto dal Duce». (2) -Vedi D. 120.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9799/436 R. Berlino, 2 ottobre 1936, ore 14,10 (per. ore 17).

Notizie di cui al mio telegramma n. 429 del 30 settembre scorso (l) mi sono state oggi confermate da capitano Strunk, il quale ritiene che la Francia voglia fare della Catalogna uno Stato cuscinetto, e ciò specialmente a salvaguardia delle sue comunicazioni con l'Africa. Quanto all'Inghilterra, essa sta apparentemente alla finestra, sotto mano (lntelligence Service) agendo peraltro in senso antifascista. Ambiguità e indecisione Inghilterra contribuirà tuttavia, secondo Strunk, a scuotere (come già avvenuto nei riguardi del Portogallo) suo prestigio in Europa.

Capitano Strunk aggiunse di nuovo che, subito dopo entrata nazionali a Madrid, non è da escludere una presa di posizione e forse anche una azione armata dei carlisti, che sembrano decisi a imporre al Paese un regime monarchico (2).

(l) -Vedi D. 133. (2) -Il documento ha il visto di Mussolin!.
148

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 9807/344 R. Saint Jean de Luz, 2 ottobre 1936, ore 19,05 (per. ore 0,25 del 3).

Mio telegramma n. 343 (l).

Stampa Burgos pubblica nuova edizione testo noto decreto che appare modificato rispetto a quello originale. Generale Franco viene infatti nominato non più capo di Stato, ma capo del governo, pur mantenendo formula per cui egli «assumerà tutti i poteri del nuovo Stato>>. Si è cioè voluto lasciare aperta questione suprema magistratura dello Stato.

Modificazione decisa all'ultimo momento produce impressione non del tutto favorevole dato che dimostra palesemente esistenza seri dissensi tra dirigenti movimento nazionale, almeno per quanto riguarda futuro regime.

Proclamazione generale Franco avvenuta solennemente ieri a Burgos presenti capi militari e autorità civili e religiose. Giunta di Burgos pur avendo rassegnato poteri continua per ora in carica per volere del medesimo Franco, però, a quanto pare, con funzioni solo consultive.

149

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ATTOLICO, A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, CERRUTI

T. 4401/C. R. Roma, 2 ottobre 1936, ore 24.

Questo incaricato d'affari di Germania ha informato che governo Berlino ha avuto notizie da Ginevra-analoghe a quelle riferiteci da Bova Scappa (2) circa la preoccupazione francese che riconoscimento governo Burgos avvenga singolarmente da parte Italia e Germania; governo francese preferirebbe che riconoscimento avvenisse collettivamente, magari portando questione dinanzi Comitato Londra. Governo tedesco dubita dell'autenticità di tali notizie. Se tuttavia questione riconoscimento governo Burgos fosse portata dinanzi Comitato Londra, governo tedesco si dichiarerebbe contrario alla competenza del Comitato. È stato risposto che anche governo italiano è dello stesso avviso.

15 --Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

(l) -T.s. 9762/343 R. del 1° ottobre, ore 18,55. Comunicava che nella stampa era stato pubblicato n decreto con cui n generale Franco veniva nominato capo dello Stato spagnolo e comandante supremo dell'esercito. (2) -Vedi D. 131.
150

L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO LA SANTA SEDE, CASSINIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3043/784. Roma, 2 ottobre 1936 (per. il 3).

A telespressi 601704/C del 26 settembre e 232300/C del 28 settembre u.s. (1).

«Prima della partenza del cardinale Pacelli per il congedo annuale gli ho dato notizia dei passi compiuti da S. E. l'ambasciatore in Berlino (2) e degli affidamenti avuti, sia per i processi contro i gesuiti che per il caso delle suore di San Pietro Claver. II cardinale Pacelli è stato molto sensibile alla comunicazione fattagli e mi ha pregato di ringraziare per l'efficace interessamento spiegato da S. E. Attolico in seguito alle istruzioni impartite dall'E. V.

Circa le osservazioni formulate da S. E. l'ambasciatore in Berlino a proposito dell'opportunità di una più ampia propaganda antibolscevica nelle chiese cattoliche tedesche e di un senso di maggiore comprensione da parte della Santa Sede circa l'educazione della gioventù, ne ho pure fatto cenno al Segretario di Stato esprimendo inoltre la speranza che dalla prossima conferenza per le scuole confessionali potranno svilupparsi utili contatti per un chiarimento generale di tutta la situazione dei cattolici in Germania.

II cardinale Pacelli si è mantenuto assai riservato su questo punto, ma non ha più avuto quegli scatti di animosità veemente verificatisi in altre analoghe conversazioni sulla Germania. Vi è quindi un leggero mutamento come ho segnalato nell'ultima parte del telespresso 789 in data odierna (3).

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L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9849/533 R. Washington, 3 ottobre 1936, ore 12,21 (per. ore 21,50).

Improvviso annunzio partenza per gli Stati Uniti del cardinale Pacelli {4) ha qui suscitato viva curiosità ed ha dato luogo alle più svariate induzioni. Alcuni affermano che scopo del suo viaggio sia quello di rendersi conto dell'attività di padre Coughlin, ciò che non appare davvero motivo plausibile e sufficiente, altri invece [ritengono] che viaggio eminente personaggio sia da collegarsi con «crociata anticomunista », altri infine, e tale supposizione è largamente diffusa negli ambienti politici in genere meglio informati, esprimono opinione che scopo del viaggio sia quello di esaminare possibilità ripresa rapporti diplomatici fra Stati Uniti e Santa Sede. Mi ha tuttavia sorpreso che

capo divisione Affari Politici, che ho avuto occasione di vedere stamane, mi abbia chiaramente chiesto che cosa pensassi di quest'ultima possibilità, affermandomi che al Dipartimento di Stato nulla risultava in proposito e che quindi egli me ne chiedeva in via del tutto personale.

Per quanto concerne il pensiero e gli atteggiamenti di questa delegazione apostolica, tanto nei confronti del presidente Roosevelt, quanto di una ripresa dei rapporti diplomatici, mi risulta che attuale presidente viene considerato con viva simpatia e che la ripresa della relazioni diplomatiche era ritenuta come

<1: possibile » qualora presidente fosse stato rieletto per un secondo termine. Posso anzi aggiungere al riguardo che nel corso di una conversazione di carattere accademico avuta tempo fa in argomento con un membro della predetta delegazione apostolica, ebbi a chiedere al mio interlocutore come sarebbe stato possibile superare l'inevitabile opposizione del Congresso. Mi venne risposto che il Congresso avrebbe dovuto essere interpellato soltanto nel caso fosse stato necessario uno stanziamento di fondi per la nuova rappresentanza americana ma che per evìtare ciò presidente avrebbe potuto, almeno in un primo momento accreditare anche presso la S. Sede ambasciatore degli Stati Uniti accreditato presso il Quirinale.

Mi risulta in modo positivo che delegato apostolico ha manifestato sorpresa per annunzio viaggio cardinale Segretario di Stato, che gli sarebbe giunto inaspettato. Egli, pur non escludendo che cardinale Pacelli (a parte contatti che avrà con massimi esponenti gerarchia cattolica Stati Uniti) possa incontrarsi con uomini politici americani e probabilmente con lo stesso presidente Roosevelt, afferma che viaggio ha solo carattere privato. Ha tuttavia affacciato una qualche riserva sulla scelta momento, essendo attualmente in pieno svolgimento aspra campagna presidenziale. Al riguardo è anzi da chiedersi se il viaggio non venga ad iniettare nella campagna elementi religiosi e appare molto dubbio se il presidente Roosevelt abbia più da guadagnare o più da perdere, dando impressione ricercare appoggi della chiesa cattolica.

Benché non sia in grado di precisare se la visita del cardinale Segretario di Stato celi effettivamente un qualche scopo, ho tuttavia creduto doveroso riferire a V. E. quanto mi risultava al riguardo, nonché prime reazioni da parte americana (l).

(l) -Non pubblicati. Ritrasmettevano rispettivamente 1 DD. 56 e 85. (2) -Vedi D. 85. (3) -Vedi D. 146, che è in data 1° ottobre. (4) -Il cardinale Pacell1 era partito in piroscafo da Napoli 11 1° ottobre diretto a New York dove giunse il giorno 7. Durante !l suo soggiorno negli Stati Uniti, che si prolungò fino al 7 novembre, visitò numerose città americane e si Incontrò con Il presidente Roosevelt dopo la sua vittoria nelle elezioni del 3 novembre. Si vedano in proposito i DD. 160, 170 e 467.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9847/1285 R. Londra, 3 ottobre 1936, ore 20,17 (per. o;-e 23).

Generale Franco ha telegrafato ai suoi fiduciari Londra istruzioni assicurando categoricamente governo britannico che movimento nazionalista spagnuolo non ha promesso, né intende promettere ad alcuna Potenza straniera basi o altre concessioni politiche nel Marocco e nelle Baleari. Franco garantisce altresì che il suo governo rispetterà rigorosamente tutti i trattati vigenti.

(l) Questo telegramma fu inviato prima che giungesse all"ambasciata a Washington il seguente telegramma di Ciano: <<Prego riferire opinioni correnti costà circa viaggio cardinale Pacelli » (T. 4408/440 R. del 3 ottobre, ore 19).

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COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON HASSELL (l)

APPUNTO. Roma, 3 ottobre 1936.

Ho avuto il seguente colloquio con l'ambasciatore von Hassell.

Mio viaggio in Germania. -L'ambasciatore von Hassell mi ha comunicato ufficialmente l'invito a recarmi in Germania tra il 18 ed il 22 corrente mese. Egli era al corrente di quanto era stato detto ad Attolico circa la redazione di un comunicato a conclusione della mia visita, nel quale avrebbero dovuto venire toccati i seguenti punti: Locarno, Società delle Nazioni, colonie, comunismo, riconoscimento dell'Impero. In massima, a nome del suo governo, si è dichiarato d'accordo, riservandosi di concordare in seguito i particolari e di redigere il testo.

Locarno. -Per la questione di Locarno l'ambasciatore von Hassell mi ha dichiarato che il governo tedesco intende, in primo luogo, affrontare il problema in pieno coordinamento con l'Italia. I tedeschi si propongono di rispondere al memorandum britannico (2), ma non prima che sia terminata l'Assemblea. Io ho fatto rimarcare che sarebbe opportuno posporre la risposta a dopo la mia visita a Berlino. Von Hassell ha preso atto e si è riservato di comunicare al suo governo.

Il governo del Reich dichiara di avere in massima una disposizione positiva nei confronti del raggiungimento di un Patto occidentale. Per quanto concerne i rapporti coi Sovietici, l'atteggiamento germanico si mantiene negativo, pur non ritenendo opportuno, in un primo tempo, compiere alcun gesto che possa venire a marcare tale atteggiamento. Basterà dichiarare che dapprima soltanto l'accordo occidentale viene considerato, escludendo ogni immissione russa.

Il criterio tedesco nella stipulazione del Patto rimane quello della rinuncia assoluta alla guerra tra Germania, Francia e Belgio, senza eccezioni. Qualora la Francia proponesse invece delle eccezioni, il governo dei Reich si riserverebbe di considerarle caso per caso.

Nessuna interferenza deve essere stabilita tra il nuovo Patto di Locarno ed il Patto della Società delle Nazioni.

Questi i concetti di massima: l'ambasciatore von Hassell ha aggiunto che nella prossima risposta alla nota britannica, risposta che avrebbe un carattere preliminare, il governo del Reich si proporrebbe di dire soltanto che la Germania rimane fedele all'idea di garantire la pace nell'Occidente, mediante un Patto che fosse nello spirito della vecchia Locarno. Ma von Hassell stesso si domanda se una nota di tal tenore potrebbe considerarsi una vera e propria risposta al Memorandum inglese, o non piuttosto una mossa per dilazionare.

Ho detto a von Hassell che era necessario di esaminare insieme e pm a lungo tutto il problema e che lo stesso testo della risposta tedesca avrebbe

dovuto essere direttamente influenzato da quello che sarà il testo del comuni

cato da concordarsi in seguito alla mia visita a Berlino.

Spagna. -L'ambasciatore von Hassell mi ha detto che il governo tedesco non intende per ora rispondere al telegramma di Franco (1), poiché una risposta assumerebbe il velare di riconoscimento. Si riserverebbe di farlo dopo l'occupazione di Madrid, concordandosi opportunamente con noi.

Colloquio col Duce. -Von Hassell mi ha infine detto che ha alcune cose da riferire al Duce per incarico personale di Hitler. Prega pertanto che gli venga fissato un colloquio, dopo il quale riprenderà le conversazioni con me per la preparazione del viaggio a Berlino e della risposta per Locarno. Se il Duce autorizza, proporrei di accompagnare von Hassell a Palazzo Venezia, nel pomeriggio di lunedì (2).

(l) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 82-84.

(2) Vedi p. 90, nota l.

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IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI

T. PERSONALE S. 4429/186 R. (3). Roma, 4 ottobre 1936, ore 12,30.

Comunichi al generale Franco che ho letto con viva soddisfazione il suo programma di governo (4); sopratutto un governo autoritario deve essere a fatti popolare e sociale.

155

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. uu. s. 9887l 442 R. Berlino, 5 ottobre 1936, ore 12,02 (per. ore 14,30).

Direttore generale Affari Politici questo ministero degli Affari Esteri con cui iersera ho avuto lunga conversazione in materia di «tripartito » (5), alle mie argomentazioni in materia, che V. E. conosce, ha eccepito considerare che prime impressioni ricevute da von Hassell e da lui già riferite a Berlino circa colloquio avuto sabato con V. E. (6) non (dico non) sarebbero in argomento altrettanto nette e precise quanto quelle date da me qui. Non solo, ma mi ha

informato che notizie provenienti da Parigi, darebbero anzi chiara impressione nostro vivo desiderio arrivare in materia ad un compromesso con Francia e Inghilterra.

Mi permetto suggerire, ove impressioni riportate da von Hassell e confermate da Parigi non rispondessero esattamente, come avrei ragione di ritenere, alla realtà, esse venissero subito corrette. Le direttive del Duce al sottoscritto in materia di tripartito -confermate da V. E. -sono state sempre inequivoche e sarei rispettosamente di avviw che S. E. il capo del governo -ricevendo, come mi è stato detto, Hassell oggi (l) -glielo confermasse in maniera precisa.

(l) -Subito dopo la sua nomina a capo del governo, 11 30 settembre (vedi D. 148), Franco aveva inviato, sia a Mussolini che a Hitler, un telegramma di saluto. A Berlino era stato deciso di dare una risposta orale attraverso il consigliere della legazione a Lisbona Du Moulin-Eckart (si veda DDT, serie D., vol. III, D. 92). Mussolini aveva incaricato il console generale a Tangeri, De Rossi, di comunicare a Franco le congratulazioni per la sua nomina a generalissimo c l'ammirazione per l'eroica difesa dell'Alcazar di Toledo (T. s. 4376/182 R. del 30 settembre). (2) -Mussolini annotò a margine del documento: «Si ». Sul colloquio fra Mussolini e l'ambasciatore tedesco, avvenuto il 5 ottobre, non si è trovata documentazione negli archivi italiani ma si veda il resoconto di von Hasse!l in DDT, serie C, vol. V, t. 2, D. 572. (3) -Minuta autografa. (4) -In proposito si veda il D. 157. (5) -Si tratta dell'ipotesi, avanzata dal governo britannico nella sua nota del 17 settembre (vedi p. 90, nota 1), di sostituire il Trattato di Locarno con un nuovo accordo basato su una garanzia reciproca tra Francia, Germania e Gran Bretagna. (6) -Vedi D. 153.
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IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

COMUNICAZIONE TELEFONICA. Vienna, 5 ottobre 1936, ore 17,45.

Cancelliere federale si è mostrato molto preoccupato delle ripercussioni che odierni provvedimenti circa lira italiana (2) potrebbero avere per esportazione austriaca verso l'Italia. Egli mi ha pregato molto vivamente prospettare a V. E. opportunità pubblicare da Roma ed anche a Vienna e Budapest una nota ufficiosa secondo cui sarebbero posti subito allo studio provvedimenti atti ad impedire che modificazioni della valuta abbiano a pregiudicare ulteriore sviluppo dei rapporti economici fra gli Stati dei Protocolli di Roma. A conclusione di tali studi che i governi interessati dovrebbero compiere, potrebbero essere presi accordi nella prossima conferenza viennese di tre ministri degli Affari Esteri (3). Simile dichiarazione, che testimonierebbe la vitalità dei Protocolli di Roma, se pubblicata sollecitamente potrebbe, secondo il Cancelhere, prevenire turbamenti dei mercati ed avere specialmente in Austria un effetto tranquillizzante anche politico nell'attuale situazione così delicata.

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L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9990/346 R. Saint Jean de Luz, 5 ottobre 1936 (per. l'B).

Assunzione poteri totalitari. da parte generale Franco e costituzione del governo regolare ai suoi ordini (4) non è soltanto un atto di organizzazione statale della nuova Spagna ma è anche e sopratutto una manifestazione politica della più alta importanza nei rispetti di quella che sarà la nuova fisionomia del Paese. Viene prima di tutto eliminato il vecchio ed incerto ed infido generale Cabanellas che aveva aderito alla rivoluzione controvoglia e che si era

veduto affidati i pieni poteri soltanto in virtù della sua anzianità militare. Vengono eliminati i latenti contrasti di ambizione e di vanità tra i supremi capi militari col riconoscimento del generale Franco ad effettivo dittatore. Le qualità di comando, di energia, di autorità del generale Franco sono, da ora innanzi, garanzia sicura che l'esercito sarà una forza organica e disciplinata ai suoi ordini. Sopratutto però la costituzione del governo codifica lo stato di lievito che dominava dal principio della rivoluzione il campo nazionale e cioè la insurrezione della goventù contro i vecchi uomini dei vecchi partiti. II generale Franco nell'esporre il suo programma, che è tuttavia embrionale, ha tenuto a porre in rilievo che intende governare secondo un programma che raduni le aspirazioni dei tradizionalisti e quelle dei fascisti, considerati anche da lui come i due piloni solidi e sicuri della nuova architettura politica spagnuola. Come già avevo avuto l'onore di. esporre nel mio rapporto n. 977 dell'8 settembre (1), le forze fondamentali della Spagna vittoriosa si riducono sempre di più a tre: l'esercito, i tradizionalisti, i fascisti. Le altre forze monarchiche e repubblicane che facevano capo ai vecchi partiti e che hanno ancora molta gente intorno al governo di Burgos stanno impallidendo giorno per giorno davanti al gagliardo affermarsi delle forze nuove. II programma del generale Franco e la costituzione del nuovo governo hanno anche tenuto presente la necessità di non resuscitare controversie intorno alla monarchia od alla repubblica, lasciando impregiudicato questo problema che basterebbe a dividere in due il campo nazionale e che sarà invece allontanato da questa specie di governo tipo ungherese nel quale il generale Franco sarà il Reggente di una Spagna, nè monarchica, nè repubblicana. Queste forme di organizzazione provvisoria tendono fatalmente a prolungarsi quanto più sia possibile per l'interesse stesso che hanno a prolungarle i protagonisti ed in questo caso ogni prolungamento sarà giovevole alla pace interna del Paese. Non sto a sottolineare le schiette dichiarazioni del generale Franco in materia di politica estera, giacchè i suoi sentimenti nei riguardi dell'Italia non hanno bisogno di essere illustrati a V. E. Porrò soltanto in rilievo che l'accenno ad una cordiale fraternità verso i Paesi che hanno comunione di sangue, di razza e d'idealità, mentre comprende insieme coll'Italia il Portogallo e tutte le Nazioni latino-americane, esclude nella maniera più netta la Francia. La costituzione di un governo regolare ha altresì, nelle intenzioni dei nazionali, lo scopo di facilitare eventuali riconoscimenti da parte delle nazioni amiche anche prima della occupazione di Madrid.

(l) -Vedi p. 165, nota 2. (2) -Sl riferiva all'ali!neamento effettuato dalla lira a seguito della svalutazione del franco francese e d! altre monete europee. Vedi p. 129, nota 2. (3) -Vedi D. 429. (4) -Si veda il D. 148.
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IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 3540/1897. Vienna, 5 ottobre 1936 (per. l'B).

Dopo aver dato, con i telegrammi di quest'ultima settimana, la cronaca, sottopongo a V. E. alcuni elementi di giudizio sul tentativo di riavvicinamento fra Schuschnigg e Starhemberg e sulla crisi interna del Heimatschutz.

La contemporaneità di queste crisi e degli incidenti Starhemberg-Fey na complicato seriamente lo svolgimento delle trattative fra il Cancelliere e il principe. Sopratutto perché Starhemberg non ha apprezzato al giusto valore che un accordo tra lui e il Cancelliere sulla collaborazior.e attraverso l'offerta del comando della Frontmiliz avrebbe automaticamente risolto in suo favore il conflitto interno con Fey. Con l'aver voluto, invece, dare peso pregiudiziale all'eliminazione di Fey e con l'aver portato in pubblico, al di sopra del Cancelliere, tale pretesa nel corso delle trattative, egli ha messo in serio imbarazzo il Cancelliere e creato una situazione che rende molto difficile il raggiungimento di un accordo e potrebbe portare al ritiro, almeno temporaneo, di Starhemberg dalla vita politica attiva.

Giova premettere che, dopo la crisi del rpaggio scorso che portò all'uscita di Starhemberg dal Gabinetto e alla concentrazione nelle mani del Cancelliere .federale, anche della direzione suprema del Fronte Patriottico, Schuschnigg non mostrava alcuna fretta di ritentare una collaborazione con Starhemberg. Gli è stata segnalata tale opportunità sia per ristabilire una concordia operosa fra tutti gli elementi fedeli al regime Dollfuss, sia per fronteggiare la situazione delicata andata creandosi dopo l'accordo austro-germanico dell'll luglio ed evitare sbandamenti di forze verso i gruppi «nazionali», se non nazisti. Escluso, per comune convinzione un ritorno al dualismo, che, dopa aver corrisposto ad una necessità dei primi tempi, era apparso nocivo al realizzarsi concreto dell'unità sia nel governo che nell'organo supremo del regime il Fronte Patriottico; ritenuto inopportuno, almeno per ora, un ritorno di Starhemberg nel governo a parte la difficoltà di dargli una posizione non imbarazzante e tuttavia conforme al suo passato e al suo temperamento sopra tutto perché un rimaneggiamento del Gabinetto avrebbe rimesso in questione aspirazioni dei gruppi « nazionali » che allo stato delle cose conveniva almeno differire, era parso possibile e conforme alle stesse abitudini e tradizioni del principe Starhemberg che gli fosse offerto dal Cancelliere il comando supremo della milizia unica in via di formazione.

Non ne sarebbe stata pregiudicata l'unità di comando nel governo e nel

regime perché la legge sulla Frontmiliz che non si sarebbe dovuta modificare,

fa della Frontmiliz un organismo di Stato e prevede tanto il suo inquadra

mento organico e amministrativo nella competenza del ministero dell'Interno,

quanto la diretta dipendenza del comandante dal Cancelliere e Fuhrer del Fron

te Patriottico che Io nomina e lo può rimuovere ed ha egli solo la facoltà di ordi

nare od autorizzare gli atti più importanti della :Milizia, ivi compresi i richiami

sotto le armi e gli impieghi straordinari in servizio d'ordine pubblico a difesa

del Regime. D'altra parte, sarebbero state vinte le resistenze di numerosi gruppi

delle Heimwehren ad entrare nella Frontmiliz. Starhemberg le avrebbe portate

tutte con se nella Milizia unica e si sarebbe evitato di dover procedere ad atti

di rigore e a disarmi di gruppi recalcitranti per dare attuazione alla legge che.

creata la Frontmiliz unica di Stato, vieta ogni altra formazione militare volon

taria.

Sono state queste le considerazioni e queste le possibilità che ho avuto l'onore di esporre a V. E. all'inizio della mia missione e che V. E. ha ritenuto di approvare. Sono state queste le intenzioni che a nome del Cancelliere federale il segretario di Stato dr. Guido Schmidt ha comunicato a S. E. il Duce nel colloquio alla Rocca delle Caminate il 15 settembre scorso, donde l'indicazione del nostro punto di vista favorevole al tentativo e la promessa del nostro eventuale interessamento presso il principe Starhemberg per facilitare il buon esito dell'iniziativa.

A queste direttive mi sono attenuto nei contatti ripetutamente avuti con il Cancelliere. È stato facile riavvicinare i due uomini che non si erano veduti dopo la crisi del maggio scorso. Il principe si teneva lontano da Vienna, prima al mare e in villeggiatura, poi alle cacce, con brevi apparizioni nella capitale, durante le quali non risparmiava i rimproveri ai membri heimwehristi del Gabinetto e specialmente al vice-cancelliere Baar per alcuni atti di governo. D'altra parte Schuschnigg non nascondeva qualche preoccupazione per una immediata valorizzazione di Starhemberg, la cui popolarità gli sembrava in rapida diminuzione e il cui ritorno ad una attività pubblica avrebbe potuto suscitare reazioni specialmente nei gruppi radicali e forse anca in alcuni settori già cristiano-sociali vicini al borgomastro Schmitz.

Ma prevalse su ogni altra considerazione l'opportunità di ristabilire, pur senza gli inconvenienti del dualismo precedente, la collaborazione aperta e concreta fra i due uomini che avevano assunto l'eredità politica di Dollfuss.

I primi approcci, affidati forse a intermediari non adatti, portarono alla presentazione, da parte di Starhemberg, di un dilemma: o entrare nel Gabinetto, se non più come vice-cancelliere, come ministro per la difesa del paese concentrando nella propria competenza anche la Milizia volontaria e ogni altra forza armata compresa la polizia, -oppure ritiro completo a vita privata con abbandono della Filhrung del Heimatschutz, lasciando al Cancelliere ogni responsabilità per la liquidazione delle Heimwehren e il loro passaggio, più o meno forzato, nella Frontmiliz.

Il Cancelliere non credette di poter accettare la proposta. Non solo per la sua riluttanza di massima a toccare in questo momento la compagine del governo, ma anche più perché non credeva di poter affidare a Starhemberg un organismo cosi delicato come l'esercito, proprio in questo momento di riorganizzazione, e mentre ancora non erano spente gelosie e ostilità contro le passate formazioni armate volontarie e contro la stessa persona dello Starhemberg. Il Cancelliere preferiva tenere nelle proprie mani il portafoglio della difesa del Paese, assicurando con la stessa sua autorità e imparzialità, senza confusioni degli organismi, la necessaria coesione fra tutte le forze armate. In verità il Cancelliere doveva preoccuparsi del peso decisivo che nella vita del Paese avrebbe avuto Starhemberg qualora avesse potuto disporre di tutte le forze armate e di tutti gli organi esecutivi dello Stato.

Migliore esito ebbe l'incontro di Starhemberg col segretario di Stato Zer

natto, inviato da Schuschnigg a Totis. Egli riuscì ad indurre il principe ad

abbandonare la richiesta del portafoglio per la difesa del paese, ad accettare come base delle trattative l'offerta del comando della Milizia unica e ad aderire d'incontrarsi con il Cancelliere per uno scambio di idee sulle modalità dell'accettazione e dell'esercizio del comando (mio telegr. n. 182 del 24 settembre) (1).

Dopo qualche ritardo, l'incontro ha avuto luogo la sera del 30 settembre. Esso si svolse -assicurano entrambi gli interlocutori -nel modo più cordiale. Il Cancelliere rinnovò l'offerta del comando della Milizia unica e precisò alcune condizioni e modalità, già note sostanzialmente dal mio telegramma n. 188 del 1° ottobre (2). Starhemberg né accettò definitivamente né rifiutò; si riservò di esaminare la proposte che il Cancelliere gli avrebbe comunicato in iscritto, come fece con una lettera molto particolareggiata del 1° ottobre della quale ho potuto prendere notizia diretta e sul cui contenuto avrò occasione di ritornare in seguito.

Ho l'impressione che su ogni altra condizione e modalità proposta dal Cancelliere sarebbe stato, e sarebbe tuttavia, non difficile un accordo, se fin dal colloquio non avesse assunto una prevalente gravità il conflitto riaccesosi ultimamente tra il principe Starhemberg e il maggiore Fey.

Sono noti i precedenti del Fey, i dissensi da lui provocati in seno al Heimatschutz viennese, la posizione antitetica a Starhemberg da lui assunta, le accuse mosse contro di lui in relazione agli avvenimenti del 25 luglio 1934 e all'assassinio di Dollfuss, la sua uscita dal governo nell'ottobre 1933 e la sua nomina a presidente della Società di navigazione danubiana che avrebbe dovuto costituire il compenso per la rinunzia del Fey ad ogni attività politica. Invece, specialmente dopo la crisi del maggio scorso, il Fey riprese dapprima segretamente le sue critiche contro Starhemberg e approfittando del di:;,orientamento verificatosi nel Heimatschutz dopo l'uscita del principe dal Gabinetto, accennò a voler riassumere la direzione, che già aveva avuto in passato, del Heimatschutz nella città di Vienna. Fallitogli il tentativo di riaverne la investitura dallo stesso Starhemberg, ricorse ad una associazione da lui costituita da tempo con uno statuto approvato dall'autorità sulla base della legge vigente sul diritto di associazione, e da « dormiente » che era da anni, ne iniziò il funzionamento, raccogliendo vecchi e nuovi aderenti e facendone centro a malcontenti anche di fuori contro il principe, accusato di trascurare gli interessi del movimento. Sintomatica la coincidenza di questa ripresa di attività del Fey con quella del tirolese Steidle, console generale a Trieste, e di Neustadter-Sttirmer, ministro d'Austria a Budapest, ricongiunti tutti nel proposito di valorizzare la «vecchia guardia» del movimento contro deviazioni attribuite a Starhemberg e contro il suo preteso assenteismo.

Fey tentò più volte di mettersi a disposizione del Cancelliere, il quale per lealtà verso Starhemberg lasciò cadere la ripetuta offerta. Alcuni sostengono -Starhemberg tra questi --che il Cancelliere abbia avuto qualche contatto indiretto con Fey, se mai, solo per consigliargli moderazione e per trattenerlo da pericolosi rapporti con gruppi «nazionali».

Nel colloquio del 30 settembre, Starhemberg chiese al Cancelliere come condizione alla offertagli collaborazione, la testa di Fey, con la immediata soppressione della sua società e il suo allontanamento da ogni ufficio e, al caso, il suo internamento nel campo di Wollersdorf. Schuschnigg si rifiutò e mise in vista la cessazione automatica d'ogni attività politica di Fey in relazione allo scioglimento di tutte le organizzazioni superstiti dei vecchi partiti politici che intendeva di promulgare subito e che Starhemberg, invece, consigliava di differire a quando fosse attuato il passaggio delle Heimwehren nella Frontmiliz. Nel rifiuto di Schuschnigg di un provvedimento immediato ed esclusivo di Fey, Starhemberg ravvisò una mancanza di buon volere e di lealtà verso di lui. Fu questa sensazione che gli consigliò di rompere i ponti, di non rispondere alla lettera del Cancelliere del 1° corr. e di metterlo di fronte al fatto compiuto non solo della esclusione di Fey e Lahr dal Heimatschutz, ma della motivazione che richiamando la «non chiarita» parte avuta dal Fey negli avvenimenti del 25 luglio '34 e nell'assassinio di Dollfuss, chiamava in causa il Presidente dello Stato e il Cancelliere stesso che per oltre un anno dopo questi avvenimenti avevano mantenuto nel Gabinetto cui partecipava lo Starhemberg stesso, quella medesima persona a cui si rinfacciava ora pubblicamente una responsabilità non ben determinata nell'assassinio (mio telegr. n. 192 del 3 ottobre) (1).

Il divieto di pubblicazione di questa motivazione irritò anche più Starhemberg che vi ravvisò una nuova prova di manchevole fiducia e buon volere del Cancelliere verso di lui. Il Cancelliere, dal canto suo, consentendo il giorno dopo la pubblicazione dell'esclusione di Fey e Lahr senza quella motivazione, tentava di ridurre l'incidente ai suoi veri termil:.i. Intanto la polemica tra i due gruppi si faceva più aspra e il palleggiamento di responsabilità acuiva il conflitto.

Nella giornata di sabato Starhemberg sembrava risoluto a rompere ogni rapporto con Schuschnigg, invitando i tre heimwehristi membri del Gabinetto -il vicecancelliere Baar, il ministro delle Finanze Draxler e il segretario di Stato Zernatto -ad uscire dal governo. Indipendentemente dall'atteggiamento dei tre di fronte a tale intimazione, il Cancelliere avrebbe ravvisato in essa un atto di non giustificata ostilità di Starhemberg verso di lui e il governo ed una causa di più profondi dissensi tra gli stessi gruppi di heimwehristi, anche nelle provincie, e di nuove agitazioni nel paese, gradite ed utili solo a nemici interni ed esterni del regime che sostiene l'Austria indipendente.

In una seduta dei capi provinciali del Heimatschutz, svoltasi nelle tarde ore di sabato, Starhemberg si lasciò indurre a differire il gesto. E ogni deliberazione definitiva fu rinviata a nuova convocazione indetta per il 12 corr. (mio telegr. n. 192 del 3 corr.).

Nell'adunanza heimwehrista tenutasi ieri, domenica, a Wiener Neustadt (su cui riferisco separatamente) il discorso di Starhemberg ebbe bensì molti passi aspramente polemici anche contro Schuschnigg; ma il comunicato pubblicatone nella notte contiene un'esplicita nuova offerta di collaborazione con il governo e il Fronte Patriottico e il Cancelliere. La condizione di una ricam

biata fiducia e lealtà da parte del Cancelliere verso il Heimatschutz si riferisce evidentemente all'accusa mossa a Schuschnigg da Starhemberg di non seguirlo nell'ostracismo assoluto e immediato contro il movimento Fey.

Il Cancelliere federale, d'altra parte, tiene a mantenersi al di fuori e al di sopra di queste contese interne che considera completamente estranee al governo. Lo ha detto in conversazio!li private fin dal principio; lo ha proclamato in una dichiarazione pubblicata domenica mattina a traverso la ufficiosa Politische Korrespondenz. Me lo ha ripetuto ieri stesso ed anche oggi. «Ciò che succede entro al Heimatschutz --pensa e dichiara Schuschnigg -non ha alcuna influenza, né sul governo federale, né sul Fronte Patriottico. Non c'è pericolo che si verifichino effetti dannosi al fermo sviluppo interno del paese e del Fronte Patriottico o all'autorità del governo. L'opinione pubblica dell'Austria non si interessa soverchiamente a questi avvenimenti che costituiscono un litigio interno fra i capi della Heimwehr. Io non prendo e non intendo di prendere partito in questo litigio ».

Se il litigio degenerasse in turbamenti dell'ordine pubblico o se, come con la minacciata intimazione di Starhemberg ai ministri heimwehristi ad uscire dal Gabinetto, si toccasse direttamente l'autorità del governo e le prerogative del Capo dello Stato, il Cancelliere potrebbe trovarsi indotto ad affrettare quello scioglimento delle formazioni, residuate dai precedenti partiti, che è stato messo in vista anche nella conversazione con Starhemberg. Si eliminerebbe così, anche formalmente, una situazione di compromesso, tollerata -pro bono pacis -forse troppo a lungo, contro la legge vigente che, sciogliendo i partiti politici, ha costituito nel Fronte Patriottico, retto dallo stes&o capo del governo, «l'unico organo di formazione della volontà politica del regime». Sarebbe, insieme al concentramento effettivo di tutte le formazioni volontarie armate nell'unica Frontmiliz, l'attuazione pratica della concentrazione unitaria. Il Cancelliere crede di avere l'autorità ed i mezzi per attuare questo sforzo, pur non nascondendosi qualche sbandamento e qualche resistenza anche nei gruppi « nazionali» e nazisti che vedrebbero frustrata la loro stessa speculazione di formare nell'ambito del Fronte Patriottico un proprio gruppo accanto a quelli sinora lasciati sopravvivere per i heimwehristi, per le Sturmschaaren cattoliche, per il Freiheitsbund operaio.

Se questo dovesse essere lo sviluppo della situazione, s'imporrebbe a tutti i sostenitori del regime, anche a Starhemberg, di non creare imbarazzi all'esperimento del Cancelliere.

Ho la convinzione che se Starhemberg fosse stato meglio consigliato e non avesse dato eccessiva importanza al caso Fey, egli avrebbe potuto riprendere una funzione conveniente ed utile. Così come stanno le cose, ho l'impressione che egli si sia messo su di una via senza altra uscita che quella del ritiro dalla vita politica attiva. Forse a ciò lo spingono preoccupazioni private, fattesi in questi ultimi tempi più gravi. E questo spiegherebbe, sino ad un certo punto, qualche suo atteggiamento di questi ultimi giorni.

Per quello che in passato il nome di Starhemberg ha significato, per l'opera

e i sacrifizi da lui datl alla costituzione della nuova Austria indipendente, per la fedeltà da lui serbata all'Italia e al fascismo, l'eventualità del suo abbandono della politica attiva deve, specialmente in noi, essere preveduta con sincero rincrescimento e con l'augurio che ciò avvenga, al caso, in tal modo che, in onta ai deplorevoli incidenti di questi giorni, il principe possa costituire una forza in riserva per l'avvenire.

Ad ogni modo, lo sviluppo dei nostri rapporti con l'Austria ha assunto, specialmente negli ultimi tempi, tale profondità e ampiezza e tale forma da escludere in questi ambienti ogni identificazione dell'Italia con il solo principe Starhemberg o il solo Heimatschutz. A rendere anche più evidente quanto più larga e più solida base abbia in Austria l'amicizia verso l'Italia, valgono le manifestazioni romane di questi stessi giorni per il viaggio ufficiale dei funzionari del Fronte Patriottico austriaco e per la visita del borgomastro di Vienna al governatore di Roma. Le visite di S. E. il Duce e specialmente il discorso da lui agli ospiti del Fronte Patriottico con il suo evviva all'Austria, identificata nel Fronte Patriottico stesso, hanno qui un'eco vivissima di simpatia e riconoscenza e vi si attribuisce il valore di una manifestazione dell'Italia fascista per quelle che sono le permanenti forze costruttive dell'Austria, al di sopra dei piccoli incidenti di singoli uomini o frazioni.

Il Cancelliere federale mi ha oggi stesso rinnovato l'espressione della sua gratitudine per l'appoggio che nel delicato momento presente viene a lui e al suo Gabinetto dalle manifestazioni romane e dal gesto così significativo del Duce. Egli mi ha detto che, di fronte alle tante difficoltà dell'ora, intende preservare il suo paese da ogni scossa e proseguire nella via segnata anche dall'esempio dell'Italia e dalla parola confortatrice del Duce. Egli attende ancora una risposta da Starhemberg alla sua offerta concreta del 2 corr. Ritiene, dopo i così deplorevoli incidenti, più difficile affidare al principe il comando offertogli. Comunque, egli si asterrà da ogni presa di posizione tra Starhemberg e Fey, al quale ultimo può sopprimere bensì comunicati alla stampa troppo aggressivi, ma non può contestare il diritto di sottoporre il suo caso, dopo la pubblica accusa di Starhemberg, al Consiglio d'onore dell'esercito e al giurì d'onore dell'Ordine di Maria Teresa di cui è membro.

Il Cancelliere federale non precipiterà neppure nello scioglimento del Heimatschutz e degli altri organismi di partito, se non costretto da ragioni d'ordine pubblico: ma questa è per lui la fase risolutiva dell'ordinamento unitario sia del Fronte Patriottico sia della Milizia, che egli considera una cosa troppo seria per la organizzazione militare del paese, per non affrontarne al più presto i problemi indipendentemente da riguardi verso persone o gruppi, pronto a sostituire, al caso, anche alla volontarietà l'obbligatorietà.

Ho l'impressione che da parte dei due ministri heimwehristi si voglia attendere, prima d'ogni decisione, il ritorno del segretario di Stato Zernatto da Roma, e non solo perché lo si ritiene più abile intermediario fra Schuschnigg e Starhemberg, ma anche perché si vuol far tesoro delle impressioni che Zernatto porterà dei suoi colloqui romani, per la determinazione del loro atteggiamento di fronte ad un eventuale invito di Sterhemberg ad uscire dal Gabinetto Schuschnigg.

Anche per questo, mi sarebbe preziosa ogni comunicazione che, per mia norma l'E. V. credesse di potermi fare in via del tutto confidenziale, sulle conversazioni di S. E. il Duce e di V. E. tanto con il segretario di Stato Zernatto quanto con il borgomastro Schmitz (1).

(l) Vedi D. 34.

(l) -T. 9443/182 R. delle ore 19,55: il suo contenuto è qui riportato. (2) -T. 9776/188 R. delle ore 23,15: riferiva che il colloquio tra Schuschnigg e Starhemberg della sera precedente non aveva portato ad alcun risultato concreto e che l'offerta del comando della Milizia unica era stata condizionata, tra l'altro, da Schuschnigg all'immediato scioglimentodelle Heimwehren.

(l) T. 9851/192 R. delle ore 22,15: il suo contenuto è qui riassunto.

159

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9956/297 R. Shanghai, 6 ottobre 1936, ore 12 (per. ore 0,25 del 7).

Chiang Kai-shek è rientrato Nanchino, dopo sosta a Kulin destinata a dare impressione che egli non accorreva di tutta furia alle intimazioni dell'ambasciatore del Giappone, il quale rifiutava discutere situazione con ministro degli Affari Esteri cinese e chiedeva che responsabilità negoziati fosse assunta dal capo potere esecutivo. Con questo ritorno e con invio in Cina del funzionario del ministero degli Affari Esteri giapponese che reca istruzioni precise per questo ambasciatore del Giappone, rapporti cino-giapponesi si apprestano ad una vera svolta cui risultato dipende dalla effettiva entità delle condizioni giapponesi rimaste finora segretissime. Da lunghe indagini compiute da elementi giornalistici, risulterebbe che Giappone chiede il riconoscimento Manciukuò e creazione Stato cuscinetto costituito dalle cinque provincie settentrionali, nonché diritto collocare guarnigioni lungo Yang tze kiang e controllo libri testo scolastici delle scuole cinesi a scopo di evitare propaganda antinipponica.

Mentre sono convinto che processo separazione provincie settentrionali non potrà incontrare presso Nachino che rassegnazione passiva e semplice desiderio salvare forme, credo che ogni condizione che tocchi il midollo spinale dello Yang tze kiang dovrebbe trovare netta resistenza. A queste proposte (dato che siano esatte) Nanchino avrebbe risposto con controproposte che Giapponesi definiscono «audaci» ma che forse tendono a stabilire una semplice linea di partenza molto avanzata per aver largo margine di ritirata nel negoziato prima che intacchi il vivo delle fibre nazionali. Secondo notizie che qualche autorità aeronautica cinese ha confidato a generale Scaroni, controproposte cinesi riguarderebbero ritiro truppe da sbarco giapponesi lungo località Yang tze kiang, fuori delle concessioni giapponesi, nonché cessazione contrabbando,

«mi permetto di richiamare la Sua personale attenzione sul mio rapporto riservato d'oggi circa la situazione interna, gli incidenti degli scorsi giorni nelle trattative Schuschnigg-Starhemberg e nel conflitto Starhemberg-Fey.

Mi sono tenuto in continuo contatto tanto direttamente con Schuschnigg quanto, indirettamente, attraverso 11 ministro heimwehrista Draxler ed il comm. Morreale, col principe. Mi sono attenuto sia verso il primo che verso 11 secondo alle direttive concordate con Lei a Roma e precisate anche nel colloquio tra 11 Duce e Guido Schmidt alla Rocca della Camminate.

Schuschnigg mi aveva pregato di differire un mio intervento diretto presso Starhembergsino a dopo che questi avrebbe risposto alle sue proposte del l o ottobre, per n caso che fosse da superare ancora qualche difficoltà per l'accordo. Invece della risposta venne l'ordine del giorno contro Fey con la motivazione nota e la ragione di un mio intervento venne per ora a mancare.

Le mie previsioni allo stato attuale delle cose risultano dalla seconda parte del rapporto.

Le sarei però, grato se, dopo letto il rapporto; mi mandasse una parola telegrafica a mia norma per l'ulteriore atteggiamento, in relazione specialmente a quanto scrivo nell'ultimo capoverso del rapporto >>. Per il seguito, si veda il D. 175.

nonché ritiro truppe di nuovo arrivo nella zona del nord, nonché mano libera per schiacciare governo ribelle Hopei orientale. Queste condizioni per quanto audaci, hanno merito di riferirsi a situazioni in cui Cina ha giuridicamente buon giuoco e che quindi possono formare base per eventuali ricorsi e per documentare che Cina nulla chiede che non le spetti, mentre lo stesso non potrebbe dire la parte avversaria.

A prescindere poi da terreno giuridico, fervono preparativi militari comprendenti mobilitazione di 50 divisioni, di cui 20 sarebbero abbastanza omogenee e fornite armi moderne.

(l) Il rapporto era accompagnato dalla seguente lettera personale riservata:

160

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.R. 9947/540R. Washington, 6 ottobre 1936, ore 17,15 (per. ore 4 del 7).

Mio telegramma n. 537 (1). Fra le diverse opinioni che qui corrono circa scopi viaggio negli Stati Uniti del cardinale segretario di Stato di cui ho accennato a V. E. con mio telegramma n. 533 (2), quella che viene acquistando maggior credito, pur non uscendo dal campo delle ipotesi, è che cardinale Pacelli venga per trattare personalmente la questione delle relazioni diplomatiche fra Santa Sede e Stati Uniti. Altra supposizione, che del resto si collega alla precedente, è che il cardinale segretario di Stato voglia trarre pretesto dal suo soggiorno negli Stati Uniti per fare verso il presidente Roosevelt un gesto cortese che -pur senza uscire dall'ambito della semplice cortesia dimostri all'elettorato cattolico come accanita opposizione condotta da padre Coughlin e dall'ex candidato democratico cattolico alla presidenza, Alfred Smith, nulla abbia a che vedere con l'attitudine neutrale della Chiesa. Il presidente a sua volta -qualora rieletto -non mancherebbe mostrare la propria gratitudine riprendendo i rapporti diplomatici con la Santa Sede.

A titolo riservatissimo aggiungo che del resto persino in seno alla stessa delegazione apostolica (che ho ragione di ritenere fosse realmente del tutto all'oscuro del progettato viaggio, che considera con crescente preoccupazione) i pareri sono discordi. Infatti, mentre vi è chi, non riuscendo a trovare un motivo plausibile che possa veramente giustificare improvviso viaggio, finisce col giungere alla conclusione che il cardinale segretario di Stato stia soltanto compiendo il viaggio che è solito fare annualmente all'estero durante il periodo delle vacanze, senza aver tenuto ben conto della delicatezza del momento, altn ..,1 rifiutano di accettare tale versione e credono cne cardinale Pacelli porti un appello personale del Pontefice all'episcopato americano per chiedere formazione di un fronte unico cattolico negli Stati Uniti contro il comunismo, ovvero per chiedere congrui mezzi finanziari per venire in aiuto alla chiesa così duramente provata in Spagna. Tali due scopi potrebbero, anzi, anche inte·

grarsi ed essi non escludono neppure un «gesto cortese » del cardinale Segretario di Stato verso il presidente Roosevelt. Tutto ciò è però ancora, come ho detto, semplice supposizione, poiché oggi si può registrare con sicurezza soltanto che il viaggio continua ad essere oggetto di curiosità generale e di sospetti sempre più vivi da parte degli svariati gruppi anti-cattolici.

(l) -Con T. 9869/537 R. del 4 ottobre, ore 12.10, Rossi Longhl comunicava che avrebbe telegrafato tutte le informazioni di cui sarebbe venuto in possesso circa il viaggio del cardinale Pacelli negli Stati Uniti. (2) -Vedi D. 151.
161

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLE LEGAZIONI A BAGDAD, CAIRO, GEDDA, KABUL, AI CONSOLATI GENERALI A BEIRUT E GERUSALEMME, E AL CONSOLATO AD ADEN

T. S. PER CORRIERE 4437/c. R. Roma, 6 ottobre 1936.

Interessa a questo R. ministero avere la disponibilità di documenti che possano illustrare nel modo più ampio atti inumani compiuti dagli inglesi nei confronti degli arabi e dei musulmani, nei territori sottoposti all'influenza e al dominio britannico. Oltre che di notizie, suffragate possibilmente da prove, sarebbe necessario disporre di numerose fotografie.

Codesto R. Ufficio è pregato di iniziare, pertanto, senza indugio e con la massima cautela, un'accurata raccolta di documenti del genere che dovranno essere inoltrati a questo ministero, per corriere, con ogni riservatezza. La presente circolare va distrutta, dopo che la S. V. ne avrà preso conoscenza.

162

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9962/1044 R. Ginevra, 6 ottobre 1936 (per. il 7).

De Panafieu, segretario della delegazione francese, mi ha detto molto confidenzialmente che negli ambienti della sua delegazione si riteneva che «qualche cosa)) fosse stato concertato tra turchi e inglesi a Ginevra (1), ma che non si avevano elementi precisi al riguardo. Aveva inteso parlare di intese concernenti forniture di materiale bellico; era strano il fatto che i turchi avessero preferito le forniture inglesi alle tedesche che sarebbero state fatte a migliori condizioni e che in un primo tempo erano state prese in esame da Ankara. D'altra parte, riteneva che i turchi non avrebbero assunto un atteggiamento così netto sul problema di Alessandretta e di Antiochia (2) se non si fossero intese le spalle protette dall'Inghilterra. Secondo il mio interlocutore, non sarebbe da escludere

che l'Inghilterra abbia ottenuto la garanzia di potersi servire di basi navali turche in caso di guerra.

Parlandomi della stessa questione, il signor Kiosseivanov, ministro degli Esteri bulgaro, mi ha detto che Tewfik Aras è convinto che la Turchia non può fare a meno dell'appoggio inglese sul Mediterraneo e che essa ha sempre perduto quando si è schierata in guerra contro la Gran Bretagna. Di qui l'orientamento attuale della politica estera turca che non manca di destare vivo malcontento a Mosca.

(l) -Con fonogrammi 9777/1021 R. del 2 ottobre. ore 11,45 e 9840/0311 R. del 3 ottobre, ore 13,10, Bova Scoppa aveva già riferito che, secondo font! g!ornal!st!che, Eden e Rtistti Aras si erano accordati per impiantare !n Turchia delle fabbriche d! armi, con capitale inglese, destinate, sia al riarmo della Turchia. sia al rifornimento delle basi navali britanniche nel Mediterraneo. Su l'argomento si veda l! D. 174. (2) -Vedi D. 279.
163

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. s. 4051/1397. Berlino, 6 ottobre 1936.

Faccio seguito al mio telegramma di ieri (l) con cui ti informavo della mia intervista con Goring, avvertendoti che avrei riferito solo per corriere della ultima parte della medesima, come quella che era allo stesso tempo estremamente confidenziale e «delicata». Mi dispiace che la difettosa organizzazione dei «corrieri» Berlino-Roma (sulla quale anzi richiamo la tua cortese attenzione) non permetta a questa mia di giungerti che fra quattro giorni soltanto.

Occasione dell'intervista: visita di Goring a Roma. Da essa siamo facilmente passati alla visita tua, di cui G6ring ha tenuto a sapere tutti i dettagli (5 punti) (2), (io non avevo ancora ricevuto le tue istruzioni ultime) (3) con ciò arrivando al solito giro ·di orizzonte.

Come ti ho telegrafato, Goring ha mostrato di trovarsi d'accordo con me, per quanto riguarda Locarno, al 100 %. Egli ha aggiunto, in modo specifico, che l'impegno del Filhrer di cui al n. 11 del suo documento 31 marzo (4) era un impegno puramente generico e... non obbligava a nulla. Tutto questo detto alla Goring, cioè in maniera enfatica, e infiorato di assicurazioni che, anche in vista della recentissima presa di posizione del partito conservatore in materia di mandato, il Fuhrer non aveva ragione alcuna di avere alcun riguardo per l'« Inghilterra», che, comunque, mai la Germania avrebbe accettato di entrare in combinazioni che l'avessero, anche solo virtualmente, posta (non solo con

(T. segreto 10005/449 R. deli'B ottobre).

t. -l, D. 242.

16 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

la Francia ma anche con l'« Inghilterra ») contro l'Italia, etc. etc. Il fattore Inghilterra e lo stato presente dei rapporti anglo-italiani mi sembravano, nello spirito di Gi:iring, quasi dominare, dandomi la sensazione che la Germania ritenesse ormai come definitivamente acquisito un allentamento delle nostre relazioni con l'Inghilterra in maniera da render opportuno per noi un puntellamento tedesco in quella direzione. Tantoché, ad un certo punto, io credetti opportuno, poiché la discussione si svolgeva a proposito di Locarno, di ricordare che l'origine dei « tripartiti » Simon-Baldwin (l) era, prettamente ed esclusivamente, antitedesca...

Comunque, richiamo la tua attenzione su questo, non tanto per il suo valore immediato, quanto agli effetti di quanto ti riferirò qui di seguito a proposito dell'ultima parte della conversazione Gi:iring. Il quale, dopo una conversazione di oltre un'ora, ha infine, e come codicillo alla «visita Ciano», chiesto di parlare a titolo esclusivamente privato dei possibili ulteriori sviluppi delle relazioni itala-tedesche e delle loro premesse.

Gi:iring ha incominciato col fare, nei termini e modi che in materia gli sono consueti (vedi anche conversazione Magistrati del 27 settembre u.s. -rapporto n. 3648/1262) (2) il quadro delle relazioni itala-tedesche in questo ultimo periodo, giungendo alla conclusione che esse non sono rnai state così buone come adesso. Esse potrebbero quindi facilmente venire al loro logico ulteriore sviluppo e cioè sboccare in un accordo permanente politico (egli ha parlato di «convenzione di assistenza mutua »), ma ad una condizione e cioè quella che fosse definitivamente chiarita fra i due Paesi la questione austriaca.

E Goring ha qui rifatto la storia dell'incontro di Venezia (3), dell'interpretazìone affermativa data da Hitler al silenzio (?) mantenuto dal Duce in materia, di tutte le complicazioni derivatene, etc. Ora si è arrivati, è vero, ad un accordo austro-tedesco ma è evidente che questo non può costituire una « soluzione definitiva e comunque eterna... ».

Secondo Goring, nessuno meglio dell'Italia, che ha avuto la sua Trento e la sua Trieste, può capire la situazione e la sensazione della Germania nei confronti dei sei milioni di tedeschi che sono in Austria. L'Italia non può fare e non fa alcun assegnamento sull'Austria come elemento della propria difesa. A che cosa le serve questo Stato cuscinetto? Al contrario, questa soddisfazione data al popolo tedesco di potersi riunire ai propri fratelli toglierebbe alla Germania hitleriana l'ultimo ed unico ostacolo psicologico capace di frapporsi al suo schiarimento, definitivo e totalitario, a fianco della Italia mussoliniana, rinnovando il « giuramento sacro » del rispetto delle sue frontiere; riconoscendo il predominio incontrastato del Mediterraneo anche «contro» l'Inghilterra; facendo ragione ai suoi giusti diritti di penetrazione nei Balcani (nel corso

della conversazione io avevo insistito sulla necessità di un accordo su questo punto); mettendo in ogni caso la «totalità delle sue forze» -persino agli effetti inglesi -a servizio dell'Italia ... Questo il «blocco » itala-tedesco ch'egli sognava e per il quale aveva sempre lavorato fin dal 1923, in fraterna collaborazione col Renzetti...

Ti faccio grazia, caro Ciano, della mia replica, la quale del resto è stata altrettanto concisa quanto precisa. Riconoscevo che gli sviluppi ultimi delle relazioni fra i due Paesi, della cui evoluzione nessuno più di me poteva testimoniare e che in questo momento erano persino, sui campi di Spagna, coronati da una vera ·e propria collaborazione militare, autorizzavano alle migliori speranze. Ma se egli, Gtìring, voleva accettare da me un consiglio, più che di ambasciatore di vero «amico», si guardasse bene dal sollevare comunque questa questione e in ogni modo si guardasse assolutamente dal farlo in occasione del viaggio Ciano... La Germania, ammonii, ha «tutto da guadagnare» da una applicazione leale di quell'accordo austro-tedesco a cui il Duce aveva e in uno spirito di vera amicizia per la Germu.11ia, potentemente contribuito.

Gtìring ha capito perfettamente e assicurato: l) che la Germania non aveva verso di noi, anche per quanto riguarda l'applicazione dell'accordo austro-tedesco, che le intenzioni più leali; 2) che, comunque, si sarebbe astenuto in occasione della tua venuta dal sollevare questioni del genere.

Des1dero dire subito che io vedo in queste dichiarazioni di Gtìring non tanto un « annunzio di futura prova » o comunque un preludio di direttive nuove, quanto la conferma del carattere esclusivamente personale, per dir così, del gesto compiuto dal Fuhrer l'll luglio. L'accordo austro-tedesco fu voluto dal FUhrer e da lui solo e contro il sentimento e le aspirazioni di tutto il suo Partito. Ma, appunto per questo, non v'è nessuna ragione perché egli, per gli stessi motivi e nelle stesse condizioni in cui lo volle originalmente, non continui a volerlo. Ancora poco tempo fa, Neurath, nel parlarmi dell'accordo austrotedesco, se ne mostrava soddisfatto sopratutto perché vedeva nella stessa «lentezza » della sua applicazione la migliore garanzia del suo successo.

Non astante le dichiarazioni di Goring, non ho quindi io, e non intendo fare nascere in altri, alcuna particolare apprensione in materia. Senonché, le dichiarazioni stesse come quelle che provengono da uno degli elementi più responsabili del Partito (non parlo di quelle di elementi come Frank, etc.) gettano sul problema dei rapporti itala-tedeschi una non inutile luce, in quanto fanno comprendere il prezzo eventuale ed ultimo di un nostro accordo politico con la Germania che eccedesse i limiti di una collaborazione di fatto, basata sulla coincidenza contingente dei rispettivi interessi.

Altra constatazione che è opportuno fare è che, nell'idea di Gtìring e di quelli che la pensano come lui, uno degli elementi suscettibili di incoraggiarci ad una più stretta unione con la Germania, anche eventualmente a prezzo dell'Austria, è rappresentato dall'attuale tensione dei nostri rapporti con l'Inghilterra.

Ho preferito dare a questa mia il carattere di una lettera personale per assicurarle il massimo di riservatezza e di segreto.

(l) T. 9907/443 R. del 5 ottobre, ore 20,42. Attolico riferiva di avere avuto con Gi:iring una lunga conversazione circa 1! prossimo viaggio in Italia del Maresciallo -di cui non era stata ancora fissata la data -e circa il nuovo Trattato di Locarno, sul quale aveva trovato Gi:iring pieno di riserve. Attolico terminava annunciando l'invio a mezzo corriere di un resoconto sull'ultima parte del colloquio che aveva avuto carattere di estrema delicatezza. Successivamente, Attollco telegrafava per avvertire che la lettera sarebbe arrivata il 9 ottobre e per attirare la particolare attenzione di Ciano su la parte della lettera concernente l'Austria

(2) -Vedi D. 134. (3) -Di tali istruzioni non è stata trovata documentazione. (4) -Piano di pace del governo tedesco del 31 marzo 1936, testo In DDT, serie C, vol. V, (l) -Si riferisce all'ipotesi prospettata nella nota britannica del 18 settembre (vedi D. 81, nota l) di un accordo a tre tra Gran Bretagna, Francia e Germania sul quale l'ambasciata d'Italla a Berlino aveva già espresso un'opinione totalmente negativa (vedi DD. 132, 134 e 142). (2) -Vedi D. 29. (3) -Incontro Mussollni-Hitler del 14-15 giugno 1934. Dei relativi colloqui non v'è, come noto, nessun verbale, si veda comunque serie settima, vol. XV, D. 411.
164

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. RR. S. 4448/293 R. Roma, 7 ottobre 1936, ore 1.

Telegrammi di V. E. nn. 442 (l) e 443 (2).

Come indicato in altro mio telegramma odierno (3), R. Governo resta fermo su principi vecchia Locarno e nettamente avverso patto tripartito di garanzia. In questo senso è stato chiaramente parlato a von Hassell dal Duce (4) e da me (5). Voci di propositi italiani di arrivare ad un compromesso con Francia ed Inghilterra sono infondate ed evidentemente tendenziose. Nessun contatto è stato preso, né con governo francese, né con governo inglese. Soli contatti avuti con codesto governo.

165

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 9952-9953-9954/166-167-168 R. Tokio, 7 ottobre 1936, ore 9,20 (per. ore 16,25).

Vice ministro mi ha detto che codesto ambasciatore del Giappone è stato assai felice dei recenti colloqui avuti con V. E. (G) e delle favorevoli disposizioni mostrategli dall'E. V. per un miglioramento delle relazioni di cultura e economiche al quale potrebbero seguire in futuro più intime relazioni di maggiore importanza.

Vice ministro mostrandomi suo compiacimento mi ha detto che malintesi qui sorti durante il conflitto etiopico sono ormai dissipati e che opinione pubblìca giapponese ha per l'Italia sentimenti di amicizia i quali potrebbero essere fondamento di più stretti rapporti fra i due Stati.

Osservo che asserito miglioramento dell'opinione pubblica verso di noi cor

risponde a verità. In questi ultimi tempi mi è accaduto udire più volte affermar

mi spontaneamente da persone di diverse condizioni che l'Italia ed il Giappone

hanno vari problemi di eguale natura e vari interessi analoghi e che una intesa

fra loro sarebbe utile ad entrambi.

Vice ministro mi ha detto che era sua idea si potesse fra Italia e Giappone giungere ad una intesa per la quale senza parlarsi di riconoscimento, né dell'Etiopia, né del Manciukuò e lasciandosi quindi da parte la questione giuridica e formale, fosse consentito all'Italia inviare consoli nel Manciukuò ed al Giappone in Etiopia. Mi ha pregato esaminare questione e riparlargliene.

Rimango in attesa istruzioni V. E. (l).

In tutte le conversazioni da me avute da quando sono qui, ministero degli Affari Esteri mi ha sempre parlato in modo assai cortese ma riservato per non dire freddo. Stamane è stata la prima volta in cui ho udito un tono di cordialità e sentito un desiderio di collaborazione. Non voglio trame affrettate deduzioni circa possibilità di più intime relazioni e di conseguenti sviluppi anche perché ciò dipenderebbe altresì dalla volontà del R. Governo. Ma è mio dovere segnalare all'E. V. il fatto certo di questo mutamento di contegno se anche non voglia dirsi di animo (2).

(l) -Vedi D. 155. (2) -Vedi p. 177, nota l. (3) -Si riferisce al T. 4438/291 R. del 6 ottobre, ore 13. Il telegramma concerneva il contenuto da dare al comunicato che doveva essere diffuso al termine dell'Imminente visita di Ciano !n Germania ma comprendeva, alla fine, la frase seguente: «Ho confermato e soprattutto il Duce ha confermato a von Hassell l'assoluta nostra avversione al tripartito ». (4) -Vedi p. 165, nota 2. (5) -Vedi D. 153. (6) -Dei colloqui avuti da Ciano con l'ambasciatore nipponlco non è stata trovata documentazione negli archivi italiani ma qualche. giorno più tardi -il 12 ottobre -Ciano dichiarava a von Hassell che, mentre i rapporti con il Giappone erano divenuti più cordiali per la comune ostilità verso il bolscevismo, si era verificato un raffreddamento nel rapporti con la Cina per alcuni atteggiamenti ostili all'Italia di Chiang Kai-shek. Era stata cosi, discussa con l'ambasciatore Sugimura l'eventualità di istituire dei consolati italiani in Manciukuò e giapponesi In Etiopia. Secondo Ciano, di un possibile riconoscimento del Manciukuò si sarebbe potutoparlare durante la sua prossima visita a Berlino, cosi come del riconoscimento dell'Imperoitaliano e del governo di Burgos. Su ciò si veda il resoconto di von Hassell in DDT, serie C, vol. V, t. 2, p. 1089, nota 16.
166

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRA~A 9945/1052 R. Ginevra, 7 ottobre 1936, ore 11,30.

Mentre trasmetto per corriere resoconto (3) sedute tenute ieri da Commissioni dell'Assemblea credo opportuno segnalare sin d'ora dichiarazioni fatte da Te Water in sede di discussione mandati.

Il delegato sud-africano ha richiamato attenzione Assemblea su importanza applicazione principio non militarizzazione indigeni in territori sotto mandato, principio di cui il suo governo assicura pieno e scrupoloso rispetto, mentre «alcune grandi Potenze europee hanno, in Africa, non soltanto armato gli indigeni, ma persino insegnato loro i metodi della guerra moderna». Le parole di Te Water, che ha naturalmente inteso riferirsi all'Italia --e ne fa fede tra l'altro il costante atteggiamento anti-italiano e sanzionista da lui osservato fino all'ultimo in occasione del voto per la levata delle sanzioni (4) -vengono riecheggiate o gonfiate dalla solita stampa ultra societaria che vuoi vedervi il significato di un contestabile avvertimento (5).

(l) -Un'annotazione di Mussollnl a margine del documento dice: «favorevole». (2) -Il documento reca il visto di Mussolini. (3) -Non pubblicato. (4) -Durante l lavori della 16• sessione dell'Assemblea della Società delle Nazioni, quando era stata discussa l'abolizione delle sanzioni contro l'Italia il delegato sudafricano aveva sostenuto, nella seduta del 1° luglio, che il mantenimento delle sanzioni era l'unica via di salvezza per evitare la fine dell'ordine internazionale instaurato dalla Società delle Nazioni. (5) -Sic.
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L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTA VIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9988/134 R. Bucarest, 7 ottobre 1936, ore 20 (per. ore 1,50 dell'B).

Mio telegramma n. 133 (1).

Presidente del Consiglio, che ha fatto brevissima apparizione Bucarest prima di recarsi assistere manovre che si svolgono questi giorni settore ungherese, mi ha fatto pregare conferire con segretario generale degli Affari Esteri dicendosi spiacente non potermi ricevere personalmente. Stesso segretario generale che recasi anche lui manovre avrebbegli riferito contenuto colloquio.

Ho conferito perciò con Grigorcea. Gli ho detto che dichiarazioni Antonescu (2) avevano creato fra Roma e Bucarest atmosfera ottima circa possibile futuro sviluppo attuali nostri rapporti; che l'Italia attendeva seguissero fatti concreti a tali dichiarazioni; che invece era seguita votazi.one Ginevra con schieramento Romania favore ammissione sedicente delegazione etiopica, mentre altri Stati ex sanzionisti, come Portogallo, Bulgaria, eransi astenuti. Veniva pertanto a porsi problema far coincidere dichiarazioni Antonescu con suo atteggiamento ginevrino.

Grigorcea ha risposto che votazione, da lui ritenuta dannosa interessi europei, ha costituito anche per lul una sorpresa.

Piccole Nazioni, specie sud-americane, avevano fatto levata di scudi per imporre ammissione delegati Tafari. Romania, seguendo Francia che in primo tempo era stata anche essa favorevole loro esclusione, ha subito atmosfera di ortodossia patto sul quale appoggiasi sua politica.

Avendo io chiesto se voto romeno fosse anche conseguenza impegni con altri Stati Piccola Intesa, mi ha risposto ritenere che Romania aveva libertà d'azione. Al che ho replicato che in ogni modo destava meraviglia atteggiamento assunto. Romania che aveva perduto ancora una volta magnifica occasione compiere gesto cui conseguenza avrebbe avuto ripercussione estremamente benefica sua politica.

Grigorcea ha detto ritenere voto Ginevra non pregiudicava questione fondo. Egli auguravasi fra sei mesi nessuno avrebbe più parlato di Abissinia a Ginevra. Ho fatto sentire che ciò non poteva bastarci.

Sia da questo colloquio, sia da recentissime dichiarazioni fatte da Antonescu a Ginevra, traggo impressione che mentre si desidera intensificare rapporti economici e culturali con l'Italia allo scopo di facilitare la via ad una intesa politica di cui si sente sempre più la necessità, non si ha il coraggio, almerco per ora, di prendere iniziative che costituiscano effettivo cambiamento situazione, tanto più che questi ultimi tempi, per opera di tutti i partiti, si è scatenata nuova violenta campagna antirevisionista.

(l) -T. 9771/133 R. del 1° ottobre, ore 13,30, con Il quale Ottaviani comunicava di avere chiesto un colloquio con il p~esidente del consiglio romeno onde effettuare il passo prescrlttogli il 26 settembre da Ciano (per Il quale vedi il D. 116). (2) -Vedi serie ottava, vol. IV, D. 830.
168

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

.r. PER CORRIERE 10075/035 R. Praga, 7 ottobre 1936 (per. il 10).

Ho visto oggi Krofta di ritorno da Ginevra. Ha voluto mettermi al corrente del come si erano svolte le cose nei nostri riguardi O) sottolineando la assoluta assenza di qualsiasi iniziativa da parte della Cecoslovacchia, già disposta a seguire la linea di condotta francese favorevole all'Italia. Ha escluso che da parte cecoslovacca siasi appoggiato l'atteggiamento di Litvinov il quale aveva con sé, ed anche con maggiore intransigenza, i Paesi scandinavi. Krofta mi ha accennato al suo disappunto verso Osusky, il quale aveva accettato di partecipare alla commissione di revisione, sia pure e più che altro a titolo personale di esperto, mentre sapeva in viaggio il suo ministro degli Esteri, capo della delegazione, che avrebbe potuto regolarsi diversamente.

Secondo Krofta, la risoluzione Politis venuta fuori in seguito all'inatteso atteggiamento inglese dell'ultima ora escludente il ricorso all'Aja, è stata meno inopportuna del ricorso stesso, il cui esito sarebbe stato incerto. «La decisione definitiva -ha detto Krofta -tirata così fuori dalle spire giuridiche, rimane affidata all'accertamento di un elemento di fatto che l'Italia si incaricherà di mettere certamente in chiaro quanto prima con l'occupazione di Gore e l'eliminazione di ogni ombra di preteso governo etiopico».

A proposito della presidenza di Saavedra Lamas, Krofta mi ha chiesto se forse non era stato dett,o agli altri governi quello che io avevo detto a lui al riguardo, dato che presso tutte le delegazioni aveva trovato la candidatura di Saavedra Lamas come cosa pacifica a cui nessuno pensava di fare obiezioni e ciò -ha aggiunto Kofta -non con significato inamichevole verso l'Italia ma per una soddisfazione morale agli Stati sud-americani.

169

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 7 ottobre 1936.

L'ambasciatore d'Inghilterra, tornato recentemente da un congedo di due mesi in Patria, è venuto oggi a vedermi.

Mi ha detto per prima cosa che è rimasto impressionato, durante il suo congedo, delle ottime condizioni in cui si trova il suo Paese, ove ha notato una eccezionale ripresa di attività e di commerci. Il riarmo procede attivamente e rapidamente: per quanto riguarda la marina e l'aeronautica non s'incontrano difficoltà, nè per il materiale, nè per gli uomini. Difficoltà s'incontrano invece per il reclutamento terrestre che scarseggia; ma il governo britannico è deciso di superare in questo settore ogni possibile ostacolo.

Drummond ha avuto prima di partire una lunga conversazione con Eden, il quale lo ha personalmente i'1caricato di farci conoscere che l'interpretazione data dalla stampa ad alcune manifestazioni della vita politica britannica è falsa. È intenzione inglese di riprendere al più presto le buone relazioni con l'Italia, e di considerare chiusa la pagina etiopica.

Ho fatto rile,-are all'ambasciatore britannico che l'interpretazione della stampa non era soltanto da pa1·te italiana, ma praticamente di tutti i giornali stranieri. Ho documentato questa affermazione a Drummond con alcuni articoli di :;tampa estera. Ho detto che prendevo atto di quanto lui mi diceva ma che evidentemente sarebbe stato bene, anche per neutralizzare l'effetto di quanto era stato stampato, che la stampa inglese facesse conoscere pubblicamente quanto Drummond mi diceva in via diploraatica. Non ho avuto nessuna pratica risposta.

Drummond mi ha parlato allora delle preoccupazioni britanniche per l'azione che noi staremmo svolgendo in Egitto e in Palestina, sottolineando particolarmente la nostra propaganc~a anti-britannica in Ezitto. Mi ha detto che il governo aveva delle prove, ma ho tratto l'impressione dal colloquio, anche perché il carattere delle affermazioni di Drummond era assai inesatto, che tali prove non ci sono. Comunque ho negato ogni nostro intervento nei movimenti arabi dell'Egitto e dell'Asia Minore.

Infine con Drummond abbiamo parlato del memorandum per Locarno (1). Pur premettendo che la questione er:>. ancora allo studio e che quindi non ero in grado di fargli conoscere il nostro definitivo punto di vista in merito, gli ho detto e gli ho spiegato le ragioni per le quali noi siamo contrari ad una formula che tenda a trasformare il Patto di Locarno in una combinazione di accordi regionali tripartiti (2).

(l) Si riferisce alla votazione del 23 settembre all'Assemblea della Società delle Nazioni che aveva ammesso al lavori la delegazione etiopica (vedi p. 107, nota 2).

170

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3145/808. Roma, 7 ottobre 1936 (per. il 9).

Telespresso n. 3072?779 di questa R ambasciata al 1° c.m. (3).

A seguito del telespresso suindicato riferisco, per notizia, che negli ambienti vaticani si continua a parlare del viaggio del cardinale Pacelli in America e nonostante le affermazioni ufficiali che il viaggio stesso non ha altro scopo oltre quello di passare piacevolmente il consueto mese di vacanza, corrono molte voci circa altre finalità assai vaghe, ma che potrebbero avere qualche fondamento. In realtà, il cardinale Pacelli !10n solo per la sua carica di segretario di Stato, ma anche per il prestigio persor_ale e per il desiderio più volte manifestato di volersi occupare di opere di apostolato e di pietà, è una figura così eminente nelle alte gerarchie cattoliche che non den destare meraviglia se desidera ma!1tenere contatti con elementi cattolici americani, cioè con una popolazione

che evidentemente ha una mentalità assai diversa di quella degli ambienti latini dove forse il cardinale Pacelli è più conosciuto. Di questo suo desiderio di farsi conoscere sotto un aspetto più internazionale, ossia universale, l'eminente porporato ha dato uno spunto ultimamente durante il congresso della stampa cattolica con il suo discorso in più lingue che è stato definito, o meglio qualificato, come « pentacostale » da uno degli oratori del congresso.

Si delinea così, oltre alle aspirazioni di una candidatura in un eventuale futuro conclave come successore dell'attuale Pontefice in linea politica e in programmi di attività religiosa, anche un nuovo aspetto delle sue benemerenze verso la Chiesa e delle sue qualità per salire alla Cattedra di S. Pietro, come vescovo che conosce l'intimo stato d'animo di tutte le popolazioni cattoliche e le può dirigere e sostenere nella via della virtù.

Ma a prescindere da questa supposizione che può avere avuto una certa importanza nella decisione presa dal cardinale Pacelli di compiere un viaggio oltre Oceano, sta di fatto che il Vaticano ha varie questioni di cui si è molto occupato in questi ultimi tempi e che sono tuttora pendenti.

Il primo e più urgente interesse riguarda la situazione religiosa del Messico. La Santa Sede ha sempre molto sperato che gli Stati Uniti, in armonia con la loro politica di libertà religiosa, esercitassero in questo senso una salutare influenza sul Messico. Il presidente Roosevelt durante la sua campagna elettorale -nella quale aveva ostentatamente fatto buon viso ai cattolici, fino a citare nei suoi discorsi l'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII come uno dei documenti ai quali si ispirava la sua politica sociale -aveva promesso che si sarebbe interessato per indurre la politica messicana ad una maggiore equanimità nella questione religiosa. Qualche cosa infatti egli fece dapprincipio ma poi, secondo il giudizio della maggior parte dei vescovi e dei cattolici, egli dimenticò le sue promesse e lasciò che la politica anticlericale del Messico continuasse per la sua china. Anzi, quando l'ambasciatore americano a Città del Messico fece delle dichiarazioni favore,·oli alla politica religiosa messicana e i cattolici degli Stati Uniti chiesero a gran voce che egli fosse richiamato, Roosevelt lo lasciò indisturbato al suo posto. Nonostante questi precedenti, il Vaticano continua a sperare qualche benefico influsso da parte degli Stati Uniti sul Messico ed è per questo che vedrebbe con piacere Roosevelt rieletto. È questa forse la principale ragione per la quale l'attività del padre Coughlin contro la candidatura Roosevelt nella presente lotta elettorale è veduta ora meno bene dal Vaticano.

L'altra questior:.e che interessa la Santa Sede negli Stati Uniti è quella dei rapporti diplomatici con quella Confederazione. Subito dopo l'elezione del presidente Roosevelt si affermò che lo stabilimento di tali rapporti era assai probabile. Di questo si tornò a parlare quando Roosevelt incluse nel suo ministero il cattolico Farley -per la prima volta un cattolico nel governo degli Stati Uniti -con ufficio di ministro delle Poste e quando il Farley venne a Roma a visitare il Papa, incaricato anche da Roosevelt di presentargli i suoi omaggi. La cosa però finì lì e delle relazioni diplomatiche tra il Vaticano e gli Stati Uniti non si parlò più. Lo stabilimento di tali relazioni non è una necessità per la Santa Sede, perché i cattolici degli Stati Uniti nella situazione attuale godono piena tranquillità e libertà ed i vescovi sono perfettamente soddisfatti della

esistenza a Washington di una delegato apostolico con poteri non diplomatici ma esclusivamente religiosi; anzi a qualcuno potrà sembrare che l'estensione della rappresentanza della Santa Sede al campo diplomatico possa essere piuttosto un rischio e un pericolo, che r:on un vantaggio. Ma è fuori dubbio che l'istituzione di una rappresentanza.diplomatica tra la Santa Sede e gli Stati Uniti accrescerebbe il prestigio della Santa Sede stessa nel r.ampo internazionale ed è principalmente per questo che la cosa riuscirebbe forse gradita al Papa Pio XI che ha spier;ato tanta parte della sua attività nel concludere concordati ed avviare relazioni diplomatiche con le varie Potenze. Ad ogni modo, in Segreteria di Stato si continua ad affermare che lo stabilimento di rapporti diplomatici provocherebbe gravi contrarietà da parte dei protestanti e non è pertanto prudente tentare di ottenere un vantaggio che potrebbe provocare temibili reazioni in danno della Chiesa Cattolica.

Infine, ritornando alle voci che corrono circa i motivi del viaggio del cardinale Pacelli, accennerò che si parla pure di ragioni economiche, sia per una ripresa di un afflusso d'oro cattolico attraverso l'obolo di S. Pietro, sia per una consultazione finanziaria per un miglior piazzamento delle disponibilità liquide della Santa Sede o degli enti sotto il suo diretto controllo. A questo proposito si dice che il marchese Mac Donald, venuto -come è noto -a Roma, abbia esposto progetti di propaganda religiosa e morale che implicano un largo movimento di capitali.

Ma -come ho dianzi accennato ~-tutti questi vari problemi non sono di tale gravità ed urgenza da richiedere la presenza negli Stati Uniti del cardinale segretario di Stato. Debbo perciò concludere che il viaggio potrà servire per risolvere tante questioni in sospeso ma deve rientrare nel quadro assai più complesso ed importante delle varie attività di Sua Eminenza il cardinale Pacelli che già è stato nell'America del Sud e a Lourdes come legato pontificio e che privatamente ha sempre cercato di allargare il più possibile la conoscenza di uomini e Paesi. Tale programma corrisponde infatti all'indole ed alle aspirazioni di questo principe della Chiesa che desidera temprare ancor più il carattere nell'umiltà e nelle opere di pietà e carità cristiane ma che lascia trapelare il desiderio di prepararsi a raggiungere le supreme responsabilità affidate al capo della gerarchia cattolica.

(l) -Vedi D. 81, nota l. (2) -Il documento Ila !l visto di Mussol!nl. (3) -Non rinvenuto.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 9987/1295 R. Londra, 8 ottobre 1936, ore 0,57 (per. ore 5,30).

Stamane mi è stato comunicato da segreteria Comitato non intervento Spagna convocazione Comitato plenario per venerdì 9 corr. Ragioni di questa convocazione è da ritrovarsi in due comunicazioni del governo britannico e del governo sovietico alla segreteria del Comitato.

Comunicazione governo britannico, firmata da Roberts a nome Eden (1), trasmette «per informazione del Comitato» le note del governo Madrid in data

15 settembre agli incaricati d'Affari Italia, Germania e Portogallo (l) con relativi allegati, nonché una nota di Del Vayo all'incaricato d'affari britannico a Madrid (2) con cui, fondandosi sulle pretese violazioni accordo non intervento, si chiede revoca embargo nei riguardi governo socialcomunista Madrid. Nella sua comunicazione alla segreteria del Comitato, governo britannico domanda che elenco nominativo varie note di Del Vayo sia preso in considerazione dal Comitato nella sua prossima seduta.

Comunicazione governo sovietico (3) contiene denunzie esclusivamente rivolte al Portogallo e termina proponendo invio di una Commissione sulla frontiera ispano-portoghese investigante su pretese violazioni; commissione che, terminate sue inchieste, dovrebbe ivi lasciare alcuni dei suoi membri per controllare esecuzione impegni non intervento da parte Portogallo. Comunicazione sovietica accenna in modo indiretto all'Italia solt::mto per quanto si riferisce al passaggio aviatore Patriarca attraverso territorio portoghese.

Ho convocato per domani mattina incaricati d'Affari Germania e Portogallo per concordare con loro linea azione.

P~r quanto riguarda sostanza denunzie contro l'Italia, esse sono già note a V. E. e non presentano alcun carattere serietà, tanto che governo britannico si limita sottoporle al Comitato «per informazione» e senza sua responsabilità. Mi propongo rilevare nel Comitato questo inammissibile modo di agire del governo britannico che non è conforme alla procedura stabilita. Eden, come sempre prigioniero degli elementi di sinistra e impressionato dal telegramma del Consiglio laburista, nonché dalle vociferazioni del congresso laburista di Edimburgo, si è prestato, ancora una volta, ad una manovra antifascista per fini di politica interna.

In queste circostanze e data assoluta assenza di serietà della comunicazione britannica al Comitato, mi proporrei, salvo ordini contrari di V. E., di passare immediatamente al contrattacco. Mi propongo vedere domani stesso Vansittat (4) per fargli seriamente rilevare che questo nuovo atto demagogico di Eden non è certo un contributo a quella chiarificazione dei rapporti italainglesi che tanto Eden quanto Vansittart dichiarano con tanta insistenza di desiderare. Ancora una volta ci troviamo in presenza di una azione antitaliana e antifascista condotta parallelamente dalla Russia comunista e dall'Inghilterra conservatrice. Se Gran Bretagna si ostinerà su questa strada, essa sarà responsabile di avere pregiudicato, forse irreparabilmente, ogni collaborazione fra Potenze civili di Europa. Essa, aggiungerò, avrà fatto così ancora una volta gioco di Litvinov che cerca di sabotare in ogni modo accordo fra le grandi Potenze occidentali, in attesa di silurare quella cosidetta Conferenza di Locarno che è proprio di iniziativa britannica. Finora Itnlia non ha voluto sollevare in seno al Comitato delle polemiche, in quanto Comitato era sorto appunto per evitare attriti e complicazioni. In vista dell'azione britannica e russa Italia intende però presentare sue contro-denunzie.

(l) Vedi BD, serie seconda, vol. XVII, D. 265, nota 7.

(l) -Vedi DP, vol. III, D. 486, allegato 2 (nota al governo portoghese). allegato 3 (notaal governo tedesco), allegato 4 (nota al governo italiano). Le tre note erano state comunicate altresì a tutti l governi degli Stati firmatari dell'accordo di non Intervento (allegato 1). (2) -Vedi BD, vol. XVII, D. 215. (3) -Nota del governo dell'U.R.S.S. al presidente del Comitato di non intervento In clata 6 ottobre 1936. Testo ln DP, vol. III, D. 481, allegato 2. (4) -Vedi D. 182.
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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRA~A 9993/1062 R. Ginevra, 8 ottobre 1936, ore 18,20.

Commentando la presentazione della nota sovietica al Comitato di coordinamento di Londra su pretese viola~ioni da parte di alcuni Stati dell'accordo di non intervento negli affari di Spagna (1), l'editoriale del Journal de Genève di questa sera denuncia la manovra politica di Mosca, tentativo di salvataggio in extremis della Spagna rossa. Dopo aver fatto invano tutto il possibile per guadagnare la partita inviando in Spagna i suoi migliori specialisti, l'U.R.S.S. tenterebbe ora di mantenervisi almeno in una parte del territorio. Secondo il giornale si assisterebbe, dopo l'installazione del generale Franco nella capitale, alla creazione di uno Stato dissidente a Valenza, Alicante o Barcellona. La recente tournée di Rosenberg nelle città del Levante spagnuolo sarebbe un'ispezione fatta a tal fine. Infatti, continua il giornale, sino a quando i nazionali non avranno conquistato Madrid o il loro governo non sarà stato riconosciuto, il governo ufficiale continuerà ad essere quello rosso. Siccome questo non potrà chiedere un intervento nelle faccende interne per non creare un precedente pericoloso più per i sovieti che per chiunque altro, l'unico modo per provocare giuridicamente un intervento sarà di erigersi in Stato separato e protetto.

Avendo fatto fiasco a Ginevra, Mosca si prepara a intervenire, continua l'articolo, accusando gli altri di essere già intervenuti, ed essendo troppo lontana dalla Spagna, vorrebbe farsi rendere il servizio dalla Francia. La nota sovietica è destinata ad esercitare una forte pressione sul Gabinetto Blum. Si tratta di trascinarlo in un'avventura o di abbatterlo se vorrà resistere. La propar;anda per l'intervento in Spagna, che la nota sovietica galvanizza, mira ad attirare nuove e numerose simpatie ai comunisti francesi, troppo deboli altrimenti per impadronirsi legalmente del potere, simpatie di tutti gli intervenzionisti del Fronte Popolare, degli internazionalisti e dei liberali. Si ha l'impressione, conclude l'articolo, che i sovieti giochino una carta disperata.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.R. 10010-10013-10014/612-613-614 R. Parigi, 8 ottobre 1936, ore 21,35 (per. ore 2 del 9).

Léger mi ha pregato di passare stamane da lui e mi ha detto di considerare privata e confidenziale conversazione che avrebbe avuta meco. Mi diede in primo luogo lettura di tre telegrammi ricevuti nei giorni scorsi da Chambrun.

Il primo riferiva comunicazione che Buti aveva fatto al consigliere dell'ambasciata di Francia (l) circa termini in cui avrebbero dovuto essere redatte credenziali Saint Quentin (2), esprimendo certa sorpresa che cosa di tanta importanza non avesse formato oggetto comunicazione del ministro Affari Esteri all'ambasciatore.

Il secondo telegramma affacciava ipotesi si dovesse scorgere, nel metodo seguito, perdurante malcontento governo italiano per proprio allontanamento da Roma.

Il terzo telegramma riferiva conversazione di V. E. con Chambrun (3) durante la quale Ella gli comunicò che decisione relativa credenziali rappresentanti esteri era stata presa personalmente da S. E. capo del governo ed era di ordine generale. Aggiungeva che a sue obbiezioni basate sopra precedente nuovo ambasciatore degli Stati Uniti gli è stato risposto da V. E. che in occasione discussione per credenziali a Phillips era stato esplicitamente detto da parte nostra che decisione valeva solo per tale caso. Concludeva menzionando dispiacere manifestatogli da V. E. per decisione presa dal governo francese di richiamarlo da Roma, tanto più che essa aveva originato difficoltà presenti che potrebbero influire sopra buone relazioni dei due Paesi.

Léger commentò telegrammi stessi dicendo che dapprima aveva creduto Chambrun tentasse appigliarsi a questa ultima àncora nella speranza di salvarsi. Dal colloquio riferito terzo telegramma risulterebbe peraltro indubbio che anche se vi fosse stato qualche risentimento da parte nostra per richiamo Chambrun, decisione del Duce doveva avere altri moventi. Era bensì vero che

V. E. aveva dichiarato trattarsi decisione ordine generale che sarebbe stata d'ora in poi applicata a tutti; rimaneva però fatto spiacevole che fosse stata la Francia a dover ricevere per prima comunicazione decisione adottata.

Léger mi disse che siccome Delbos ha fatto ritorno a Parigi da Ginevra soltanto stamane, egli aveva accomodato le cose in modo che dovesse esaminare e decidere altre questioni di maggiore urgenza ed avesse egli stesso il tempo di intrattenersi meco di tale delicatissima questione che lo preoccupava assai.

Posta come era la questione, risultava che l'Italia voleva ottenere in questo modo riconoscimento Impero. Egli comprendeva che desiderassimo attenerlo rapidamente e mi poteva assicurare che la Francia pensava dal proprio lato già da tempo al modo migliore e più sollecito per accordarlo. Qualche giorno fa era stato discusso se non fosse il caso iniziare conversazioni circa reciproci interessi nell'Africa Orientale che avrebbero dovuto culminare con

T. -4479/500 R. dell'8 ottobre, ore 24, del seguente tenore: «Come V. E. rileverà da un documento riservato che Le ho inviato per conoscenza, è stata fatta formale notificazione a questo ambasciatore di Francia che governo fascista non intende ricevere lettere credenziali che non siano indirizzate al Re d'Italia, Imperatore d'Etiopia. Tale titolo, che proviene da una leggedello Stato, non può più oltre venire ignorato dai quei governi che intendono accreditare rappresentanti a Roma. Poiché certamente V. E. verrà intrattenuta su tale argomento da codesto governo, Le dico, per Sua nq-ma di linguaggio, che la nostra decisione è precisa e definitiva ». Il documento riservato al quale si accenna nel telegramma non è stato ritrovato.

il r~conoscimento da parte Ji'rancia dell'Impero italiano d'Etiopia. Poiché vi sarebbe stata sempre la difficoltà della permanenza dell'Etiopia fra gli Stati membri S.d.N., Léger aveva suggerito di tentare prima, in prossima occasione, un'azione su Ginevra per eliminare questo ostacolo. A suo giudizio, riconoscimento del nuovo stato di cose non sarebbe stato, né necessariamente lungo, né eccessivamente difficile, qualora si fosse seguita la via maestra del negoziato diplomatico. Doveva manifestarmi una certa sorpresa che si fosse prescelta la «cruna dell'ago » del testo delle credenziali.

Qualora Léger ponesse governo di Fronte Popolare in presenza dello stato di cose creato dalla dichiarazione di V. E. a de Chambrun, esso non potrebbe evidentemente, data la sua fedeltà ai principi della S.d.N., che decidere di soprassedere alla partenza di Saint Quentin, lasciando per tempo indeterminato un incaricato d'affari a Roma. Una soluzione simile sarebbe di per se stessa dannosa per le buone relazioni fra i due Paesi. Egli avrebbe poi veduto cadere nel vuoto tutti gli sforzi fatti da quando si costituì ministero Blum, per convincerio che occorreva aver pazienza con l'Italia perché essa si sarebbe pian piano riavvicinata alle Potenze occidentali, scorgendo che vi era interesse anche per essa a partecipare alle discussioni circa nuovo trattato Locarno, etc. etc. Infine, si sarebbe fatto un salto nel buio relativamente agli affari di comune interesse in Africa Orientale e proprio nel momento in cui vari sintomi felici ed altamente apprezzati a Parigi (buone relazioni ristabilitesi fra viceré ed il ministro di Francia culminate nella visita del primo al secondo e nel conferimento a quest'ultimo ed alla sua consorte della croce di guerra) facevano ritenere che tutto si sarebbe regolato con reciproca soddisfazione. Accennava solo di passaggio alla recente nostra richiesta di ottenere permesso di transito attraverso Gibuti di 60.000 operai. Essa aveva suscitato non poche obbiezioni da parte di talune sfere governative che avrebbero potuto però essere superate. Non vi erano dubbi, peraltro, che qualora si creasse tra Francia e Italia una situazione come sarebbe stata impossibilità per la Francia di avere ambasciatore a Roma per chi sa quanto tempo, ogni discussione amichevole sarebbe caduta e non avrebbe potuto essere ripresa che a ristabilimento di condizioni normali.

Ho risposto a Léger che da quanto egli mi aveva detto risultavano esistere in lui due preoccupazioni che ritenevo poter senz'altro dichiarare prive di fondamento.

La prima era quella che il mutamento di ambasciatore a Roma fosse stato interpretato come mancanza di riguardo verso S. E. il capo del governo. Mi risultava che il capo del governo aveva avuto sempre massima considerazione per de Chambrun, cosicché sarà stato certamente dispiacente apprendere il suo collocamento a riposo. Da questo a ritenere che in un provvedimento d'ordine generale il Duce abbia potuto scorgere uno sgarbo verso la Sua persona, mi pareva che ci corresse qualche distanza.

Léger mi disse di essere molto lieto di questa mia opinione personale perché egli, dal canto suo, aveva pure creduto escludere quanto tentava di fare credere de Chambrun perché S. E. il capo del governo praticava egli stesso, e più frequentemente ancora del governo francese, frequenti movimenti diplomatici.

La seconda preoccupazione infondat1. era quella che la decisione di cui sl tratta sia stata presa con speciale riguardo alla Francia e quindi in un certo modo contro di essa. Ignoravo ufficialmente motivi che l'avevano dettata e sapevo soltanto che si trattava di un provvedimento che sarebbe stato adottato d'ora innanzi nei riguardi di tutti gli Stati. Personalmente ritenevo che decisione fosse maturata dopo ridicolo spettacolo offerto dalla ultima Sessione di Ginevra (l). Governo italiano aveva potuto dimostrare il suo assoluto disprezzo per la S.d.N. nell'astenersi da qualsiasi gesto teatrale; non poteva peraltro dimenticare che due grandi Potenze, ancorché sapendo di agire contro il loro interesse, non avevano avuto coraggio dichiarare che amicizia dell'Italia valeva bene la testa di Tafari e che numerosi piccoli Stati avevano mostrato una animosità che li aveva accecati fino a farli aggiogare al carro del rappresentante sovietico, le cui ideologie detestano e respingono.

Questa ed altra considei'azione avevano dunque, a mio giudizio personale, creato una nuova ideologia che si era manifestata in taluni misurati ma vibrati articoli di giornali fascisti che costituirono altrettante messe a punto nei riguardi di vari problemi e che si manifestò poi, ancora meglio, con la decisione comunicata all'ambasciata di Francia. A. mio avviso, interesse della Francia avrebbe dovuto dettarle di poter contare sopra l'amicizia dell'Italia. Un atto, dopo tante parole ed intenzioni rimaste tali, avrebbe potuto, ancora oggi, produrre il più salutare degli effetti.

Léger osservò che egli sarebbe stato più che lieto di potere tener conto di quanto gli avevo detto ma ricordò attaccamento della Francia alla S.d.N. e che non si sarebbe dovuto da parte degli italiani metterla oggi in una situazione dalla quale non avrebbe potuto evidentemente uscire che rimanendo fedele ai propri principi societari. Vedeva purtroppo anche dalle mie parole che ci si trovava probabilmente di fronte ad una via senza uscita. Ciò nonostante aveva voluto aver meco questa conversazione confidenziale e non se ne pentiva perché io avrei così potuto avere il modo di fare conoscere all'E. V. in via riservata le preoccupazioni che egli nutriva per le relazioni future fra i nostri due Paesi. Concluse dicendo che procurerà di tardare ancora due o tre giorni a sottoporre a Delbos decisione circa caso di cui si tratta perché Chambrun lascerà Roma soltanto venti ottobre. Ne informo V. E. per il caso <.:he Ella credesse di fare comunicare a titolo personale qualche altra o diversa considerazione a Léger.

(l) Nota presentata il 7 ottobre del governo sovietico al Presidente del Comitato di non intervento, Lord Plymouth, In cui l governi portoghese, Italiano e tedesco erano accusati di fornire aiuti agli Insorti spagnol! in violazione dell'Impegno di non Intervento. Il governosovietico dichiarava che, se quelle violazioni non fossero cessate immediatamente, l'U.R.S.S. si sarebbe considerata sciolta dagli Impegni derivanti dall'accordo (Il testo della nota è In Documenti dt politica internazionale 1936, pp. 515-516).

(l) -Di questo colloquio non è stata trovata documentazione. (2) -Il conte di Saint Quentin era stato nominato ambasciatore a Roma Il 25 settembre precedente. (3) -Non è stato trovato appunto di questo colloquio ma su di esso si veda il telegramma inviato dall'ambasciatore de Chambrun in DDF, vol. III, D. 318. All'ambasciata a Parigi ne fu data notizia, quando il colloquio tra l'ambasciatore Cerruti e Léger aveva già avuto luogo, con
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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10008/1063 R. Ginevra, 8 ottobre 1936, ore 22,10 (per. ore 24).

Questo delegato permanente di Turchia, Sadak, dopo avermi detto che aveva letto sui giornali italiani notizia di un preteso accordo anglo-turco, mi ha dichiarato, di sua iniziativa, che la cosa era assolutamente priva di fon

damento Secondo Sadak, tutto quello che turchi ed inglesi avrebbero raggiunto è un accordo per la fornitura di materiale pe1:ante per la creazione di officine industriali a Karabiic presso Kastamonu. Si tratterebbe in sostanza di forniture per le quali erano in concorrenza anche una Casa francese e la Krupp. Un grosso affare, in complesso, finanziato dalla Summer Bank, ma che non avrebbe nulla a che vedere col rifornimento di armi per i Dardanelli.

Sadak afferma: l) che la Turchia intende riarmare gli Stretti con i propri

-mezzi, la propria industria (sic) salvo che per i cannoni pesanti, per i quali deve necessariamente rivolgersi all'estero; 2) che nessun accordo navale è stato concluso tra Inghilterra e Turchia. Il Ghazi desidera anzi una politica estera che non vincoli in nessun modo la Turchia ad un gruppo determinato di Potenze. La stessa Intesa Balcanica, nel pensiero turco, deve agire in modo da non condurre la Turchia ad un conflitto in cui non sia direttamente interessata; 3) secondo mio intelocutore, nessun accenno a intesa di carattere navale sarebbe stato fatto in occasione del viaggio di Re Edoardo a Istambul fra gli uomini di Stato dei due Paesi. Il viaggio di Ismet Pascià a Londra non sarebbe dovuto che a ragioni di cortesia non potendo il Ghazi ricambiare personalmente la visita al Re d'Inghilterra e avverrebbe in occasione delle feste per l'incoronazione di quest'ultimo e non avrebbe nessun carattere politico particolare. Malgrado dichiarazioni fatte da Sadak devo segnalare a titolo informativo che qui continuano a circolare voci insistenti. di una intesa mediterranea anglo-turca.

(l) Si riferisce all'ammissione della delegazione etiopica ai lavori della Società delle Nazioni con la votazioned el 23 settembre precedente (vedi p. 107, nota 2).

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IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, SALATA

T. PERSONALE S. 4477/170 R. (l) Roma, 8 ottobre 1936, ore 24.

Ho preso visione del Suo rapport:J circa situazione e rapporti Cancelliere e Heinwehren (2). Si rechi dal Cance11icre e gli dica quanto segue: a) è mia convinzione che equivoco Stathemberger debba essere eliminato e senza indugio nel senso che Starhemberg deve ritirarsi a vita privata; b) quanto alle Heimwehren si deve porre l'aut aut di entrare nella Frontmiliz agli ordini dello Stato Maggiore o di essere sciolte. Credo che un gesto di energia sia necessario e che ne trarrà giovamento il governo il quale politicamente deve basarsi sul partito unico della Vaterltindische Front.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10071/450 R. Berlino, 8 ottobre 1936 (per. il 10).

Dal ministro Davignon, che ho visto oggi, apprendo essersi determinata in Belgio una corrente favorevole a diminuire anziché aumentare le responsabilità

del Paese nel campo internazionale. In altri termini, v'è nel Belgio chi, in occasione di una nuova Locarno, vorrebbe, pur accettando la garanzia ed il soccorso altrui, non impegnare... il proprio. Quello che il Belgio potrebbe fare, e farebbe, sarebbe di difendersi con tutte le sue forze dagli attacchi altrui. Ma quanto ad attaccare per venire in difesa di altri, la cosa sarebbe in pratica infattibile. In simile congiuntura, del resto (anche dato e non concesso che per ragioni di convenienza il governo belga finisca per confermare gli obblighi derivantigli dalla vecchia Locarno), lo sforzo del Belgio sarebbe praticamente limitato ad immobilizzare sulle proprie frontiere il massimo delle truppe avversarie ma nulla di più. È inverosimile che il Belgio possa disporre di tante forze da paterne mandare una parte fuori dei propri confini per combattere in territorio e a favore di alleati. Questa tendenza, secondo il Davignon molto forte e che comincerebbe a pesare sullo stesso governo, sarebbe il portato, da una parte, di una più giusta, e se si vuole più modesta, valutazione delle possibilità e delle forze proprie, dall'altra anche della preoccupazione -da cui il Belgio rifugge -eli essere eventualmente chiamato (ove il numero delle cosidette eccezioni a Locarno fosse esteso secondo i desideri francesi) in difesa, per esempio, dei Sovieti. Quest'ultima considerazione ha ora molto peso in molti circoli belgi e secondo Davignon «approssima il punto di vista belga in materia a quello tedesco».

Riferisco a V. E. quanto sopra, sia per opportuna informazione, sia perché mi sembra che, si vera sunt relata, anche un approccio a Bruxelles da parte nostra potrebbe non essere inutile, con lo scopo di guadagnare quel governo ad un programma di l) mantenimento della vecchia concezione locarniana, 2) opposizione al cambiamento del carattere del patto da patto bilaterale garantito a patto di assistenza mutua nuovo tipo, come tale capace di aumentare anziché diminuire per il Belgio, come per gli altri, le cause e gli obblighi di intervento.

Vedrà poi l'E. V. se ed in quanto possa esse:ce il caso di far capire al Belgio la conseguenza di possibili «tripartiti » e cioè -data l'inevitabile assenza dell'Italia da patti consimili o che comunque li mascherassero -la perdita totale della garanzia italiana.

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi D. 158.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10072/451 R. Berlino, 8 ottobre 1936 (per. il 10).

Ecco quale, da una odierna conversazione con Dieckoff, appare oggi da qui la situazione spagnuola in fatto di possibili « riconoscimenti ».

l) Non sembra che Francia e Inghilterra insistano nella idea primitivamente ventilata di riconoscimenti collettivi e «si omnes ». Ove lo facessero, la Germania risponderebbe riservandosi intera libertà di azione.

17 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

2) Non sembra d'altra parte che proprio Blum possa, anche solo per manovra devancer gli altri governi, prendendo egli stesso l'iniziativa di un riconoscimento del governo di Burgos (tel. 28 settembre R. ambasciata da San Jean de Luz) (1).

3) L'entrata delle truppe di Franco a Madrid non sarebbe il solo caso in cui la Germania riterrebbe possibile un riconoscimento « di fatto)) del governo nazionale. L'Auswartiges Amt vedrebbe la possibilità di un riconoscimento, sempre di fatto, anche: a) nel caso, ad esempio, di una fuga di Azafia, e/o b) in quello della aperta proclamazione di un regime bolscevico da parte del partito governativo.

Nel caso dell'instaurazione di un governo nazionale a Madrid, e della contemporanea proclamazione di una Catalogna indipendente, la Germania, pur astenendosi dal riconoscimento di una repubblica Catalana, non si proporrebbe di ritirare il proprio console da Barcellona, cercando così di mantenere anche colà una situazione di fatto relativamente suscettibile di garantire i propri interessi.

Ove da parte nostra vi fossero osservazioni o suggerimenti gradirei che l'E. V. me ne informasse opportunamente (2).

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IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10073/037 R. Praga, 8 ottobre 1936 (per. il 10).

Ho chiesto a questo ministro degli Esteri se si era incontrato con Beck a Ginevra come da qualche giornale era stato accennato. Krofta mi ha detto di non aver avuto questa volta nessuna conversazione col collega polacco. Ho capito che egli avrebbe tenuto ad un abboccamento e deve averlo sollecitato ma Beck, che gli aveva, parlando, promesso una visita in restituzione a quella fattagli da Krofta nella precedente riuc1ione ginevrina, ha dimenticato ed ha lasciato partire il ministro cecoslovacco insalutato ospite.

Le speranze riposte qui nel riavvicinamento franco-polacco e relativo scambio di visite Gamelin-Rydz-Srnigly (3) pare vadano sfumando. Krofta mi parlava con amarezza dei rapporti con Varsavia e del tono arrogante dei polacchi verso la Cecoslovacchia, e, mentre metteva in dubbio la decantata autorità ed influenza politica di Rydz-Smigly, riteneva di non dover attendersi un mutamento qualsiasi nella nota politica antagonistica del ministro Beck e dei «colonnelli)).

Mi ha accennato al processo di Mor;;,v::ka Ostrava (l), rigettando naturalmente i motivi di protesta dei polacchi, i quali non contenti del rinvio del processo vorrebbero senz'altro la messa in libertà degli imputati per soddisfazione alla popolazione polacca. L'ufficiosa Gazeta Polska pubblica articoli velenosi contro i cechi e Varsavia chiede a Praga un provvedimento a favore della minoranza polacca incompatibile --dice Krofta -con gli stessi principi base della compagine dello Stato.

La fase di tensione ceco-polacca dura ormai da molti mesi; non penso che nell'attuale situazione nonostante l'acredine polacca e la resistenza passiva ceca, le cose possono giungere fino ad un conflitto fra i due Paesi, ma non penso neppure che i rapporti t:ra essi possano essere comunque modificati in senso conciliativo.

Come più volte è stato ripetuto dalla R. ambasciata a Varsavia e da questa legazione, esiste fra il popolo ceco e il popolo polacco una tradizionale sentita avversione fatta sopratutto di disprezzo di questo verso quello. Cechi e polacchi, contigui e consanguinei, da un mille11ni.o si odiano cordialmente e, se già nel X secolo S. Adalberto, taumaturgo comune agli uni e agli altri, « non seppe compiere il miracolo di svegliare ua amore fraterno nelle due nazioni slave», è prevedibile che neppure gli sforzi della Francia, a parole e a quattrini, riusciranno mai a fare dei due suoi alleati anche due veri amici fra loro.

(l) -Vedi D. 123. (2) -Per la risposta si veda il D. 209. (3) -Vedi p. 7, note l e 3.
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L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, CAPRANICA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10132/095 R. Belgrado, 8 ottobre 1936 (per. il 12).

Suo telegramma filo n. 4446/C del 7 corrente (2).

Mi è stato riferito -e trasmetto l'informazione con ogni riserva -che durante l'incontro fra Re Edoardo VIII ed il principe Paolo, presenti Stojadinovic e qualche altro ministro, si sarebbe effettivamente parlato dell'attualità di un aggravamento delle relazioni itala-inglesi nel Mediterraneo. Il principe Paolo, che aveva per primo parlato sull'argomento, avrebbe promesso al Re di mettere all'occorrenza a disposizione dell'Inghilterra stessa la costa adriatica jugoslava e specialmente le Bocche di Cattaro. Stojadinovic non avrebbe né approvato né disapprovato e, come gli altri, non avrebbe preso parte alla discussione.

(l) -Il 2 settembre precedente si era iniziato a Moravska Ostrava un processo contro sei polacchi accusati di atti di sabotaggio compiuti nel quadro di un'azione tendente a staccare 11 territorio di Teschen dalla Cecoslovacchia. Il processo, che fin dall'inizio aveva provocato fortissime reazioni nella stampa polacca, si concluse il 9 ottobre con la condanna degli imputati a pene detentive. (2) -Ritrasmetteva il T. 9878/1041 R. del 5 ottolJre, ore 11,45, da Ginevra, nel quale era riassunto 11 contenuto di un articolo della Gazette de Lausanne sui risultati ottenuti da Edoardo VIII con la sua crociera nel Mediterraneo (vedi p. 15, nota 1). Secondo il giornale, il Sovrano, era riuscito a guadagnare l'appoggio della Jugoslavia e della Grecia, ad allontanare Ankara dall'Unione Sovietica e aveva ottenuto da Re Boris delle utili indicazioni circa una possibile adesione della Bulgaria all'Intesa Balcanica. Vedi anche il D. 211.
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IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO (1)

APPUNTO. ... ottobre 1936 (2).

Dopo una conversazione di alcuni minuti con il Principe Filippo di Assia che gli ha detto della mia presenza, il Fuhrer ha voluto sentirmi personalmente circa il prossimo viaggio di V. E. in Germania. Egli mi ha intrattenuto per quasi tre quarti d'ora.

Visita di S. E. Ciano.

Il Fiihrer si dice lietissimo di poter salutare in Germania il Ministro degli Esteri italiano. Mai uno scambio di idee è parso più propizio. Ignora il programma della visita che è stato concordato da von Neurath ma spera che gli sia stato lasciato abbastanza tempo per vedere a lungo il Ministro.

Locarno.

Il Fiihrer dice: -Italia e Germania, allo stato attuale delle cose, non hanno alcun particolare interesse a farsi attirare in una ricostruzione di Locarno, sia pure composta con gli elementi del vecchio Patto. Conosco i criteri della Wilhelmstrasse nell'eventualità di una stipulazione di un nuovo Patto: dichiarazione di rinuncia assoluta alla guerra fra Germania, Francia e Belgio senza eccezione; nessuna interferenza tra il Covenant e il nuovo accordo. Locarno non può costituire una garanzia di pace per i nostri due Paesi in quanto qualsiasi piccolo Stato europeo vassallo della Francia potrà scatenare una guerra senza che per questo Italia e Germania possano impedirlo.

A dispetto di Locarno, la Francia sarà sempre in grado di sfuggire alla responsabilità di una guerra nascondendosi dietro la necessità di aiutare un piccolo Stato ed attribuendo la responsabilità all'Italia ed alla Germania.

«È chiaro del resto -continua il Fuhrer -che Francia e Inghilterra sono troppo unite da una serie troppo grande di legami perché, per quante garanzie esse vogliano oggi dare, queste possano avere un qualsiasi effetto in caso di conflitto. La mia viva diffidenza verso un Patto di Locarno non esclude che l'eventualità di una sua stipulazione debba essere esaminata. Ripeto però che esso non mi sembra lo strumento più adatto a garantire la pace».

In un mio discorso ho fatto conoscere a quali condizioni la Germania aderirebbe ad un patto aereo (3). Esiste perciò, un certo impegno da mia parte. Ho motivo, però, di ritenere che le mie condizioni, oggi come allora, saranno inaccettabili. Posso poi senz'altro escludere che si arrivi alla conclusione di un accordo tripartito.

Memorandum britannico (1).

Il Fiihrer dice. -io non permetto che mi si pongano dei questionari. Non ho nessuna intenzione di rispondere al memol·andum britannico. Se qualche spiegazione dovrà esser data, l'Italia verrà debitamente consultata ed in ogni caso niente verrà deciso prima della visita del conte Ciano.

Società delle Nazioni.

Il Ftihrer dice: L'Italia mi farebbe il maggiore dei piaceri uscendo dalla Lega. Il giorno che l'Italia uscisse dalla Lega, e mi impegno formalmente, essa sarà seguita, dodici ore dopo, da una mia dichiarazione che la Germania non metterà più piede a Ginevra. * La Società delle Nazioni mi ispira lo , stesso ribrezzo di una carta moschicida. È qualcosa di sudicio: qrutta a vedersi, orribile ad invischiarsene le mani. Auguro a me stesso di tenermene lontano. È fatta per negare quanto c'è di nobile e di eroico nella vita dei popoli. In virtù di essa dovremmo languire e mortificarci per la massima soddisfazione dei suoi amministratori e dei suoi esegeti. Cosa mi posso poi attendere io da verdetto di un liberiano o di un guatemaltese? * (4).

Io ho ottenuto tutto rimanendo fuori della Lega: ho occupato la zona renana, ho ricostruito la flotta, ho riarmato l'esercito, ho fortificato le coste tedesche. Non avrei mai potuto far niente di tutto questo rimanendo nella Lega. La cosa essenziale è che Germania ed !talla siano sicure di loro stesse e possano garantire l'ordine in Europa. Si guardi al Giappone. La sua ascesa coincide col suo ripudio della Lega ». Il Ftihrer si serve di questo argomento per parlare del

Riconoscimento dell'Impero.

Vi sono tre cose che la Lega ignora, egli dice: l) Il Manciukuò che è una grande realtà politica ed economica e che ha dietro di sé una delle più formidabili Potenze militari del mondo, un Impero che deve collaborare con il resto dell'umanità. 2) l'Impero d'Etiopia, regione completamente italiana di fatto e di diritto perché gli Italiani se la sono conquistata e la tengono; 3) il governo nazionalista spagnolo che è una vera realtà politica che ha salvato dall'anarchia una parte della Spagna e che presto sottrarrà il resto del Paese alla peste comunista. Io sono fortemente tentato di riconoscere, subito, in pari tempo, ufficialmente, queste tre realtà che la Lega ignora. Desidero che a Roma si conosca questo mio punto di vista. È inutile che io ripeta come sia disposto a riconoscere la sovranità italiana sull'Etiopia anche separatamente.

Rapporti anglo-tedeschi.

Il Ftihrer fa una lunga disquisizione sull'« animus » della classe dirigente britannica verso la Germania. Egli poi dice testualmente: Il governo britannico ed in generale la classe dirigente britannica sono contro il fascismo ed il nazionalsocialismo. Non mi faccio illusioni a questo proposito, come so pure che esiste in Inghilterra una parte dell'opinione pubblica che ci è sinceramente

favorevole. La classe dirigente britannica che ci è ostile si illude però se crede di poter stabilire un qualsia~i ordine politico in Europa isolando il fascismo dal nazionalsocialismo. Ho la convinzione che l'Inghilterra vuole ostacolare un'Intesa itala-tedesca cercando di indurre la Germania a possibili intese con gli Stati democratici europei. Il mio unico sistema di lotta verso l'Inghilterra, e so che è il più efficace, è l'intensiflcazione della propaganda antibolscevica, che perseguo con tutti i mezzi. Non mi torna però conto dimostrare all'Inghilterra che non nutro fini amichevoli. Ma, ripeto, non mi faccio illusioni sul significato della sua politica: dividere le nostre due nazioni, per aver ragione di noi separatamente.

* Voglio dire ancora che Francia ec: Inghilterra -ha esclamato il Flihrer saranno sempre unite e per ostacolarci. L'ho detto prima a proposito di Locarno, ma tengo ancora a precisarlo. È un blocco automatico. I nostri due Paesi e i nostri due R.egimi non devono mai dimenticare che ce le troveremo di fronte in ogni occasione. È inevitabile. Com'è inevitabile che faranno di tutto per fermarci. D'alt:r::t parte i rocenti avvenimenti e la posizione presa dai nostri due Regimi dimostrano chiaramente che esse vogliono levarci di mezzo (sic) (beseitigen) * (1).

Fronte antibolscevico.

Partendo dal principio di similarità dei due regimi, il Flihrer passa a parlare delle reciproche necessità per le due nazioni di combattere le forze sovvertitrici in Europa e dell'obbligo comun.e di costituire un fronte antibolscevico. È convinto che l'Italia ha da difendere gli stessi interessi e che un accordo in materia è facilmente raggiungibile.

Questione coloniale.

Anche quest'anno -dice il Fuhrer -vi è gran penuria di grassi in Germania. Non sappiamo dove prenderli. Sono stufo di arrivare all'inverno e di sentirmi dire che non ci sono grassi. Deve potremo prenderli? Certamente non in Europa. Naturalmente da questo rarticolare e dalla mancanza di spazio che ci ossessiona si può capire perché non mi stanco mai di reclamare colonie per il popolo tedesco. Avviene che quando io domando colonie per la Germania i più grossi detentori delle stesse mi rimandano ai più piccoli. Così l'Inghilterra mi rinvia alla Spagna o al Portogallo. La Ftancia finge invece di non capire. Ora io non voglio allarmare nessuno ma non metterò mai da parte la questione coloniale. SE' c'è una nazione che deve riesaminare il problema coloniale con noi è proprio la Fntncia. La questione non è, comunque, così urgente ma quello che mi preme definire è che io non desidero suscitare allarmi.

Mediterraneo.

Il Fiihrer si ric;erva eli parlare al conte Ciano della profonda simpatia con cui vede lo sviluppo italiano nel Mediterraneo. Egli è disposto ad appoggiare ed a riconoscere tutti i diritti dell'Italia nel Mediterraneo.

Spagna.

Il Fii.hrer è pronto a riconoscere il governo di Burgos, dopo l'occupazione

di Madrid, insieme al R. Governo. Gli era pervenuta notizia, al momento della

nostra conversazione, della nota comunicazione sovietica al Comitato di non

intervento relativa alla consegna di armi ai ribelli spagnoli da parte di Terze

Potenze (l).

Il Ftihrer non ha perduto l'opportunità per qualificare la mossa sovietica come una manovra inqualificabile e in tutto degna di Mosca (il frasario adoperato da Hitler in quest"occasione è del resto fedelmente riprodotto da tutta la stampa tedesca), soggiungendo che si riservava di sentire von Neurath e von Ribbentrop per esaminare se non sarebbe stato conveniente affrettare il riconoscimento del governo di Burgos per tagliar corto alla polemica con l'U.R.S.S. e stabilire che la Germania si trova eli fronte a un governo legale. Son sicuro, -ha detto il Fiihrer -che le alleanze internazionali del governo socialcomunista di Madrid faranno l'impossibile per stabilire la legalità di un governo spagnolo anche quando Madrid sarà occupata dai nazionali. È la stessa storia del Negus. Sarebbe come se il sig. Braun, che è attualmente fuoruscito in !svizzera, dicesse che il presidente del Reich è lui, non io!

Bacino danubiano.

Il Fiihrer dice: -non esiste un problema danubiano fra l'Italia e la Germania. Tutte le questioni possono essere esaminate con eguale spirito amichevole.

Dirò (2) che non è stato necessario porre domande o affacciare quesiti perché il Ftihrer ha, su ogni questione connessa con il viaggio di V. E., espresso molto chiaramente e con l'abituale forma dogmatica, il suo avviso. L'eloquio di Hitler è estemporaneo, la sua maniera di esporre assente di riserve. Per quanto egli ami esaminare diffusamente le questioni, la sua conoscenza delle cose politiche è limitata alle idee generali. Egli dimostra di ignorare i dettagli. Per conseguenza, dei colloqui di von Neurath con il R. Ambasciatore in Berlino e di von Hassell con il Duce e con V. E. egli ha ritenuto la parte più specificamente teorica, quella che evidentemente ha ispirato. Tale sua abitudine serve a spiegare il divario che spesso viene notato tra il suo pensiero e le manifestazioni dei suoi collaboratori ed anche il perché essi siano costretti a ridurre in più comode formule le sue vaste affermazioni politiche. Per Hitler, ad esempio, la questione dei patti regionali, tripartiti etc. non riveste la minima importanza. Al sistema dei Patti mi è parso che creda soltanto se possono fargli guadagnar tempo. A varie riprese difatti egli ha accennato alle condizioni da lui poste, nei suoi discorsi, per la conclusione di patti regionali. Ma ha subito soggiunto che sperava che le sue condizioni fossero ritenute inaccettabili. Egli vede la vita politica europea dominata da due soli fattori: l'ordine e il disordine. Il resto gli sembra accessorio e trascurabile. A presidio dell'ordine europeo il Fiihrer vede l'Italia e la Germania. Una collaborazione fra i due Paesi gli sembra dettata da tale necessità. Il pensiero è dominato dal criterio che un patto fra due regimi diversi è fatalmente fallace. Gli è per questo che non gli sembra possibile

nemmeno prendere in considerazione un'immissione dell'U.R.S.S. in un sistema politico del quale faccia parte pure la Germania. Tale nota mi sembra indispensabile per spiegare quanto possa parere semplicistico nelle sue affermazioni. In effetti, la Wilhelmstrasse si sforza, non so con quanta buona fede, di dare una forma [l, quanto il Fuhrer esprime brutalmente e con un senso rivoluzionario della missione del suo Paese.

A tutto il colloquio ha assistito il principe di Assia il quale ha anche preso visione degli appunti da me stesi subito dopo la conversazione (1).

(l) -DI questo appunto sono state trovate In archivio due versioni. Si riproduce qui la seconda, che è quella vista da Mussolini, indicando in nota le differenze tra le due versioni. (2) -L'appunto non è datato ma il colloquio a cui si riferisce ebbe luogo, presumibilmente 1'8 ottobre come sembra indicare l'accenno di Hitler al fatto di avere appena avu.to notizia della nota sovietica di protesta per i rifornimenti agli insorti spagnoli che è del 7 ottobre. (3) -Nella prima versione: «ad un accordo tripart!to ».

(l) Vedi p. 139, nota 7. Le frasi riprodotte tra i due asterischi non si trovano nella prima stesura del documento.

(l) Le frasi r!prcdotte tra 1 due astcr!sch! non s! trovano nella prima stesura del documento.

(l) -Vedi p. 188, nota l. (2) -Nella prima versione, quest'ultima parte del documento era posta all'inizio.
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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 3159/815. Roma, 8 ottobre 1936 (per. il 10).

Mi riferisco alla precedente corrispondenza in materia e, da ultimo, al mio telegramma per corriere del 6 corrente n. 138 (2).

Il Papa mi ha ricevuto in udienza questa mattina. Il Pontefice mi ha fatto dare, a mezzo di mons. Pizzardo, preventiva comunicazione dell'appunto di risposta preparato dalla Segreteria di Stato e ha insistito perché la leggessi e ponderassi bene prima di andare da Lui. Nel ricevere il documento, che trasmetto qui unito all'E. V., ho rinnovato a mons. Pizzardo le dichiarazioni fattegli precedentemente e cioè che mi s:lrei astenuto dal discutere con Sua Santità la risposta pontificia, ciò che avrei fatto, se fosse stato il caso, con la Segreteria di Stato.

Il documento comprende un proemio, una dichiarazione di portata generale e le risposte ai casi singoli da noi segnalati.

Nella prima parte dell'appunto, la Segreteria di Stato esprime il vivo desiderio di dissipare al più presto qualsiasi ombra che possa nuocere alle relazioni di fiducia che la Santa Sede intende mantenere con il R. Governo anche sulla delicata materia dell'Azione Cattolica. Aggiunge che la R. ambasciata ha segnalato fatti i quali, se fossero giudicati fuori dello spirito che li animava e separatamente dalle circostanze di tempo e di luogo, potrebbero lasciare l'impressione che non fossero del tutto in armonia con gli accordi intervenuti fra la S:mta Sede e il governo italiano circa l'Azione Cattolica (3).

Nella parte generale si afferma che: a) l'Azione Cattolica ha l'unico e preciso fine di preparare e formare religiosamente persone volenterose perché si mettano a disposizione dei vescovi per coadiuvarli e suppliscano anche al clero oggi troppo sc~:trso di numero; b) che la medesima Azione Cattolica è dioeesana ossia è subordinata all'Epis~opato del quale è l'ausilio; c) che questa diocesanità non eselude l'autorità pontificia, come del resto avviene in tutte

le altre materie del governo ecclesiastico. I centri romani di Azione Cattolica non hanno alcuna azione sl'i vescovi, non possono dare ordini all'Episcopato senza uno speciale incarico del Papa. Essi sono a disposizione dei vescovi soprat

tutto per preparare il materiale didattico di cultura religiosa e per formare le persone atte a coadiuvare i sacerdoti nel promuovere la vita cristiana nelle parrocchie. I centri romani sono sotto la diretta, effettiva dipendenza del Santo Padre. È quindi escluso che i centri romani perseguano, in qualsiasi maniera, altri scopi che non siano quelli suesposti, fissati dalla natura stessa dell'Azione Cattolica. Il documento pontificio esclude quindi che i centri romani possano mirare a stringere in pugno di pochi organizzatori il complesso dell'Azione Cattolica, come pure che l'Azione Cattolica possa diventare una forza dal punto di vista politico nazionale. La Segreteria di Stato precisa che, di questo, dà piena garanzia.

Le iniziative segnalate dalla R. ambasciata come preoccupanti -così prosegue l'appunto della Segreteria di Stato -hanno la loro base in manifeste ragioni di utilità e necessità nei limiti dei loro compiti religiosi. Così le settimane e i corsi di preghiere e di studio si propongono Io scopo di dare una cultura e formazione religiosa sufficientemente estesa e profonda a coloro che vogliono aiutare il Sacerdote nella sua missione. Tali iniziative sarebbero inat

tuabili nelle piccole Diocesi, numerose specialmente nell'Italia centrale (Lazio) e meridionale. Per questo esse sono state avocate dai centri romani. I corsi e le settimane sono, dunque, manifestazioni religiose collettive e non politico-nazionali. Le diocesi vi partecipano, inviandovi sacerdoti e laici.

Il documento pontificio tratta per ultimo dei casi singoli segnalati dalla

R. ambasciata: l) Pellegrinaggio dei fanciulli di A. C. È stato un omaggio reso al Pontefice all'inizio del suo 80° anno; 2) Pellegrinaggio dei giovani a Pompei. I giovani non hanno creduto fare cosa sgradita, manifestando i loro sentimenti italiani e fascisti; 3) Settimana di Mondragone. Vi hanno partecipato 200 assistenti ecclesiastici; 4) Discorso di Catania. Aveva per argomento: «La vita parrocchiale del giovane»; 5) Pensione di S. Carlo al Corso. Non si è parlato di mobilitare le masse cattoliche, ma del pellegrinaggio a Pompei; 6) Adunata di Mondragone. Vi hanno partecipato 200 o 250 studenti, accompagnati dai loro istitutori ecclesiastici; 7) Corso della gioventù femminile di Azione Cattolica. Ha avuto per scopo di preparare le partecipanti all'insegnamento catechistico per le piccole diocesi del Lazio; 8) Corso di Castelnuovo Fogliani. È stato indetto per la preparazione spirituale e religiosa delle dirigenti, nominate dai vescovi;

9) Suore infermiere. Vi presero parte anche delle infermiere della Croce Rossa che possono fare fede della lealtà dei propositi che hanno ispirato gli organizzatori. Furono ammesse anche alcune poche infermiere laiche con lo scopo di contribuire all'affiatamento della classe delle infermiere laiche con le Suore infermiere. Il dualismo esistente fra le une e le altre, essendo considerato pregiudizievole al buon andamento degli ospedali;

10) Gli accordi del 1931 non e<;cluàono -così è scritto nell'Appunto l'esistenza di associazioni professionali di }\zione Cattolica. Questo spiega le annuali riunioni di maestri di Azione Cattolica;

11) Settimana di preghiera c stwiio degli universitari a Bari. È una riunione annuale. Si trattano temi di cultura e di formazione religiosa, adatti agli studenti di Università;

12) Non sembra da condannarsi -è scritto nell'appunto -il desiderio che l'Azione Cattolica italiana diventi modello dell'Azione Cattolica all'estero.

L'Azione Cattolica si proçone in primissimo luogo di formare giovani di costumi assolutamente integri e di zelo disinteressato per la salvezza delle anime.

La chiusa del documento è notevole anche per il fatto che il Santo Padre mi ha dichiarato ripetutamente che è stata dettata da Lui. La riferisco testualmente:

«La Segreteria di Stato, anzi il Santo Padre stesso, dà ogni assicurazione che non cessa di fare quanto è in suo potere per m2.ntenere l'Azione Cattolica Italiana nelle linee degli accordi, ed affinché l'Azione Cattolica medesima, conformemente alla sua natura e definizione, possa preparare persone atte a prestare aiuto ai parroci ed ai vescovi nel loro ministero pastorale -come quelli che partecipano dell'universale paternità spirituale e dell'universale ministero pastorale del Papa -~, evitando assolutamente il formarsi di organizzazioni che non siano nella dcbita coordinazione e subordina;done dell'apostolato della gerarchia e quindi alla stessa gerarchia ecclesiastica, vale a dire quanto vi ha di più spirituale e soprannaturale, escluso quindi ogni mondano e terreno fine politico ».

La segreteria di Stato domanda, infine, che le siano segnalate le manifestazioni che potessero avere altra intepretazione da quella surriferita, essendo suo vivo desiderio lli dissipare, fino dalle origini, qualsiasi nube che possa pregiudicare le relazioni di piena fiducia che la Santa Sede intende avere e mantenere con il governo italiano.

Il Papa nell'udienza accordatami stamani mi ha accolto domandandomi se avessi letto l'appunto della Segreteria di Stato. Alla mia risposta affermativa ha soggiunto di avere desiderato di vedermi dopo che avessi letto e ben ponderato la risposta pontificia sull'Azione Cattolica Italiana. Il Pontefice mi ha, poi, chiesto senz'altro il mio parere sul documento in discorso. Ho procurato di girare l'ostacolo, ma il Papa ha insistito. Gli ho risposto che la mia impressione era in complesso buona anche per l'assicurazione formalmente data di volere mantenere l'Azione Cattolica nella linea degli accordi pattuiti con il

R. Governo. Ho precisato, insistendovi, che quella che manifestavo era un'impressione personale. Ho proseguito dicendo che siccome il Pontefice mi aveva fatto l'onore di sollecitare la mia opinione, Lo pregavo a mia volta di consentirmi di esprimermi con Lui liberamente. Ho, poi, spiegato che il solo punto del documento che poteva sollevare qualche obiezione era quello relativo all'azione dei centri romani. Non ponevo r.1enomamente in dubbio la lealtà degl'intenti ma dovevo osservare che, probabilmente per eccesso di zelo di qualche giovane dirigente, l'azione dei centri mmani non era sembrata negli ultimi tempi chiara, né in tutto conforme agli accordi più volte citati. Il Papa, pur non dimostrandosi mddisfatto delle mie osservazioni, non ha avuto nessuna spiacevole reazione. Non ha negato, né ammesso, e mi ha dichiarato che assume l'intera responsabilità circa l'Azione Cattolica che fa capo direttamente a Lui e deve seguire le direttive che Egli personalmente fissa.

Il Pontefice ha tratto indi dal cassetto alcuni appunti e mi ha espresso il desiderio di chiarire la portata dello scritto della segreteria di Stato con alcune osservazioni supplementari. Egli ha voluto precisare in primo luogo, e lo ha fatto con una certa compiacenza, che l'Azione Cattolica era diocesana anche prima della Conciliazione e degli accordi del 1931. Il Papa ha soggiunto che infatti, nella prima Enciclica del Suo Pontificato ha fissato le basi diocesane dell'Azione Cattolica. Il Pontefice mi ha parlato poi della centralità romana che è l'essenza stessa della Chiesa Cattolica romana. Il Papa è il centro della cattolicità, tutto dipende da lui. La diocesanità dell'Azione Cattolica non esclude perciò la sua dipendenza dal Sommo Pontefice. Il Papa nel dire questo si è accalorato. Ho creduto a questo punto di osservare che mi credevo sicuro di interpretare il pensiero del Duce e dell'E. V. affermando che il governo fascista non ha mai avuto in animo di ostacolare l'azione del Papato nell'esplicazione delìe sue alte funzioni. La contestazione era assai più circoscritta e si nferiva specificatamente ai centri romani di Azione Cattolica, forse non sempre intonati agli ordini Superiori, nella loro azione propagandistica. Il Papa è sembrato soddisfatto della mia risposta.

Il Pontefice ha detto del tutto in'ondato il timore manifestato che l'Azione Cattolica tenda a trasformarsi in una organizzazione a carattere nazionale. Ha soggiunto di non capire perché il R. Governo si sia preoccupato di manifestazioni patriottiche e fasciste del genere di quella di Pompei. Ha soggiunto che, in passato, il patriottismo dei giovani cattolici sarebbe stato applaudito e incoraggiato. Ho replicato che l'Azione Cattolica aveva un compito ben definito e circoscritto dagli accordi più volte citati.

L'Azione Cattolica ha dichiarato il Papa non fa politica. Su questo punto Egli può dare le assicurazioni più esplicite. Il governo fascista non ha nulla da temere dalle associazioni di Azione Cattolica nelle quali troverà anzi, in ogni tempo, i più larghi consensi.

Il Pontefice, a questo punto, si è di nuovo accalorato. Egli ha detto che dobbiamo evitare 1: di scambiare amici per nemici». Trascinato dalla foga del discorso, si è scagliato contro la Germania e i suoi dirigenti per l'indirizzo nefasto da essi dato all'educazione della gioventù. Per quanto il Pontefice parlasse con linguaggio non chiaro, ho avuto l'impressione, a un certo momento, ch'Egli pensasse che l'Italia possa avviarsi a copiare la Germania e Gli ho rammentato che recentemente il R. Ambasciatore a Berlino aveva fatto, presso il governo del Reich, un serio passo inteso ad ottenere un'attenuazione della campagna di persecuzione condotta contro alcuni ordini religiosi tedeschi (l). Non è, dunque, ho soggiunto, il coverno italiano che subisce le influenze del nazismo, mentre al contrario il governo fascista tenta di esercitare un'azione moderatrice su Berlino nei riguardi della Santa Sede.

Il Papa ha concluso affermando con insistenza che i timori, le preoccupazioni e i sospetti verso l'Azione Cattolica sono ingiustificati, tanto più dopo che l'azione del clero e dell'episcopato italiani si erano manifestati durante la guerra etiopica all'unisono con i sentimenti del Paese e quella della Santa Sede, all'estero, svoìta non senza sollevare critiche anche acerbe, avrebbe dovuto rassicurare complet'lmente il R. Governo.

V'è una certa diversità di tono fra l'appunto della Segreteria di Stato e le dichiarazioni del Pontefice. Il documento contiene, a mìo sommesso avviso, delle ammissioni notevoli che hanno il pregio di essere scritte.

Ho avuto l'impressione che il Papa fosse addolorato nel constatare che le Sue intenzioni rette e leali verso il governo fascista, erano state fraintese. Egli teme pure -me lo ha detto apertamente -il sorgere di una nuova campagna che, prendendo a pretesto l'Azione Catolica, si proponga d'intorbidare i buoni rapporti esistenti fra il R. Governo e la Santa Sede.

La Segreteria di Stato non aspetta risposta al suo appunto, che è già una replica alle osservazioni della R. ambasciata.

Spero e credo che, nella pratica, l'Azione Cattolica sarà imbrigliata. Il Vaticano non vuole da;:e, per nessuna ragione, l'occasione a divergenze su di una materia così delicata.

È bene rilevare intanto che una manifestazione di Azione Cattolica che ha avuto luogo di questi giorni, è stata mantenuta rigorosamente nella linea degli accordi del 1931. Si tratta della commemorazione di trigesima del defunto comm. Ciriaci, già presidente generale dell'Azione Cattolica. Al funerale dello stesso commendato:-e, un mese fa, intervenne una trentina di labari di associazioni di Azione Cattolica. La cerimonia di trigesima è stata prettamente religiosa e il discorso pronunciato dall'assistente generale ecclesiastico dell'associazione, mons. Pizzardo, non avrebbe potuto essere più ortodosso.

Ho visto, poi, monsignor Pizzardo. Il Segretario per gli Affari Straordinari mi ha detto di avere parlato al Papa subito dopo di me. Il Pontefice gli ha dichiarato: l) di assumere la piena responsabilità nei riguardi dell'Azione Cattolica. Il governo italiano ha la Sua personale garanzia; 2) se per l'avvenire il Duce avesse a dolersi di cose o persone d'Azione Cattolica, il Papa desidera e prega di essere informato per provvedere immediatamente.

Il Santo Padre ha rinnovato il Suo proposito di mantenere le migliori relazioni con il governo fascista (2).

182.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10026/1300 R. Londra, 9 ottobre 1936, ore 1,28 (per. ore 10,45).

Ho veduto Vansittart e mi sono espresso con lui nel senso del mio telegramma di ieri n. 1295 {1). Vansittart, dopo avermi detto che apprezzava dura franchezza con cui gli parlavo, mi ha manifestato il suo rincrescimento e la sua sorpresa per l'interpretazione data all'iniziativa britannica di trasmettere al Comitato le note del governo di Madrid in parola, mi ha pregato di attirare l'attenzione di V. E. sul contenuto della lettera con cui. governo britannico ha trasmesso tali note. In tale lettera, Vansittart ha continuato, è detto chiaramente che governo britannico non assume responsabilità alcuna in merito denunzie fatte dal governo di Madrid e aggiunge che soltanto «se provate » tali denunzie potrebbero costituire una infrazione dell'accordo non intervento. Vansittart si è dilungato spiegarmi che i motivi i quali avevano indotto governo britannico a prendere iniziativa, erano precisamente di natura opposta a quella che da parte italiana, tedesca e portoghese potevasi sospettare. Intenzione e direttiva del governo britannico è quella di soffocare dentro al Comitato, per quanto è possibile, tutte le polemiche che, se portate in pubblico, potrebbero determinare conseguenze pericolose. Poiché note del governo di Madrid circa pretesa responsabilità tedesca italiane e portoghesi erano ormai di pubblica ragione, governo britannico ha pensato che fosse impossibile per il Comitato di non occuparsene, e ciò anche per dare modo ai governi italiano, tedesco e portoghese di rispondere esaurientemente alle accuse del governo di Madrid e tagliare così subito corto a queste polemiche. Tanto più che, ha continuato Vansittart, era pervenuta notizia al governo britannico che la Russia sovietica intendeva basare sulle denunzie del governo di Madrid una azione scandalistica che le permettesse svincolarsi obblighi riguardo non intervento. Governo britannico vuole invece che il Comitato di non intervento continui a funzionare, rendendo quei prezio;;i servizi che esso ha reso sin dalla sua costituzione. Iniziativa britannica è stata fatta sopratutto per deviare nota manovra russa, la quale infatti si è rivelata chiaramente ieri.

Vansittart ha ammesso che ragioni di politica interna e parlamentare, agitazioni e le proteste dei socialisti al congresso di Edimburgo hanno anche influito sull'iniziativa governo britannico, accusato direttamente dai laburisti di non fare funzionare il Comitato se non come un paravento al servizio governo di Burgos.

Ho replicato a Vansittart punto per punto dicendo che prendevo atto delle sue spiegazioni ma che non le ritenevo tuttavia convincenti. Resta il fatto che il governo britannico ha ritenuto di farsi tramitC:: di denunzie governo di Madrid contro governo germanico italiano e portoghese. Le considerazioni esposte da Vansittart non giustificano se non in minima parte l'antipatia di questo gesto, il quale presumevo sarebbe stato considerato in Italia, a ragione, come gesto non amichevole da parte del governo britannico.

Vansittart ha insistito smentendo nella forma più categorica qualsiasi intenzione da parte britannica di far un gesto meno che amichevole nei riguardi Italia, come della Germania e del Portogallo. Vansittart aggiunto che avrebbe incaricato Drummond di venire a spiegare a V. E., a nome suo e del governo britannico, quanto egli mi aveva testé illustrato, allo scopo di chiarire questo equivoco (1). Nell'occasione Vansittart mi ha ripetuto ancora una volta che il governo britannico intende fare una politica di amicizia e di collaborazione con l'Italia in Europa e nel Mediterraneo sulle stesse basi di quella che era la politica comune prima del conflitto etiopico.

Ho detto a Vansittart che avrei riportato fedelmente le sue parole ma che l'esperienza ci aveva reso giustamente diffidenti e che fino ad ora i fatti sono ben !ungi dal giustificare una attesa fiduciosa per un pronto ristabilimento relazioni di amicizia tra i due Paesi.

(l) -Il documento reca il visto di Mussollnl. (2) -Con T. per corriere 9895/138 R., pBrtito alle ore 9,30, Pignatti aveva comunicato il proprio proposito di Iinitarsi ad ascoltare le opinioni del Pontefice circa la questione dell'Azione Cattolica. (3) -Vedi p. 114, nota l. (l) -Vedi D. 85. (2) -Questo documento reca Il visto di Mussollnl.

(l) Vedi D. 171.

183

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RR. 10032-10033/616-617 R. Parigi, 9 ottobre 1936, ore 13,50 (per. ore 17).

Impressione riportata dalla mia conversazione di ieri con Léger (2) è che se si lasciassero andare le cose per la loro china senza trovare il modo di discorrere, pur senza far alcuna concessione sulla questione di principio, le relazioni itala-francesi potrebbero essere seriamente compromesse per molto tempo. È vero che il recente passato ha dimostrato che si superarono difficoltà assai maggiori ma quelle felici soluzioni furono frutto della vittoria militare. Anche oggi rapida occupazione delle zone del sud-ovest e sopratutto della regione di GOie costituirebbe importante elemento che potrebbe indurre vari Stati, e specialmente Francia, ad assumere nuovi atteggiamenti. Ricordo che Léger medesimo mi disse che studio accurato da lui compiuto degli ultimi documenti di Ginevra gli aveva permesso di constatare che essi erano stati redatti in modo da potersi prestare alla tesi italiana non appena noi avessimo occupato regione di Gore. Notizia della stampa di ieri circa partenza di Ras Imeru da quest'ultima località sarebbe nuovo importante elemento a nostro favore.

Poiché Léger sostiene che bisogna in primo luogo ottenere dalla S.d.N. eliminazione dell'Etiopia dall'elenco degli Stati membri, si potrebbe intrattenerlo del mezzo migliore per raggiungere tale scopo che interessa oggi Francia ed Inghilterra ancora più che l'Italia. Assemblea potrebbe essere di nuovo riunita a breve scadenza, oppure Francia o forse Inghilterra potrebbero giudicare

corrispondente al loro interesse esercitare azione sopra Tafari per indurlo a riconoscere nuovo stato di cose, ponendolo dinanzi alternativa di accettare questa soluzione, che potrebbe eventualmente portargli qualche vantaggio materiale o morale, o essere abbandonato al suo destino dalle due grandi Potenze, che non hanno evidentemente motivi di compromettere: loro rapporti con Italia per far piacere all'ex Sovrano fuggitivo.

Rammento che si può scontare a distanza di un mese o poco più mutamento di governo in Francia, con avvento al potere di un ministero Chautemps Daladier appoggiato dalle sinistre senza i comunisti e di un notevole gruppo del Fronte Nazionale. Ho fondato motivo di credere che Chautemps intenderebbe marcare sin dal primo momento maggiore ir;.dipendenza dall'Inghilterra, fare politica di riavvicinamento all'Italia e tentare altresì approccio alla Germania valendosi eventualmente di noi come intermediari. Riferirò più estes·amente per corriere (l).

In tale stato di cose si potrebbe anche far presente a Léger che il nuovo ambasciatore non potrebbe entrare in funzione prima della seconda metà di novembre, dato che S. M. il Re suol risiedere a San Rosso:·e fin dopo suo compleanno, cosicché non è di assoluta urgenza redazione delle credenziali, mentre che una azione energica nel senso suddetto potrebbe permettere eliminare difficoltà attualmente esistenti.

La Francia ha oggi ogni motivo per desiderare di essere in ottimi termini con l'Italia. Risentimento causato dal nostro rifiuto nel luglio ultimo scorso di partecipare conferenza Locarno (2) è passato e del resto non fu mai condiviso da opinione pubblica che si rese subito conto che noi avevamo ragione. Oggi lo costata anche il governo francese, che vede pure che non ci siamo legati filo doppio con la Germania. Esso realizza che l'Italia fa la politica che ritiene convenire ai propri interessi senza cercare appoggi a destra o a manca, perché sa che sono gli altri Stati che posso~o avere bisogno della nostra amicizia e ugualmente quindi ricercare il suo appoggio.

Non dobbiamo d'altra parte dimenticare che anche l'Italia ha bisogno della buona volontà della Francia per risolvere amichevolmente e con dovuto tatto reciproco, come abbiamo con successo fatto finora, le molte delicate questioni d'ordine pratico interessanti entrambz la nazioni in Africa Orientale.

Léger deplorava ieri meco che noi ci fossimo chiusi in un assoluto mutismo lasciando che Locarno fosse un duetto fra Parigi e Londra, mentre avrebbero tanto guadagnato (3) se vi avesse partecipato anche Roma. Aggiunse che da vari mesi si rompeva il capo per comprendere che cosa l'Italia desiderasse dalla Francia per abbandonare il suo presente atteggiamento di totale passività.

Ho risposto che noi consideriamo i fatti e non le parole cosicché egli non doveva stupirsi se a vittoria militare e azione politica totalmente ottenuta con rapidità sorprendente l'Italia si raccogliesse per qualche tempo a meditare e dividesse vari Stati nelle categorie degli amici, degli avversari e degli indifferenti, le quali ultime due non ayrebbero in ogni modo più potuto contare sul suo appoggio in alcuna occasione.

(l) -L'ambasciatore Drummond effettuava tale passo li 9 ottobre in un colloquio con il sottosegretario Bastianini. Egli tornava a sottolineare che, nel trasmettere al Comitato di Non Intervento la nota sovietica, Lord Plyrnouth non aveva compiuto un gesto di parzialità ma aveva agito nel rispetto delle sue funzioni di presidente. L'ambasciatore aggiungeva di condividere l'impressione che l'Unione Sovietica facesse quanto possibile per creare sospetti e diffidenze fra quelle Potenze che avrebbero dovuto discutere i problemi europei in un'atmosfera di fiducia e dichiarava che la Gran Bretagna non intendeva entrare In quel giuoco, né sostenerlo (appunto Bastianinl del 9 ottobre). (2) -Vedi D. 173. (l) -Vedi D. 200. (2) -Vedi serie ottava, vol. IV. D. 513. (3) -Sic.
184

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10053/351 R. Saint Jean de Luz, 9 ottobre 1936, ore 19,15 (per. ore 22,45).

Accanita, quanto imprevista, resistenza Bilbao attacchi nazionalisti e presenza governo basco nella medesima città hanno chiaro significato che viene sottolineato ancora più dal continuo rifornimento armi e munizioni che Francia e Russia fanno alla città assediata. Nazionalisti baschi, che sono per ora padroni situazione a Bilbao, sono nettamente separatisti. e tendono impedire che zona Bilbao cada in potere dei nazionali per farne invece perno di repubblica indipendente con fisionomia schiettamente basca e lingua basca. Questa repubblichetta costiera, che avrebbe anche carattere battaglieramente democratico, dovrebbe con Catalogna costituire amputazioni separatiste alla nuova Spagna nazionalista rigidamente unitaria. Tale programma conviene anche a Francia (miei telegrammi n. 262 e 26,1) (l) e Russia e per questo sforzi ed aiuti due nazioni si diri[m:o con speciale intensità verso due zone che, secondo illusioni franco-russe, J;otrebbelO salvarsi da controllo politico dei vincitori anche nel caso già prevista occupazione Madrid e attesa nuova organizzazione nazionalista spagnuola.

Questo ambasciato!e di Francia in colloquio con me ammetteva ieri che difensori di Bilbao avevano ricevuto abbondante materiale guerra in questi ultimi giorni di provenienza straniel a, pvr escludendo si trattasse della francese. Non è però da prevedere che resistenza basca abbia troppa fortuna non potendo essa costituire che ostacolo temporaneo, duro e faticoso ma destinato ad essere infranto.

185

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLlCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10040/453 R. Berlino, 9 ottobre 1936, ore 19,22 (per. ore 21,30).

Da buona fonte apprendo che governo francese avrebbe già risposto nota inglese locarniana (2) approvando in massima proposte Eden, ma dichiarando per proprio conto estendere reciprocità all'Italia. Si avrebbe così un patto di assistenza mutua quadrangolare, che per altro opererebbe in tutti i sensi tranne che in quelli anglo-italiani. Risposta francese ha carattere preliminare e confidenziale (3).

(l) -Vedi serie ottava, vel. IV, DD. 772 e 773. (2) -Del lB settembre precedente, vedi p. 90, nota l. (3) -Il 12 ottobre, con T. 10153/458 R., ere 18, Attolico comunicava che la notizia gli era stata confermata anche dall'ambasciatore di Francia. In realtà, la risposta era stata consegnatada Delbos a Eden il 30 settembre, a Ginevra (vedi DDF, vol. III, D. 313).
186

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI

T. R. 4485/99 R. (l) Roma, 9 otiobre 1936, ore 24.

Suo telegramma 167 (2).

Dica a codesto ministro degli Esteri che sto esaminando con favorevole interesse proposto scambio di rappresentanti consolari per l'Etiopia e per il Manciukuò. Importa conoscere se, nelle intenzioni del Giappone, come presumo, il console giapponese in Etiopia verrebbe munito di regolari lettere patenti da intestarsi naturalmente a S. M. il Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia e come dovrebbero essere eventualmente intestate le lettere patenti per il nostro console nel Manciukuò. Lasci ancora intendere che ciò potrebbe preludere, magari a breve scadenza, ad un nostro riconoscimento del Manciukuò in cambio del formale riconoscimento dell'Impero. Comunicazioni in tal senso verranno fatte anche a questo ambasciatore del Giappone (3).

187

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10125/063 R. Bruxelles, 9 ottobre 1936 (per. il 13).

Mio telegramma per corriere n. 060 (4).

Presidente del Senato, che è un leader cattolico, di parte fiamminga, mi ha oggi lungamente intrattenuto sulla posizione del Belgio nei riguardi del nuovo Locarno. In succinto mi ha detto:

l) che Spaak avrebbe chiaramente fatto comprendere, in Ginevra, al ministro degli Esteri francese l'avversione dell'opinione pubblica belga ad ogni patto di sicurezza che potesse coinvolgere il Paese in interventi militari che non fossero esclusivamente destinati alla stretta difesa del territorio nazionale a seguito d'un attacco effettuato direttamente contro le frontiere belghe;

2) che il grosso del Paese reclama ormai nel modo più categorico tale politica giacché, essendo persuaso che il territorio nazionale non forma oggetto di ambiziosi disegni di conquista da parte di nessuna grande Potenza, esso non ammette che il governo possa aderire a combinazioni atte a portare il Paese alla difesa di altrui territori ed al servizio di altrui disegni politici.

Da parte sua, il mio collega di Francia, pur mostrandosi preoccupato per le prevalenti ostili disposizioni contro ogni patto di sicurezza di natura a coinvolgere la responsabilità belga, ha tenuto a dirmi che il presidente del Consiglio

18 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

van Zeeland, nell'ultimo colloquio avuto con lui circa un mese fa, si era dichiarato in favore di un patto del genere del vecchio Locarno. Questa dichiarazione attribuita a van Zeeland non corrisponde ad un'informazione di buona fonte giusta la quale il primo ministro, pochi giorni fa, si sarebbe espresso, sia pure a titolo privato, con persona di sua fiducia, nel senso stesso in cui mi ha oggi parlato il presidente del Senato.

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi D. 165. (3) -Per il seguito si veda Il D. 206. (4) -Vedi D. 138.
188

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

'I'. PER CORRIERE 10129/061 R. Sofia, 9 ottobre 1936 (per. il 13).

A telegramma di V. E. n. 4446/C del 7 corr. O).

Profittando ieri di un casuale incontro col segretario generale del ministero degli Esteri, ho voluto a bella posta riprendere la conversazione segnalata col mio telegramma n. 129 del 30 settembre (2). Da quanto il signor Nicolaev mi ha nuovamente detto sarebbe da escludere che Re Boris abbia potuto dare a Re Edoardo un qualsiasi affidamento circa condizioni che potrebbero facilitare l'entrata della Bulgaria nell'Intesa Balcanica. Secondo Nicoalev, tale eventualità non potrà mai presentarsi, oltre che per tutte le altre difficoltà già note, anche perché in realtà la Romania e la Turchia non la vogliono. E a conferma mi diceva risultargli in modo sicuro che, mentre nel febbraio scorso Titulescu fece fare da Flandin delle pressioni su Re Boris per l'adesione della Bulgaria all'Intesa (vedi mio telegramma per corriere n. 08 del 6 febbraio) (3) più che altro per mettere la Bulgaria in cattiva luce in seguito ad un nuovo rifiuto, allo stesso tempo si lasciò sfuggire che in seno all'Intesa Balcanica la Bulgaria avrebbe avuto la funzione di spia.

Quasi a mo' di paradosso, Nicoalev aggiunse che l'entrata della Bulgaria nell'Intesa Balcanica ne avrebbe segnato la fine, volendo con questo dire che solo con la Jugoslavia vi era una possibilità di intesa, sopratutto se la politica di quest'ultima evolvesse realmente in un senso a noi favorevole come qualche recente manifestazione potrebbe far supporre. A questo proposito voglio segnalare che questo mio collega jugoslavo spontaneamente con visibile compiacimento mi ha parlato dell'eco che le dichiarazioni di Stojadinovic all'indomani della conclusione del nuovo accordo commerciale con l'Italia (4) hanno avuto nella nostra stampa.

(l) -Vedi p. 195, nota 2. (2) -Vedi D. 136. (3) -In serie ottava, vol. III, D. 189. (4) -Accordo per regolare gli scambi commerciali e i pagamenti relativi e Protocollo addizionale al trattato di commercio e di navigazione del 14 luglio 1924, sottoscritti il 26 settembre 1936 (testo in Trattati e convenzioni, vol. L, pp. 301-306). Il presidente Stojadinovlc aveva sottolineato in una lunga dichiarazione l'importanza che l'accordo avrebbe avuto anche per11 futuro del rapporti politici tra l due Paesi e questo aspetto era stato ripreso nei commenti del giornali Italiani.
189

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10161/S. N. R. Berlino, 9 ottobre 1936 (per. il 12).

In una ulteriore conversazione avuta col signor Davignon, ministro del Belgio a Berlino, questi mi ha detto di avere, parlando della questione di Locarno col segretario di Stato Dieckhoff, avanzato il suggerimento che la prima fase delle trattative locarniane potrebbe essere utilmente costituita da «contatti fra giuristi:&. Come V. E. vede, il suggerimento del signor Davignon (che sembra essere riuscito bene accetto anche all'Auswartiges Amt) coincide praticamente con l'idea da me avanzata fin dal primo momento di uno studio preliminare giuridico del vecchio trattato di Locarno, compiuto nell'ir.tento di metterne in evidenza le linee maestre e farne comprendere la differenza, direi quasi la incompatibilità, con quei patti regionali di assistenza mutua cui praticamente tendono la Francia e l'Inghilterra. Mi permetto richiamare in proposito il mio rapporto del 21 agosto u.s. n. 3384/1186 (1).

Dallo stesso ministro Davignon ho saputo che la Francia ha già preliminarmente risposto alla nota inglese locarniana (2), accettando in massima la proposta di Eden, ma completandola con la estensione della. reciprocità francese all'Italia. Il nuovo patto diventerebbe così un patto di assistenza mutua quadrangolare, anzi, per meglio dire, bitriangolare in quanto, secondo la idea originalmente avanzata da Simon per un patto aereo, non giocherebbe agli effetti dell'assistenza reciproca fra l'Italia e l'Inghilterra ma soltanto all'interno di due triangoli (nord e sud) sovrapposti. La risposta francese è però tenuta confidenziale e non è da escludere che non sia definitiva, il governo di Parigi volendo forse, prima di rispondere ufficialmente e definitivamente, raggiungere un completo accordo con quello di Londra.

190

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 9 ottobre 1936.

Ha chiesto di vedermi d'urgenza l'ambasciatore d'Inghilterra per dirmi che ieri, dopo la riunione del Comitato di non intervento, S. E. Grandi si è recato da Vansittart a fargli delle dichiarazioni (3) a proposito delle quali egli è stato incaricato dal Foreign Office di fare una precisazione.

S. E. Grandi ha mostrato di interpretare la presentazione al Comitato della nota sovietica (4) come un gesto di parzialità da parte della Gran Bretagna

(-4) Vedi p. 188, nota l. a. -sostegno dei Sovieti e dei comunisti s 'agnoli contro l'Italia. Drummond tiene a sottolineare che in questa faccenda il presidente del Comitato ha agito come tale e che non poteva agire diversamente. L'U.R.S.S. aveva presentato una nota con delle denunce ed il presidente non poteva non portarla a conoscenza del Comitato. Questo non significa affatto che l'Inghilterra si schiera dalla parte sovietica e non significa nemmeno la decisione di entrare in merito alla denuncia, tanto è vero che la nota è stata portata a conoscenza dei membri dei Comitato per conoscere semplicemente il loro avviso sul seguito da darle.

Ho risposto che, non conoscendo, né il testo delle dichiarazioni di Grandi, né quello della nota sovietica, mi limitavo a fargli considerare come il Comitato di non intervento avesse preso, insediandosi, la saggia deliberazione di non accogliere che denunce precise e documentate. Poiché tale non era la nota sovietica, è chiaro che Grandi e chiunque altro al suo posto aveva il diritto di dare una interpretazione del genere di quella che Vansittart respingeva. Non entravo nel merito della questione, ma la denuncia da parte dell'U.R.S.S. mi pareva sospetta, dato che leggevo in tutti i giornali del mondo come in Russia si continuassero a fare sottoscrizioni e spedizioni di denaro e rifornimenti d'ogni specie ai comunisti spagnoli.

Drummond mi ha detto che condivideva tale mia impressione, ed anche quella di molta stampa internazionale, che l'U.R.S.S. faccia di tutto per creare nuovi sospetti e diffidenze fra quelle Potenze che dovrebbero discutere in una atmosfera di fiducia i problemi della pace europea. La Gran Bretagna non ha l'intenzione di entrare in un tal giuoco. né di sostenerlo. È desiderio del Foreign Office che le questioni del non intervento non escano dal Comitato a tale scopo costituito, ma è chiaro che al Comitato tali questioni non possano venire sottratte quando vengono sollevate. Se l'U.R.S.S. riuscisse con una manovra o un'altra a rendere inefficente il Comitato od a volerlo sabotare, bisogna lasciare ad essa tutte le responsabilità.

Ho risposto che l'Italia ha dato la sua adesione a quell'organo e ad esso apporta il suo contributo, e che il Comitato, se non vuole favorire le mene sovietiche, deve tener presente, sia i suoi scopi, sia il metodo di lavoro che si è fissato.

Per precisare meglio quanto mi aveva esposto verbalmente, Drummond mi ha lasciato l'unito appunto (l).

ALLEGATO.

L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI

APPUNTO.

Signor Grandi has expressed apprehension that it would be thought in Rome that because His Majesty's Government were placing before the Committee the charges about intervention preferred by Soviet and Spanish Governments against Italy and

other Powers, they are showing partiality and ranging themselves on the Russian and Spanish communist sìde as against Italy. Such an interpretation would be wholly injustified. We have no ulterior objects whatever in bringing these communications to the knowledge of the Committee. We bave in fact always held that one of the main purposes of the Committee was to deal in a comparatively private and harmonious atmosphere with charges of breaches of the nonintervention agreement wich otherwise would be ventilated in the press and public discussions and would not fail to lead to acrimonious controversy.

In submitting these charges to the Committee His Majesty's Government are only carrying out their duty under the terms of agreement. The Russian documents were given to the Chairman and cannot be ignored by him. But the British representative in this case in acting solely as Chairman. Clearly His Majesty's Government make no charges whatever themselves and are only seeking the views and advice of the Committee as to the most suitable manner of dealing with the charges now made. Signor Grandi appears to think that the Sovie,t action is an endeavour to break up the agreements, but, if so, this is precisely what His Majesty's Government wish to avoid as they are most anxious to keep the agreement and continued work of the Committee in being.

His Majesty's Government trust that the Ita1ian Government will help them in their object.

Otherwise would they not be playing into the hands of the Soviet Government if the latter's object is what Signor Grandi suspect? Any such action would not only be serious in itself, but it must also make our efforts for the Five Power Conference even more difficult.

(l) -Non pubbUcato. (2) -Vedi D. 185. (3) -Vedi D. 182.

(l) Questo documento reca il visto di Mussolln! e l'annotazione a margine: «Visto da S. E. 11 Ministro >>.

191

IL CAPO DELL'UFFICIO IV DELLA DTREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI, GERBORE, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, MADRID E PARIGI, E AL CONSOLATO GENERALE A BARCELLONA

TELESPR. R. 324552/C. Roma, 9 ottobre 1936.

Per notizia si ha il pregio di trascrivere la seguente informazione pervenuta da Barcellona al R. ministero nell'Interno:

Ultimissime voci autorevoli nel campo catalano:

Anche se le truppe di Franco riuscissero ad imporsi in tutta la penisola iberica, la Catalogna avrebbe senz'altro la sua autonomia e indipendenza assoluta dal resto della Spagna con una forma di governo che potrebbe essere o sovietica o qualcosa di simile. In ogni caso la Catalogna chiederebbe la protezione dell'Inghilterra, protezione che verrebbe senz'altro «entusiasticamente» accordata. L'Inghilterra avrebbe cosl una buona carta da giocare nella partita intern:rurlonale del Mediterraneo. Dal mio punto di vista sono certo che la suddetta notizia è sicura. Molti sintomi di ciò ho potuto osservare io stesso.

I marinai inglesi girano tranquilli ed indisturbati per Barcellona; la corazzata London attraccata in porto, non fa che suonare l'inno catalano e quello inglese. Il comandante fraternlzl?la con Companys. Si ha dunque la certezza ormai, che il gioco inglese è proprio quello di aiutare il separa.tismo catalano. Gli inglesi saranno certamente i primi a riconoscere il nuovo Stato catalano.

192.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, MENZINGER

T. RR. 4483/229 R. Roma, 10 ottobre 1936, ore 1.

Stetani pubblica dichiarazioni Plinio Sandago, capo e fondatore integralismo cui prima idea sarebbe sorta durante sua permanenza in Italia nel 1930, allorché ebbe campo studiare realizzazioni fasciste.

Riferendomi mio telegramma 3772 (1) prego comunicare: 1) quali siano oggi caratteristiche movimento e quali i legami col nazismo (suo rapporto 361 luglio 1935) (2); 2) quale sua attuale forza politica in confronto altri partiti; 3) quale suo seguito nelle masse, nelle classi medie, negli ambienti militari, e quali i rapporti con circoli governativi, quale atteggiamento italiani e italo-brasiliani nei suoi riguardi; 4) quali legami con gli ambienti monarchici e la famiglia Braganza; 5) convenienza o meno appoggiarlo e precisamente con quali mezzi.

Riferisca specificatamente (3).

193.

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. PERSONALE 10047/201 R. Vienna, 10 ottobre 1936, ore 1,10 (per. ore 5,30).

Ho fatto a Cancelliere federale comunicazione indicatami col telegramma

n. 170 (4). Schuschnigg molto grato terrà massimo conto degli altri consigli di V. E. Si sta occupando direttamente della situazione anche presidente della Repubblica che con consenso del Cancelliere federale ha ricevuto stasera Starhemberg. Sta svolgendosi nuova riunione del Consiglio dei ministri dopo il quale riferirò (5).

194

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE U.U. 4492/535 R. Roma, 10 ottobre 1936, ore 13.

L'agenzia Havas riceve dal Cairo:

«Si attende quanto prima l'arrivo di due battaglioni inglesi con un effettivo totale di tremila uomini uno proveniente dall'Inghilterra e l'altro dalle Indie.

Questi due battaglioni andrebbero a Marsa Matruh. L'intendenza britannica sl occupa attivamente del riattamento dei baraccamenti la cui cessione alle autorità egiziane al principio di settembre aveva coinciso con la partenza dell'ultimo contingente. Le autorità competenti non danno alcuna spiegazione di questo brusco cambiamento».

Recati immediatamente al Foreign Office per conoscere attendibilità notizia, aggiungendo che se risultasse vera provocherà immediate contromisure da parte nostra (1).

(l) -Vedi serle ottava, vol. IV, D. 741. (2) -Non pubblicato. (3) -Per la risposta vedi D. 202. (4) -Vedi D. 175. (5) -Salata telefonava nella mattinata del 10 ottobre che il Consiglio dei ministri austriaco aveva approvato lo scioglimento di tutte le associazioni m1Utarl e la loro concentrazione nella m111zla unica statale (appunto De Peppo del 10 ottobre, ore 10). Con T. r. 10067/202 R. del 10 ottobre, ore 12,40, Salata riferiva poi che 11 Cancelllere Schuschnlgg, In partenza perBudapest, lo aveva incaricato di ringraziare Mussolini il cui interessamento aveva avuto un'Influenza decisiva nella soluzione della crisi, da considerarsi definitivamente superata dopo le ultime decisioni prese.
195

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PERSONALE 4493/503 R. (2). Roma, 10 ottobre 1936, ore 13.

Governo è pronto a discutere e a definire in maniera amichevole i problemi franco-italiani concernenti eventuali interessi economici francesi, ma non intende rinunciare al riconoscimento, specie dopo quanto è accaduto a Ginevra (3). È tempo -dico -è gran tempo che la Francia dimostri con un solo «fatto » che la sua amicizia non si limita soltanto a inutili e irritanti verbosità.

196

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 10090/191 R. Mosca, 10 ottobre 1936, ore 18,27 (per. ore 20,20).

Nelle conversazioni avute ieri, dopo presentazione mie credenziali, successivamente con presidente in carica del Comitato centrale esecutivo della Unione Sovietica, con commissario aggiunto signor Krestinski e con direttore degli Affari occidentali del Narkomindiel, miei interlocutori hanno tutti insistito con molta enfasi sullo stesso tema: «necessità della collaborazione italiana pel mantenimento della pace». Nessuno di essi essendo uscito dalle generalità e non avendo portato in discussione alcun problema specifico, non ho avuto difficoltà a dichiararmi d'accordo affermando che politica del governo fascista è ispirata appunto verso tale finalità.

Il 13 ottobre, Grandi riferiva di avere parlato in proposito con Eden, il quale aveva dichiarato d! Ignorare la questione ma che, pur riservandosi d! chiedere più precise informazioni al War Offlce, riteneva di poter escludere nnvlo di forze britanniche alla frontiera libicoegiziana (T. 10194 b!s/1315 R. del 13 ottobre, ore 21,20).

(l) Contemporaneamente, Mussolini telegrafava al governatore della Libia, Balbo, di Informarsi immediatamente circa l'Imminente arrivo di forze britanniche a Marsa Matruh (T. 4491/182 R., ore 12). Il T. è autografo di Mussolini.

(2) -Minuta autografa. (3) -Si riferisce all'ammissione della delegazione etiopica ai lavori della Società delle Nazioni (vedi p. 107. nota 1).
215

È evidente che, in assenza di Litvino\·, commissariato del popolo Affari Esteri si mantiene molto riservato. Negli stessi colloqui protocollari di questi giorni mi è parso tuttavia di notare un certo qual sforzo da parte dei soviet di non mettere in evidenza contrasto fra le direttive politiche dei nostri due Paesi ed ho tratto impressione che si vogliano buone relazioni.

197

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10096/1306 R. Londra, 10 ottobre 1936, ore 20,15 (per. ore 3 dell'11).

Seduta di ieri (l) è durata 7 ore e discussione ha avuto dal principio alla fine un tono assai vivo.

l) Denunzia spagnola contro Germania, Italia e Portogallo (2). Delegato inglese ha fatto di tutto per atteggiarsi a Ponzio Pilato e, dopo avere ripetuto che governo britannico non aveva esaminato a fondo le denunzie del governo Madrid, ha ammesso che gran parte di tali denunzie riferiscono fatti anteriori 28 agosto. Per quanto si riferisce fatti che sarebbero avvenuti dopo il 28 agosto, questi, qualora provati, potrebbero costituire una infrazione_ Ho immediatamente contrattaccato inchiodando governo britannico alle sue responsabilità di membro presentatore delle denunzie, ho respinto punto per punto fatti addebitati all'Italia e pur riservando risposta ufficiale del governo fascista ho dimostrato infondatezza della denunzia inglese. Ho quindi specificatamente controdenunziato al Comitato le infrazioni commesse dall'Inghilterra.

Delegato tedesco si è difeso molto debolmente, anzi si può dire che non è intervenuto affatto, e ha assolutamente evitato di polemizzare con inglesi.

Delegato inglese non ha potuto nascondere suo imbarazzo di fronte nostra controffensiva e senza contestare nostre controdenunzie si è limitato ad una breve anodina risposta.

Nessun altro ha preso parola e, secondo procedura stabilita, nota britannica sarà inviata dal presidente del Comitato ai tre governi per le loro osservazioni e risposte.

2) Denunzia sovietica contro il Portogallo (3) e richiesta sovietica dell'invio di una Commissione d'inchiesta alla frontiera ispano-portoghese.

Delegato portoghese ha dichiarato che suo governo era pronto, secondo procedura stabilita, a rispondere alle denunzie ma che respingeva qualunque proposta di una commissione d'inchiesta e che su questo punto non intendeva neppure partecipare discussioni.

Ho sostenuto, in assenza delegato portoghese, inammissibilità della richiesta sovietica. Delegato inglese ha espresso analogo punto di vista. Nessun'altro f! intervenuto nella discussione e richiesta è stata respinta.

3) Nota del governo sovietico (1).

Come V.E. avrà rilevato da queste mie dichiarazioni, ho reagito violentemente contrattaccando, controdenunzlando governo sovietico e bollando sua manovra provocatoria, demagogica e impudente.

Posso dire a V. E. che seduta ha assunto a questo punto tono effettivamente drammatico. Mie controdenunzie specifiche di infrazioni da parte sovietica hanno fatto una reale sensazione nel Comitato e non minore sensazione ha provocato mio attacco comunismo russo, il quale, nella imminenza di una clamorosa sconfitta in Spagna, cerca con uno sforzo inane di intorbidire le acque e seminare disordine e discordia in Europa. Presidente del Comitato ha cercato inutilmente di calmare discussione. Delegato russo ha fatto una replica meschina e non ha potuto contestare controdenunzie. Delegato tedesco si è limitato associarsi brevemente e genericamente alle mie parole, senza tuttavia sporgere alcuna controdenunzia.

Messo alle strette dal presidente del Comitato, delegato russo rispose che non era in grado presentare proposte concrete a conclusione della nota pubblicata dal governo di Mosca.

Comitato ha stabilito che nessun seguito deve essere dato alla nota sovietica e che procedura fissata dal comitato nelle precedenti sedute riunione sia rispettata (2).

(l) -Il resoconto stenografico della seduta è in BD, vol. XVII, D. 278. (2) -Vedi p. 187, nota l. (3) -Vedi p. 187, nota 3.
198

L'AMBASCIATOHE L. PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. U.U. 10091/620 R. Parigi, 10 ottobre 1936, ore 21,30 (per. ore 1 dell'11).

Telegrammi di V. E. n. 503 (3). Mi sono opportunamente espresso con Léger giusta direttive impartitemi da

S. E. capo del governo dicendogli che esse confermavano le opinioni personali che gli avevo fatte presenti due giorni fa (4) e provavano che quanto era accaduto a Ginevra (5) aveva grandemente influito sulla decisione presa. Ho aggiunto che nella situazione esistente, anzi, appunto perché essa si era creata, sarebbe stato opportuno che la Francia non rifiutasse di considerare quale sarebbe stato il mezzo migliore per uscirne al più presto.

Léger mi ha risposto che quanto gli aveva comunicato confermava un recente telegramma di Chambrun (1). Non gli rimaneva quindi altro che rendere edotto presidente del Consiglio Blum e ministro Delbos della decisione unilaterale del governo italiano che con la migliore delle volontà non poteva apparire amichevole verso la Francia, in primo luogo perché era stata seguita una procedura diversa nei riguardi dell'ambasciatore degli Stati Uniti, il quale non aveva sino ad oggi ancora presentato le proprie credenziali, secondo perché essa riguardava ambasciatore di Francia al quale pochi giorni prima era stato accordato il gradimento.

Ho ribattuto che la questione concernente ambasciatore degli Stati Uniti era stata risolta in giugno, cioè prima riunione della Assemblea della S.d.N. al che Léger osservò che il gradimento a Saint Quentin era stato concesso posteriormente e senza che fosse stata 'nenzionata condizione comunicata solo parecchi giorni più tardi.

Léger mi disse che era desolato di quanto arcadeva perché egli vi scorgeva nuova prova della incomprensione italiana per gli sforzi amichevoli costantemente compiuti dalla Francia. Quando l'Italia fu riammessa a Tangeri ancorché vi avesse esplicitamente rinunziato (2), governo italiano non vide nel gesto francese una prova di grande amicizia ma semplicemente che gli veniva concesso ciò che gli spettava. Durante tutta la campagna etiopica il governo italiano aveva misconosciuto gli sforzi immensi compiuti da tre successivi governi francesi per escogitare dei compromessi che permettessero loro di restare fedeli all'amicizia itala-francese senza rinunziare all'ideologia societaria che è la base della sicurezza della Francia dalla guerra in poi.

Ho ribattuto energicamente che io stesso avevo sostenuto questa tesi col mio governo fino al 7 marzo ma dopo d'allora atteggiamenti dei governi Sarraut-Flandin e Blum-Delbos mi erano riusciti assolutamente inconcepibili, cosicché mi stupivo che egli si esprimesse meco come aveva fatto testé, in quanto ciò contraddiceva il linguaggio da lui stesso tenutomi in marzo.

Léger, dichiarando preferibile non ritornare sul passato, mi disse che, ad ogni modo, ogni governo italiano vorrebbe che Francia si prestasse mediante il sotterfugio della formula richiesta ad abdicare fedeltà societaria su cui basava tutta la sua politica. Non era più il caso di parlare di questo argomento. Chambrun avrebbe ricevuto istruzioni di presentare le proprie lettere di richiamo e di rientrare in Francia.

Avendo profittato della mia visita per parlare a Léger di talune questioni urgenti, ma di minor conto, egli ricevette mie comunicazioni promettendo di

occuparsene. Alla mia domanda se poteya dirmi qualche cosa circa oggetto delle conversazioni di ieri tra Blum ed Eden (l) si limitò a rispondermi che erano stati trattati tutti i problemi interessanti i due Paesi.

(l) -Vedi p. 188, nota l. (2) -A seguito dell'andamento della seduta del Comitato di Non Intervento, Mussolini telegrafava a Grandi: «Hai eseguito perfettamente gli ordini che ti ho dato telefonicamente al mattino. Considero quella di venerdì, e grazie alla tua azione, una grande giornata della diplomazia fascista. I frantumi dei vetri sono andati molto lontano e anche in loco. Ti rinnovo il mio compiacimento». (T. 4506/539 R. dell'll ottobre, ore 24). Il telegramma è autografo di MussoUni. (3) -Vedi D. 195. (4) -Vedi D. 173. (5) -Si riferiva all'ammissione della delegazione etiopica ai lavori della Società delle Nazioni, il 23 settembre precedente (vedi p. 107, nota 2). (l) -L'ambasciatore de Chambrun aveva telegrafato che, nel corso di un colloquio avvenuto 11 giorno 8, Ciano gli aveva espresso «nel modo più netto» la decisione Irrevocabile del governo Italiano, fissata dallo stesso Mussolinl, di accettare solo un ambasciatore che avesse presentato le lettere credenziali al Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia: si sarebbe preferito,altrimenti, che la Francia fosse rappresentata a Roma, anche per lungo tempo, da un incaricato d'affari. n telegramma è In DDF, vol. III, D. 329; del colloquio non è stata trovata documentazione ne!!'ll archivi Italiani. (2) -Allusione alla vicenda iniziatasi cou il rifiuto dell'Italia di aderire alla convenzione anglo-franco-spagnola per Tangeri del 18 dicembre 1923 e conclusasi con Il protocollo di Parigi del 25 luglio 1928 che reinseriva l'Italia nell'amministrazione della zona internazionale.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 7003/2399. Parigi, 10 ottobre 1936 (per. il 14).

Questo R. addetto navale mi ha rimesso l'appunto che mi onoro trasmettere qui unito in copia a V. E.

Come l'E. V. vedrà, secondo le informazioni fornite al comandante Ferreri da fonte fiduciaria, il ministro della Guerra, il ministro degli Esteri e il ministro di Stato Chautemps, in base a giudizi tecnici sfavorevoli sul valore dell'esercito sovietico, avrebbero ottenuto da Blum che il governo francese rinunzi alla conclusione di un accordo militare tra Francia e U.R.S.S. provocando il malcontento di quest'ultima.

La fonte fiduciaria che ha fornito le notizie di cui si tratta è, di solito, bene informata. Le notizie anzidette sembrano confermate da un articolo di Gaetan Sanvoisin, apparso nel Figaro di stamane, parimenti qui allegato (2).

ALLEGATO. L'ADDETTO NAVALE A PARIGI, FERRERI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

APPUNTO. Parigi, 10 ottobre 1936.

Da fonte generalmente bene informata, ma non controllata, ho avuto notizia sulle manovre russe che hanno avuto luogo recentemente sulla frontiera polacca nella regione di Kiev.

Le unità che hanno preso parte alle manovre alle quali hanno assistito i rappresentanti militari dell'Inghilterra, della Francia e della Cecoslovacchia, erano state partlicolarmente scelte ed avevano già eseguito, almeno altre tre volte, le stesse esercitazioni alle quali hanno assistito gli addetti militari. Ciononostante l'impressione avuta dai francesi è stata pessima e lo Stato Maggiore della guerra francese ha definito la potenza militare russa « un bluff ».

Il rapporto su queste manovre inviato a Daladier, è stato anche esaminato da Chautemps e da Delbos che, dopo aver consultato al riguardo gli esponenti del partito radicale, hanno pregato Blum di non firmare alcun trattato militare con l'U.R.S.S.

Blum, nel breve soggiorno fatto ultimamente a Ginevra, ha comunicato a Litvinov le difficoltà che avrebbe incontrato in questo periodo la firma di un trattato militare franco-russo ed ha cercato di dilazionare le trattative.

Litvinov sembra sia rimasto molto seccato dalle tergiversazioni francesi, ha cercato insistere ed infine ha dato disposizioni per intensificare la propaganda comunista in Francia onde far pressione sul governo del Fronte Popolare (meetings in AlsaziaLorena (1), azione contro i partiti d'ordine, ecc.) ed ha fatto formulare la nota protesta contro gli aiuti dati dal Portogallo, Italia, Germania, agli 1nsortli. spagnuoli (2).

Nella stampa francese di destra di questa mattina, cominciano ad apparire degli accenni a che la manovra russa sia un ricatto per riuscire ad ottenere un'alleanza militare con la Francia.

Gli ufficiali del 2ème Bureau della Guerra hanno detto che la Francia oggi è ancora libera da ogni alleanza militare con la Russia, mentre la Cecoslovacchia è completamente legata.

(l) -Eden, su la via del ritorno da una vacanza nel sud della Francia, si era fermato a Parigi dove, il giorno 9, aveva avuto un colloquio con Delbos, alla presenza dell'ambasciatore britannico, Sir George Clerk (vedi BD, vol. XVII, DD. 279, 280, 281 e 282). (2) -Non pubblicato.
200

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. s. 7006/2401. Parigi, 10 ottobre 1936 (per. il 12).

Mi riferisco al mio telegramma in data del 9 corrente n. 616 (3).

Qualche mese fa informai codesto ministero che persona di mia fiducia ed intima del signor Lavai era venuta a mettermi confidenzialmente al corrente delle trattative intercorse fra questo ultimo ed n signor Chautemps, trattative che miravano, quando fosse stato abbattuto n ministero Blum, a costituirne un altro con prevalenza radical-socialista che potesse contare sull'appoggio di un gruppo forte di deputati nazionali, in modo da sostituire il gruppo dei comunisti che sarebbe passato all'opposizione. Mi fu allora lasciato intendere che questo nuovo Gabinetto alla cui testa avrebbero potuto porsi Daladier o Chautemps sarebbe probabilmente stato di transizione per lasciare dopo qualche mese il posto ad un « grande ministero » che potesse contare sopra maggiori appoggi dei partiti nazionali, ministero di cui avrebbe fatto parte nuovamente il signor Lavai.

Quest'ultimo, ogni volta che ebbi occasione di incontrarlo, pur mantenendosi meco riservato, si espresse sempre come un uomo politico che ritiene di dovere ritornare presto o tardi al potere. L'ultima volta che lo vidi, due settimane or sono, mi parlò molto favorevolmente di Chautemps e si espresse viceversa in termini violenti contro Herriot, mostrando di temere che i soviet riescano, mediante i forti mezzi di cui dispongono, a costituire in Francia un Gabinetto presieduto da questo loro amico.

Vi fu nel frattempo il dibattito al parlamento francese circa la svalutazione del franco ( 4). Lo stesso giorno in cui si delineò la forte levata di scudi

del senato, contro il signor Blllln ecl in cui i1 signor Chantemps fece ogni sforzo per aiutare il presidente del Consiglio ad l'Scire sano e salvo òal dibattito, il mio uomo di fiducia tornò a vedermi per recarmi un messaggio di Chautemps. Questi desiderava che io sapessi che era impegnato a fondo per salvare la vita al Gabinetto di cui fa parte come ministro di Stato perché riteneva che il momento non fosse propizio per una crisi ministeriale. Occorreva lasciare che il Gabinetto Blum si trovasse di fronte a nuove difficoltà di ordine interno, che il Paese mostrasse col proprio atteggiamento di non essere disposto a tollerare oltre un governo debole. l',ra quattro, sei o al massimo otto settimane sarebbe venuto il momento per provocare la crisi. Chautemps riteneva di non dovere affrontare soverchie difficoltà per formare un Gabinetto che avrebbe avuto una tinta fortemente di sinistra, con preponderanza assoluta dei radical-socialisti. Avrebbe buttato a mare i comunisti (80 ufficiali e 8 dissidenti) e per avere la maggioranza contava di poter avere l'appoggio di un centinaio di nazionali presi fra i vari gruppi e disposti ad appoggiare un ministero liberale purché esso desse garanzie di sapere mantenere l'ordine pubblico e la libertà di lavoro.

Chautemps desiderava che io sapessi pure che era sua intenzione di marcare subito un certo distacco dall'Inghilterra che si è mostrata eccessivamente egoista e, per paura del trionfo dei laburisti, ha accordato soverchio appoggio a Blum. Egli contava riavvicinarsi decisamente all'Italia e non omettere alcuno sforzo per migliorare le relazioni della Francia con la Germania. Una sincera amicizia con l'Italia doveva essere la premessa indispensabile di un approccio verso la Germania, tanto più che l'Italia potrebbe in determinate circostanze rendere utili servizi a Parigi e Berlino agendo come intermediario.

Ho ascoltato con interesse quanto mi veniva comunicato ed ho soltanto chiesto se perdurassero le buone relazioni tra Chautemps e Lavai. Mi fu risposto che queste sono intimissime, come pure si erano andati stringendo assai i vincoli fra questi due uomini politici e Daladier, tutti e tre avendo di mira di porre argine all'influenza che i comunisti ese1citano sull'attuale Governo. Appresi pure in questa occasione che un gruppo dietro il quale sta Lavai, che ne è il finanziatore, trattava per l'acquisto delle due importanti riviste politiche Lu e Vu. La cosa fu effettivamente fatta nei giorni scorsi. Lu e Vu muteranno indirizzo, diventando organi di ordine e sopratutto fautori di una stretta amicizia coll'Italia. Ho ricordato al mio informatore che Vu era stato velenosissimo nei nostri riguardi durante il conflitto in Africa Orientale, ottenendo la risposta che ciò gli era costato caro perché il numero dei suoi lettori era sceso da 80.000 a 60.000. Si era certi di poter ora contare sopra un rapido incremento della tiratura di questa ed anche dell'altra rivista. Alla direzione di entrambe è stato posto il signor Mallet, redattore capo del Petit Journal e nostro sincero amico, il quale è in predicato di assumere il posto di capo dell'ufficio stampa della Presidenza del Consiglio qualora andasse al potere 11 signor Chautemps,

Riferirò ulteriormente a V. E. quanto mi risultasse al riguardo (1).

(l) -Per la domenica 11 ottobre, il partito comunista francese aveva organizzato 127 comizi nei dipartimenti della Mosella, dell'Alto Reno e del Basso Rer.o, poi ridotti a dieci per le pressioni del governo. (2) -Vedi p. 188, nota L (3) -Vedi D. 183. (4) -Vedi p. 129, nota 2.

(l) Il documento ha il visto di Mussollnl.

201

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, SALATA

T. PERSONALE 4507/172 R. (1). Roma, 11 ottobre 1936, ore 21.

Esprima al Cancelliere mia viva soddisfazione per risoluzione crisi interna (2), risoluzione che avrà una importanza fondamentale per l'indipendenza e l'avvenire dell'Austria. Oggi in Austria c'è finalmente un solo governo, un solo partito, una sola milizia. Schuschnigg può quindi governare e consolidare in ogni campo lo Stato (3).

202

L'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, MENZINGER, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10155/431 R. Rio de Janeiro, 12 ottobre 1936, ore 13,47 (per. ore 20,30).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 229 in data del 9 corrente (4).

Mentre invio rapporto con prossimo corriere, ritengo opportuno rappresentare subito a V. E. convenienza di appoggiare integralismo per seguenti due ragioni:

1. -per sua stessa essenza fascista antisovversiva e che quindi rientra nel quadro dell'azione prescritta da V. E. con telegramma n. 3772 (5), azione che qui trova terreno favorevole per ragioni di cui al mio telegramma n. 398 del 20 agosto (6); 2. -perché si potrebbe cosi neutralizzare azione tedesca ed evitare che integralismo sia definitivamente infeudato nell'hitlerismo germanico. È infatti da considerare il pericolo che potrebbe costituire per tutta la nostra situazione in Brasile l'avvento al potere di un'integralismo hitleriano. In proposito mi riferisco al mio rapporto n. 2154-691 (7), e seguenti circa movimento integralista e influenza tedesca in Brasile in tutti i campi.

I mezzi con i quali si dovrebbe appoggiare l'integralismo dovrebbero essere gli stessi se non più grandi di quelli adoperati dai tedeschi e cioè: sovvenzionare propaganda, contatti con Plinio e suoi seguaci. Per questi mezzi dovrebbero essere utilizzate poche persone, da scegliere anche preferibilmente sul luogo,

le quali dovrebbero agìre sotto unica direzione coordinatrice e naturalmente riservata, discreta, cauta. Aggiungo che lotta contro sovversivismo si mantiene in Brasile sempre più viva, sicché nostro appoggio integralismo, oltre salvaguardare in definitiva nostra situazione in Brasile, potrebbe anche favorire eventuale formazione fronte unico antisovversivo.

(l) -Minuta autografa. (2) -n 10 ottobre, il Consiglio dei ministri austriaco aveva deliberato lo scioglimento d! tutte le formazioni paramilitar! ed il passaggio dei loro Iscritti alla M!Uzia Unica del Fronte Patriottico. (3) -Contemporaneamente, Mussol!ni Inviava a Salata il seguente telegramma: «Avendone l'occasione esprima a Starhemberg mio compiacimento per suo atteggiamento d! discipllna e d! patriottismo che ha facilitato la soluzione della crisi politica interna » (T. 4505/171 R. dell'H ottobre, ore 24, autografo di Mussolini). Per la risposta di Salata vedi !l D. 246. (4) -Vedi D. 192. (5) -Vedi serle ottava. vol. IV. D. 741. (6) -T. 8241/398 R. Menzinger riferiva che l'opinione pubblica brasiliana era già notevolmente sens!bllizzata circa il pericolo comunista dq1J'energ!ca politica repre~siva del governo. (7) -Non rinvenuto.
203

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10154/460 R. Berlino, 12 ottobre 1936, ore 22,20 (per. ore 1,15 del 13).

Ho visto von Neurath lungamente stasera.

Tutto bene per quanto riguarda la visita di V. E. Gli uffici competenti già hanno ricevuto istruzioni di preparare schemi comunicato e protocollo che mi saranno a suo tempo comunicati per gli opportuni accordi (1).

Von Neurath mi ha però aggiunto che -come ha telegrafato a von Hassell oggi stesso -egli non ritiene di poter ritardare oltre la sua risposta all'Inghilterra re della Conferenza locarniana ( 2).

Sembra ormai sicuro che la Francia abbia già risposto per conto suo (miei telegrammi nn. 453 e 458) (3) ed oggi stesso l'ambasciatore Phipps ha chiesto di vedere von Neurath, probabilmente proprio per consegnargli copia della risposta francese (4). In previsione di questo e non volendo essere prevenuto, von Neurath ha fatto sapere a Phipps di non poterlo ricevere prima di dopodomani e ciò per metterlo di fronte ad una risposta tedesca (5) già pronta e definitiva la quale, mentre da una parte, per il suo carattere negativo, per quanto generico, su ogni punto, servirà praticamente a rimettere in discussione tutto quanto e fare guadagnare tempo, dall'altra parte non obbligherà Neurath ad entrare in tutti quei dettagli e in tutte quelle questioni nuove cui, dopo la conoscenza della risposta francese, senza suo svantaggto tattico, non potrebbe più sottrarsi.

Lo stesso 12 ottobre, l'ambasciatore von Hassell aveva due colloqui con Ciano al quale consegnava un promemoria circa la collaborazione economica dei due Paesi nell'area danubiana. Ciano dichiarava che la questione, una volta esaminata dagli uffici competenti, poteva essere discussa durante la sua visita a Berlino per arrivare ad un accordo che fissasse l principi su cui basare tale collaborazione. Von Hassell, inoltre, aveva cura di sottolineare, in connessione con il riconoscimento dell'Impero, l'importanza che dal suo governo veniva assegnata alla protezione degli interessi economici tedeschi in Etiopia. Di questi colloqui non sl è trovata traccia negli archivi italiani ma si veda quanto riferiva l'ambasciatore von Hasse!l ibid, DD. 583 e 593. Circa il contenuto del promemoria tedesco sulla collaborazione nell'area danubiana si vedano le istruzioni inviate in proposito a von Hassel! (ibld, D. 523).

Von Neurath mi ha romnnqne nuovamente assicurato che la risposta

la quale ci sarà opportunamente e preventivamente comunicata -sarà pienamente conforme agli accordi di massima già intervenuti fra noi e preciserà i punti seguenti: l) opposizione a ogni dipendenza del nuovo Patto dalla Società delle Nazioni (nonché dall'articolo 16); 2) le più ampie riserve tedesche in materia di possibili estensioni del Patto; 3) riaffermazione del carattere bilaterale del Patto, con garanzia dell'Inghilterra e dell'Italia.

Come ho detto, quanto sopra formerà oggetto di comunicazione a V. E. da parte di von Hassell (l).

(l) Secondo il promemoria redatto da von Neurath, nel corso di questo colloquio erano definitivamente fissati l cinque punti da inserire nel protocollo che doveva essere sottoscritto durante la visita di Ciano a Berlino: linea comune nei confronti della conferenza locarniana. riconoscimento dell'Impero, atteggiamento verso la Società delle Nazioni, appoggio dell'Italia alle rlvendicazloni tedésche in materia coloniale, cooperazione economica nel bacino danubiano (vedi DDT, serie C, vol. V, t. 2, D. 588).

(2) -Vedi p. 90, nota l. (3) -Vedi D. 185 e p. 208, nota 3. (4) -La nota francese, datata 30 settembre (testo in DDF, vol. III, D. 313, allegato), !u !n realtà presentata alla Wilhelmstrasse il 15 ottobre (vedi DDT, serie C, vol. V, t. 2, D. 607). (5) -La risposta del governo tedesco al memorandum britannico fu presentata al ForelgnOfflce il 14 ottobre. Per il testo si veda ibid, D. 596 allegato.
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IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10210/ S. N. R . Budapest, 12 ottobre 1936, (per. il14).

Conformemente al preannunzio datone personalmente dal reggente del Regno all'E. V. (mio telegramma n. 110 del 10 corrente) (2), il governo Darànyi si è ufficialmente costituito come segue: Presidenza e Agricoltura: Colomanno de Darànyi, deputato Unità Nazionale; Interni: Nicola Kozma de Leveld, deputato Unità Nazionale; Esteri: Colomanno Kànya de Kania, senatore Unità Nazionale; Finanze: Tihamer Fàbinyi, deputato Unità Nazionale; Industria e Commercio: Géza Bornemisza, deputato Unità Nazionale; Istruzione e Culti: Valentino Homan, deputato Unità Nazionale; Difesa Nazionale: Guglielmo Roder, generale di Corpo d'armata a riposo; Giustizia: Andrea Lazàr, deputato Unità Nazionale; e presterà stasera giuramento nelle mani del capo dello Stato.

Dal punto di vista personale, il nuovo Gabinetto si differenzia dall'ultimo Gabinetto Goemboes soltanto per l'assenza del signor Stefano de Winckler -il cui ministero, quello del Commercio, è tornato a fondersi con il ministero dell'Industria del quale è rimasto titolare il signor Géza Bornemisza -e per la sostituzione nel dicastero della Difesa Nazionale del generale Roder, già capo di Stato Maggiore, al generale Somkuthy, pure ex capo di Stato Maggiore.

Dal punto di vista politico invece -~-checchè vadano ripetendo personalità responsabili e stampa ufficiosa--il mutamento appare d'importanza notevole ed il prevedibile indirizzo del nuovo governo corrispondente a quanto segnalato da questa R. Legazione flno dal 5 settembre (telecorriere n. 031) (3): Gabinetto di tendenza conciliatrice, a sfondo nazionale e conservatore, un po' meno statico nel campo della politica interna di quello di Giulio Kàrolyi, un po' meno dinamico nel campo della politica estem di quello Geomboes; un Gabinetto -forse di transizione, destinato -probabilmente -a portare in porto senza scosse il carico delle riforme costituzionali (riforma elettorale, estensione poteri Reggente, riforma Camera Alta) e, in un secondo tempo, alla Camera dei deputati,

una maggioranza nuova, scelta quasi esclusivamente -beninteso -nella vecchia oligarchia.

Contribuisce a conferire tale aspetto al nuovo governo la personalità del suo capo, discendente da una famiglia di proprietari terrieri, nella quale la politica «moderata » è tradizione; funzionario e deputato chiamato a suo tempo da Bethlen a ricoprire il posto di fiducia di sottosegretario politico alla Presidenza, posto conservatogli quindi -per le sue qualità di preparazione e di rettitudine anche dal defunto gen. Goemboes, che lo aveva poi voluto, nel suo secondo Gabinetto, titolare del dicastero dell'Agricoltura di cui il. padre Darànyi era stato sottosegretario e lo zio precedentemente ministro; ben visto dall'alta aristocrazia terriera, prevalentemente cattolica, sebbene egli sia calvinista, come equilibrato e cauto e -sopratutto ·--finora non esposto e tanto meno «consumato » nelle lotte di parte.

Vi contribuisce ancora più --secondo mi viene riferito -la volontà del Reggente il quale -sebbene sempre soggetto alle mutevoli influenze dell'ambiente ed oggi in particolare a quelle del capo del suo Gabinetto militare, gen. Keresztes-Fischer -ha confermato di essere, oltre che elemento decisivo, il solo elemento permanente della politica interna ungherese.

Circa quanto più importa, e cioè i prevedibili riflessi della nuova situazione interna sulla politica estera dell'Ungheria, riservo il mio definitivo giudizio a quando l'« uomo nuovo» Darànyi e il suo governo avranno avuto modo di precisare, in pubblico ed in privato, le loro intenzioni concrete. Ritengo tuttavia poter fin da ora avanzare la supposizione che il diminuito dinamismo, che pare debbasi scontare in tale politica, si manifesterà almeno altrettanto intensamente nei riguardi di Berlino quanto in quelli di Roma: ché, se con la persona del compianto generale Goemboes è sparito un amico sincero e devoto del Duce, è sparito anche un ammiratore convinto e non sempre obbiettivo ed equilibrato della forza germanica e, in conseguenza della sua scomparsa, sono per il momento passati in secondo piano quei suoi amici personali costituenti la cosiddetta ala radicale del partito (Antal, Marton, Stranyavsky) i quali erano e sono -come più volte in questi quattro anni la R. Legazione ha avuto l'onore di segnalare a v. E. -· filonazisti prima che filo-fascisti. In altri termini, la fase di tendenziale raccoglimento, che sembra annunziarsi nella politica estera dell'Ungheria, se renderebbe forse un poco lenti e laboriosi gli eventuali più profondi sviluppi che l'E. V. intendesse dare alla cooperazione tra Roma e Budapest, dovrebbe ridurre pure alquanto, per converso, la possibilità di sorprese nella situazione che pare delinearsi nel prossimo futuro europeo. È probabile tutto ciò sia già stato intuito da parte germanica, donde prevedo una intensificata pressione su Budapest, pressione di cui i recenti colloqui qui avuti dal barone von Neurath (2) e quelli recentissimi del generale Goering (2) non rappresentano,

verosimilmente, che l'inizio.

11354/1257 del 13 ottobre).

1~ --Documenti dtplomatici -Serle VIII -Voi V

(l) -La decisione del governo tedesco di rispondere al memorandum britannico fu comunicata da von Hassell a Ciano 11 14 ottobre. Del colloquio non c'è documentazione negliarchivi Italiani ma si veda in proposito il resoconto dell'ambasciatore tedesco -dal qualerisulta che Ciano non nascose Il suo disappunto per il fatto che la risposta era stata Inviata prima che avesse avuto luogo Il suo viaggio In Germania -ibid., D. 602. (2) -T. 10081/110 R. del 10 ottobre, ore 9,15, non pubblicato. (3) -T. per corriere 8842/031 R. del 5 settemhre, il cui contenuto è qui riportato. (l) -Vedi D. 107. (2) -In occasione dei funerali di Gombiis -avvenuti Il 10 ottobre -ai quali aveva partecipato come rappresentante del governo tedesco, Gi:iring aveva avuto un colloquio con Ciano. Si veda in proposito Il promemoria del ministro di Germania a Budapest, von Mackensen, in DDT serie c, vol. V, t. 2, D. 600, allegato. Il ministro Colonna riferiva il giorno successivo di a~er fatto rilevare a Kanya, le «eccezionali premure » di cui Giiring era stato fatto oggettoda parte del dirigenti ungheresi. Nel rispondergli, Kanya aveva detto che « Gi:iring gli aveva mosso rilievo per essere il suo Paese troppo sottoposto all'influenza italiana >> (Telespresso
205

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RR. PER CORRIERE 10277/461 R. Berlino, 12 ottobre 1936 (per. il 16).

Ho avuto ieri una lunga conversazione con François-Poncet. Si è parlato di tutto. Egli ha tenuto a farmi sapere che, essendogli stata offerta l'ambasciata di Roma, non aveva creduto, per il momento almeno, di accettarla, non avendo alcun desiderio di venire in Italia, o anche soltanto di apparire, come l'ambasciatore del Fronte Popolare. Del resto, lasciare Berlino nelle condizioni presenti avrebbe potuto essere male interpretato. Egli preferirebbe lasciare la Germania dopo essere arrivato ad un «punto », qualunque esso sia. In questo momento egli non dispera di tirare la Germania alla Conferenza a cinque. Sarebbe già «qualche cosa» ottenere che la Germania sedesse al tavolo di una nuova conferenza Locarniana.

Da quanto egli mi ha riferito delle sue conversazioni in proposito con l'Auswartiges Amt, ho potuto capire che la Germania si mostra effettivamente solidale con noi nel ritenere che non debba essere cambiata la base ed il carattere del trattato, punto di vista che lo stesso Francois-Poncet mostra di apprezzare e che ritengo sia, per conto suo, disposto ad appoggiare anche presso il suo governo, nonostante che le ideologie di questo lo portino alle note concezioni «regionali», etc., etc.

François-Poncet ritiene che, in definitiva, il governo di Blum non si mostrerà troppo intransigente. Esso ha mostrato in complesso -come ne fa fede la questione spagnuola -molta comprensione. Quello che Blum non vuole ad ogni costo è la guerra ed egli non esclude che proprio Blum possa essere l'uomo che anche, vis à vis della Germania... venga a Canossa (?) Questo, però, sempre che la situazione politica interna glielo permetta. Al riguardo, François-Poncet si è espresso in maniera abbastanza interessante. Egli ritiene che, l'esperimento bolscevico, fallito in !spagna, sia praticamente fallito anche in Francia. Ormai, a Parigi come nelle provincie, si stanno convincendo che (questa è la formula che egli stesso, François-Poncet, sulla base di analoghe dichiarazioni fattegli dallo stesso Fuhrer, ha cercato, e con successo, di accreditare) «le communisme c'est la guerre». E poiché nessuno in Francia vuole la guerra, così finiranno col reagire nel senso buono. François-Poncet non ritiene peraltro che la posizione di Blum in politica interna sia abbastanza netta. Donde la possibilità che fra «tre mesi» egli sia costretto ad andarsene. Dice tre mesi perché, comunque, il processo delle cose in Francia non è eccessivamente rapido. Egli, però, (che è uomo di destra) crede profondamente nella reazione, lenta ma sicura, della parte sana della Francia.

Fra le tante altre cose di cui -in quasi due ore di conversazione -abbiamo parlato, meritano essere ricordate le ultime vicende ginevrine. Non solo François-Poncet, e secondo lui tutti i francesi lli buon senso, deplorano l'ultima

pagliacciata societaria (1), ma tutti so:1o ormai convinti che la ulteriore presen

za della S.d.N. di Avenol costituisce un pregiudizio alla stessa istituzione socie

taria. François-Poncet è arrivato a dire che nessuna riforma dalla S.d.N. sareb

be stata possibile senza prima spazzare da Ginevra Avenol con il suo contorno

di intellettuali ebrei (linguaggio come si vede molto netto ma che pregherei

peraltro di tenere come strettamente confidenziale).

Ultimo punto da notare è che, nel parlare di situazione spagnuola, anche François-Poncet insiste molto sulla possibilità di complicazioni a proposito della Catalogna.

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L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 10176/172 R. Tokio, 13 ottobre 1936, ore 7,35 (per. ore 13,45).

Telegramma di V. E. n. 99 (2).

Ministro degli Affari Esteri mi ha detto che avrebbe studiato questione e che tra altro si sarebbe informato come avesse proceduto Germania nella nomina del suo console Etiopia. Dopo di che avrebbe per competenza domandato a Hsinking di manifestare sue intenzioni. Tosto che risposta fosse giunta me l'avrebbe comunicata.

Nel corso della conversazione gli ho detto che V. E. mi aveva fatto conoscere che stava esaminando questione stessa sotto un più ampio punto di vista in considerazione di possibili più importanti proposte e che immaginavo potesse trattarsi di un eventuale reciproco riconoscimento formale, pur non essendone sicuro. Da risposta ministro degli Affari Esteri ho compreso che per il momento Giappone è restio ad essere la prima grande Potenza che effettui riconoscimento, malgrado sua libertà di azione anche teorica, nonché malgrado compenso gradito.

Ministro degli Affari Esteri, che attende notizie del nuovo colloquio con Sugimura da me preannunziatogli, mi ha ringraziato per le mie comunicazioni, si è mostrato compiaciuto delle disposizioni così favorevoli manifestate da

V. E. a codesto ambasciatore nei riguardi del Giappone (3).

(l) -Allude all'ammissione della delegazione etiopica ai lavori della Società delle Nazioni, il 23 settembre precedente. Vedi p. 107, nota 2. (2) -Vedi D. 186. (3) -Di tali colloqui non si è trovato il verbale. L'ambasciatore Auriti telegrafava a tale proposito: <<Quale che sia per essere risultato specifico dei colloqui di V. E. con Sugimura, nonché del miei con questo ministro Affari Esteri in esecuzione ordini di V. E., essi avranno avuto generale effetto benefico di rimuovere prevenzioni qui esistenti circa nostra politica verso Giappone e di farla considerare da esso con maggiore fiducia, il che, quantunque non sufficiente, è condizione necessaria per quegli eventuali futuri più intimi rapporti che fosse nel nostro interesse promuovere» (T. 10203/174 R. del 14 ottobre, ore 6,15).
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IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10196/208 R. Vienna, 13 ottobre 1936, ore 21,40 (per. ore 3,15 del 14).

Von Papen ha rinnovato oggi a segretario di Stato Schmidt in forma ufficiale invito di von Neurath, già da me riferito, recarsi Berlino, insistendo che visita avvenga al più presto, con intenzione essa preceda convegno di Vienna tre ministri Esteri Protocolli di Roma. Schmidt ha accettato invito ma messo innanzi ostacoli materiali di un suo viaggio a Berlino entro prossima settimana.

Von Papen accennò che colloquio Schmidt con von Neurath avrebbe potuto maturare elementi utili per convegno Vienna. Al segretario di Stato per gli Affari Esteri che mi ha fatto stasera queste comunicazioni ho osservato che a raccogliere impressioni e maturare eventuali iniziative germaniche avrebbe provveduto con maggiore efficacia imminente viaggio di V. E. a Berlino nell'interesse di tutti.

Per il caso von Papen dovesse rinnovare insistenze per anticipazione visita, chiedo essere autorizzato dire a segretario di Stato per gli Affari Esteri che a V. E. appare opportuno sia mantenuta precedenza convegno di Vienna 9 novembre.

Schmidt si recherà a Budapest tra una quindicina di giorni e attende da Kanya indicazione giornata precisa.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10197/462 R. Berlino, 13 ottobre 1936, ore 23,52 (per. ore 3,15 del 14).

Ho rivisto, secondo le istruzioni telefoniche di V. E., il barone von Neurath.

Gli ho fatto osservare che, dopo l'analogo desiderio espresso da V. E. a von Hassell sin da 10 giorni fa O) e ribadito subito dopo da S. E. il capo del governo (2), V. E. aveva, anche in assenza di una precisa conferma di von Hassell, ogni ragione per ritenere che Germania avrebbe atteso per rispondere nota inglese il risultato delle conversazioni Berlino di V. E.

Von Neurath mi ha dichiarato che comprendeva bene tutto ciò e che difatti così sarebbe stato, se non fosse sopraggiunto il « fatto nuovo» della risposta francese (3). Egli ha ribadito dettagliatamente in proposito tutte le argomentazioni già da me telegrafate ieri (4) e che per brevità non ripeto, aggiungendo che arrivo della risposta francese gli era stato preannunziato da Londra pro

prio oggi. La risposta francese sarà quindi nelle mani tedesche da un momento all'altro (l) ed egli vuole evitare di essere da essa messo in una situazione ancora più difficile di quella in cui si trova ora. Egli intende quindi, di pieno accordo con Cancelliere, prevenire la Francia. Solo così potrà conservare alla risposta propria quel carattere generico che tatticamente conviene, di tutta evidenza, alla Germania.

La risposta (2), assolutamente preliminare, lascerà impregiudicata ogni presa di posizione positiva, da fissarsi -questa -soltanto dopo le conversazioni berlinesi con V. E. Essa infatti contiene soltanto delle precisazioni su punti di particolare interesse tedesco e comunque coincidenti con le vedute del governo italiano.

In un punto risposta sarà positiva e cioè nella affermazione della volontà tedesca di una garanzia non solo inglese ma anche italiana. Che Germania dica questo subito e prima della visita della E. V. è, secondo von Neurath, di evidente convenienza per la stessa Italia.

La risposta (posso darne io stesso precisa assicurazione a V. E.) non, dico non, obbedisce menomamente a considerazioni di opportunità nel riguardi inglesi. Essa mi sarà comunicata domani mattina e non sarà, mi ha detto von Neurath, comunque resa pubblica. Barone von Neurath ne farà consegna in giornata all'ambasciatore inglese e a quello di Francia (che aveva visto proprio prima di me), von Neurath essendosi oggi limitato a darne un preavviso puramente generico, solo allo scopo di stabilirne, per così dire, la precedenza.

Von Neurath mi ha assicurato che dal testo della risposta V. E. vedrà che la questione è tutt'altro che esaurita ed essa non menoma affatto il campo delle intese fra i due Paesi, riservate alle dirette conversazioni con V. E.

(l) -Vedi D. 153. (2) -Vedi p. 165, nota 2. (3) -Vedi D. 185. (4) -Vedi D. 203.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 4542/297 R. Roma, 13 ottobre 1936, ore 24.

Suo telegramma per corriere n. 451 (3).

Ho avuto recentemente occasione di parlare con von Hassell della questione del riconoscimento di fatto del governo di Burgos (4). Nostre idee in proposito coincidono sostanzialmente con quelle espresse a V. E. da Dieckhoff. Comunque siamo rimasti intesi con von Hassell che della questione si sarebbe riparlato durante la mia visita costì, e che fino allora quindi nessuna iniziativa sarebbe stata presa isolatamente dai due governi.

t. -2, D. 572.
(l) -Vedi D. 203, nota 3. (2) -n testo della nota tedesca, datata 12 ottobre e presentata il giorno 14, e in DDT, serie c, vol. V, t. 2, D. 596 allegato. (3) -Vedi D. 177. (4) -Negli archivi non c'è documentazione di un colloquio su tale argomento tra Ciano e l'ambasciatore von Hassell nei giorni immediatamente precedenti, salvo l'accenno contenuto nel verbale del colloquio del 3 ottobre (vedi D. 153). La questione era stata però trattata dall'ambasciatore tedesco con Mussol!ni il 5 ottobre: von Hassell aveva dichiarato che il FUhrer era propenso a riconoscere de facto 11 governo di Franco non appena Madrid fosse stata conquistata, agendo d'intesa con l'Italia; Mussolini aveva risposto che dopo la con9uista di Madrid si sarebbe potuto effettuare un riconoscimento de facto o formale e prendere m considerazione l'invio di ambasciatori. Di questo colloquio non si è trovata documentazione negli archivi italiani ma se ne veda la relazione dell'ambasciatore von Hassell in DDT, serie C, vol. V,
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10282/0509 R. Londra, 13 ottobre 1936 (per. il 16).

Ho ritenuto opportuno leggere a Vansittart il contenuto dei telegrammi da Ginevra circa presunti accordi che, secondo fonti giornalistiche, sarebbero intervenuti fra Eden e ministro Esteri turco nel loro incontro del 3 corrente a Ginevra, e nei contatti in genere delle scorse settimane a Ginevra fra delegazione britannica e turca (1).

Vansittart, dopo avere conferito con funzionari reduci da Ginevra, mi ha smentito in un modo reciso queste notizie, aggiungendo fra l'altro che il giorno 3 corrente Eden era già partito da Ginevra. Vansittart ha insistito perché io comunichi questa smentita a V. E.

Gli ho risposto che l'avrei fatto, e gli ho domandato che cosa vi è di vero sulla progettata visita di Ismet Pascià a Londra, sulla quale i turchi hanno fatto già tanto chiasso.

Vansittart mi ha dichiarato che, né i turchi hanno chiesto di effettuare una visita a Londra, né il governo britannico li ha invitati; tanto meno li ha incoraggiati a domandare di effettuare tale visita, che non esiste quindi neppure allo stato di progetto.

Questa, su questo punto, la risposta ufficiale di Vansittart, la quale non corrisponde se non in parte alla verità. Mi risulta infatti da sicure informazioni che governo turco ha fatto qui a Londra e ad Ankara tutto il possibile perché questa visita a Londra potesse effettuarsi, e che ammiragliato britannico ha espresso a tale visita parere favorevole. Il Foreign Office invece, seccato della speculazione anti-italiana fatta dai turchi durante la visita privata di Re Edoardo a Costantinopoli (2) e preoccupato di non suscitare in Italia nuove legittime reazioni, ha espresso parere contrario alla visita di Ismet, ed ha scoraggiato questa iniziativa.

Questa appare a tutt'oggi, la situazione, la quale va tuttavia attentamente sorvegliata e seguita. Ciò che io sto facendo, riservandomi di inviare a V. E. tutte le notizie che raccoglierò in merito.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. PER CORRIERE 10386/0513 R. Londra, 13 ottobre 1936 (per. il 19).

Ho creduto utile fare leggere a Vansittart l'articolo della Gazette de Lausanne (telespresso di V. E. n. 900/4446 del 7 ottobre) (3) sulla crociera di Edoar

do VIII (1), crociera che, secondo il giornale svizzero. avrebbe raggiunto importanti risultati diplomatici. Ho particolarmente attirato attenzione Vansittart sul pezzo seguente: «... La Jugoslavia sarebbe stata guadagnata interamente causa difesa interessi bratannici nel Mediterraneo sulla base diffidenza verso Italia, e la Grecia alleata con la promessa di vedere fornita la propria flotta dall'ammiragliato inglese, mentre la City si incaricherebbe gettare basi economichE? e finanziarie degli accordi politici. Infine, in Turchia Re Edoardo sarebbe riuscito allontanare il governo di Angora da Mosca orientandolo verso Londra. Contatti avuti Vienna e Sofia avrebbero invece rivestito semplice scopo informativo. Tuttavia Re Boris avrebbe fornito importante indicazione circa la possibilità di una adesione eventuale all'Intesa Balcanica, della Bulgaria~-

Vansittart, dopo la lettura dell'articolo, ha avuto uno scatto di irritazione e dopo avermi detto che la Gazette de Lausanne è conosciuta per la sua attitudine antibritannica, mi ha domandato se io credevo a tutto ciò.

Gli ho risposto semplicemente che un ambasciatore ha per principio n dovere di credere a nulla e di credere a tutto, e che comunque la Gazette de Lausanne non è il solo giornale che si sia fatto eco di simili interpretazioni sulla crociera mediterranea di Re Edoardo.

Vansittart mi ha dichiarato che nella pubblicazione della Gazette de Lausanne non vi è la benché minima ombra di verità, e mi ha ripetuto quanto già dettomi in precedenti conversazioni. Cioè che la crociera di Re Edoardo non aveva il benché minimo significato politico; che Re Edoardo, né in Jugoslavia, né in Grecia, né in Turchia, né in Bulgaria e Austria ha discusso di questioni politiche, che il Sovrano era rimasto indispettito per la speculazione che si era tentata di inscenare sopratutto in Jugoslavia e in Turchia per falsare nella pubblica opinione internazionale gli scopi e la portata della sua crociera; che il governo britannico non ha mai pensato e non pensa a ~ostituire basi navali nell'Adriatico.

Ho replicato a Vansittart prendendo atto delle sue smentite ma ho osservato che nella vita degli Stati come nella vita privata degli uomini non basta agire onestRmente. occorre anche evitare di dare l'impressione del contrario.

Da amici intimi di Re Edoardo, tornati a Londra in questi giorni, e che accompagnavano il Re sullo yacht Nahlin, ho avuto dei particolari abbastanza curiosi su questa crociera, assai poco edificante in verità e assai poco regale, del giovane Re d'Inghilterra. Ne informerò a parte V. E. Secondo informazioni dì queste persone che si trovavano insieme col R.e, il Sovrano sarebbe stato molto annoiato per avere dovuto, contrariamente al suo desiderio e al progetto da lui fatto insieme ai suoi amici, rinunciare al suo soggiorno a Venezia e ciò in seguito al parere contrario espresso al Re dal Gabinetto e motivato dalla considerazione che, secondo l'avviso del Gabinetto, una visita del Re di Inghilterra, sia pure di carattere privato, in Italia nel mese di luglio, e cioè a poche settimane dalla revoca delle sanzioni, sarebbe stata criticata da una parte dell'opinione pubblica britannica. In secondo luogo, il Re sarebbe stato annoiato dai tentativi fatti, sia da Paolo di Serbia, sia da Atattirk di profittare della presenza del Sovrano inglese in territorio jugoslavo e turco per una

«parata» di carattere politico e anti-italiano, parata che non era, né nei desideri, né nei gusti di Re Edoardo. L'improvvisa decisione del Re di fermarsi a Vienna, ossia nella capitale di una nazione amica e alleata dell'Italia, sarebbe stata motivata, sempre secondo le informazioni che mi sono state date, dal desiderio del Re di controbilanciare la montatura fatta in Jugoslavia e in Turchia. Mi riservo di controllare queste notizie non appena vedrò personalmente il Re.

(l) -Vedi D. 162. (2) -Vedi DD. 23 e 106. (3) -Non pubbllcato. Vedi p. 195, nota 2.

(l) Vedi p. 15, nota l.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10537/0519 R. Londra, 13 ottobre 1936 (per. il 23).

Nel corso del colloquio con Eden (l) questi mi ha, ad un certo punto, domandato di rassicurarlo, perché egli a sua volta possa calmare alcune apprensioni che egli dice essersi manifestate specie fra alcuni membri del Gabinetto, in seguito alle voci di pretese intenzioni italiane nei riguardi del problema dell'integrità territoriale spagnuola e particolarmente sulle isole Baleari. «L'Inghilterra, ha continuato Eden, considera ormai la vittoria dei nazionali in Spagna come assicurata. La politica inglese è per il mantenimento assoluto dell'integrità territoriale dello Stato spagnolo. Noi abbiamo avuto in proposito assicurazioni da Roma che questo è anche il pensiero del governo fascista. Ma quello che sta avvenendo nelle isole Baleari preoccupa, certamente a torto, taluni. I nostri agenti colà ci riferiscono che da parte di elementi italiani, i quali hanno combattuto con successo per assicurare le isole al dominio degli insorti del generale Franco, si sta facendo un'attiva propaganda in senso anti-britannico. Ho qui sotto gli occhi una serie di dichiarazioni contro l'Inghilterra fatte da certo Rossi (2), che figura tra i capi dell'insurrezione e che sarebbe un ufficiale della milizia fascista».

Ho risposto a Eden che l'attitudine dell'Italia fascista di fronte al problema dell'integrità territoriale dello Stato spagnolo è troppo conosciuta perché abbia bisogno di ulteriori chiarimenti. Le grottesche voci sparse dall'antifascismo a questo riguardo non meritano neppure la pena di essere rilevate. «Naturalmente -ho ritenuto di dover aggiungere -· l'Italia fascista sta attentamente a vedere che cosa faranno gli altri Paesi, riservandosi di agire in conseguenza». Ho attirato l'attenzione di Eden a questo punto su certe voci qui giunte da Parigi secondo le quali esisterebbe fra i socialisti francesi una corrente favorevole alla costituzione e riconoscimento, in determinate condizioni, di una repubblica catalana, sotto la protezione più o meno velata della Francia. In quanto all'esistenza nelle isole Baleari, di ufficiali italiani della milizia fascista, ho naturalmente smentito, dichiarando tali voci prive del benché minimo fondamento.

(l) -Vedi D. 194, nota l. (2) -«Conte Rossi » era 11 nome di battaglla assunto dal console della milizia Arconovaldo Bonaccorsi che 11 26 agosto era stato Inviato a Maiorca e li si era messo alla testa delle forze favorevoli agU Insorti.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10238/465 R. Berlino, 14 ottobre 1936, ore 23,35 (per. ore 6 del 15).

Ho già spiegato a V. E. come e perché la Germania abbia creduto di non potere ritardare oltre la sua risposta alla nota di Eden (1). Per quanto mi riguarda, V. E. mi permetterà di precisare che, fino all'ultimo momento, io ho persino ignorato, che V. E. avesse in materia un qualunque desiderio. Io ne ebbi notizia, solo in maniera indiretta, attraverso il resoconto del colloquio del 3 ottobre con von Hassell (2), inviato con telespresso del 9 giuntomi domenica 11. Recatomi da von Neurath il lunedì 12, avevo appena la possibilità di apprendere da lui la nuova situazione creatasi e informarne immediatamente V.E.

In ogni modo V. E. avrà a quest'ora ricevuto testo nota (3). Questa è veramente come von Neurath mi aveva preannnnziato e cioè negativa su tutti i punti tranne che in quello, per noi essenziale, della richiesta della garanzia italiana sullo stesso piede e allo stesso titolo della garanzia inglese. Che anzi le mezze promesse già fatte in precedenza circa possibilità sopra le strutture, triangolari e non, del patto vengono dalla nota altrettanto abilmente eluse quanto espressamente condizionate a situazione di cui Italia sarà praticamente arbitra.

Il primo risultato della nota tedesca è quindi di ridare all'Italia, in aperto contrasto con quella inglese ( 4) che praticamente ci ignorava così nella fase preparatoria come in quella conclusiva del nuovo grande negoziato europeo, la parte voluta dal Duce (telegramma Duce 2 aprile n. 80) (5) e che ciò sia stato fatto prima dell'arrivo di V. E. a Berlino è per noi anzi a mio rimesso avviso, un manifesto vantaggio.

Altrettanto favorevole Italia è tutta la parte negativa della risposta:

l) esclusione potenziale Russia e della Cecoslovacchia;

2) esclusione espressa dell'art. 16 del Patto (fatta anche in maniera da legarla alle riforme Covenant e virtualmente creando così motivi nuovi di complicazioni e ritardo); 3) sottrazione della «dichiarazione dell'aggressore» alla competenza istituto ginevrino, il tutto con evidente insanabile scacco per il medesimo;

4) indicazione della possibilità di attribuire, con o senza flagranza, la competenza di cui sopra, e cioè tutto il pratico funzionamento del Patto, ai «contraenti non direttamente interessati al conflitto», cioè Italia, Inghilterra ed esse soltanto. Questo è un elemento di importanza fondamentale per Italia anche nei confronti dell'Inghilterra, la quale verrebbe per questa via riportata a dover dividere con noi (con tutte le conseguenze derivantine agli effetti delle nostre reciproche relazioni) e ancora più che nell'originale sistema di Locarno

la funzione di moderatrice e propugnatrice dell'Europa. È infine da notare, nella nota, l'abilità con cui la Germania viene a sottrarsi alla proposta inglese di un patto aereo, che pure aveva praticamente accettato e che anzi costituì l'origine prima delle concezioni tripartite. Insomma, tutto quello che di negativo e di ostico per l'Inghilterra la Germania poteva dire a proposito di Locarno, essa lo ha detto in questa nota e da sola, senza responsabilità nostra.

Ciò, !ungi dal pregiudicarci, ci agevola, in quanto che, mentre assicura alla nostra azione politica possibilità di tutti generi, non concentra su di noi i risentimenti e le odiosità degli altri. Agli effetti, poi, della visita qui di V. E., mi permetta V. E. di dire, rispettosamente, ma francamente, che la risposta tedesca oggi consegnata a Phipps anziché toglierle, le accresce valore, in quanto assicura alle intese che saranno per uscire dal convegno a Berlino una base ed uno sfondo, la cui naturale solidità non potrà che raddoppiarne la portata agli occhi di tutti.

(l) -Vedi D. 208. (2) -Vedi D. 153. (3) -Vedi p. 229, nota 2. (4) -Vedi D. 81. (5) -Vedi serle ottava, vol. III, D. 564.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10278/0287 R. Parigi, 14 ottobre 1936 (per. il 16).

Il prossimo viaggio di V. E. a Berlino, fin da quando è stato annunziato, ha suscitato qui, naturalmente, il più vivo interesse. Esso viene messo in relazione, principalmente, alla situazione austriaca. A tale riguardo si ritiene generalmente che l'accordo austro-tedesco, prima, e poi lo scioglimento delle Heimwehren abbiano rafforzato l'influenza germanica in Austria e di conseguenza diminuito quella italiana. Questo stato di cose se, da un lato, fa rinascere la speranza che potrebbe determinarsi una tensione italo-tedesca cui potrebbe seguire un riavvicinamento dell'Italia alla Francia, dall'altro suscita qualche preoccupazione in quanto una Germania più forte in Austria potrebbe preludere all'Anschluss.

Ci si domanda inoltre che riflessi avranno i rapporti italo-tedeschi, quali risulteranno dai colloqui che V. E. avrà a Berlino, sulla situazione danubiana e balcanica; sarà raggiunto un accordo al riguardo, che potrebbe manifestarsi in una adesione della Germania ai Protocolli di Roma oppure -davanti al rafforzarsi delle posizioni germaniche -si avrà un riavvicinamento fra l'Italia e la Piccola Intesa? Secondo alcuni la tattica di Roma consisterebbe nell'attrarre prima nell'orbita italiana la Piccola Intesa, per allontanarla dalla Francia, salvo a intendersi poi con la Germania per stabilire le influenze da esercitarsi dai due Paesi nelle regioni danubiana e balcanica. Si prevede quindi che alla prossima riunione di Vienna la Germania non interverrà ufficialmente e che tutto al più il ministro di Germania a Vienna vi assisterà come osservatore.

In quanto alla preparazione della conferenza di Locarno, si suppone che il Reich si impegnerà ad esigere dagli altri Stati locarnisti la partecipazione dell'Italia alla nuova Locarno e ciò al fine di sventare la manovra da alcuni attribuita all'Inghilterra che mirerebbe ad escludere l'Italia.

Infine, si ritiene che formeranno oggetto dei colloqui di V. E. a Berlino anche la questione spagnola e la questione dell'atteggiamento da assumere nei riguardi della propaganda bolscevica in generale: aderirà l'Italia alla crociata anti-bolscevica proclamata da Hitler? Probabilmente no.

In conclusione, è impressione generale che il prossimo incontro di Berlino riavvicinerà ancora di più l'Italia e la Germania ma si manifesta il dubbio che tale riavvicinamento possa essere definitivo, anzi si spera che non lo sia, tranne da quelli -e non sono, né pochi, né trascurabili -che nei cordiali rapporti italo-tedeschi scorgono una possibilità di mediazione tra Francia e Germania ai fini di una pacificazione generale.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. PER CORRIERE 10397/0514 R. Londra, 14 ottobre 1936 (per. il 19).

A seguito del mio telegramma cifra n. 1315 (l) riferisco i seguenti particolari sul mio colloquio di ieri martedì. 13 con Eden, il quale è rientrato da soli tre giorni a Londra dopo i lavori dell'Assemblea di Ginevra e un periodo di congedo trascorso sulla Riviera francese.

L'accoglienza fattami da Eden è stata ostentatamente cordiale, come sempre del resto mi è accaduto tutte le volte che il governo britannico, ha incassato un colpo meritato. Eden mi ha detto subito che aveva letto con interesse e con particolare attenzione il resoconto della seduta di venerdì del Comitato di non-intervento (2) ed in particolare le mie dichiarazioni, sia in merito alla comunicazione britannica, sia in merito alla nota sovietica. Egli non aveva nulla da obiettare sulla legittima n•azione alla nota sovietica ma trovava alquanto dura da parte mia la maniera con cui avevo reagito alla comunicazione britannica. Poi, ripetendo'si e dilungandosi sulle spiega:>:ioni già datemi da Vansittart (3), Eden ha cercato ancora una volta di C'onvincermi -senza riuscirvi -che il governo britannico nel comunicare la nota, già di dominio pubblico. del governo di Madrid al Comitato di non intervento, non aveva avuto la benché minima intenzione di fare cosa sgradita ai governi italiano, tedesco e portoghese ma proprio il contrario, cioé di arrestare, incanalando la protesta di del Vayo nella procedura del Comitato, l'agitazione sempre crescente che nelle due ultime settimane era andata manifestandosi all'interno e all'estero contro l'asserita politica di intervento in Spagna da parte dei Paesi a regime fascista. Il governo britannico intendeva, facendo ciò, non di aiutare bensl di arrestare la manovra russa, la quale tendeva allo scopo preciso e diretto di far saltare l'accordo di non intervento e riprendere mano libera in Spagna.

Ho replicato a Eden, come avevo già fatto con Vansittart, che le spiegazioni da lui date non erano convincenti << la politica di uno Stato -ho detto si giudica non dalle intenzioni, bensì dagli effetti. Ora era fuori di dubbio che, facendosi parte diligente nel comunicare la denuncia del governo di Madrid

al Comitato di non intervento, il governo britannico si era praticamente affiancato alla politica della Russia sovietica e, anziché stroncare la torbida, brigantesca e sovvertitrice azione di Litvinov, aveva finito col subirla. Si è ripetuto insomma a Londra -ho continuato -quello che è esattamente accaduto a Ginevra due settimane or sono (1). L'Inghilterra e la Francia, incapaci di un gesto di coraggio, si sono messe al rimorchio della Russia comunista assumendosi gravissime responsabilità di fronte al problema della pace e delle possibilità di una intesa qualunque fra le quattro grandi Potenze occidentali. Colla sua azione il governo britannico ha fatto il giuoco di Litvinov, contribuendo cioè a sabotare in pieno quella stessa conferenza fra le quattro grandi Potenze occidentali che è di iniziativa britannica e alla quale il governo britannico mostra di attribuire tanta importanza. L'Italia fascista per conto suo non poteva fare a meno di tirare dalla condotta britannica la conclusione e agire in conseguenza. Se l'Inghilterra conservatrice e tradizionalista vuole offrire a se stessa e al mondo lo spettacolo di una pubblica solidarietà con il comunismo di Mosca è affar suo. Ma il governo britannico non può pretendere in questo caso dall'Italia fascista un'attitudine diversa da quella che ha assunto e che assumerà senza riguardi per chicchessia>>.

Eden ha replicato vivacemente dicendomi di riconoscere con me che dal giorno in cui la Russia comunista era entrata come fattore di politica attiva in Europa il nostro continente aveva immediatamente sentito che il mantenimento della pace europea veniva messo in pericolo. Eden ha aggiunto che l'errore più grave che sia stato commesso in questi ultimi anni è stato commesso dalla Francia e precisamente da Barthou. quando ha rifiutato di accogliere il piano del Duce, appoggiato dall'Inghilterra, ed ha invece posto le basi della nuova intesa franco-sovietica capovolgendo così il delicato equilibrio europeo faticosamente raggiunto attraverso quindici anni di insistente e paziente lavoro. «Riconosco -ha continuato Eden -che il governo britannico non ha allora, di fronte al patto franco-sovietico. preso un'attitudine decisa quale forse era necessario ed opportuno prendere. Oggi, comunque, di fronte alla nuova situazione di politica interna francese sarebbe troppo tardi. Vi è un elemento ancora più importante che è venuto a mancare da due anni a questa parte, come fattore di stabilità in Europa ed è la collaborazione fra l'Inghilterra e l'Italia. Io vorrei sinceramente -ha continuato Eden -che si potessero ristabilire tra l'Italia e l'Inghilterra le vecchie relazioni di un tempo, quali erano cioè prima del conflitto itala-abissino. Io vorrei sinceramente fare qualche cosa in questa direzione ma non so ancora che cosa e come. Bisogna riconoscere che dal giorno in cui la comune azione itala-britannica è stata interrotta l'Europa non ha saputo più trovare una formula di equilibrio possibile.

Ho replicato a Eden che queste sue parole francamente mi stupivano. Ho detto che era davvero un peccato che egli avesse scoperto questa lapalissiana verità e fosse giunto a questa ovvia conclusione soltanto oggi e cioè dopo che da due anni a questa parte egli stesso è il responsabile principale dell'attuale situazione per avere accumulato tante rovine e tante macerie, tutt'altro che

spente, e che ancora sbarrano il cammino per una possibile ripresa di rapporti amichevoli fra i due Paesi. Ho aggiunto che queste sue parole mi stupivano ancora più in quanto che dette da lui proprio al suo ritorno da Ginevra, dove non si può dire certamente che egli abbia esplicato una azione intesa ad aiutare il ristabilimento dei buoni rapporti fra Italia e Inghilterra. «Devo considerare queste vostre parole, ho continuato, come un segno di mutamento radicale della politica britannica verso l'Italia? Oppure devo intenderle come un rinnovato tentativo di interpretazione e giustificazione della politica britannica di questi ultimi mesi, che il governo britannico, con una stupefacente insistenza e malgrado la palese e contraria realtà, ha sempre dichiarato di non essere ispirata se non a sentimenti amichevoli verso l'Italia? ». Ho a questo punto citato a Eden ancora una volta e uno dopo l'altro tutti i fatti dalla fine di giugno ad oggi, dai quali, direttamente o indirettamente, traspare da parte britannica il rancore e un sentimento di ostilità verso l'Italia. La crociera del Sovrano nell'Adriatico e nell'Egeo senza toccare il suolo italiano (1). «Questa esclusione -ho detto ---è stata voluta dal governo britannico e questo dopo che lo stesso Re Edoardo a v eva già deciso di iniziare il suo viaggio partendo da territorio italiano e precisamente da Venezia» (Eden ha mostrato un certo stupore che io fossi al corrente di questo particolare ma non ha osato contestarlo); le voci della creazione di una base navale nell'Adriatico, cioè in territorio jugoslavo; gli aspetti per lo meno inusitati e certo non tali da ispirare un senso di fiducia del viaggio di Hoare nel Mediterraneo (2) accompagnati dall'annuncio di un programma di eccezionale riarmo nel Mediterraneo non giustificato se non dall'eventualità di un conflitto coll'Italia; il rifiuto da parte inglese alla richiesta italiana di non concedere visti a ribelli etiopici che domandano di varcare la frontiera del Sudan, venendo così meno alle promesse, sia pure generiche, che erano state fatte nel mese di luglio in questo senso; l'attività persistentemente ostile svolta dall'agente del governo britannico in Addis Abeba; il ridicolo e anacronistico permanere del reparto di truppa indiano nel recinto dell'ex-legazione britannica in Addis Abeba; l'azione svolta dalla delegazione britannica durante l'Assemblea di Ginevra e da ultimo la comunicazione delle denunzie del governo di Madrid al Comitato di non-intervento.

«Questi fatti sono troppi, troppo vicini l'uno all'altro e troppo apertamente rivelatori di una mentalità preconcetta e tuttora ostile all'Italia per poter essere interpretati in modo diverso. Da parte italiana non vi è stato al contrario, durante questo intero periodo, se non una leale e aperta manifestazione di buona volontà per una ripresa di amichevoli rapporti. È evidente che di fronte al permanere dell'attitudine britannica l'attitudine fascista non può e non potrà essere che una sola: l'Italia fascista considera e considererà l'Inghilterra esattamente quale l'Inghilterra fa di tutto per essere considerata e cioè una Potenza non amica per non dire addirittura ostile. Il Duce sta provvedendo all'organizzazione sempre più potente della difesa del nostro Impero e preparando sempre più negli spiriti e nelle armi il suo Paese e il suo popolo. L'Italia fascista, potentemente armata, è pronta a qualunque eventualità imminente

prossima lontana, contro chicchessia, in Europa, nel Mediterraneo, in Africa. Spetta adesso all'Inghilterra di mostrare quale è la strada che intende sce

gliere~

Eden ha risposto dicendo che non era esatto dire che da parte britannica vi era stata una serie di fatti non ispirati a sentimenti di amicizia verso l'Italia, mentre da parte italiana era avvenuto il contrario. Eden mi ha a questo punto ripetuto con abbondanza di particolari quanto già dettomi da lui e da Vansittart nei nostri precedenti colloqui circa il viaggio di Re Edoardo. «Quando il Re mi ha telegrafato da Costantinopoli per informarmi che egli desiderava passare per l'Austria e soffermarsi a Vienna, nel suo viaggio di ritorno (il che non era stato preveduto avanti di partire da Londra) gli ho subito risposto che il Foreign Office non aveva alcuna difficoltà ed ho pensato anzi che un soggiorno del Re in Austria era opportuno per togliere errate impressioni sul suo soggiorno in Jugoslavia e in Turchia. Circa le ispezioni di Hoare alle nostre basi navali nel Mediterraneo e l'annuncio -ha continuato Eden del nostro piano di riarmo navale, ciò non è affatto straordinario ed eccezionale. L'Inghilterra ha deciso di riarmarsi dappertutto, nel Mediterraneo come nel Mare del Nord, nel Mar Rosso come nel Golfo Persico, in India, Singapore e Estremo Oriente. Perché non dovrebbe essere consentito a noi di fare quello che tutte le altre nazioni hanno fatto e stanno facendo nel campo della difesa militare? Noi non consideriamo la sicurezza britannica nel Mediterraneo diversamente da quanto la consideriamo altrove. Aggiungete che nel Mediterraneo vi sono oltre ai nostri interessi navali l'Egitto e la Palestina. Smentisco nel modo più reciso le voci di un qualsiasi piano inglese di creare una base navale in Adriatico in territorio jugoslavo ovvero greco. Non è d'altra parte esatto dire che da parte italiana sono venuti meno in questo periodo i segni e le manifestazioni di attività anti-britannica. Durante l'estate l'attività anti-britannica degli agenti segreti italiani in Egitto e in Palestina è stata ancora più intensa di quella che non fosse durante il periodo di tensione fra Italia e Inghilterra. Se voi vi lamentate dell'azione non amichevole degli agenti britannici in Etiopia o alle frontiere etiopiche, che cosa avremmo noi da dire del modo con cui i nostri rappresentanti in Etiopia sono trattati dalle autorità militari italiane? Non è neppure esatto dire che nel mese di luglio il governo britannico aveva promesso di non concedere visti a ribelli etiopici che mostravano l'intenzione di attraversare le frontiere del Sudan. Il Foreign Office ha semplicemente promesso di adoperarsi per risolvere questi casi prima che essi formalmente si presentassero, avvertendo tuttavia chiaramente che, di fronte ad una richiesta specifica di ex-sudditi etiopici per recarsi nel territorio di Gore non ancora occupato dalle truppe italiane, il governo britannico non sarebbe stato in grado, per ragioni di politica interna e parlamentare, di proibire tale passaggio. È da augurarsi che l'occupazione del sud-ovest etiopico avvenga al più presto e allora queste difficoltà cadranno da sé. Io mi sono d'altra parte assunto la responsabilità di fronte ai Comuni di fare decadere in un modo assoluto i famosi accordi mediterranei (l) e voi sapete quali difficoltà ho dovuto superare non

soltanto da parte dei Comuni ma anche da parte di coloro che a torto o a ragione ritenevano, attraverso tali accordi, di aumentare l'efficienza della difesa militare britannica nel Mediterraneo. Ml sono assunto altresì la responsabilità di ritirare il nostro console generale da Gore e anche per questo sono stato criticato e attaccato dai laburisti. Io vorrei che da una parte e dall'altra si riconoscessero le reciproche difficoltà e si cercasse con buona volontà di limitare al minimo indispensabile gli inconvenienti e diminuirne per quanto possibile le proporzioni. Che cos'altro si potrebbe fare ora? Non bisogna dimenticare che voi avete, nel conflitto itala-etiopico. ottenuto la vittoria al cento per cento e umiliato profondamente l'Impero britannico. Ciò nonostante, l'opinione pubblica britannica nella sua grande maggioranza ha già sensibilmente modificato quelli che erano i sentimenti di avversione alla politica italiana. Prova di ciò è la stampa inglese la quale --eccezione fatta dei giornali di estrema sinistra che attaccano l'Italia e il fascismo ma non meno violentemente il governo britannico -ha mantenuto durante questi mesi un contegno corretto ed amichevole nei riguardi dell'Italia».

È appena superfluo che io dica che ho, a questo punto, contestato una dopo l'altra le affermazioni di Eden, dimostrandogli l'infondatezza dei suoi dati e delle sue impressioni e sopratutto smentendoglì che in territori britannici agenti così detti «segreti» dell'Italia svolgano attività antibritannica. Ciò è parte della fantasia del solito Intelligence Service -ho continuato -il governo britannico sa perfettamente che cosa deve fare per ristabilire su basi di permanente fiducia le sue relazioni con l'Italia. Finché questo non sarà fatto, l'Italia fascista ha il diritto e il dovere di sospettare l'azione e la politica della Gran Bretagna ».

Eden: «Voi intendete dire che l'Inghilterra dovrebbe riconoscere formalmente l'Impero italiano?».

Grandi: <<Precisamente. Ma non sono io a chiedervi ciò, sia bene inteso. Noi non abbiamo nessun riconoscimento da chiedere. L'Impero etiopico è nostro, conquistato e fondato dal Duce, daile nostre legioni e dal nostro popolo in armi. Come è stato conquistato e fondato, cosi sarà conservato e difeso, con

o senza il riconoscimento altrui. Questo è perfettamente chiaro. Ma poiché voi parlate di interessi britannici in Etiopia non sufficientemente tutelati ecc. mi limito semplicemente a ricordarvi che la garanzia da parte italiana degli interessi inglesi in Etiopia presuppone logicamente il riconoscimento formale da parte britannica del legittimo diritto italiano. Spero -ho continuato che voi non considererete la permanenza del distaccamento indiano nel campo di golf dell'ex legazione britannica in Addis Abeba come un mezzo per tutelare i vostri interessi. A parte che un incidente sgradevole finirà col verificarsi un giorno o l'altro, la presenza di questo reparto è diventata un fatto cosi anacronistico da gettare un senso di ridicolo sulla stessa bandiera britannica».

Eden non ha risposto subito, poi, imbarazzato, ha detto: <<Lo so. Me ne rendo conto. Ma è ancora troppo presto per il riconoscimento dell'Impero. La nostra opinione pubblica non è ancora matura per ciò. Si potrebbe forse studiare la maniera per un modus vivendi in modo da determinare un ambiente di collaborazione sufficiente in loco fra autorità britanniche e autorità italiane.

Ma non so precisamente ancora come e fino a qual punto ciò possa farsi. Lasciatemi riflettere. Io desidero fare qualche cosa ma forse è ancora troppo presto. Ne riparleremo ancora».

Ho osservato a Eden che l'argomento non era stato sollevato da me, che nessuna istruzione io avevo di intrattenermi con lui su questa questione e che pertanto da parte mia non vi era, né fretta, né intenzione di riprendere su questo punto la discussione. A questo punto è finito il nostro colloquio. Prima di !asciarci, Eden mi ha ripetuto che desidera di vedermi ancora e spesso in modo da stabilire personali, frequenti contatti e la possibilità di scambi di idee. Gli ho naturalmente risposto, senza tuttavia mostrargli molta premura, che da parte mia egli mi avrebbe sempre trovato a sua disposizione.

Questa è la fotografia del colloquio di ieri con Eden che ho ritenuto opportuno riprodurre nei particolari minuti. Come V. E. vedrà, la conversazione ha avuto un carattere panoramico e non è andata oltre ad una «ripresa di contatto ». Nessuna questione è stata approfondita ed io espressamente ho evitato di farlo anzitutto perché non me ne sentivo autorizzato ed in secondo luogo perché ritengo che è opportuno dare al governo britannico l'impressione netta che il governo fascista non ha alcuna fretta di trattare con esso. Non sarei neppure entrato a discutere di argomenti generali se Eden non mi avesse egli stesso con insistenza invitato a farlo e se non vi fossi stato costretto per necessità polemica. Ho, nelle mie risposte, parlato netto e chiaro, dando ad Eden l'impressione precisa che, ben !ungi dal preoccuparsene, l'Italia fascista considera l'ipotesi di un'Inghilterra ostile con assoluta tranquillità e a questo si prepara con fredda e pacata determinazione. Sono convinto che tanto meno noi daremo agli inglesi l'impressione di desiderare la loro amicizia, tanto più essi che dell'amicizia dell'Italia fascista non possono fare assolutamente a meno, saranno costretti a chiederla ed a pagarla. Il conflitto itala-abissino, la vittoria dell'Italia e la sconfitta dell'Inghilterra sono diventate per questa gente come il male della pietra: vorrebbero espellerlo ma non riescono, e soffrono. Finiranno col decidersi, se non vogliono morire.

In quanto a Eden e all'impressione che egli mi ha fatto nella conversazione di ieri, non potrei che ripetere quanto ho già detto di lui in ripetute occasioni. Egli è un politicante mediocre, fondamentalmente e incorreggibilmente antifascista, incoerente e discontinuo nei suoi propositi, persuaso forse della necessità per l'Inghilterra di venire ad un chiarimento definitivo e permanente coll'Italia, ma incapace nello stesso tempo di assumersi la responsabilità e l'iniziativa per un gesto coraggioso, il solo che potrebbe raddrizzare la politica sconquassata britannica. Sotto questo riguardo gli avvenimenti di queste ultime settimane hanno un valore di importanza politica tutt'altro che trascurabile. L'Inghilterra sta entrando in una fase di crisi profonda e di revisioni sostanziali, sia nel campo della sua politica interna come nel campo della sua politica estera. La creazione vittoriosa dell'Impero fascista, la sconfitta della democrazia inglese battuta dalla rivoluzione fascista, la marcia vittoriosa della rivoluzione fascista in Europa, hanno ridato vita e vigore a quelle forze e a quei fermenti che esattamente quattro anni or sono, il decennale fascista suscitò nella vita politica britannica. Queste forze considerano Eden, dopo Baldwin,

come il maggiore responsabile delle gravi difficoltà in cui si trova in questo momento la politica interna ed internazionale dell'Inghilterra.

Su questo aspetto della situazione della politica interna britannica mi riservo di riferire, con un esame approfondito, a V. E. Sarò intanto grato se, per mia norma di linguaggio nei futuri miei contatti con Eden e Vansittart, V. E. vorrà dirmi se nella discussione di ieri non ho interpretato esattamente le direttive di V. E., nonché le eventuali istruzioni cui ispirare la mia azione (l).

(l) -Vedi p. 215, nota l. (2) -Vedi D. 197. (3) -Vedi D. 182.

(l) Allude all'ammissione della delegazione etiopica ai lavori della Società delle Nazioni, 11 23 settembre precedente. Vedi p. 107, nota 2.

(1) -Vedi p. 15, nota 1. (2) -Vedi p. 15, nota 2.

(l) Vedi p. 20, nota !.

216

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 3310/1302. Mosca, 14 ottobre 1936 (per. il 19).

Il silenzio piuttosto sinistro che ha finora accompagnato il processo di epurazione in seno alle istituzioni del partito ed alle organizzazioni della economia sovietica, è stato rotto recentemente da un articolo apparso nella Pravda dell'S corrente.

L'editoriale dell'organo ufficiale del partito comunista è stato immediatamente riprodotto da tutta la stampa russa e questa diffusione, evidentemente comandata, sembra rivelare, nella rinnovata campagna anti-trotzkista, la vastezza e la profondità dell'azione repressiva che la dittatura staliniana si mostra decisa a condurre contro l'opposizione, ripetendo le forme di persecuzione già usate dal bolscevisn10 contro le antiche classi zariste ed i controrivoluzionari bianchi.

Dopo il silenzio che aveva accompagnato le fucilazioni recenti della vecchia guardia leninista (2), l'articolo della Pravdn viene a gettare uno sprazzo di luce sulla situazione interna dell'U.R.S.S. In esso si ripete la nota accusa fatta durante il processo dei Sedici, e cioè che i trotzkisti si sono mostrati; nella loro nuova veste, quali diretti collaboratori del fascismo. Per provarlo, si afferma senz'altro che la stampa fascista ha assunto nella contingenza le difese degli imputati e si ripete che il trotzkismo altro non sarebbe che lo strumento dei nemici dell'U.R.S.S. e del comunismo, allo stesso modo che i partiti socialdemocratici avevano usato le armi della contro-rivoluzione per tradire, agli inizi del bolscevismo, la causa comunista.

Dal processo di Mosca -afferma la Pravda -è risultato che gli agenti del trotzkismo non solo avevano tentato di sopprimere gli uomini più in vista del bolscevismo ma, penetrando nelle organizzazioni del regime, hanno sabotato l'opera costruttiva del proletariato sovietico. È questa una affermazione abbastanza sintomatica. Essa ci informa anzitutto che l'opposizione, dopo essere entrata nelle istituzioni del partito e nelle sfere dirigenti della dittatura staliniana, si era infiltrata anche nella organizzazione economica sovietica. Accusando poi il sabotaggio di questa stessa opposizione, si viene a confessare lo stato di marasma in cui sta tuttora dibattendosi l'economia dell'U.R.S.S. nel

--Documenti diplomatioi -Serle VIII -Vol. V

campo dell'industria come in quelli dell'agricoltura e dei trasporti. Si ammette cioè che quelle che finora erano state tacciate come <<calunnie della stampa estera» -e che oggi si qualificano come effetti di sabotaggio -non erano in definitiva tanto infondate.

Col suo articolo la Pravda riconosce anche, implicitamente, l'esistenza di un malcontento diffuso in tutti gli strati della società comunista. Naturalmente la colpa ne viene gettata sui trotzkisti ed in genere sui nemici dell'U.R.S.S. In realtà trattasi -per quanto io ne posso giudicare dalle impressioni raccolte durante i primi giorni di mia residenza a Mosca -di malcontento dovuto ad effettive difficoltà della vita sociale, ad una forte penuria dei prodotti di largo consumo (si riconosce una crisi dell'industria leggera in contrasto coi vantati progressi dell'industria pesante), ad una grande sperequazione fra n salario nominale del lavoratore ed il costo della vita.

Come rimedio a siffatta situazione, l'organo del partito comunista non sa offrire che una soluzione: giustizia sommaria, eliminazione spietata degli oppositori trotzkisti. Si tratta -dice la Pravda -di far piazza pulita, di continuare l'« epurazione» iniziata col processo di Kirov. Tale sembra essere il programma affidato al nuovo commissario dell'Interno Jechov il quale, per avere trascorso quasi tutta la sua carriera politica nelle organizzazioni del partito e nel Comintern, dovrebbe saper giudicare con maggior « senso di discriminazione» che. non i suoi predecessori -cito le parole della Pravda -le sfumature nelle tendenze degli uomini del partito e dei responsabili dell'economia sovietica.

La Pravda dice poi che «bisogna spiegare il senso dei recenti avvenimenti politici specialmente alla gioventù». Anche questa affermazione appare sintomatica, perché lascia trasparire il timore che il malcontento si annidi, non soltanto nelle fila della vecchia guardia, ma anche fra gli elementi giovani cresciuti ed educati in regime sovietico. Il « Komsomol » (che -come si ricorderà -ha subito quest'anno una trasformazione abbastanza radicale, la quale ne ha ridotto la funzione politica ai compiti più pratici del patriottismo e della preparazione militare per « la difesa della patria sovietica » presenterebbe adunque esso pure qualche tara! Abbiamo qui un'altra prova del malcontento popolare, da attribuirsi forse anche a necessità di ordine spirituale.

Conviene notare che la stessa Pravda accenna a possibili temperamenti dell'azione repressiva, specificando che « bisognerà distinguere tra trotzkismo controrivoluzionario e casuali esitazioni o legami personali di singoli onesti uomini sovietici». Questo temperamento ha indubbiamente lo scopo di tranquillizzare le masse comuniste, rimaste disorientate, nervose e preoccupate dopo le sommarie esecuzioni di Kamenev, Zinoviev e compagni. Vien naturale di chiedersi, però, se i criteri di equità suggeriti dalla Pravda saranno in pratica applicati. Sta di fatto che, ogni qualvolta sono sorte delle gravi difficoltà economiche o sociali, il regime sovietico ha reagito violentemente con la persecuzione dei cosidetti nemici del comunismo.

In conclusione, la situazione interna rimane sempre molto tesa. Dopo la violenta reazione della stampa internazionale al processo dei Sedici, il quale ha avuto profonde ripercussioni anche sui fronti popolari ligi al Comintern, è probabile che Stalin e Jechov non commetteranno l'errore tattico di fare un altro sensazionale processo politico a porte aperte. È da chiedersi inoltre se Radek e Piatakov (vice commissario della industria pesante) -oggi già imprigionati sotto gravi accuse di tradimento e passibili quindi di pena capitale si presterebbero anch'essi a ripetere la farsa delle auto-denuncie inscenata da Jagoda nel processo dei Sedici. È probabile quindi che la «epurazione , venga fatta alla sordina. Che essa debba avvenire su larga scala, però, l'articolo evidentemente ispirato alla Pravda sembra annunciarlo in modo inequivocabile (1).

(l) -Il 21 ottobre, Mussolini telegrafava a Grandi: «Letto il tuo interessante colloquio con Eden e approvo tuo linguaggio» (T. 4648/566 R, ore 16). (2) -Vedi p. 72, nota 3.
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IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, PI'ITALIS AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 7552/575. Monaco di Baviera, 14 ottobre 1936 (per. il 16).

Nella lotta per l'insegnamento primario nelle scuole pubbliche che ho ripetutamente segnalato nelle sue fasi a ritmo accelerato, oggi il governo bavarese ha dato un giro di vite che, insieme a quello pure riferito a suo tempo relativo alle scuole cosidette collettive in sostituzione di quelle confessionali, segna quasi la vittoria decisiva del regime socialnazionale sull'insegnamento confessionale. E difatti viene oggi ufficialmente annunziato che col 1° gennaio prossimo venturo verranno a cessare di esistere tutte le scuole tenute in Baviera da ordini religiosi, specialmente femminili, le quali, in base alle leggi finora vigenti in questo Paese, venivano equiparate alle scuole pubbliche obbligatorie, caso unico, del resto, di fronte agli altri Paesi del Reich.

Per comprendere la portata del provvedimento, a parte quella evidente di carattere politico-religioso, occorre aver presente che si tratta di non meno di 40(] scuole, con un complesso di ben 1676 insegnanti religiose appartenenti ai più diversi Ordini: suore inglesi, francescane, benedettine, domenicane, orsoline, cistercensi, clarisse ecc. ecc. Per addivenire ad un tal provvedimento è stato necessario predisporre una riforma all'art. 24 della legge sull'insegnamento bavarese, coll'autorizzazione del governo del Reich, attraverso il suo Statthalter per la Baviera, generale von Epp, riforma che verrà prossimamente pubblicata nel suo testo preciso.

Si preannunzia frattanto fin d'ora che sulla base delle nuove norme potrà venire anche sensibilmente modificato il metodo e fino il contenuto dell'insegnamento, coll'introduzione, in particolare, di tutti quei rami dÌ-attività-che erano inconciliabili collo spirito stesso degli ordini religiosi e degli istituti d'insegnamento da esso dipendenti: come ad esempio l'insegnamento della storia, dei principi razzisti, della biologia, e, nel campo sportivo, del nuoto, dei tornei, della partecipazione a campi di lavoro che, colle nuove leggi del Reich, diviene obbligatoria anche per le donne. E viene pure specificato che, di conseguenza, dovranno divenire più frequenti e più stretti i rapporti colle organizzazioni femminili hitleriane, sia delle ragazze che delle loro insegnanti per quella sempre maggiore preparazione e partecipazione alla vita pubblica, al di fuori

dellE; ore di scuola, che prima era assolutamente esclusa dalle regole stesse dei vari ordini religiosi.

Rendendosi conto del disagio anche materiale in cui verranno a trovarsi tante religiose private del loro impiego e quindi della loro prima fonte di guadagno, si preannuncia, infine, che si procurerà di procedere gradatamente a poco a poco alla loro eliminazione. Si prevede che in un primo tempo si limiterà il licenziamento a circa seicento insegnanti religiose, lasciando adito a che molte di esse possano venire riassunte ove mostrino irrepugnabilmente di potere senza riserva adempiere il loro compito in conformità della Weltanschauung socialnazionale.

Va rilevato, da ultimo, che colle nuove norme il governo bavarese raggiunge anche un alleviamento notevole degli obblighi finanziari che gli derivano dall'esistenza di tali scuole pubbliche affidate a ordini e congregazioni religiose.

-----·---------

Nel bilancio dell'anno in corso era difatti assegnata, in base alle norme di legge tuttora vigenti, la rotondetta somma di 3 milioni e 400.000 marchi dovuti ai vari ordini religiosi dirigenti tali scuole.

Le prime notizie che si diffondono ora su tale nuovo regolamento hanno, come è facile immaginare, avuto larga e viva ripercussione in questi ambienti cattolici ove proprio in questi giorni, è andata trapelando e diffondendosi anche la notizia delle avvenute perquisizioni a carico di S. E. monsignor Vassallo di Torregrossa, da me segnalate col precedente rapporto del 5 corr. n. 7329/556 {1). I circoli clericali locali invocano il concordato, ma ad essi si risponde già da parte ufficiosa nazista che l'articolo in questione del concordato, fissando che gli insegnanti appartenenti ad ordini religiosi non debbono essere soggetti a condizioni diverse da quelle previste per gli insegnanti laici, non impegna tuttavia in alcun modo il governo a riconoscere e tollerare una direzione dell'insegnamento ad ordini e congregazioni religiose, direzione che del resto non trova la sua corrispondente in alcuna analoga organizzazione laica (2).

(1) Questo documento reca il visto di Mussolini.

218

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10261/186 R. Bruxelles, 15 ottobre 1936, ore 20,52 (per. ore 1,20 del 16).

Mio telegramma per corriere n. 063 del 9 corr. (3). Circoli ufficiali si mostrano riservati circa esatta portata, nei riguardi internazionali, delle dichiarazioni del Re al Consiglio dei ministri di iersera ( 4) rela

tive riarmamenti e direttive fondamentali in politica estera. Appare comunque evidente che Sovrano ha voluto consacrare quel principio di «neutralità di fatto» cui signor Spaak ha sovente accennato, pur sempre evitando pronunciarsi sul modo in cui siffatto principio si concilierebbe con obbligo derivante al Belgio da appartenenza a Ginevra e dall'insieme accordi occidentali.

È poi notevole dichiarazione del Re giusta la quale politica belga dovrà d'ora innanzi tendere «a mettere il Paese al di fuori dei conflitti dei vicini ». Tale dichiarazione allude alle responsabilità che potrebbero derivare al Belgio, non solo da conflitti dipendenti dalle «alleanze » ed « intese» della Francia ma anche da eventuali conflitti politico-sociali in dipendenza del paventato avviamento della Francia verso il comunismo.

Giornali non commentano ancora discorso della Corona. Ma è da prevedere loro approvazione giacché grande maggioranza opinione pubblica, nell'auspicare una politica «esclusivamente belga», ad altro non tende che a vedere -per sempre -eliminata :r-o:;sibiìità di una r..olitica C:i alleanze, ritenendola atta ad accrescere probabilità guerra su territorio nazionale.

(l) -Non pnbblicato. Riferiva che, il 10 ottobre, la polizia aveva effettuato una perquisizione -durata tre. giorni -nel palazzo a?itato da Monsignor Vassallo di Torregrossa, già nunzio a Monaco d1 Baviera· che dopo la chiusura, nel 1934, della legazione d! Baviera presso la Santa Sede, aveva continuato a risiedere a Monaco in un palazzo cedutogli appositamente dal governo della Baviera e godendo d! alcuni privilegi propri della nunziatura, pur non facendo più parte del corpo diplomatico. Monsignor Vassallo era stato accusato di avere effettuato dei trasferimenti d! valuta all'estero. (2) -Il documento reca il visto di Mussol!nl. (3) -Vedi D. 187. (4) -Re Leopoldo aveva dichiarato che, per la sua posizione geografica, il Belgio doveva avere un sistema di difesa efficace, tale da dissuadere ! suoi vicini dall'utilizzare il suo territorio per attaccare un altro stato ma che esso non aveva altri impegni oltre questo cd aveva ribadito che il Belgio doveva seguire una politica che lo mantenesse al di fuori dei conflitti che potessero sorgere tra ! Paesi limitrofi. Il testo del discorso è !n DDB, vol. IV, D. 128.
219

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10374/064 R. Bruxelles, 15 ottobre 1936 (per. il 19).

Mio telegramma odierno n. 186 (1).

Dichiarazioni del Sovrano, circa riarmo e neutralità belga, obbediscono allo stesso tempo a ragioni di politica interna ed estera. Per le prime basterà accennare alla viva opposizione dimostrata da qualche mese in qua in modo particolarmente accentuato -come il mio predecessore non ha mancato di riferire -dalla parte fiamminga contro ogni alleanza franco-belga, nonché contro ogni presa di posizione anche solo apparentemente ostile alla Germania.

Questa opposizione ha poi trovato un indiretto ma efficace conforto in alcuni avvenimenti prodottisi di recente, ossia: a) l'intesa formatasi fra il rexismo ed i nazionalisti fiamminghi, entrambi tutt'altro che inclini alla Francia ed anzi a tendenza germanofila (mio telespresso n. 927 del 9 corr.) (2); b) la divisione avvenuta di fatto (malgrado la panacea dell'istituito « direttorio » inteso a salvaguardare apparentemente l'unità delle forze) nel partito cattolico, mercé la formazione di due ben distinti gruppi: l'uno fiammingo e l'altro vallone (mio telespresso n. 5079/94.6 del 12 corr.) (2). Questa divisione è destinata ad avere probabilmente gravi ripercussioni, giacché mentre è un preludio a quel

federalismo così vivacemente auspicato dai fiamminghi, può anche divenire un implicito avviamento al separatismo, giacché una federazione ristretta a due soli elementi, e di forze sproporzionate, si presta a favorire l'assoluta prevalenza degli ideali politici della parte più numerosa, che nel caso in questione è proprio quella fiamminga; c) la vivace campagna dei fiamminghi (per ultimo il discorso dell'ex ministro Sap: mio telespresso n. 947 del 12 corr.) (l) in favore di una «neutralità di fatto o volontaria»; una tendenza cui la socialdemocrazia, sia per l'imponenza delle forze fiamminghe nell'attuale maggioranza parlamentare, sia per il dissidio dottrinale fra il francofilo Vandervelde ed il neutralista Spaak, non ha potuto contrapporre alcuna seria opposizione.

Circa le ragioni di politica estera, che hanno influito sul Sovrano, basterà accennare alle ripercussioni (che ho riscontrate assai più profonde di quanto non lo immaginassi) che hanno qui avuto la rioccupazione della Renania, l'indebolimento di Ginevra, il riarmo del Reich, l'accordo franco-russo e sopratutto la costituzione del Fronte Popolare in Francia, in rapporto ad eventuali conflitti internazionali di regimi. E quest'ultima preoccupazione ha finito, secondo la mia impressione, col prevalere su ogni altra considerazione: il dubbio assillante della maggioranza del Paese essendo che in un'eventuale conflitto russo-tedesco, un governo marxista o comunista francese, sia per la difesa della sua ideologia che per obblighi derivantigli dal patto con Mosca, potesse decidere il suo intervento, coinvolgendo la responsabilità del Belgio.

Come ho telegrafato testé, le sfere ufficiali si mantengono del tutto riservate circa la portata, agli effetti internazionali delle dichiarazioni del Sovrano. Tuttavia può notarsi la tendenza ad escludere che esse siano incompatibili con una perdurante appartenenza del Belgio alla Società delle Nazioni. Osservasi che da un canto la «neutralità di fatto» non esclude l'osservanza degli impegni ~inevrini, e dall'altro che la dichiarata contrarietà a stringere alleanze non impedisce eventuali accordi internazionali, sempre quando questi non eccedano la portata degli obblighi contemplati dal Patto ginevrino. Ed in tale ordine di idee si lascia financo trasparire che le stesse intese fra gli Stati Maggiori belga e francese, di cui allo scambio di lettere del marzo scorso (2), potrebbero sussistere con la nuova politica iniziata dal Sovrano. Si insiste inoltre sul fatto che una neutralità <<effettivamente armata» è per la Francia un elemento di sicurezza assai più concreto ed efficace che quello ad essa derivante da un qualsiasi trattato.

Come che sia, io inclino tuttora a ritenere (mio telegramma per corriere

n. 060 del 30 settembre (3) che le decisioni di Re Leopardo siano state prese in seguito a segreti approcci presso il governo di Londra. II che, qualora provato, potrebbe essere un importante indizio circa il reale pensiero britannico nei riguardi del nuovo Locarno ed in genere del problema della sicurezza occidentale.

(l) -Vedi D. 218. (2) -Non pubblicato. (l) -Te!espr. 5077/947 del 12 ottobre. L'ex ministro cattol!co Sap aveva affermato che 11 ministero van Zee!and non era riuscito a real!zzare la paclflcazlone del Paese e che 1 partitiestremisti avevano approfittato di tale Incapacità per guadagnare sempre più terreno. (2) -Scambio di lettere tra ! governi belga e francese del 6 marzo 1936 che denunciava l'accordo del settembre 1920, l!mitando il contenuto del contatti tra gli Stati Maggior! allo studio per l'esecuzione dei sol! impegni derivanti dal Trattato di Locarno (testo !n DDB, vol. III, D. 176). (3) -Vedi D. 138.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10385/0511 R. Londra, 15 ottobre 1936 (per. il 19).

Come già durante il conflitto abissino, la Chiesa anglicana sta ora cercando di nuovo di cogliere occasione da guerra civile in !spagna per condurre sua lotta contro Chiesa cattolica romana e atteggiarsi a leader delle chiese cristiane protestanti nonché depositaria ed interprete dei principii democraticosocietari. Segnalo a questo riguardo il discorso pronunciato ieri dal vescovo anglicano di Fulham il quale ha attaccato astiosamente l'atteggiamento della Chiesa cattolica a favore degli insorti spagnoli. «Il conflitto odierno -egli ha dichiarato -non è infatti un conflitto fra cristianità e comunismo, ma un conflitto politico fra il fascismo e il comunismo.

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IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10394-10396/064-065 R. Sofia, 15 ottobre 1936 (per. il 19).

Oggi sono stato ricevuto dal presidente del Consiglio tornato ieri l'altro da Ginevra. Circa sua azione e sue impressioni lavori Assemblea, mi ha detto essere oltremodo soddisfatto di aver potuto differenziare attitudine Bulgaria nella votazione riguardante conflitto itala-etiopico (l) e si è anzi attribuito merito di aver persuaso delegato svizzero seguire suo esempio: dal complesso lavori e dall'atmosfera regnante a Ginevra è ritornato completamente scettico circa vitalità S.d.N. e più che mai persuaso che solo se Italia e Germania vorranno accordarle in futuro loro collaborazione Istituto potrà sopravvivere sua crisi. attuale.

In un colloquio da lui avuto con Eden, questi avrebbe vivacemente reagito ad accuse di italofobia ed espresso speranze che difficoltà provocate da questione etiopica vengano appianate alla prossima riunione assemblea.

Le accoglienze avute a Belgrado (2) sono state lusinghiere per la sua persona ma a suo dire visita non ha dato pratici risultati. Stojadinovic ha ripetuto punto di vista governo jugoslavo confidatomi da Nicolaev (mio telegramma per corriere n. 061 del 9 ottobre) (3) dicendo che non può stringere con Bulgaria nessun patto speciale (credo che qua si pensi ad un patto d'amicizia e non aggressione), non solo senza avere previamente consultato altri governi Intesa Balcanica, ma senza che sia data anche ad essi possibilità di accedervi.

Circa situazione interna, presidente Consiglio ha ostentato molta tranquillità e fiducia nella sua personale situazione. Mi ha detto che i due ministri

tzankovisti, che in questi ultimi giomi avevano fatto correre voci di dimissioni (mio telegramma filo 135 del 14 ottobre) (1), ieri sera nel corso del primo Consiglio dei ministri dopo il suo ritorno non avevano aperto bocca. Forse essi temono dimettendosi di essere sostituiti senza che vi sia vera e propria crisi di governo e sperano di costringerlo a presentare dimissioni intero Gabinetto in seguito a nuovi possibili incidenti. Per conto suo si ritiene sicuro di poter affrontare qualsiasi situazione (mio telegramma per corriere odierno numero 063) (2) se la fiducia del Sovrano continua ad assisterlo e a dargli tempo di affettuare riforma costituzionale che ha in animo. Aveva avuto un primo colloquio con Re Boris il giorno stesso del suo arrivo martedì 13 corr. ma Sua Maestà, che rispetta le superstizioni del martedì e del 13. gli aveva detto che quel giorno si sarebbe limitato ad ascoltarlo ma che lui stesso avrebbe parlato un altro giorno. Né ieri né oggi lo ha rivisto.

Avendogli io detto che prossimamente mi sarei allontanato da Sofia in breve congedo, il signor Kiosseivanov mi ha pregato di esprimere al Duce ed alla E. V., se ne avessi avuto l'occasione, i suoi più deferenti sentimenti, aggiungendo che, se resterà al governo, non mancherà di intraprendere un giro di visite all'estero e che spera che la prima tappa di questo suo viaggio possa essere Roma.

(l) -Il 23 settembre nella votazione 'ulla validità dei poteri della delegazione etiopica il delegato della Bulgaria si era astenuto (vedi p. 107, nota 2). (2) -Kiosseivanov, di ritorno dalla sessione della Società delle Nazioni, si era fermato il 12 ottobre a Belgrado. (3) -Vedi D. 188.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4205/1470. Berlino, 15 ottobre 1936 (per. il 19).

Come V. E. sa da parecchio tempo si rileva in Germania una intensa ripresa della propaganda a favore della restituzione delle colonie di cui i tedeschi sono stati privati in seguito alla guerra. Tale propaganda si era limitata in un primo tempo a manifestazioni, quasi di camttere privato in occasione di ricorrenze, di commemorazioni o di altri avvenimenti appropriati, a cui i poteri pubblici accordavano soltanto in sordina il proprio consenso. Soltanto durante il congresso di Norimberga nel mese di settembce scorso il Cancelliere Hitler pose chiaramente in uno dei suoi discorsi il problema delle rivendicazioni coloniali tedesche, non certo come richiesta di politica immediata ma come accenno ad una questione indissolubilmente connessa coi bisogni di esistenza della Germania.

Il terreno sul quale la questione è ora posta è piuttosto quello economico che non quello prettamente politico, poiché il Cancelliere ha giustificato le richieste tedesche con la necessità assoluta per la Germania di possedere territori in cui rifornirsi di materie prime senza incontrare difficoltà di ordine monetario come per gli acquisti che essa è costretta a fare all'estero con conseguenti pagamenti in divise. E su questo terreno economico il problema è

rimasto anche nelle dichiarazioni successivamente fatte da personalità eminenti. Esso è del resto quello che meglio si presta per un inizio di discussione del problema, poiché quello politico è ancora troppo poco preparato e su di esso le resistenze sono certamente più forti, come è dimostrato dalle recenti deliberazioni dell'assemblea del partito conservatore inglese e dalle dichiarazioni di fonte governativa britannica, contrarie tutte, senza attenuazioni, ad un esame di questioni coloniali a base territoriale.

Da ultimo, le svalutazioni monetarie recenti e le conseguenti discussioni avvenute a Ginevra ed altrove sull'opportunità di esaminare se non sia giunto il momento per migliorare i rapporti economici internazionali hanno conferito al problema delle materie prime, e sotto questa forma al problema coloniale, una nuova attualità. La Germania ne ha approfittato immediatamente ed è partita decisamente all'attacco. Non passa giorno, si può dire, che uno dei dirigenti tedeschi non faccia dichiarazioni in proposito, mentre d'altra parte giornali e riviste autorevoli trattano la questione sotto i suoi diversi punti di vista. Così, questo è stato il motivo dominante dei discorsi pronunciati a distanza di pochissimi giorni dal dr. Schacht ministro dall'Economia e Presidente della Reichsbank, dal rappresentante del Fuhrer, Rodolfo Hess, ed oggi ancora dal Ministro delle Finanze conte Schwerin von Krosigk.

La Germania, si dichiara in sostanza. non intende segregarsi dal mondo e non è affatto ostile ad una collaborazione internazionale nel campo economico, collaborazione che la interessa al sommo grado, nella sua qualità di Paese obbligato a basare una parte notevole della sua economia sul commercio con l'estero. Ma questa sua eventuale collaborazione richiede come premessa indispensabile che il governo tedesco venga posto in grado di trattare a parità di condizioni con gli altri Paesi, circostanza che non si verificherebbe se non venissero regolate in modo soddisfacente il problema di una più equa distribuzione delle materie prime nel mondo e quello della liquidazione dell'indebitamento internazionale.

«La questione del ritorno ad una economia libera -faceva rilevare a questo proposito recentemente una nota della Corrispondenza politica e diplomatica -non farà un passo innanzi mediante discorsi o programmi unilaterali. È chiaro che essa si presenta sotto un aspetto diverso a seconda che essa venga esaminata dal punto di vista dei Paesi debitori o da quello dei Paesi creditori». Un argomento analogo svolge un articolo comparso il 14 corrente sulla Frankjurter Zeitung, la quale dichiara nettamente che l'ostacolo principale ad una stabilizzazione reale è costituito dall'« indebitamento internazionale». In questa espressione il giornale comprende anche i debiti contratti fra gli Alleati durante la guerra, mossa tattica questa, fatta certo per rendere meno sgradevole la cosa ai Paesi che dovrebbero partecipare al «regolamento » dei debiti tedeschi, cioè in altre parole alla loro cancellazione totale o quasi.

La Germania ha dunque già occupato le sue posizioni. Rappresentanti del governo, del Partito e dell'economia hanno ora parlato ed esposto la tesi tedesca. Se alcune leggere divergenze, più che altro di carattere tattico, (all'estero si è esasperato mettendo Hess contro Schacht e viceversa) hanno potuto essere rilevate nelle dichiarazioni dei singoli oratori, non vi è dubbio che sul fondo tutti sono d'accordo nelle loro rivendicazioni. Bisogna dunque attendersi nel prossimo futuro a nuove offensive sulle due questioni sovraesposte che costituiscono i cardini della politica economica tedesca attuale nei suoi tentativi di riavvicinamento cogli altri Paesi.

(l) -T. 10223/135 R. delle ore 20, che riferiva circa la situazione politlc;t interna in Bulgarh. (2) -T. per corriere 10393/063 R., con il quale Sapuppo riferiva tra l'altro le d!chiarazlonl fattegli dal presidente del Consiglio bulgaro circa la scarsa pericolosità di Zankov e del suoi seguaci.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 4580/300 R. (l). Roma, 16 ottobre 1936, ore 13.

Ecco testo tre documenti da me consegnati a Hassell (2). Documento n. l.

Locarno

I due Governi sono d'accordo nel ritenere che la nuova [Locarno] non debba dipartirsi dalle caratteristiche [della vecchia] Locarno e pertanto che essa debba uniformarsi al principio di un Patto bilaterale di non aggressione francotedesco [garantito] dall'Inghilterra e dall'Italia e non trasformarsi in un [patto] regionale di reciproca garanzia. Essi sono contrari ai [patti] regionali anche soltanto tripartiti. I due Governi sono d'accordo di eliminare dal nuovo Patto le clausole relative alla demilitarizzazione della Renania, e, per quanto [riguarda] le «eccezioni ~. il Governo Italiano è disposto ad appoggiare quello tedesco perché tra tali « eccezioni » non si introduca il Trattato franco-sovietico e, nei limiti in cui possibile nello stesso senso, il Trattato franco-cecoslovacco.

Società delle Nazioni

Finché l'Italia resti nella S.d.N., terrà pienamente [conto] nella sua politica nell'interno della Società, degli [interessi] comuni ai due Paesi. I due Governi si terranno all'uopo in contatto, ove l'Italia decidesse di uscire dalla S.d.N., il governo tedesco riconosce che tale decisione costituirebbe per la Germania un fatto nuovo sufficiente per svincolarla dagli [impegni] presi al riguardo con le sue dichiarazioni del 7 e del [31 marzo] 1936 (3). La Germania non rientrerebbe in tal caso a Ginevra [se non] d'accordo con l'Italia.

Parità di diritti coloniali

L'Italia è pronta a riconoscere alla Germania [l'eguaglianza] di diritti coloniali e a dare il suo appoggio diplomatico [perché] tale riconoscimento avvenga anche per parte degli [stati] terzi.

Comunismo

I due Governi riconoscono che il maggiore pericolo che minaccia la pace e la sicurezza dell'Europa è il comunismo e confermano il proposito di

combattere la propapaganda [comunista] con tutte le loro forze, informando a questo criterio la propria azione.

Spagna

Poiché i nazionali occupano la più gran parte della Spagna ed i Governi italiano e tedesco vi hanno rilevanti interessi economici, i due Governi procederanno al [più presto] al riconoscimento di fatto del Governo nazionale spagnolo e si terranno in rapporto per procedere successivamente al riconoscimento di diritto. Nel darne l'annuncio, i due governi confermeranno il principio di non intervento e il riconoscimento dell'integrità e della unità territoriale della Spagna e [delle sue colonie] . Essi rileveranno pure, nella dichiarazione di riconoscimento, che riconoscono il Governo nazionale per le prove che ha dato nel ristabilire l'ordine e la disciplina civile nel Paese.

Collaborazione economica itala-tedesca nel bacino danubiano.

I due Governi riconoscono la possibilità e l'utilità di siffatta collaborazione, le cui modalità e i cui [limiti] verranno successivamente studiati dai rispettivi organi tecnici, restando a base di siffatta collaborazione gli accordi di Stresa (1), il Memorandum italiano del 29 settembre 1933 (2), i protocolli itala-austro-ungheresi di Roma del 1934 (3) ed il trattato austro-tedesco recentemente concluso (4). I contratti [tra glil organi tecnici si inizieranno coll'esame del promemoria tedesco del 12 ottobre 1936 (5), basato appunto sul principio generale della colhborazione economica itala-tedesca nel bacino danubiano, principio riconosciuto dai due Governi.

Manciukuò

Il Governo italiano ha informato il Governo tedesco di essere in rapporto con quello giapponese, su iniziativa di quest'ultimo, per uno scambio di rappresentanti [consolari], scambio che potrà preludere al riconoscimento del nuovo Stato. I due Governi si consulteranno ove si addivenisse al riconoscimento per procedere d'intesa.

Documento n. 2. -Progetto di comunicato n. l

Nel colloquio che ha avuto luogo tra il Ftihrer ed il Conte Ciano, presente il Ministro degli Affari Esteri tedesco, il Ftihrer e Cancelliere del Reich ha comunicato al rappresentante del Governo fascista che la Germania ha proceduto al formale riconoscimento dell'Impero Italiano d'Etiopia. Il Ministro degli Affari Esteri d'Italia ha preso atto di tale comunicazione esprimendo la soddisfazione e l'apprezzamento del Governo.

Documento n. 3. -Progetto di comunicato finale Nei vari colloqui che hanno avuto luogo tra il [Fiihrer] e Cancelliere del Reich, il Ministro degli Affari Esteri tedesco Barone von Neurath e il Ministro degli Affari Esteri del Governo fascista Conte Ciano, sono state prese in esame le questioni attuali d'ordine politico e sociale di maggior rilievo e, in particolare, quelle che riguardano più [direttamente] i due Paesi. Le conversazioni si sono svolte in un clima di amichevole cordialità; ed è stato constatato con reciproca soddisfazione la concordanza di vedute e il proposito [dei due] Governi di svolgere un'azione comune a vantaggio dell'opera generale di pace e di ricostruzione. I due Governi hanno deciso di tenersi in rapporto per la realizzazione di tale opera.

(1) -Il documento è deteriorato. Le parole mancanti sono state qui aggiunte tra parentesiquadre, utilizzando per controllo anche !a traduzi.:me !n lingua tedesca pubblicata In DDT, serie C, vol. V. t. 2, D. 602. (2) -Come risulta dal resoconto dell'ambasciatore tedesco, Il colloquio ebbe luogo il 14 ottobre (ibid.). Negli archivi italiani non è stata trovata documentazione in proposito. (3) -Memorandum del governo tedesco relativo alla questione renana del 7 marzo 1936 (vedi p, 145, nota 3) e piano di pace tedesco dal 31 marzo (vedi p. 177, nota 4). (l) -Si riferisce agli accordi conclusi alla conferenza per !l progresso economico dell'Europa sud-orientale tenutosi a Stresa dal 5 al 20 settembre 1932 (si veda anche serle settima, vol. XII, D. 245). (2) -Memora,ndum italiano per l'Europa danubiana del 29 settembre 1933, testo !n serle settima, vol. XIV, D. 232. (3) -Vedi serie settima, vol. XIV, D. 811. (4) -Si riferisce all'accordo dell'll luglio 1936. (5) -Vedi p. 223, nota l.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 10298/469 R. Berlino, 16 ottobre 1936, ore 18,20 (per. ore 19,30).

Qui si va facendo strada l'opinione che, in vista della estrema delicatezza della situazione spagnola, subito dopo il riconoscimento di fatto o di diritto del governo nazionale, possa convenire alla Germania e a noi di svincolarsi senz'altro dall'impegno «non intervento».

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 4584/301 R. Roma, 16 ottobre 1936, ore 21,30.

In recente conversazione von Hassell mi ha detto che governo del Reich prima di procedere al riconoscimento formale dell'Impero vorrebbe avere alcune garanzie del punto di vista commerciale (1). A parte il fatto che è la prima volta che von Hassell parla di condizioni al riconoscimento, egli non ha saputo finora precisare.

Ad evitare equivoci, V. E. può fare presente a codesto governo che nelle condizioni attuali dell'Impero non è possibile prendere impegni di carattere definitivo. Comunque noi manteniamo offerte già fatte dal senatore Giannini in seguito ad una loro richiesta e cioè fissazione di un contingente eli scambi Germania-Etiopia per determinare merci e per quantitativi da fissarsi di comune accordo periodicamente, con pagamenti da regolarsi in clearing al cento per cento e quindi con esclusione di punte in favore dell'una e del

l'altra parte. V. E. potrà aggiungere che al momento degli accordi definitivi verrà tenuto presente il fatto che Germania ha per prima proceduto al riconoscimento dell'Impero (1).

(l) Su la questione degli Interessi tedeschi In Etiopia, già da lui sollevata in un co!JoqPio del 12 ottobre (vedi p. 223, nota 1), von Hassell era tornato di nuovo con Cia.no il 14 ottobre (negli archivi italiani non si è trovata documentazione in proposito ma si veda il resoconto dell'ambasciatore tedesco in DDT, serie C, vol. V, t. 2, D. 602), dietro pressanti istruzioni della Wilhe!mstrasse che sottoìineavano l'importanza da assegnare agli aspetti economkl nel quadro dl un'intesa italo-tedesca e l'urgenza di un accordo In materia che si clesicierava concludere prima della partenza di Ciano per la Germania e quindi prima di avere cfL>ttuato !l riconoscimento dell'Impero (ibid., D. 595). L'entità della progettata penetrazione tedesca In Etiopia è indicata dalle successive istruzioni inviate il 14 ottobre a von Hassell (ibid. D. 597).

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10308/472 R. Berlino, 16 ottobre 1936, ore 21,35 (per. ore 23,30).

Protocollo analogo a quello questione catalana. Mia telefonata a ministro Buti.

Idea (aggiuntiva a quella che sarà fatta presente da von Hassell) circa opportunità estendere impegno consultivo fra governo italiano e tedesco ad una eventuale «cultura catalana» che potesse sorgere, è emersa nel corso di una conversazione avuta da me in questo ministero Affari Esteri e in cui si è riconosciuto non essere da escludere che (onde attenuare i contraccolpi di un riconoscimento italo-tedesco del Governo nazionale spagnuolo) possa essere opportunamente suggerito a quest'ultimo di non mostrarsi, almeno in un primo momento, in modo assolutamente contrario ad ogni e qualsiasi forma di autonomia catalana. Il liberismo inglese potrebbe, in una relativa condiscendenza da ·noi pel governo di Franco, trovare « un pretesto di meno » per azione e reazione che, avendo l'aria di essere in favore della Catalogna, sarebbe in fatto contro di noi.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 103~8/0291 R. Parigi, 16 ottobre 1936 (per. il 19).

Ho avuto oggi occasione di intrattenermi con il mio collega belga che mi ha detto non riuscire a comprendere la sensazione prodotta in Francia dal recente discorso di S. M. il Re Leopoldo, giacché il suo Sovrano si era astenuto, a ragion veduta, dal pronunciare la parola «neutralità» e non aveva detto alcuna cosa che fosse contraria agli obblighi assunti dal Belgio. Il conte de Kerchove, rammentando conversazioni avute meco durante la nostra simultanea missione a Berlino, mi disse che egli aveva costantemente assicurato il governo del Reich che il Belgio non era per nulla alleato con la Francia. Le sue dichiarazioni erano state costantemente accolte con scetticismo a Berlino ma il linguaggio del Re Leopoldo provava ora che il suo rappresentante aveva detto il vero.

Presentemente, a Parigi l'opinione pubblica giudicava le dichiarazioni del Re del Belgio come una specie di denuncia di un'alleanza colla Francia. Ma questa non era mai esistita, avendo il Belgio avuto i propri compiti internazionali tracciati in modo chiaro e quindi indubbio dal Trattato di Locarno. Esso lo

obbligava, come obbligava Italia ed Inghilterra, a prestare assistenza tanto alla Francia che alla Germania se uno di questi ultimi due Stati fosse stato aggredito dall'altro. Il fatto stesso di avere assunto questo obbligo escludeva pertanto che il Belgio si alleasse, sia colla Francia, che colla Germania. Erano bensì intervenuti accordi fra gli Stati Maggiori di Francia e del Belgio (l); ma essi erano in parte conseguenze della fraternità d'armi durante la guerra ed in parte del fatto innegabile che è maggiore la probabilità che sia la Germania ad attaccare la Francia, sopratutto dopo il riarmamento del Reich.

Il conte de Kerchove tenne a ricordarmi quanto mi aveva detto qualche mese fa circa tali conversazioni fra militari, cioè che esse non significavano per nulla che esistesse un'alleanza tra Francia e Belgio ma soltanto che si erano prese misure precauzionali per determinate evenienze. Egli aggiunse che gli riusciva poco comprensibile il presente malumore francese, dato che l'atteggiamento del Belgio, enunciato d2J suo Sovrano, era identico a quello che questa piccola nazione aveva tenuto nell'agosto 1914 e che in quell'epoca era stato qualificato di eroico e portato alle stelle, mentre il Re Alberto ed il suo governo avevano ritenuto di fare né più né meno di quello che era il dovere del Belgio. Perché dunque questa differenza di apprezzamento oggi? La spiegazione si doveva a suo giudizio, ricercare nella mentalità del Quai d'Orsay dove prevalgono considerazioni astratte, puramente giuridiche, sopra quelle che sono le realtà della politica. Non si poteva pretendere che il Belgio prestasse fede alla assistenza che la S.d.N. dove accordare agli Stati aggrediti o minacciati dopo le ripetute prove dell'impossibilità di Ginevra di assolvere i compiti affidatile dal Covenant. Si poteva, anzi si doveva, attendersi dal Belgio che esso mantenesse gli obblighi assunti firmando il Trattato di Locarno. Ma dopo che questo era stato violato dalla Germania senza che la S.d.N. avesse fatto alcunché per ristabilire lo stato di cose precedente alla violazione, sarebbe stato assurdo ritenere che il Belgio potesse accettare di lasciarsi trascinare in un conflitto che scoppiasse in seguito ad una aggressione che avvenisse non già nella regione renana ma in quella dell'oriente europeo. In altre parole il Belgio era pronto, qualora il proprio territorio dovesse essere nuovamente invaso da un qualsiasi belligerante che intendesse transitarvi per aggredire più agevolmente un altro Stato, ad opporsi con la massima energia. Esso non intendeva viceversa di partecipare ad un conflitto fra due o più Stati che non violassero il proprio territorio e tanto meno poi poteva condividere la teoria della «indivisibilità della sicurezza », cara alla Francia, secondo cui il Belgio avrebbe dovuto obbligarsi ad entrare in guerra contro il Reich anche nel caso in cui questo Stato aggredisse uno o più Stati situati nell'oriente europeo. Il Re Leopoldo, col suo discorso molto opportuno ed accolto col massimo favore da tutti quanti in Belgio, aveva creduto di esporre chiaramente quali fossero le direttive del suo governo che sapeva di interpretare la volontà di tutta la Nazione. Egli aveva poi giudicato opportuno di farlo prima che si riunisse la conferenza degli Stati locarnisti ritenendo di apportare così ad essa un importante elemento chiarificatore.

Ho risposto al mio collega belga che la stampa italiana aveva commentato assai favorevolmente il discorso del suo Sovrano. Ci si compiaceva in Italia di constatare che il governo belga si andava avvicinando ai nostri punti di vista. Egli doveva infatti riconoscere che non si poteva muovere al governo fascista l'appunto di prestare maggiore attenzione alle concezioni giuridiche che allo stato reale delle cose. Era questa una delle ragioni per cui in Italia non si giudicavano realizzabili gli accordi regionali molto estesi di sicurezza e tanto meno si credeva possibile di assicurare la pace al mondo proclamando il principio astratto della «indivisibilità della sicurezza e della pace~. Mi riusciva d'altra parte comprensibile la profonda delusione che provava la Francia vedendo, nell'atteggiamento del Belgio, un grave scacco per la propria politica. Questa non aveva mutato dalla pace in poi: si basava sopra la S.d.N., cioè sopra la garanzia che tutti gli Stati membri si sarebbero coalizzati contro un eventuale aggressore e si completava con accordi di assistenza mutua meglio precisati. Era una politica che aveva avuto il grave torto, come il mio collega belga aveva dianzi detto assai opportunamente, di non tenere conto di taluni stati di fatto che erano radicalmente mutati negli ultimi anni. Ciò che valeva quando la Germania doveva accontentarsi di avere un esercito di centomila uomini non valeva evidentemente più quando il Reich si era riarmato ed era tornato ad essere lo Stato più potentemente armato d'Europa. Bastava pensare alla proporzione fra i centomila uomini tedeschi e gli eserciti di Polonia, Cecoslovacchia e Romania del periodo anteriore al 1932 per rendersi conto che allora la Francia poteva realmente considerarsi «sicura », ancorché non avesse mai voluto ammetterlo ed avesse sempre cercato maggiori garanzie. Ma dall'avvento al potere del nazionalsocialismo in Germania e sopratutto dall'annuncio nella primavera del 1935 della decisione di Hitler di riarmare in pieno, la proporzione fra l'esercito tedesco e quelli degli Stati satelliti della Francia si era modificata in modo tale da obbligare ciascuno di questi Stati a riflettere ai casi propri, tenendo presenti gli insegnamenti della storia. La Francia aveva avuto il grande torto di non voler vedere le cose con la loro faccia reale, si era cullata in illusioni ed avere bensì avuto bruschi e dolorosi risvegli come quello causatole dal mutato atteggiamento polacco, ma non aveva

nulla imparato. Aveva anzi perseverato nel voler favorire il costituirsi di intese regionali, come quella balcanica, valendosi a tal uopo dell'opera di amici ritenuti fidati quali Titulescu e Tewfik Aras. In Italia non ci eravamo mai eccessivamente preoccupati di questo lavorio, diretto in parte contro di noi, perché sapevamo perfettamente che esso era destinato a disgregarsi assai rapidamente. L'esempio dato oggi dal Belgio, a poco più di due anni di distanza dalla Polonia (l) doveva avere colpito in pieno il Quai d'Orsay che non può fare a meno di temere che gli Stati della Piccola Intesa siano tentati di fare altrettanto. Comprendevo quindi quale dovesse essere lo stato d'animo dei dirigenti la politica estera della Francia.

Ho chiesto infine al mio collega belga che cosa vi fosse di vero nella notizia riportata dai giornali del mattino secondo cui il governo francese starebbe pre

parando un questionario da presentare al governo belga per conoscere esattamente la portata delle dichiarazioni del Re Leopoldo. Il conte de Kerchove, che aveva avuto poco prima un colloquio col ministro Delbos, mi rispose che riteneva esatte le notizie di cui si tratta e che, da parte sua, considerava opportunissimo che il governo belga fosse in grado di fornire tutte le spiegazioni atte a chiarire la politica che si propone'ia di fare d'ora in poi.

(l) Per il seguito si veda D. 235.

(l) Si riferisce all'accordo tra gli Stati Maggiori belga e franc<Jse del 7 settembre 1920, completato dallo scambio d! lettere fra i governi del due Paesi del 10-15 settembre 1920 (te~~to in DDB, vol. I, DD. 175, 182 e 184).

(l) Si riferisce all'accordo tedesco-polacco del 26 gennaio 1934 (vedi p. 7, nota 2).

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10375/0294 R. Parigi, 16 ottobre 1936 (per. il 19).

Il di::;corso del Re Leopoldo circa la neutralità cui il Belgio intende titornare è riuscito molto sgradito alla Francia. Infatti esso è un grave colpo inferto all'ideologia societaria e al sistema della sicurezza collettiva, sulla quale il governo francese si è ostinato ad imperniare la sua politica estera. Si vedono svanire le possibilità locarniste; si teme un movimento centrifugo degli Stati legati alla Francia e il rafforzarsi delle posizioni diplomatiche della Germania e dell'Italia. I pessimisti sussurrano che il Belgio abbia agito d'intesa con la Inghilterra e che abbia perfino ricevuto degli affidamenti dalla Germania circa la sua sicurezza. Alcuni cercano di consolarsi affermando che la situazione geografica e l'interesse del Belgio di proteggere il Congo riporterà necessariamente il Belgio accanto alla Francia ma la sensazione della minaccia di isolamento prevale e i circoli di destra ne incolpano il patto franco-russo e la politica interna del gabinetto Blum che minaccia anche l'assetto dei Paesi vicini.

Nello stato attuale delle cose francesi -prestigio della Francia scosso all'estero a causa del fallimento ormai evidente delle sue ideologie e del profilarsi del suo isolamento; Gabinetto Blum malsicuro a causa del probabile atteggiamento dei radicali e della parte sana del Paese -mi sembra siano da scorgere altrettante ragioni che possono indurre la Francia a una maggiore comprensione degli interessi italiani.

229

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

L. S. PERSONALE 12387. Roma, 16 ottobre 1936.

Con l'unito esposto, che ti invio a titolo strettamente confidenziale e personale, in base ai precedenti in possesso di questo ministero ed a recenti notizie di fonte assolutamente attendibile, è stato fatto il punto della situazione legale della lingua italiana a Malta.

Per ogni eventualità ritengo sia utile tu sia a conoscenza di questi elementi in possesso del ministero.

ALLEGATO.

L'ABROGAZIONE DELLA «LEGGE PARI PASSU» A MALTA 2 SETTEMBRE 1936

I. Le Lettere Patenti relative alla Costituzione di Malta del 30 aprile 1921, nel loro articolo 37, sancivano il prinmpio dell'uguaglianza della lingua italiana ed inglese. In relazione a tale principio, garantito dalla CostituZlione dell'Isola, fu promulgata contemporaneamente una Legge, detta « Legge Pari Passu », allo scopo di stabilire dettagliatamente la procedura da seguire perché praticamente le lingue ilnglese ed itallana fossero riconosciute come lingue di uguale cultura (1).

L'applicazione di queste norme creò una situazione di notevole favore per l'italianità dell'Isola e favorì, nei primi anni di vita della CostituZlione Maltese del 1921, la difesa e lo sviluppo della lingua italiana. Parallelamente a questa soddisfacente situazione della lingua italdana, l'onesta applicazione della tollere.nte Costituzione del 1921 tavorì anche lo sviluppo poMtico dei partiti nazionali che dal 1921 al 1927 governarono felicemente l'Isola.

II. Con l'avvento del periodo Stricklandiano (1927) fu sferrata un'energica offensiva contro la lingua e l'italianità di Malta. Un complesso di provvedimenti -elencati cronologicamente nell'unito allegato n. 1 (2) -spesso adottati i.n aperta violazione delle norme costituzionali, restrinsero sempre più la possibilità di difesa della lingua italiana a Malta.

III. A partire dal 1934, nonostante le premse assicurazioni ricevute dall'ambasciatore Grandi in seguito ad un passo da lui compiuto al Foreign Office su istruzioni del Duce (allegato n. 2) (2), nuove restrizioni hanno successivamente smantellato gli ultimi spalti che difendevano a Malta 1a lingua itali.ana. L'attacco più deciso, voluto dalle Autorità britanniche contro la lingua italiana, è stato, per ovvie ragioni, quello mosso contro la Legge Pari Passu, la quale rilevando la sua autorità direttamente da w1a clausola della Costituzione del '21, era l'unica vera garanzia legale a difesa dell'Italiano.

Notizie pervenute al Ministero da fonte ·assolutamente autentica chiarìscono infatti le fasi dei successivi interventi delle autorità britanniche contro l'ilntegrità della legge tutrice della lingua italiana. Da queste notizie si rileva un perfetto sincronismo tra le istruzioni del governo di. Londra e le disposizioni restl"'i.ttive prese contro la Legge Pari Passu dalle autorità maltesi che denota chiaramente quale fine il Colonia! Office desiderava raggiungere.

Emendata due volte nel 1934 (3), poi successivamente altre due volte nel 1935 (4), la Legge Pari Passu ai primi del corrente anno tutelava ancora e solamente l'insegnamento dell'italiano in undici materie uni.vexsitarie e in tre materie delle Scuole Secondarie.

E' questa l'epoca in cui dal Palazzo del Governo a Valle<tta si consiglia a Londl'a di autorizzare i provvedinlenti per la definitiva abrogazione della Legge Pari. Passu (lettera di Sir David Campbell del 7 Gennaio 1936).

con insistenza il Governo di Malta si adopera in favore della completa estirpazione dell'insegnamento della lingua italiana nell'Isola. Tale programma d'azione che collima nelle sue finalità con quello del governo britannico, trova un efficace sostenitore a Londra nella persona del ministro Ormsby-Gore. L'interesse di soffocare l'ita

21 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

lianità di Malta coincide infatti con quello di stroncare le possibilità politiche del Partito nazionale maltese o partito «pro-italiano» come è definito dalle autorità inglesi.

Qualche difficoltà si frappone tuttavia alla realizzazione dntegrale di questo comune programma contro la lingua italiana e cioé: a) che la Legge Pari Passu è intimamente collegata ad uno dei principi sanciti dalla Costituzione del 1921;

b) che il signor Sargent del Foreign Office a nome del governo britannico aveva in data 20 luglio 1934 formalmente assicurato il R. Ambasciatore d'Italia a Londra che le voci, a quell'epoca circolanti, relative a possibili nuove restrci.zioni nell'insegnamento dell'italiano nelle scuole secondarie e nell'Università, erano assolutamente dnfondate;

c) che .i negozll.ati, in corso tra il rappresentante di S. M. Br~tan·nica e la S. Sede circa la riforma della Facoltà di Teologia in Malta, non avevano ancora risolto la questione relativa all'uso dell'italiano come lingua sussidiaria al latino;

d) che il Partito Nazionalista poteva fomentare una v.iolenta opposizione all'abrogazione della Legge Pari Passu considerando quest'atto come una violazione della Costituzione.

Risulta infatti, dalla stessa sicura fonte sopra citata, che il Colonia! Office, a cui spetta l'iniziativa «di questa politica generale nei riguardi della lingua italiana a Malta» preocoupandosi delle su elencate possibili obbiezioni comunicò al Foreign Office di considerare:

a) come facilmente sormontabile la difficoltà costituzionale con l'entrata in vigore delle nuove Lettere Patenti. Queste infatti non sancendo alcuna garanzia per l'uso della lingua italiana tolgono alla Legge Pari Passu la caratteristica di costituzionalità che dal 1921 al 1936 le aveva permesso di sussistere;

b) per la stessa ragione sormontabile la difficoltà politica, e cioé che il Partito Nazionalista si avvalesse dell'incostituzionalità dell'abrogazione per creare nell'Isola una forte opposizione;

c) come oramai sorpassata l'assicurazione data a Londra nel 1934 all'ambasciatore Grandi;

d) come pure sormontabile la difficoltà relativa alla Riforma della Facoltà Teologica, poiché Monsignor Tardini, rappresentante del Vaticano, avrebbe dichiarato nel corso delle trattative, che la Santa sede, tolti ii cas1 m cu1 e espressamente sancito l'insegnamento del Latino, riconosce la libertà di scelta della lingua nella quale le materie debbono essere insegnate.

IV. Caldamente appoggiate dalle autorità brci.tanniche dell'Isola, le proposte di abolire la Legge Pari Passu furono inoltrate per H relativo parere -particolarmente nei riguardi dell'assicurazione data all'Italia -al segretario di Stato agli Esteri alla fine dell'agosto scorso. .

Il signor Eden aderi subito all'immediata abrogazione della Legge Pari Passu.

Dal 2 Settembre, con la promulgazione della nuova Costituzione, l'insegnamento e l'uso della lingua italiana a Malta non sono più, sotto alcuna forma, legalmente tutelati.

V. Conclusione -Dallo studio dei relativi inc·artamenti e dalle notizie che sono recentemente pervenute a questo Ministero da fonte autentica, si possono, nell'eventualità che il R. Governo intenda sollevare la questione della abrogazione della Legge Pari Passu, suggerire i seguenti punti:

l) agire diplomaticamente in base alle assicurazioni inglesi del 1934; 2) intervenire presso la S. Sede, qualora non sia già troppo tardli, per invitarla ad opporsi, almeno per quanto concerne l'insegnamento teologico, all'abrogazione dell'uso della lingua itaJiana quale lingua sussidiarci.a al latino; 3) ricordare gli affidamenti che organi ufficiosi britannici hanno anche nei tempi recenti dato circa l'uso della lingua italiana;

4) rievocare opportunamente i risultati ed i relativi suggerimenti della Commls~ sione d'Inchiesta per Malta del 1932, le cui conclusioni sono spesso in contrasto con i provvedimenti adottati.

Dal complesso degli elementi in possesso del ministero e particolarmente dalle surricordate notizie di fonte autentica, risulta però chiaramente che i. recenti prov~ vedimenti presi contro la lingua italiana non sono che un aspetto di un atteggiamento politico generale e pertanto si può, con ogni probabilità, escludere che un intervento qualsiasi del governo italiano possa ottenere un temperamento delle misure prese.

(l) -Nota del documento: «La legge Pari Passu stabiliva infatti che l'inglese e l'italiano erano lingue di cultura uguale nell'Università, nelle Scuole Secondarie e nelle classi più alte delle scuole Elementari, e enunciavano in pari tempo 1l principio che, qualora non si potesse senza scapito insegnare contemporaneamente l'inglese e l'italiano, l'ordine di priorità fosse subordinato al desiderio (libera scelta) dei genitori (per le Scuole Secondarie ed elementari), e degli studenti (per l'Università), e all'utilità dell'insegnamento». (2) -Non pubblicato. (3) -Nota del documento: «La lingua italiana fu resa lingua sussidiaria, invece di lingua principale, nei Tribunali. Successivamente 1l maltese o l'inglese furono resi lingue di istruzione in tutte le materie legali all'Università, invece dell'italiano». (4) -Nota del documento: «L'inglese fu sostituito all'italiano come mezzo di insegnamento in numerose materie».
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IL CAPO DI S.M. DELLA MISSIONE MILITARE IN SPAGNA, FALDELLA, AL MINISTERO DELLA GUERRA (l)

APPUNTO. Salamanca, 16 ottobre 1936.

Il Generale Franco mi ha convocato oggi alle ore 16,30. Mi ricevette alle ore 17 e mi trattenne fino alle 17,45, presente il generale Mola. Dalle ore 16 alle 17 aveva ricevuto il tenente colonnello Warlimont, capo missione tedesca.

Il generale Franco mi disse:

Una nave tedesca giunse oggi a Cadice· e riferì al comandante della base di S. Fernando, che a Cartagena ha accertato che nei giorni scorsi sono avvenuti importanti sbarchi di materiale e precisamente:

-il S/S «Colfonal », russo: 50 carri armati con relativo materiale, automezzi, personale, in ragione di 4 uomini per ciascun carro. Al comando di questa unità sono preposti 14 ufficiali russi, ai quali la sera del 14 corrente fu offerto un pranzo ufficiale nel palazzo comunale di Cartagena.

-Il s;s « Sil »: sbarcò bombe, cartucce.

-I s;s « Campilo » e «Tramontana»: munizioni da Marsiglia.

-Il S/S « Camp... »: sbarcò in arsenale mitragliatrici e munizioni.

-Il S/S messicano «America »: sbarcò esplosivi.

Nel porto altri 10 piroscafi carichi attendevano il turno per lo scarico.

Ciò premesso -continuò il generale Franco -è evidente che l'offensiva diplomatica russa in corso (2) non ha altro scopo che giustificare l'appoggio ora palesemente dato, senza nessuna preoccupazione per mantenerlo celato. Gli sbarchi accertati a Cartagena sono d'altra parte in perfetta relazione con insistenti notizie giunte da Madrid nei giorni scorsi, e cioè che si incoraggiavano le milizie rosse a resistere ancora 7 giorni perché in questo frattempo sarebbe avvenuto un «fatto nuovo » tale da assicurare il successo dei rossi. Il «fatto nuovo », secondo il generale Franco, è l'inizio dell'appoggio aperto, completo, deciso, che la Russia ha deciso di dare al governo di Madrid. Secondo il generale Franco gli sbarchi verificatisi a Cartagena, e specialmente quello dei

carri, rappresentano appunto questo inizio. Del seguito non v'ha dubbio, perché altri piroscafi russi sono in viaggio verso la Spagna.

Egli perciò -generale Franco -ha ormai di fronte non soltanto la Spagna rossa, ma la Russia. Egli sente, e lo afferma, di combattere una crociata contro il bolscevismo, crociata nella quale gli interessi della Spagna si confondono con gli interessi italiani e tedeschi. Egli pone perciò il problema se non sia il caso di affrontare la cosa nella sua integrità, e dargli a lui, Franco, i mezzi per combattere l'ormai dichiaratosi nemico russo. La Francia rappresenta un pericolo di molto inferiore, perché il controllo parlamentare e della stampa valgono ad ostacolare l'opera del governo.

Necessità primordiale per impedire l'appoggio russo al governo di Madrid è togliere ai rossi la libera disponibilità dei porti e perciò acquistare il dominio del mare. La flotta nazionalista dispone del « Canarias » e del « Cervera »; il primo superiore a qualunque nave avversaria; però mancano sommergibili e caccia-torpediniere. In fondo si tratta sempre di 2 sole navi che ne hanno 7 di fronte, sia pure con equipaggi dal morale non elevato e comandanti incapaci, e nel loro intimo simpatizzanti con la causa nazionale. Franco perciò insiste perché gli siano concessi due sommergibili e 2 caccia (s'intende metà dall'Italia e metà dalla Germania) per stabilire un equilibrio materiale che consenta di acquistare il dominio del mare, approfittando del più elevato morale. Si tratta però -egli insiste --di una questione urgente e di importanza capitale dalla quale dipende la vittoria, quindi tutto deve essere adattato alla necessità di poter disporre subito di questi mezzi.

In terra, il generale Franco si preoccupa dei carri russi più per gli effetti morali che tali mezzi possono avere che per gli effetti materiali, però egli teme che grave danno ne derivi alle operazioni su Madrid, perché, se non altro, ciò. porta ad un ritardo nella conquista della capitale. Egli chiede perciò un urgente invio di nuove armi anticarro e di altri carri.

Nel cielo, la situazione attualmente assai cattiva per i rossi, è in via di grande miglioramento, perché è certo che un notevole quantitativo di aerei è giunto o sta per giungere. Risulta che 27 aerei francesi hanno passato la frontiera diretti a Barcellona e che a Barcellona stessa ben 51 aerei nuovi sono in montaggio. A Cartagena una nave da guerra tedesca ha visto sul molo idrovolanti che gli parvero russi ed a Bilbao si sta assestando il campo per 50 aerei russi. Occorre perciò, dice il generale Franco, riprendere in esame la situazione dell'aviazione e aumentarla ancora, per far fronte alle necessità, e specialmente a quelle future.

Il generale Franco, non nascondendo la sua preoccupazione, che non diminuisce però in lui la fiducia più assoluta, prega vivamente che sia tenuto presente il nuovo punto di vista dal quale vanno esaminate le questioni spagnuole, e cioè partendo dal fatto che ormai la Russia dà ai rossi il più ampio appoggio, e che perciò egli si trova di fronte ad una situazione nuova per fronteggiare la quale gli occorre fare ancora appello alla solidarietà dell'Italia e della Germania, alla quale non ha fatto fin qui appello invano.

Ho accennato alla possibilità di un colpo di forza per conquistare Madrid prima che i mezzi russi possano entrare in linea, o almeno per una operazione

intesa a pervenire ad Aranjuez e tagliare efficacemente i collegamenti di Madrid con il Levante, ed ho indicato che la massa costituita dai carri veloci e artiglieria da 65 mm. autocarrata era particolarmente adatta ad essere impiegata con la cavalleria.

Il generale Franco si interessò alla questione pur dimostrando preferire impiegare i carri contro posizioni fortificate e il generale Mola espresse dubbi circa la capacità operativa della cavalleria, sia pure rinforzata dai carri, perché la considera troppo vulnerabile dagli aerei.

Ho avuto netta l'impressione che le preoccupazioni per le difficoltà incontrate ad Oviedo spingano il generale Franco ad una maggiore prudenza nella operazione su Madrid e che, di fronte al fatto nuovo dell'affluenza di materiali russi, si conti quasi esclusivamente sull'appoggio italo-tedesco, trascurando di ricercare nell'ardito sfruttamento dei mezzi disponibili e non ancora impiegati, un risultato che, come la conquista di Madrid, potrebbe avere grandiose ripercussioni.

(l) -Ed. in ROVIGHI e STEFANI, pp. 117-119. (2) -Si riferisce alle note presentate dal governo sovietico al Comitato d! non intervento il 6, 7 e 12 ottobre con accuse a Portogallo, Germania e !talla di violare l'impegno d! non intervento !n Spagna (vedi pp. 187 nota 3. 188 nota l e 304 nota 1).
231

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10307/1333 R. Londra, 17 ottobre 1936, ore 1,05 (per. ore 5,15). ·

Ho veduto oggi ambasciatore del Belgio.

Egli mi ha detto che linguaggio stampa francese e interpretazioni arbitrarie date al discorso di Re Leopoldo lo avevano indotto recarsi da Eden per fargli notare che testo discorso nulla contiene che lasci supporre da parte del suo governo abbandono impegni assunti col Covenant e scambio di note fra le Potenze Locarno (1).

Ambasciatore del Belgio si è dichiarato soddisfatto maniera con cui Eden ha accolto chiarimenti. Italia e· Inghilterra avevano entrambe e subito apprezzato posizione assunta dal Belgio. Francia invece (che attraverso alleanza con soviets è principale responsabile della nuova situazione e che si sta abbandonando a deplorevoli manifestazioni comuniste), dovrà stancarsi (2). E' ora che essa si convinca, ha detto l'ambasciatore del Belgio, dei pericoli della sua stessa politica e della ferma volontà del Belgio di non diventare un campo di battaglia di guerra provocate dal patto franco-russo.

232

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10312/1334 R. Londra, 17 ottobre 1936, ore 1,05. (per. ore 9)

Ho domandato oggi a Sargent pensiero governo britannico di fronte dichiarazioni Re del Belgio e reazione che avevano suscitato in Francia. Sargent mi ha

risposto che governo britannico aveva da tempo rilevato nell'opinione pubblica e sfere dirigenti del Belgio una tendenza in tale direzione. Non si aspettava però una decisione così improvvisa, né metodo così a bruciapelo quale quella di una solenne proclamazione da parte Sovrano. Governo britannico si rende conto delle ragioni che il governo belga adduce, sia per quanto riguarda ripercussioni alleanza franco-russa sul vecchio sistema di Locarno, sia per quanto concerne le necessità politiche interne derivanti dai nuovi orientamenti opinione pubblica e dall'urgenza varare piano riarmo. Tuttavia governo britannico deplora che, in un momento così delicato per la ripresa di una cooperazione tra le Potenze occidentali, Belgio con questo suo gesto abbia determinato una reazione, sia pure eccessiva, in Francia. In tal modo si viene inevitabilmente a ritardare e ostacolare riunione dell'intesa cinque Potenze Locarno che il governo britannico si sforza tuttora promuovere. Governo britannico chiede che scambi diplomatici promossi con la sua nota del 17 settembre (l) siano continuati.

Per quanto riguarda portata dichiarazioni Re Leopoldo, Sargent ha detto che è prematuro esprimere giudizio definitivo. La questione va studiata anzitutto sotto il suo aspetto militare ed è solo dopo un calmo e approfondito esame da parte esperti militari che potrà essere stabilita una linea di azione politica.

(l) -Vedi p. 274, nota 3. (2) -Slc.
233

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A VIENNA, SALATA

T. 4593/182 R. Roma, 17 ottobre 1936, ore 13,30.

Suo 208 (2).

Autorizzo S.V. fare nel modo più opportuno rilevare al signor Schmidt convenienza che convegno Vienna del 9 novembre preceda sua eventuale visita a Berlino (3).

234

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10391/477 R. Berlino, 17 ottobre 1936 (per. il 19).

Presa di posizione belga contenuta nel discorso reale, se ha qui impressionato per sua clamorosità, non ha tuttavia sorpreso per suo contenuto. L'evoluzione della politica belga verso una maggiore indipendenza dalla Francia era

{l) Vedi p. 90, nota l.

{2) Vedi D. 207.

{3) Salata rispose con T. 10333/216 R. del 17 ottobre: «Ho tenuto linguaggio corrispondente alle istruzioni di V. E. al segretario di Stato Affari Esteri, che consente pienamente e differirà sua visita a Berlino in ogni caso a dopo visita di V. E. a Vienna ».

ormai manifesta e comunque resa nota qui attraverso le stesse comunicazioni

del ministro Davignon (richiamo in proposito mio telegramma per corriere 450

dell'8 corr.) (1).

Richiesto da me come conciliare dichiarazioni del Re con quelle degli am

basciatori del Belgio e Parigi e a Londra, Gaus, il giurista dell'Auswartiges Amt,

ha espresso l'opinione seguente:

l) Il Belgio non ripudia i trattati esistenti, ma annuncia di volere seguire

una politica nuova per il futuro.

2) Il Belgio non vuole divenire uno Stato «neutrale» con neutralità garantita dalle Potenze. Esso annuncia soltanto che, in caso di conflitti che non lo riguardino, vuole rimanere « neutro ».

3) Agli effetti di una nuova Locarno, il Belgio dovrebbe rifiutarsi di essere esso stesso chiamato a garantire, come nel vecchio, sia la Francia, sia la Germania. Si fa osservare in proposito che il Belgio ha cominciato col non rispondere -come del resto l'Italia -alla famosa domanda del 19 marzo (2) (garanzia militare locarniana, praticamente data dalla sola Inghilterra).

4) Con ciò, il Belgio si rifiuterebbe praticamente anche ad ogni tentativo di cambiare la natura di una nuova Locarno da patto di non aggressione bilaterale in patto di assistenza mutua, la posizione belga venendo così a coincidere esattamente con quella itala-tedesca.

5) A più forte ragione, il Belgio dovrebbe trovarsi d'accordo con Germania e Italia nell'escludere le cosiddette « eccezioni » locarniane (U.R.S.S., Cecoslovacchia, etc.).

Il Belgio -aggiungo infine io -conseguentemente a quanto sopra, dovrebbe logicamente assumere pure una posizione nuova di fronte ad eventuali riforme del Patto della S.d.N. nonché persino in materia di interpretazione del Patto quale ora è.

235

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. u. 10337/478 R. Berlino, 17 ottobre 1936, ore 20,30 (per. ore 21,20).

Telegramma di V. E. n. 301 (3).

Ho visto così Ritter come von Neurath. Il primo è sotto sfavorevole impressione taluni casi recentissima espulsione di commercianti germanici da Addis Abeba, apparentemente decise solo scopo assorbirne commercio. Telegraferò al riguardo dettagli necessari (4) mettendo V. E. condizione intervenire pronta

(-4) Attollco segnalava successivamente Il caso di due cittadini tedeschi espulsi da Addis Abeba, per 1 qual! si era già Interessata l'ambasciata di Germania a Roma, suggerendo di risolvere favorevolmente la questione, se possibile mentre Ciano era In visita In Germania

(T. 10404/480 R. del 20 ottobre, ore 0,10).

mente e soddisfacentemente in modo schiarire subito atmosfera. Von Neurath ha però per conto suo compreso e dichiarato contentarsi formule più generali. Lo ha confermato in mia presenza a von Hassel per telefono. Ho quindi ragione di ritenere che anche per questa parte tutte difficoltà siano praticamente appianate (1).

(l) -Vedi D. 176. (2) -Vedi serle ottava, vol. III, D. 491, dove sono riportate le dichiarazioni di Eden a tale proposito. (3) -Vedi D. 225.
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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL. MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10339/191 R. Bruxelles, 17 ottobre 1936, ore 20,50 (per. ore 22).

Rispondo al telegramma di V. E. n. 187 (2).

Viva reazione francese, nonché presa di posizione organi socialisti belgi, contro temuto abbandono principio sicurezza collettiva, influisce indubbiamente modificare alquanto pensiero del governo circa esatta interpretazione da dare dichiarazioni del Re. Tale è l'impressione che si raccoglie presso questo ministero Affari Esteri, che ha infatti lasciato comprendere:

1°) che discorso della Corona deve intendersi sopratutto in funzione della politica interna, allo scopo ottenere adesione fiamminga provvedimenti militari;

2°) che nuova attitudine belga, che si ispira non tanto alla neutralità svizzera quanto allo stato di neutralità volontaria dell'Olanda, concerne esclusivamente l'avvenire. Talché restano in vigore, sia gli impegni societari, compresi quelli contemplati nell'articolo 16, sia le garanzie accordate provvisoriamente a Londra in dipendenza del Trattato Locarno (3).

3°) Per quanto riguarda collaborazione fra gli Stati Maggiori francese e belga, contemplata in scambio di lettere anno 1920 (4) modificata marzo scorso (5), ministero degli Affari Esteri si mantiene assai riservato. Mia impressione è che si vuole, se possibile, !asciarli cadere.

4°) Per quanto concerne infine eventuale nuovo accordo occidentale, al ministero degli Affari Esteri si dichiara nel modo più esplicito che il Belgio si atterrà strettamente alla lettera delle dichiarazioni del Re e cioè che non darà sua garanzia ad «alcuna grande Potenza ».

(-4) Vedi p. 254, nota l.
(l) -Negli archivi italiani non è stata trovata altra documentazione su le trattative che ebbero luogo in quei giorni tra Roma e Berlino circa il testo del protocollo. Un telegramma di istruzioni inviato il 16 ottobre a von Hassell (vedi DDT, serie C, vol. V, t. 2, D. 608) indica che la posizione della Wilhelmstrasse era, su molti punti, notevolmente diversa da quella italiana quale risultava dal progetto consegnato il 14 ottobre all'ambasciatore tedesco (D. 223).Questi problemi furono discussi il 16 ottobre alla Wilhelmstrasse con Attolico (vedi DDT, serie C. vol. V, t. 2, p. 1101, nota 6) e a Roma tra Ciano e von Hassell (ibid., p. 1106, nota l) e ancora il giorno successivo da von Hassell con Ciano e con il direttore generale degli affari politici, Buti (ibtd., D. 613). (2) -Riferimento errato. Non si è rinvenuto, .d'altra parte, nessun altro telegramma in partenza per Bruxelles sull'argomento. (3) -Vedi p. 274, nota 3. (5) -Vedi p. 246, nota 3.
237

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10340/292 R. Istanbul, 17 ottobre 1936, ore 21,15 (per. ore 0,15 del 18).

Tevfik bey è tornato ieri da Ginevra. In conversazione odierna dopo aver dichiarato che riconosceva esplicitamente tutta evidenza interesse dell'Italia a mantenimento pace Europa e suoi sinceri sforzi per contribuirvi, confermatomi quanto assicurava aver detto a Bova Scappa su grande miglioramento atmosfera rapporti itala-turchi (1). Ha aggiunto fondava grandi speranze su prossimo trattato commercio. Eventuali reciproci scambi commerciali contribuirebbero sempre meglio e di fatto a sviluppare rapporti due Paesi. Mi ha altresì pregato dargli elementi tecnici per fornitura aeroplani e materiale bellico motorizzato. Convinto che Turchia non deve avere un solo fornitore e che nessun mezzo è migliore per stabilire durevole amicizia fra Paesi deboli ed uno forte che quelli della fornitura di armi del secondo al primo, ne interesserebbe subito Ismet Pascià. Ha anche promesso perché stampa da situazione passiva attuale verso l'Italia passi ad un atteggiamento di favorevole interesse.

Questo addetto commerciale ha cominciato raccogliere elementi tecnici richiestimi.

238

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI

T. 13014/120 P. R. Roma, 17 ottobre 1936, ore 24.

Dichiarazioni S.M. Leopoldo III al Consiglio dei ministri sono state apprese da R. Governo con la più viva soddisfazione per profondo senso di realismo politico cui appaiono ispirate. R. Governo considera dichiarazioni stesse quale valido contributo per allontanare pericoli che minacciano la pacifica convivenza dei popoli europei, e insieme per consolidare gli amichevoli rapporti fra Italia e Belgio.

Prego l'E. V. esprimersi in codesto senso costi pregando che ne venga informato S.M. il Re (2).

239

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4243/1485. Berlino, 17 ottobre 1936 (per. il 19J.

Da fonte confidenziale, vicina all'ufficio di collegamento fra il Partito na·· zionalsocialista ed il ministero della Guerra, mi è stato riferito, sulla preparazione militare tedesca, quanto segue:

«Tutte le industrie sono intensamente occupate per forniture militari. Gli operai della A.E.G., Siemens a Berlino forniscono ogni settimana una quindicina di ore di sopralavoro, ed in alcuni reparti si lavora a turno doppio.

Le caserme, per le recenti disposizioni che hanno fatto affluire le classi che non avevano ancora prestato servizio militare, sono piene. Da fonte prossima ai fornitori sindacati per la fornitura di carne, risulta la distribuzione giornaliera di 800.000 razioni; ciò crea spesso delle difficoltà negli approvvigionamenti della popolazione civile. I quadri sono numericamente insufficienti. Per sopperire a tale deficienza, sono stati raddoppiati i numeri degli allievi delle varie scuole militari e si è disposto che tutti gli studenti che debbono frequentare l'ultimo anno delle scuole medie passino senz'altro a compiere servizio militare.

Al ministero della Guerra è pronta la costituzione dei comandi di quattro nuovi comandi di armata, costituzione che dovrebbe avvenire prossimamente. Nello stesso tempo si stanno preparando le disposizioni per la costituzione di nuove unità di truppe motorizzate.

Per l'aviazione, risulta che la fabbricazione e distribuzione di materiale procede con tempo accelerato; si ritiene di poter superare in alcuni mesi la crisi della deficienza dei quadri. Un ufficiale del Ministero dell'Aeronautica ha detto che nella primavera ventura la flotta aerea tedesca consterà di 4000 apparecchi con relativi equipaggi.

Goring, al Congresso di Norimberga, ha .espresso il concetto che la nrossima guerra che la Germania dovrà combattere sarà esclusivamente aerea, e che l'esercito non deve essere considerato che come il treno della aviazione.

Alle formazioni di S.S., presso cui erano già in distribuzione l'armamento individuale e le mitragliatrici leggere, sono state distribuite in .provincia le mitragliatrici pesanti, e sembra che nei principali centri debbano essere prossimamente dotate di reparti di mitragliatrici blindate ».

Secondo questo R. addetto militare le predette informazioni sono, grosso modo, esatte. Fa però presente che il numero degli allievi delle scuole militari non è raddoppiato ma quasi decuplicato. Se poi per l'esercito esistono grosse difficoltà per completare i quadri, tali difficoltà sono ben maggiori per l'Aeronautica, perciò sembra troppo ottimista l'affermazione che fra qualche mese sarà superata la difficoltà degli equipaggi della flotta aerea.

Per le formazioni S. S. deve trattarsi dei tre reggimenti permanenti, i quali, naturalmente, completano il loro armamento (1).

240.

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALL'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA

MEMORANDUM. Roma, 18 ottobre 1936 (1).

II governo fascista ha esaminato con ogni cura i suggerimenti avanzati dal governo britannico, nel suo memorandum del 17 settembre u.s. relativo

alla preparazione diplomatica della Conferenza delle cinque Potenze di Lo

carno (1), che è nel comune desiderio dei due governi possa essere tenuta

al più presto.

Il governo fascista ha constatato con soddisfazione che il governo britan

nico condivide il suo punto di vista circa la necessità di una accurata e appro

fondita preparazione diplomatica della Conferenza, e della utilità che le que

stioni principali, relative al carattere e ai termini dell'accordo che dovrebbe

sostituire il Trattato di Locarno, siano discusse tra i cinque governi inte

ressati, prima che la Conferenza abbia inizio. Tra queste questioni quelle

indicate dal governo britannico sembrano al governo fascista di carattere

essenziale, ma prima di entrare nel loro esame particolareggiato, il governo

fascista è di opinione che convenga mettere bene in chiaro tra le cinque

Potenze, che dovranno prendere parte alla Conferenza, quali devono essere

le basi generali del nuovo accordo che dovrebbe essere negoziato tra loro.

Al governo fascista sembra che la maniera più pratica di procedere ad uno scambio di idee sull'argomento sia quella di prendere come base di partenza delle discussioni lo stesso Trattato di Locarno, quale esso è attualmente; e, invece di discutere ex novo tutti gli elementi che condussero alla sua conclusione, riesaminare d'accordo la struttura del Trattato, per adattarlo a quelle circostanze che nel frattempo sono venute mutando, senza tuttavia alterarne, né la impostazione generale, né i suoi essenziali caratteri.

Il Trattato di Locarno --frutto di una lunga elaborazione diplomatica resta uno degli strumenti più organici e meglio congegnati per creare nell'Europa Occidentale quelle condizioni di sicurezza alle quali si dirigono i nostri sforzi; e nell'avviso del governo italiano il nuovo Patto dovrebbe conservarne i principi fondamentali.

Questi principi sono essenzialmente costituiti: a) dal preciso impegno della Francia, del Belgio e della Germania di non ricorrere in nessun caso tra esse alla guerra; b) dalla garanzia congiunta data dall'Italia e dall'Inghilterra agli accordi di non aggressione tra la Francia, il Belgio e la Germania che sono alla base del Trattato di Locarno.

Questi due principi sono quelli del resto ai quali il governo britannico giustamente si riferisce al paragrafo 1° del suo memorandum.

La questione della garanzia è quella certo che interessa in modo particolare l'Inghilterra e l'Italia, e su questo punto il governo fascista ritiene necessario uno scambio più preciso di idee.

Dall'esame del memorandum britannico, il governo fascista ha rilevato che sarebbe intenzione del governo britannico di introdurre nel sistema della garanzia un principio nuovo: il principio cioè della reciprocità. Sembra risultare dal memorandum britannico che il governo britannico sarebbe disposto a rinnovare le garanzie di Locarno, per quello che riguarda gli accordi di non

aggressione tra la Germania, la Francia ed il Belgio, in cambio di simili garanzie in favore della Gran Bretagna da parte della Germania contro la Francia e da parte della Francia contro la Germania. Quello che nel comunicato del 3 febbraio 1935 era il principio sul quale doveva essere fondato il Patto aereo verrebbe così ad essere posto organicamente a base dell'intero sistema delle garanzie del nuovo Trattato.

Tale innovazione sembra al governo fascista della maggiore importanza, ed il governo fascista vorrebbe richiamare l'attenzione del governo britannico su quelle che, a suo avviso, ne sarebbero le conseguenze pratiche.

Il governo fascista premette che esso ha sempre concepito la garanzia di Locarno come una garanzia congiuntiva itala-britannica, e ha sempre considerato che la vera forza del Trattato di Locarno consisteva nel fatto che l'aggressore si sarebbe in ogni caso trovato di fronte alle forze unite dell'aggredito e dei due garanti. Nel carattere congiuntivo della garanzia italobritannica, e in questa riunione delle forze dei garanti e dell'aggredito consisteva l'unità fondamentale a tutti gli effetti pratici -del Trattato di Locarno.

Di fronte ai suggerimenti contenuti nel memorandum britannico, il governo fascista si domanda se questa unità fondamentale verrebbe effettivamente mantenuta in un regime di garanzie reciproche separate, o se invece il Trattato di Locarno non verrebbe a spezzarsi in due sistemi tripartiti, che altererebbero fondamentalmente la posizione dei garanti, toglierebbero il carattere congiunto della garanzia, e trasformerebbero il Trattato di Locarno a tutti gli effetti pratici in due Patti separati di mutua assistenza: uno franco-anglo-germanico ed uno itala-franco-germanico solo formalmente collegati nella comune cornice di un patto generale. Questo rappresenterebbe, secondo l'avviso del governo fascista, un generale indebolimento del sistema di Locarno, quale non è certo nelle intenzioni di nessuno dei cinque governi di provocare.

Non è forse necessario che il governo fascista richiami l'attenzione del governo britannico sul fatto che, una volta indebolito il carattere congiunto della garanzia di Locarno, il Trattato di Locarno verrebbe a perdere non solo una delle sue caratteristiche fondamentali, ma anche una funzione alla quale è stata sempre, e giustamente, attribuita una essenziale importanza.

Nel procedere all'esame delle altre questioni, delle quali è cenno nel memorandum britannico e sulle quali il governo fascista si riserva di precisare la propria posizione, sembra al governo fascista che sarebbe necessario che gli Stati firmatari del Trattato di Locarno fossero d'accordo sul carattere che dovrebbe avere il nuovo Trattato, e stabilire se è loro intenzione o meno di ricostruire il Trattato di Locarno sulle basi originarie (l).

(l) -Non è stata ritrovata nessuna comunicazione di Bova Scoppa a tale proposito. (2) -Per la risposta, si veda Il D. 244. (l) -Questo documento reca il visto di Mussolini. (2) -Il memorandum fu consegnato da Ciano all'ambasciatore Drummond l! 19 ottobre (vedi BD, vol. XVII, D. 301). Negli archivi ital!ani non si è trovata traccia del relativo colloquio.

(l) Vedi p. 90, nota 1.

(l) Con telespresso 234882 del 19 ottobre, il memorandum fu inviato agli ambasciatori a Berlino, Bruxelles, Londra e Parigi con l'incarico di darne comunicazione al governo presso il quale erano accreditati.

241

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 2297/1029. Saint Jean de Luz, 18 ottobre 1936 (per. il 22).

Mentre l'esercito dei nazionali si avvicina a Madrid e stringe la capitale in un assedio sempre più asfissiante, mentre ormai anche i dirigenti della Spagna rossa dànno per inevitabile la occupazione di tutta la Castiglia da parte dei loro avversari, si vanno delineando sempre più i connotati politici del fronte vittorioso e si precisano le influenze che domineranno domani i destini del Paese. Non vi è dubbio che la costituzione del governo dittatoriale del generale Franco ha posto fine ad un governo provvisorio che non aveva la autorità necessaria per imporsi alle esuberanze ed agli urti inevitabili che si manifestano in ogni conglomerato politico. Il fatto che la giunta di Burgos era presieduta dal generale Cabanellas nel quale nessuno aveva fiducia, il fatale slegamento che esisteva tra il governo di Burgos e il comando militare clie risiedeva altrove, erano già elementi che bastavano per imporre di risolvere il problema della autorità statale in modo più preciso, ma soprattutto occorreva far questo per mettere il nome e la volontà di un dittatore militare sopra le contese che affioravano tra i vari partiti del fronte nazionale. In Spagna più che in qualsiasi altra nazione del mondo esiste sempre allo stato latente la tendenza alla frantumazione, alla divisione, alla gelosia ideologica e di partito, né vi è quindi da meravigliarsi che alla vigilia della vittoria ogni gruppo avesse l'istinto di rialzare la testa in confronto degli altri gruppi. Bisognava porre rimedio al pericolo, ed il rimedio è stato la designazione del generale Franco a capo del governo spagnolo. In tal modo si è ribadito il patto di dare alla Spagna un governo militare che vinca la resistenza degli avversari, che organizzi su nuove basi il Paese, che lo amministri e lo renda compatto, per rimandare ad un secondo tempo la ripresa della vita politica normale spagnola. Lasciarla rifiorire subito, quando ancora sono in vita i resti degli antichi partiti demagogici, mentre ancora fremono i rancori e gli odi, sarebbe grave errore che ricondurrebbe la Spagna in brevissimo tempo a lotte feroci di parte. Al governo militare incombe anche il compito inesorabile di quella che gli spagnoli chiamano «limpieza » (pulizia) e cioè la eliminazione di tutti gli elementi che si sono manifestati contrari all'opera nazionale degli insorti o che in qualunque modo hanno favorito i rossi.

Bisogna qui guardarsi dal considerare le cose come si considererebbero in un altro Paese europeo, nel quale dopo la vittoria viene il perdono. In Spagna la guerra civile si ispira ai criteri della corrida, che finisce soltanto quando il toro è morto. Non si concepisce il perdono, non si da tregua alla resa, l'avversario anche se è boccheggiante, deve essere finito. Questo spiega la enorme quantità di cadaveri che i nazionali lasciano dietro di loro, come i rossi li avevano lasciati attorno a loro, quando potevano. Alla presa di Madrid seguirà

quindi un'opera di repressione che non sarà breve e che avrà il carattere della più metodica crudeltà ma che rappresenta il solo modo possibile in Spagna di raggiungere un assetto finale, abbastanza pacifico. Se i vincitori fossero teneri oggi, sarebbero divorati domani. È naturale che la repressione farà lanciare alti strilli agli umanitari anglosassoni ed ai comitati pacifisti del mondo ma basta studiare la storia della Spagna per vedere che soltanto colla strage il popolo spagnolo ha avuti periodi di pace, e del resto i nazionali sono in questo argomento decisissimi.

Anche il periodo della repressione finirà e comincerà quello di una vita politica più normale, ed anche durante il periodo di governo militare vi saranno accanto ai capi militari elementi civili che influenzeranno l'azione del governo stesso. È qui che comincerà la lotta di ciascun partito per partecipare più largamente che sia possibile al comando del Paese, ed è opportuno quindi conoscere come procedano le sorti delle varie tendenze. Riaffermo quanto già dissi nel mio rapporto a V. E. n. 2216/977 dell'B settembre u.s. (l) e che cioè i vecchi partiti sono morti e sepolti. Sconvolti dallo scoppio degli avvenimenti, essi sopravvivono soltanto in alcuni capi ed in qualche pattuglia, ma non possono illudersi di avere domani un peso che faccia pendere dalla loro parte la bilancia del potere. Gil Robles che sta piagnucolando a Lisbona è abbandonato dai suoi antichi gregari e gettato a mare dalle organizzazioni cattoliche, i capi monarchici alfonsini che si raggruppano attorno a Burgos sono rispettati come persone ma non hanno che una influenza secondaria, i radicali di Lerroux, gli agrari, dispersi dalla bufera rivoluzionaria si ritrovano nelle nuove formazioni nate dalla guerra o si mettono all'ombra dei militari senza chiedere nulla di più. Sicché oltre alla forza armata, restano in piedi, sebbene in scala diversa, falangisti e tradizionalisti.

Ho già informato V. E. del travolgente progresso che il fascismo ha fatto (attraverso la Falange) in Spagna. Confermo quanto dissi, non solo ma aggiungo che il progresso si accentua ogni giorno più, si consolida, sopratutto attraverso le formazioni giovanili che sorgono dappertutto e che infiammano il cervello degli spagnoli. Il falangismo è senza dubbio, il movimento che darà il tono alla Spagna di domani, non soltanto per la sua forza dinamica, per la sua freschezza, per il misticismo che porta con sé e che piace al temperamento impressionabile degli iberici, ma anche perché dopo la vittoria e la limpieza, vedrà accorrere verso le sue file molta gente dell'altra sponda che potrà accostarsi soltanto al partito più avanzato socialmente che esista nel conglomerato vittorioso.

Nei nostri rapporti colla Spagna, i contatti colla Falange dovranno perciò tenere il primo posto. La Falange ha pubblicato ora i suoi nuovi statuti, ha moltiplicate le sue istituzioni, le sue formazioni ed in tutto questo il sapore italiano è evidentissimo. Per quanto una copia spagnola del fascismo possa accostarsi al genuino fascino italiano, la Falange vi si accosta. Non bisogna però

dimenticare che nelle file della Falange lavorano attivamente i tedeschi. Trascurando i tradizionalisti nei quali vedono scarsi risultati da raccogliere, i tedeschi si dedicano alla Falange, vi seminano fermenti, uomini, mezzi, fanno pubblicare quasi ogni giorno cose sulla Germania hitleriana, si prodigano come possono. Non a caso, con sottile veleno, questo ambasciatore di Francia mi diceva negli scorsi giorni che la Falange avrebbe riserbato sorprese di tipo tedesco ai suoi ammiratori italiani. L'ambasciatore parlando in tal modo, lavorava per dividere ma non è dubbio che una parte dei falangisti crede alla Germania come al più perfetto campione di civiltà al quale gli spagnoli possano ispirarsi e se domani scomparisse Primo de Rivera, che non ha nelle sue file nessun uomo d'eccezione già designato per succedergli, potrebbe darsi che la Falange, pur restando fascista nei principi generali, servisse più alla civiltà germanica che a quella latina (1). Per evitare il pericolo non c'è che da starle vicino, come già dissi, seguirla con zelo e con un continuo contatto di nostri agenti abili, informativi, attivi. Quello che sarà la Falange in scala nazionale, saranno i tradizionalisti in scala regionale. Non sto a ripetere quello che ho detto di loro; essi sono soverchiati ormai dal trionfo della Falange ma in Navarra, come in certe parti della Catalogna e di Aragona, i tradizionalisti sono l'elemento base della nuova situazione, conservando il vantaggio di una organizzazione salda, ben formata, provata e solidissima, fedele alle sue amicizie. Tra loro non sono da attendersi sorprese tedesche. Essi sono nostri amici e basta.

Il potere in Spagna sarà dunque diviso domani tra le tre forze veramente vittoriose: esercito, Falange, ed, in scala minore, tradizionalisti.

Prima di chiudere questo rapporto desidero far presente l'assenza della Chiesa nell'attuale conflitto. La remissività, la abulia della Santa Sede, nonostante il martirio che la religione sopporta in questo momento oltre i Pirenei,

nica in loco sottolineava che i tedeschi agivano con procedimenti molto diversi da quelli

seguiti dagli italiani e concludeva: «Risulta: a) che noi, qui, giunti col personale indispensabile per l'impiego dei mezzi bellici sbarcati, e senza materiali accessori, combattiamo a tondo con e per gli spagnoli. b) che i tedeschi, giunti con un personale di gran lunga superiore alle necessità di impiego dei mezzi bellici sbarcati, e con una quantità di materiali accessori, pur combattendo -in una certa misura -con e per gli spagnoli, perseguono altri due scopi:1°) esercitare e esperimentare -in corpore vili -il maggior numero numero possibile di personale e determinati tipi di materiali; 2°) presentare, in una specie di mostra campionarla, materiali militari e civili, mettendosi In condizione di favorirne la futura adozione.

Qual'è il pensiero spagnolo di fronte a questi· atteggiamenti? Attualmente non vi è dubbio alcuno che !e autorità spagnole apprezzano in pieno la nostra generosa cooperazione combattiva, e sono seccate tanto della invadenza quanto delle pretese difficoltà tedesche. È prevedibile anche che !n futuro quegli spagnoli che avranno operato coi nostri materiali o che ce li avranno visti Impiegare da vicino, si faranno propugnatorl della adozione di materiali italiani. (Questo si può ritenere specialmente probabile per l'aviazione). Ma gli altri, assai più numerosi, non al corrente di singole operazioni ma spettatori della messa In scena tedesca e specialmente Il numeroso personale che avrà seguito i «corsi» presso i reparti tedeschi saranno portati, al contrario, all'adozione di materiali germanici. Non solo, ma non è da escludere che quegli stessi che ora tanto ci apprezzano, finiscano poi con distinguere, e piegare verso istruttori, metodi e materiali del Reich. Mi spiego. gli spagnoli ci considerano dei fratell!, maggiori sì ma fratelli e quindi aventi le stesse loro qualità e gli stessi loro difetti. Non è perciò per essi stupefacente che noi siamo generosi, vivaci, ab!li a cavarci di Impaccio con pochi mezzi, perché qualcosa di simile, più o meno, sono anche loro, specie individualmente. Ma essi (molto a torto, s'intende) non ci considerano degli assi dal punto di vista metodo ed organizzazione. Potrebbero, quindi, un giorno, riservare! la più incondizionata «fraterna>> amicizia e gratitudine, ma rivolgersi per organizzare, o quanto meno, munire materialmente le proprie forze armate, a quella gente che -per antonomasia e per prove date -fosse considerata, da questo punto di vista superiore» (Relazione del 19 ottobre, prot. 187). Un'annotazione sul documento indica che fu Inviato !n visione a Mussolinl. Il documento è tratto dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

si manifesta nel caso particolare dei Paesi baschi. I nazionalisti baschi che sono cattolici ferventi, si sono uniti con tutti gli atei ed anticlericali per combattere i militari ed i partiti unitari; essi combattono insieme con i bruciatori di chiese e di conventi, cogli scannatori di parroci e di suore. Ebbene, il Vaticano non ha finora detto una parola che sconfessasse questo atteggiamento dei cattolici baschi, non ha fatto un gesto che li invitasse a riflettere, insomma non è esistito, con sorpresa di tutti. Questa strana assenza viene molto rilevata nel campo nazionale e certamente avrà ripercussione nel contegno che il nuovo governo avrà col potere religioso.

(l) Vedl D. 34.

(l) Una relazione della Missione M!litare in Spagna dedicata all'esame dell'attività germa

242

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10398/148 R. Varsavia, 19 ottobre 1936, ore 19,36 (per. ore 22,50).

Mi viene riferito da fonte serissima che il ministro Beck avrebbe fatto esprimere a Londra suo vivo desiderio essere invitato recarsi colà. Sino ad oggi Foreign Office non vedrebbe utilità di tale visita. Beck da parte sua vi terrebbe in modo speciale nel desiderio di mantenere vivi suoi rapporti personali con Londra al fine di render meno facile la esclusione della Polonia da una eventuale conferenza di Potenze occidentali.

243

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 10408/628 R. Parigi, 19 ottobre 1936, ore 22,30 (per. ore 2,30 del 20).

Ho avuto oggi lungo colloquio con Léger, inspirato a massima confidenza e cortesia. Riferirò per esteso per corriere (1).

Circa questione credenziali nuovo ambasciatore di Francia, espresse desiderio e interesse della Francia di giungere ad una rapida soluzione corrispondente nostre esigenze e diede in mia presenza a Massigli istruzioni studiare modo migliore per giungere a rapida esclusione della Etiopia dalla S.d.N.

Circa conferenza locarniana e nota tedesca all'Inghilterra, disse che studio di questa ultima pareva dimostrare che Germania fosse contraria a qualunque cosa che esorbitasse da semplice nuovo accordo a cinque, e quindi anche a trattative con Polonia e Cecoslovacchia per consentire loro di trovare, in un

eventuale nuovo Locarno, conferma delle garanzie avute dall'attuale. Simile atteggiamento non facilitava le cose. D'altra parte Francia non aveva ormai più alcuna urgenza né interesse speciale a riunione conferenza locarniana perché, da un lato, Inghilterra, che da principio si era mostrata tanto ansiosa di trattare con Germania, pareva essersi recentemente disgustata del Reich; Belgio cerca di liberarsi da ogni obbligo di assistenza che esorbiti da quelli impostile dal Patto della S.d.N. ed Italia non ha ancora mutato suo atteggiamento di attesa. In tale stato delle cose e poiché Francia è garantita dall'impegno formale scritto assunto dal governo inglese 15 marzo u.s., che durante tutto periodo trattative per conclusione di un nuovo Patto di Locarno Inghilterra assisterà con ogni mezzo Francia in caso di aggressione (1), essa non ha nulla da aspettarsi di più e può quindi attendere.

Circa Spagna, Léger mi disse non esservi ormai più dubbio circa esito della guerra civile che riuscirà favorevole ai nazionali. Franco sembrerebbe non poter procedere con rapidità desiderabile perché anche le sue forze sarebbero in non buone condizioni, cosicché caduta Madrid richiederà ancora qualche settimana salvo imprevisti.

Si attribuisce a Franco desiderio evitare lotta cruenta e conquista della ~apitale, per via accomodamento (2) egli non ha perduto fiducia che i governativi si arrendano senza eccessive vendette sopra ostaggi, nel loro stesso interesse.

Parlando della Catalogna, Léger disse poter assicurarmi che la Francia non intende assolutamente aiutare in alcun modo autorità Barcellona ed ingerirsi comunque in tale delicato problema. Mi confidò aver ricevuto venti giorni fa dal governo francese istruzione di fare a Roma passo analogo a quello compiuto dall'Inghilterra per ingerenza italiana nelle Baleari e di essersene peraltro astenuto. Ne era lieto perché autorità militari italiane avevano recentemente dato assicurazione soddisfacente all'addetto militare francese il che gli aveva permesso di incaricare proprio ambasciatore a Roma di comunicare a V. E. che il Governo francese era stato lieto di prenderne atto, (3).

Circa atteggiamento tenuto da Litvinov a Londra, Léger disse che la sua azione era stata completamente sventata e che finora non gli risultava che volesse riprenderla. Ad ogni modo anche se U.R.S.S. dichiarasse di ritenersi sciolta da impegni neutralità assunti, la Francia era fermamente decisa a non mutare di un filo la propria linea di condotta.

22-Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

(l) Vedi D. 249.

(l) -Vedi p. 274, nota 3. Lo scambio di lettere ebbe luogo 11 2 aprile. (2) -Gruppi indecifrabili. (3) -Non è stata trovata documentazione delle assicurazioni date da parte italiana all'addetto militare francese, né di un colloquio con l'ambasciatore de Chambrun a questo poposito. Vi è però un promemoria del capo di Gabinetto del ministro della Marina dove viene riportatoche, in seguito a quanto riferito dall'addetto navale italiano a Parigi, 11 quale aveva segnalatol'evidente preoccupazione del suo collega britannico e del 2ème Bureau per la presenza italiana nelle Baleari, lo stesso capo di Gabinetto, su ordine del sottosegretar!o, aveva convocato, separatamente, gli addetti navali di Francia, Gran Bretagna e degli Stat1 Uniti a Roma perchiarire che a Mallorca erano state inviate, a turno, diverse navi ma solo per essere pronti, in caso di bisogno ad evacuare gli italiani lì residenti. Nessuna forza italiana aveva preso parte alle operazioni che si erano svolte nella zona. Il capo di Gabinetto aveva aggiunto, a titolo personale, che «nessuna delle nazioni interessate nel Mediterraneo e cioè Italia, Francia e Inghilterra, potrebbe, allo stato attuale delle cose, avere mire di conquista sulle Baleari senza suscitare complicazioni internazionali di vasta portata». Il promemoria, non datato, fu inviato al ministero degli Esteri il 26 ottobre ma dai documenti francesi risulta che i colloqui ebbero luogo II 13 ottobre o immediatamente prima. (DDF, vol. III, D. 341).
244

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10407/192 R. Bruxelles, 19 ottobre 1936 (per. il 20) {1).

Telegramma di V. E. n. 120 (2).

Ministro degli Affari Esteri è stato assai sensibile al lusinghiero giudizio portato dal R. Governo sulle dichiarazioni di Re Leopoldo. Lo porterà immediatamente a conoscenza di Sua Maestà.

Pensiero svoltomi poscia dal signor Spaak circa politica belga può così riassumersi: Belgio vuole assicurarsi una politica di vera indipendenza ma respinge ogni forma di neutralità giuridica giacché questa sarebbe incompatibile con sua desiderata permanenza S.d.N. Sovrano non ha inteso (né lo avrebbe potuto) denunziare accordi internazionali già firmati. Questi perdureranno fino ai nuovi. Detti accordi sono alquanto «confusi » poiché inerenti alla « confusa » situazione sorta in seguito occupazione Renania. Comunque trattasi reciprocità di garanzia verso la Francia, la quale sostiene che essa le provenga dal vecchio Locarno, e reciprocità di garanzia verso l'Inghilterra, in dipendenza speciali intese di Londra del marzo scorso (3). Belgio riconosce detto accordo e del pari riconosce accordo «tecnico» avvenuto fra Stati Maggiori. Quanto precede sempre fino alla conclusione nuova Locarno.

Fin allora Belgio si atterrà strettamente principio che eventuali garanzie che saranno per essergli date da grandi Potenze dovranno assolutamente restare senza contropartita. Gli è che Belgio non vuole essere implicato in altrui conflitti, né servire da «base » o da « punto di appoggio ».

A tale riguardo, in seguito mie discrete domande specie per quanto riguarda trasvolo ed atterraggio aeroplani eventuali belligeranti e accordi di Locarno bilaterali, pur ribadendo quanto precede, ha cercato visibilmente indugiare in casistica atta a dimostrare che in pratica, in caso di una guerra, sarà interesse di ogni belligerante non trarre Belgio nel conflitto e non aggravare situazione col provocare misure difensive da parte del rimodernato ed accresciuto esercito belga.

Ministro ha concluso che egli si propone dare ampia spiegazione circa situazione Belgio nella risposta che sta preparando alla nota britannica relativa a Locarno del 17 settembre scorso (4). Tale risposta sarà pronta settimana prossima e verrà immediatamente comunicata a V. E. Consacrerà essenzialmente rifiuto Belgio prestare garanzia reciprocità.

Infine desidero riferire che nel corso della conversazione, avendo io occasionalmente menzionato Patto a Quattro, mio interlocutore mi ha subito interrotto che un patto del genere sarebbe il benvenuto giacché proverebbe eliminare ogni frizione fra quattro grandi Potenze: uno stato di fatto che sarebbe prezioso per i piccoli Stati che, come Belgio, possono trarre solo da esso condizioni loro reale sicurezza (l).

(l) -Manca l'indicazione delle ore di partenza e di arrivo. (2) -Vedi D. 238. (3) -SI riferisce al progetto di accordo tra le Potenze locarn!ane presentato 11 19 marzo 1936 da Belgio, Francia, Gran Bretagna e Italia (testo In BD, vol. XVI, D. 146). Il 2 aprile successivo, i governi belga, francese e britannico mediante uno scambio d! lettere si erano impegnati,qualora 11 progetto fosse stato respinto dalla Germania, ad avviare dei contatti tra gli Stati Maggiori e a darsi aiuto immediato in caso di aggressione secondo quanto stabilito dal Trattato di Locarno (11 testo delle note è ibid., D. 199, allegati). (4) -Vedi p. 90, nota l.
245

COLLOQUIO DELL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, CON IL MINISTRO DI STATO FRANCESE, CHAUTEMPS

APPUNTO (2). Parigi, 19 ottobre 1936.

Il colloquio fu desiderato da Chautemps, avendo egli appreso che mi sarei recato prossimamente a Roma. Fu cordialissimo, con carattere assolutamente confidenziale. Avvenne al Quai d'Orsay, dove il ministro di Stato installò il proprio gabinetto al primo piano.

Politica interna. Chautemps ritiene che la situazione si sia ormai chiarita, nel senso che tutti vogliono il mantenimento dell'ordine e non sono più disposti a tollerare gli scioperi, le occupazioni di fabbriche, ecc. degli scorsi mesi. Non mi nasconde che la situazione è stata molto brutta in principio di giugno (precisa, anzi, il 7 giugno, giorno in cui io stesso avevo potuto constatare che con un poco di coraggio i comunisti sarebbero riusciti ad impadronirsi del potere ed a proclamare la dittatura del proletariato). Ma fortunatamente furono aperti gli occhi a Blum che se non si decise ad agire lui stesso permise che agissero gli altri. Chautemps accenna al suo intervento per porre fine ai conflitti fra capitale e lavoro.

Chautemps mi dice poi che in Francia molti credono tuttora che il fascismo, nel campo sociale, sia antagonista del socialismo e pertanto si stupiscono, anzi non credono, quando si spiega loro che tutte le rivendicazioni dei lavoratori francesi nel 1936 sono fatti acquisiti in Italia da vari anni. In Francia in questo momento si sta creando, pur senza fascismo ma seguendo l'esperienza dell'Italia, un vero e proprio diritto corporativo. Egli si augura che si possano ottenere risultati felici anche se il corporativismo francese debba nascondersi dietro certi veli per necessità politica.

Pur astenendosi completamente dall'accennare all'eventualità di una sua successione a Blum, Chautemps mi dice che, avendo accompagnato la vigilia il presidente del Consiglio ad Orléans dove i socialisti sono relativamente pochi e sono invece forti i radical-socialisti, si poté rendere conto dall'accoglienza ricevuta che tutte le simpatie della cittadinanza erano per un Fronte Popo

lare senza comunisti. Ciò si constata in tutti i dipartimenti ed è in previsione di una scissione inevitabile del blocco, col distacco dei comunisti, che egli aveva parlato la domenica precedente accennando alla necessità di far votare dal Parlamento attuale la riforma elettorale (proporzionale) e di indire poi le elezioni.

Chautemps crede che i comunisti hanno già perduto oggi come oggi un buon terzo dei voti che ebbero in primavera. II Paese ha constatato che pericolo potrebbe essere per la Francia un esperimento comunista. È impossibile fare pronostici, ma non vi può essere dubbio circa il sollecito ritorno al potere di un Gabinetto più moderato.

Politica estera. Chautemps mi domanda se è stata regolata la questione relativa alla presentazione delle lettere credenziali del nuovo ambasciatore di Francia. Gli rispondo negativamente mettendolo al corrente delle C'-onversazioni avute al Quai d'Orsay. Chautemps mi dice che non si può rimanere senza ambasciatore di Francia a Roma, fa l'elogio di Saint Quentin e mi dice che si propone di parlare della cosa a Blum perché si escogiti una via di uscita.

Parla poi molto amichevolmente dell'Italia, deplorando che si sia creata un'atmosfera diversa da quella di assoluta fiducia che aveva seguito agli accordi di Roma. Gli rispondo che se ne deve rjcercare la causa in molti fatti, non ultimo in un abuso fatto recentemente c'li «solidarietà fra Stati democratici », che si sciorinò in ogni occasione, anche quando si decise di svalutare il franco (1). La reazione era naturale e consisteva in un sempre maggiore avvicinamento degli Stati autoritari che ritengono di doversi premunire contro una qualsiasi campagna fatta a nome della democrazia. Chautemps ne conviene e mi dice che trovò ridicolo l'accenno alla solidarietà dell'Inghilterra e dell'America in occasione della svalutazione del franco perché la verità è che di tale questione si parlò a Nuova York e Londra qualche mese fa, che poi tutto fu posto a dormire e che soltanto alla vigilia dell'operazione si tornò a parlare, senza però ottenere dall'America e dall'Inghilterra alcuna garanzia o anche solo assicurazione positiva. Cosicché questa della svalutazione del franco può considerarsi come uno dei maggiori insuccessi dell'attuale governo francese.

Chautemps parla nuovamente dell'Italia dicendo che egli confida in un ritorno prossimo di relazioni confidenti ed amichevoli che considera tanto più necessarie che, senza di esse, non è possibile alla Francia di pensare a quell'avvicinamento alla Germania senza il quale non vi sarà sicurezza di pace in Europa. Secondo il suo concetto, all'Italia, amica della Francia per molte ragioni e sopratutto per l'identità di sangue e di mentalità, ed amica della Germania per analogia di regimi dovrebbe spettare il grandissimo compito di facilitare l'accordo franco-tedesco.

Nessuno è più contrario di lui ai Soviet, cosicché egli ritiene sia stato un errore concludere il trattato franco-sovietico, dal punto di vista politico. Insiste sulla parola «politico » perché in realtà il patto di cui si tratta, dal

punto di vista pratico, è privo di valore e non è che la conferma degli obblighi

derivanti dal Patto della S.d.N. La Germania ha torto di impuntarsi contro

questo patto e dovrebbe invece pensare che se essa fosse sincera nel volere

l'amicizia della Francia, il documento che si firmerebbe sarebbe capitale per la

pace del mondo e renderebbe superflua qualsiasi altra «sicurezza», quasi

anche quella rappresentata dalla esistenza della S.d.N., assai malconcia.

Circa la Spagna, Chautemps dice che egli dovette lavorare molto in seno al Gabinetto per calmare gli spiriti. Rende merito a Delbos di avere con la sua proposta-paravento reso meno acuta la divergenza di vedute fra gli Stati autoritari e quelli che subiscono l'influenza degli estremisti. Le cose stanno per finire a Madrid ma incomincieranno a diventare criticissime a Barcellona. Chautemps ne è preoccupato e si augura che tutto possa finire presto ma ne dubita. Per la Francia si pone il grave problema dei suoi rapporti col governo nazionalista, dato che è indispensabile per essa di essere in eccellenti termini con qualsiasi governo spagnuolo.

Chautemps mi prega di rendersi interprete dei suoi sentimenti di calda amicizia verso l'Italia se ne ho l'occasione recandomi a Roma e dice che sarà lieto di rivedermi dopo il mio ritorno.

(l) -Il documento contiene alcune Incertezze d! decifrazione. (2) -Questo appunto -così come !"appunto relativo a colloquio con Lava! del 21 ottobre, qui pubblicato come D. 266 -è da ritenere sia stato consegnato a Ciano personalmente dall'ambasciatore Cerrut! che si recò a Roma dal 25 al 30 ottobre.

(l) Vedi p. 129, nota 2.

246

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. PERSONALE 10421/222 R. Vienna, 20 ottobre 1936, ore 14 (per. ore 16,40).

Ho avuto solo oggi occasione fare a Stahremberg, ritornato iersera dalla Ungheria, comunicazione ordinatami da V.E. con telegramma n. 171 (1).

Principe, ringraziandomi mi ha assicurato che non dimenticherà mai appoggio dato da V. E. al suo movimento e benevolenza mostrata a lui personalmente. Del suo proposito di non creare alcun imbarazzo al governo Schuschnigg crede di dare la prova migliore riducendo al minimo la sua permanenza a Vienna e in Austria. Partirà fra giorni per caccia Romania. Smentisce voce suoi prossimi viaggi a Berlino, non escludendo che verso la fine anno corrente possa recarsi a visitare amici a Monaco; avrebbe intenzione recarsi più tardi anche a Sestriere.

Stahremberg pur riconoscendo abilità ultimi discorsi Schuschnigg e sue buone intenzioni, teme che forte gruppo heimwehristi, specialmente territorio confine Austria superiore, Salisburghese e Carinzia si sbandi verso i nazionalsocialisti.

Mi ha parlato con vivo risentimento di Baar smentendo in gran parte di lui narrazione riferita con mio rapporto riservato n. 1960 del 15 corrente (2).

(l) -Vedi p. 222, nota 3. (2) -R. 3685/1960. Baar aveva affermato tra l'altro a Salata di essere stato Invitato da Starhemberg a dimettersi dal governo, senza attendere Il ritorno di Schuschn!gg da Budapest.
247

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10424/151 R. Varsavia, 20 ottobre 1936, ore 16,30 (per. ore 19,30).

Questo ambasciatore di Germania mi ha detto che Beck a più riprese avrebbe tentato di conoscere le disposizioni di Berlino circa partecipazione della Polonia ad un eventuale patto delle Potenze occidentali (patto a quattro, nuova Locarno, eccetera). Gli sarebbe stato risposto sempre evasivamente. Ambasciatore ha aggiunto che non è probabile che ulteriori passi riceverebbero migliore accoglienza, Germania desiderando mantenere ben distinti confine occidentale da quello orientale e sembrandole oltre tutto difficile di avere su questo argomento una attitudine diversa nei riguardi della Polonia e dell'U.R.S.S. Ritengo comunque probabile che la ragione principale dell'avversione tedesca sia il desiderio di non volere in un patto occidentale la Polonia alleata della Francia.

248

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R 10426/1341 R. Londra, 20 ottobre 1936, ore 20,57 (per. ore 2 del 21).

Mio informatore mi comunica che nell'ultima seduta Gabinetto sarebbero state espresse apprensioni circa possibilità che dalla visita di V. E. a Berlino possa derivare accordo di carattere stretto e definito fra Italia e Germania. Secondo stesso informatore, tale stato d'animo avrebbe indotto Foreign Office a preparare risposta molto conciliante all'ultima nota tedesca relativa conversazioni tra Potenze occidentali (l); ciò non tanto perché si speri nel successo di un nuovo patto occidentale, quanto per desiderio di evitare ogni ostacolo al proseguimento delle conversazioni in corso con la Germania.

Telegrafato Roma e Berlino.

249

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RR. PER CORRIERE 10535/0297 R. Parigi, 20 ottobre 1936 (per. il 23).

Essendomi recato ieri dal signor Léger fui da lui accolto nel modo più premuroso ed appena gli ebbi accennato alla questione sorta in seguito al richiamo del conte de Chambrun (2), egli mi disse che, a suo giudizio, l'incidente creato

dalla redazione delle credenziali del nuovo ambasciatore di Francia a Roma

non doveva per nulla influire sulle buone relazioni italo-francesi. Per tale

motivo egli aveva impartito istruzioni perché la stampa amica del Quai d'Or

say non menzionasse la cosa e finora effettivamente soltanto tre giornali, in

corrispondenze da Roma, avevano accennato all'incidente.

Léger mi diede quindi lettura del lungo telegramma spedito a de Chambrun per spiegargli i motivi per i quali il governo francese non poteva accedere, in questo momentg, al desiderio espresso dal governo italiano e per dargli l'istruzione di fare le visite di congedo e ritornare in Francia. Giunto verso la fine del telegramma, dove vi era una correzione, Léger mi disse che il testo primitivo, redatto dagli uffici secondo le istruzioni del governo francese che aveva esaminato il problema in Consiglio dei ministri, ingiungeva a de Chambrun di presentare le lettere di richiamo personalmente prima di partire. Tale decisione era stata motivata da notizie prevenute a Parigi secondo le quali il conte de Chambrun si sarebbe molto imprudentemente espresso a Roma nel senso che, ritenendo il proprio richiamo una vendetta personale di Blum, si riteneva sicuro che Lavai o chi altri fosse stato in breve il nuovo presidente del Consiglio francese avrebbe revocato il suo decreto di collocamento a riposo. Chambrun avrebbe lasciato intravvedere che egli avrebbe pertanto potuto trarre beneficio dalla situazione creatasi astenendosi dal presentare ora le proprie lettere di richiamo, cosicché a revoca del decreto che lo concerneva, avrebbe, senza bisogno di presentare nuove credenziali, ripreso le proprie funzioni a Roma.

Léger osservò che era deplorevole che un ambasciatore non si rendesse conto come, esprimendosi in termini simili, senza giovare a sé nuocesse al proprio Paese, lasciando supporre che un provvedimento di ordine generale e per nulla personale avesse una portata politica nei riguardi del Paese estero presso cui esso era stato accreditato. Léger aveva ad ogni modo di sua iniziativa creduto di sopprimere il paragrafo del telegramma che ordinava a de Chambrun di presentare le proprie lettere di richiamo prima di partire. Lo aveva fatto innanzi tutto perché trovava talmente assurdo il calcolo di de Chambrun, che non riteneva fosse il caso di prenderlo in considerazione; in secondo luogo aveva voluto evitare, facendo rimettere in questo momento dall'ambasciatore partente le proprie lettere di richiamo, di marcare che il governo francese non poteva indirizzarle che a S.M. il Re d'Italia, senza menzione del nuovo suo titolo di Imperatore di Etiopia, e ciò nonostante che il governo italiano avesse recentemente insistito sul fatto che Sua Maestà doveva essere d'ora innanzi designata nei termini precisi stabiliti da una legge italiana. Gli era sembrato riguardoso, verso l'Italia, di agire in questo modo. Le lettere di richiamo di de Chambrun saranno pertanto presentate insieme alle nuove credenziali del suo successore, quando questi sarà in grado di rimetterle a Sua Maestà.

Léger mi disse ancora che nel riferire circa le sue visite di commiato, de Chambrun aveva fatto conoscere che il Duce (l) gli aveva manifestato il proprio rincrescimento di vederlo partire e di constatare come il provvedimento

preso contro di lui fosse un vero e proprio sgarbo del governo di Fronte Popolare contro la propria persona, giacché sapeva che sarebbe stato possibile, in base ad un temperamento adottato su istanza del Quai d'Orsay, di mantenerlo ulteriormente a Roma nonostante avesse raggiunto i limiti di età. Léger mi espresse il proprio vivo rincrescimento per il fatto che il Duce avesse potuto pensare ad una mancanza di riguardo del governo francese verso la sua persona.

Ricordò le spiegazioni che aveva avuto premura di darmi (1), appunto per evitare ogni interpretazione erronea e, data l'osservazione del Duce circa la possibilità che vi sarebbe stata di fare un'eccezione nei riguardi del conte de Chambrun, volle spiegarmi che il presidente del Consiglio Lavai aveva creduto di introdurre una modificazione nella disposizione sino allora vigente giusta la quale nessun estraneo poteva essere immesso nelle carriere del ministero degli Affari Esteri se non quando fossero stati collocati a riposo, l'uno dopo l'altro, dieci funzionari. Lavai aveva ridotto questo numero a cinque, il che permetteva di immettere negli organici del Quai d'Orsay un numero doppio di estranei. In occasione dell'ultimo movimento diplomatico, il presidente del Consiglio Blum decise di affidare l'ambasciata di Buenos Aires al signor Peyrouton, ex Residente Generale al Marocco, la cui testa era stata chiesta dal partito comunista in seguito all'atteggiamento energico assunto contro gli estremisti durante il proprio governo in Tunisia prima ed in Marocco dopo. Era quindi stato necessario di portare a cinque il numero dei diplomatici collocati a riposo ed appunto per ciò non si era potuto fare a meno di includervi il conte de Chambrun. In via confidenziale Léger osservò poi meco che, se il governo francese aveva accolto il temperamento proposto dal Quai d'Orsay che permette di mantenere in servizio gli ambasciatori anche oltre i 60 anni, il caso eccezionale non poteva riguardare che ambasciatori i quali avessero mostrato di possedere qualità eccezionali e reso segnalati e preziosi servizi alla Francia. Con la migliore volontà del mondo non si poteva collocare in questa categoria il conte de Chambrun, il quale era bensì stato un ottimo servitore della Patria ed un diplomatico distintissimo ma non poteva aspirare ad essere comparato con i due Cambon o con Barrère, ai quali si era pensato proponendo il tempramento suddetto.

Credetti dire da parte mia a Léger che non comprendevo perché si fossero fatte premure al conte de Chambrun di lasciare Roma. Visto che egli non doveva ricoprire un altro posto, la sua permanenza prolungata a Roma avrebbe risolto il problema e permesso alla Francia di essere rappresentata a Roma da un ambasciatore fino all'arrivo di quello nuovo. Glielo avevo già detto e glielo ripetevo ora. L_éger rispose che, oltre agli argomenti da lui espostimi qualche giorno fa e poc'anzi, aveva influito sulla decisione di cui si tratta la dichiarazione che V.E. aveva fatto al conte de Chambrun «che il governo italiano riteneva preferibile di trattare con un incaricato d'affari» (2). Inoltre il governo francese non poteva accettare di essere trattato diversamente dagli Stati Uniti. Risposi a Léger che, come gli avevo già detto, il caso delle credenziali Suvich

Phillips era stato risolto prima della riunione di Ginevra. Ma egli insistette sul suo punto di vista ricordando che V. E. aveva dichiarato a de Chambrun che non si poteva ammettere una redazione diversa da quella richiesta perché il nuovo titolo di Sua Maestà era stato stabilito da una legge dello Stato italiano a cui non si può dunque derogare. Poiché viceversa era stata fatta una deroga nei riguardi degli Stati Uniti, aveva prodotto penosa impressione il rifiuto di fare cosa analoga nei riguardi della Francia.

Ho a questo punto della conversazione detto a Léger che il passato era passato e che ciò che più mi interessava era di vedere come sarebbe stato possibile uscire al più presto dall'attuale situazione. Egli mi aveva parlato della impossibilità di riconoscere a S. M. il Re il titolo di Imperatore di Etiopia sino a quando questo Stato figurasse nell'elenco dei membri della S.d.N. Ed aveva anzi aggiunto che fino a che fosse risolta tale questione giuridica non avrebbe avuto scopo discutere fra Italia e Francia per risolvere le questioni concernenti gli interessi francesi in Africa Orientale. Osservavo dal mio lato che, dato il metodo assai opportunamente adottato per conciliare gli interessi italiani e francesi in Africa Orientale e gli ottimi risultati sin qui ottenuti, le conversazioni fra governi, quando venissero iniziate, avrebbero avuto senza alcun dubbio esito soddisfacente e rapido. La Francia invece doveva sopratutto occuparsi di superare i cavilli giuridici. Léger mi disse che, secondo il suo giudizio, questo sarebbe stato compito del prossimo Consiglio della S.d.N. Volle ad ogni modo interpellare telefonicamente Massigli che rispose essere necessaria una decisione dell'Assemblea e fece notare che questa, normalmente, dovrebbe riunirsi soltanto nel settembre 1937. A questa ultima osservazione Léger scattò, dichiarò a Massigli che occorreva uscire al più presto dalla situazione in cui ci si trovava perché la Francia aveva bisogno di relazioni normali e cordiali con l'Italia. Doveva dunque essere eliminato, con i mezzi necessari, tutto quanto ostacolava la collaborazione amichevole dei due Paesi cosicché Massigli fu incaricato di studiare senza indugio e con la massima cura la procedura più adatta da seguirsi. Léger spinse il suo buon volere sino ad esprimermi i suoi ringraziamenti per avere richiamata la sua attenzione sopra tale importante argomento e mi lasciò intendere che si sarebbe posto al riguardo in rapporto con Londra per studiare insieme la migliore soluzione.

(l) -Vedi D. 208, nota 6. (2) -L'ambasciatore de Chambrun aveva ricevuto l'ordine di lasciare Roma entro il 31 ottobre, affidando l'ambasciata al consigliere Bionde! come incaricato d'affari.

(l) Di questo colloquio non è stata trovata documentazione.

(l) -Vedi D. 173. (2) -SI veda in proposito Il resoconto del colloquio tra Ciano e de Chambrun dell'8 ottobre inviato dall'ambasciatore francese e riprodotto In DDF, vol. III, D. 329. Su tale colloquio non è stata trovata documentazione negli archiVI Italiani.
250

IL SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MILIZIA VOLONTARIA PER LA SICUREZZA NAZIONALE, GAUTTIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

N. 14155/ A/10. Roma, 20 ottobre 1936 (per. il 21).

Viene segnalato da fonte degna di fede che, in seguito ad un articolo pubblicato dal giornale Regime Fascista si è manifestata fra gli ebrei americani una sorda irritazione contro l'Italia, essendosi persuasi che anche nel nostro Paese è stata iniziata una persecuzione contro la loro razza. Questa irritazione comincia ad avere i suoi effetti a danno dei nostri connazionali colà residenti perché israeliti che sono a capo di aziende cercano di sbarazzarsi del personale italiano che hanno alla loro dipendenza. Data la potenza che hanno gli israeliti in tutti i capi dell'industria, del commercio e degli affari, questa loro ostilità potrà mettere sul lastrico molti nostri connazionali.

251

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 7731/1092. Atene, 20 ottobre 1936 (per. il 24).

Tornato dal congedo, ho fatto visita al capo del governo Metaxas ed ho avuto con lui un lungo colloquio sulle relazioni itala-greche nel quale ho esposto le istruzioni verbali impartitemi da V.E. Innanzi tutto ho fatto presente al generale Metaxas che l'affinità di regime che la Grecia va stabilendo con l'Italia non può limitarsi, sul piano internazionale, a semplici manifestazioni di ordine ideologico. Ho aggiunto che, mentre la Grecia prende a guida l'Italia di Mussolini per il suo rinnovamento interno, essa non dovrebbe in politica estera continuare a gravitare intorno alle due co3idette «democrazie superstiti», in particolare verso l'Inghilterra, la cui attività in Grecia si è in questi ultimi tempi intensificata in forma da attirare l'attenzione internazionale. Ho accennato alla visita di Re Edoardo (1), alle successive visite dei ministri Hoare (2) e Sassoon (3) e più ancora alla visita della flotta britannica (4) sottolineata dall'invito alla flotta greca di recarsi a Malta .

Il generale mi ha risposto riaffermando che, oltre gli antichi legami d'amicizia, nessun vincolo esiste o è stato recentemente contratto con l'Inghilterra. Si è quindi affrettato a dirmi che per quanto si riferisce all'Italia fin dal suo arrivo al potere egli aveva cercato di farci sentire tutto il grande valore che attribuisce alla nostra amicizia. Ha ricordato che una delle sue prime cure di governo fu di chiarire esplicitamente e per iscritto, alla Conferenza di Belgrado (5), la portata del Patto Balcanico nei riguardi dell'Italia, dissipando tutti gli equivoci che al riguardo avevano fatto sorgere l'attitudine e le tergiversazioni dei suoi predecessori; e che, una volta finito l'infelice episodio delle sanzioni, la Grecia era stata tra i primi a liquidare gli accordi mediterranei.

Ho replicato che dopo il disgraziato regresso, verificatosi non per colpa dell'Italia ma per colpa dei vari governi che si sono succeduti in Grecia, nelle relazioni itala-greche dal punto a cui le aveva portate Venizelos e dopo le recenti critiche vicende, occorre qualcosa di più concreto per dimostrare

un nuovo e chiaro orientamento delle intenzioni di Atene e sviluppare, oltre il parallelismo ideologico dei regimi, una corrispondenza politica dei governi. Sappiamo, ho continuato, che una subdola ed interessata propaganda straniera pretende di attribuire all'Italia mire aggressive nel Mediterraneo ai danni della Grecia. Niente di più assurdo. Sono autorizzato a smentire nel modo più categorico l'immaginario pericolo di cui si favoleggia.

Il generale Metaxas, pur affermando di non credere a tali voci di propaganda avversa, ha preso atto con soddisfazione delle mie dichiarazioni. Ho poi detto al mio interlocutore che, qualora la Grecia mostrasse una più esplicita adesione alla politica italiana mediterranea, l'Italia, collaboratrice generosa dei suoi veri amici, sarebbe da parte sua disposta ad assecondare tale indirizzo. Il capo del governo ellenico ha risposto rinnovandomi i sentimenti di amicizia e !asciandomi intravedere la possibilità, alla prima occasione propizia, di una manifestazione in tal senso. Non ho mancato infine di accennare alla prospettiva di una cordiale collaborazione itala-jugoslava che avrebbe per la Grecia un significato tutto particolare ed ho finito il mio colloquio dicendo che, quantunque sia superfluo di ripetere che una questione territoriale del Dodecanneso non esiste e non esisterà mai per noi, ciò non esclude la possibilità che l'Italia possa considerare qualche temperamento di dettaglio in alcuni regolamenti amministrativi dei possessi italiani nell'Egeo, temperamento atto a favorire gli interessi dei greci colà residenti.

Il generale Metaxas ha risposto che l'opinione ellenica sarebbe molto sensibile a un simile indirizzo e che di esso si avvantaggerebbero in grandissima misura i rapporti itala-greci.

Mi riservo di tornare alla prima occasione sugli stessi argomenti. Intanto continuo a seguire attentamente la situazione che oggi si può riassumere nei punti seguenti:

Politica estera. La Grecia crede di poter persistere in una posizione di equilibrio manovrato tra Italia ed Inghilterra. Quest'ultima in nome della tradizionale amicizia e in virtù di interessi finanziari ed economici si sforza di prevalersi della Grecia come campo per la sua politica navale, senza spostarla dall'asse del Patto Balcanico e dal suo sistema di relazioni internazionali. In questo senso il riavvicinamento anglo-turco rappresenta un fattore molto favorevole all'attività inglese in questo Paese. D'altra parte, la Grecia sente nell'Italia una vicina potente ed attiva la cui ascesa sotto la guida del Duce ha toccato culmini di prestigio da essa insospettati; ne teme l'inimicizia come assai pericolosa e ne considera l'amicizia come assai vantaggiosa. Essa si astiene quindi dal vincolarsi all'Inghilterra isolatamente ma si astiene allo stesso tempo di prendere posizione con l'Italia ritenendo che questo passo implicherebbe il sacrificio del Patto Balcanico in cui essa vede ancora uno dei capisaldi della sua politica estera. Questa posizione del governo greco ha rispondenza nel sentimento popolare che non solo è profondamente impressionato della nuova potenza dell'Italia imperiale ma non ha più l'antica fiducia nella potenza inglese dopo il grave insuccesso subito nel conflitto etiopico e dopo la fine della miserabile farsa societaria. Non bisogna inoltre dimenticare che nel sentimento e nel giudizio popolare ellenico scorre sempre il rancore per il disastro micro-asiatico (l) la cui responsabilità è in gran parte attribuita all'Inghilterra.

Politica interna. La situazione del nuovo regime continua ad apparire stabile per le ragioni che ho avuto già l'onore di esporre a V. E. nei miei precedenti rapporti (2).

Esistono tuttavia fenomeni di disagio che danno corso, sia pure in sordina, a voci di malcontenti. Queste rispondono in parte alla resistenza dei gruppi e degli interessi spodestati, e in parte ai reali inconvenienti del succedersi alla rinfusa di leggi, provvedimenti e regolamenti di imperio che richiederebbero, oltre che mezzi adeguati e metodi appropriati, una elaborazione intellettuale ed una preparazione tecnica che i collaboratori ed esecutori di Metaxas sembrano di non avere appieno. Si aggiungano le critiche condizioni sociali ed economiche che tutti conoscono e si mettano le voci allarmistiche in relazione all'inveterato costume ellenico del pettegolezzo di salotto e di marciapiede e si vedrà come sia prudente fare una buona tara alle mormo-. razioni private dei cittadini e sopratutto dei politicanti disoccupati.

Il nuovo governo ha sempre il sostegno dell'esercito. Il Re continua anche ad accordare il suo appoggio al generale Metaxas. Anzi, a quanto mi è stato assicurato da varie autorevoli fonti, Re Giorgio avrebbe recentemente rifiutato di ricevere il conte Theotokis che voleva presentarsi a lui come capo di un partito di opposizione, e gli avrebbe fatto rispondere per mezzo dello stesso Metaxas che lo avrebbe ricevuto soltanto a titolo privato. I partiti politici sono quasi estinti con i loro vecchi capi scomparsi in blocco dalla scena della vita senza lasciare altra eredità che minuti rancori personali. Il mondo degli affari se teme dal nuovo regime aumenti di spese e di tasse, mantiene tuttavia una aspettativa fiduciosa verso la dittatura che lo rassicura contro il pericolo comunista. Il governo spiega una grande attività, nei limiti delle possibilità e dei mezzi a sua disposizione, in favore delle masse lavoratrici e delle popolazioni rurali, mentre consacra ogni studio alla legislazione del lavoro prendendo esempio dall'Italia fascista e dai suoi ordinamenti corporativi. In conclusione, il nuovo regime è all'opera, senza opposizioni apprezzabili, di fronte alla attesa fiduciosa del Paese ancora stanco ed esaurito da tanti anni di disordine. La pressione degli ardui compiti interni e delle molteplici difficoltà internazionali contribuisce con gli altri fattori già accennati alla stabilità del governo che il generale Metaxas esercita con mano forte e grande iniziativa, mentre l'allontanamento degli altri uomini politici dalla scena pubblica non ha per ora nessun effetto nell'opinione nazionale.

La sola incognita grave della situazione consiste sempre nel fatto che il generale Metaxas non ha un suo partito di governo e che il programma per fondarne uno non ha potuto finora avere esecuzione nonostante l'azione che sta svolgendo il ministro Kotzias per l'organizzazione della gioventù alla quale si rivolgono gli sguardi di tutti coloro che confidano nel rinnovamento della Grecia.

(l) -Vedi p. 15, nota l. (2) -Vedi p. 15, nota 2. (3) -Il sottosegretario all'Aeronautica britannico, Sir Ph!llp Sassoon, era giunto in Grecia 11 19 ottobre proveniente da Cipro dove aveva ispezionato le basi britanniche. (4) -Una squadra britannica si era recata in Grecia in visita ufficiale dal 15 al 23 ottobre. Per le reazioni ital!ane si vedano i DD. 263, 282 e 317. (5) -Vedi p. 41, nota 2. (l) -Si riferisce al ritiro della popolazione ellenica dall'Asia Minore dopo la vittoria delle forze turche di Mustafa Kemal nel 1922. (2) -Vedi serie ottava, vol. IV, D. 736.
252

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10455/224 R. Vienna, 21 ottobre 1936, ore 12,52 (per. ore 15,10).

Von Papen ha chiesto a Schmidt e a me se ci constava del progetto di pretesa fonte romana, raccolta dai giornali inglesi, di far assistere lui come osservatore alla prossima conferenza Vienna a tre.

Segretario di Stato per gli Affari Esteri rispose nulla saperne, sembrargli poco probabile, non poter far alcuna dichiarazione senza consultarsi con i due governi.

Io mi limitai dire non aver alcuna notizia. Von Papen si diffuse espormi importanza e vantaggi di una sua partecipazione se pure indiretta. Osservai tra altro doversi tener conto Stati Piccola Intesa cui interesse assetto danubiano è anche più diretto, poter in un primo tempo il contatto da lui desiderato avvenire anche per altra via meno appariscente.

Telegrafato Roma e Berlino.

253

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PERSONALE 4646/517 R. (1). Roma, 21 ottobre 1936, ore 16.

La tensione fra italiani e truppe francesi a Dirè Daua sta aumentando, ed ha dato luogo ad incidenti con ferimento di tre senegalesi. Richiami l'attenzione del Quai d'Orsay sulla urgenza di rimandare le truppe senegalesi alle loro primitive sedi (2).

254

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10468/75 R. L'Aja, 21 ottobre 1936, ore 17,21 (per. ore 20,05).

Questo ministro degli Affari Esteri evita di ammettere che Delbos abbia fatto al ministro di Olanda a Parigi apertura per una partecipazione dei Paesi Bassi ad una nuova Locarno. Subito, però, aggiunge nettamente che per nessun motivo Olanda abbandonerà linea neutralità strettissima finora se

guita. Se necessario, egli aggiunge, governo olandese riaffermerà principi opposti alla offerta hitleriana del marzo scorso (mio telegramma n. 22 dell'8 aprile) (1).

Per governo olandese qualsiasi partecipazione dei piccoli Stati ad accordi che importino impegni speciali verso grandi Potenze appare tuttora un pericolo immanente. Risulta approvare dichiarazioni fatte dal Re Leopoldo che ritiene ispirato ugualmente da motivi di politica e dal solito timore del pericolo insito nell'accordo franco-sovietico.

(l) -Minuta autografa. (2) -Cerruti compì il passo prescrittogli in un colloquio del 23 ottobre con Léger. Questo ultimo fece notare l'inopportunità di sollevare la questione in un momento così delicato, rischiando un rifiuto del ministro delle Colonie che avrebbe potuto pregiudicare la trattazione di altri problemi (T. 10546/635 R. del 23 ottobre, ore 20).
255

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10467/199 R. Mosca, 21 ottobre 1936, ore 17,30 (per. ore 19,30).

Mi risulta sempre più palese che viaggio del ministro degli Esteri italiano a Berlino preoccupa vivacemente governo sovietico. Ne ho avuto chiara sensazione nel mio colloquio con Litvinov (mio telegramma n. 197) (2) e lo conferma la stampa odierna la quale ripete quasi testualmente stesso argomento e recriminazioni sviluppatemi da commissario del Popolo per gli Affari Esteri. Reazioni sfavorevoli provocate in Inghilterra e Francia da recenti manovre sovietiche in seno Comitato di non intervento ha dato sensazione di isolamento; dichiarazioni del Re del Belgio sono interpretate come condanna di qualsiasi tentativo di organizzare sistema di azione collettiva e timore della Germania incomincia ad assumere aspetto di vera ossessione.

256

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, VON NEURATH (3)

APPUNTO. Berlino, 21 ottobre 1936.

Col ministro von Neurath abbiamo riesaminato i vari punti del Protocollo e abbiamo espresso successivamente i nostri punti di vista sulle varie questioni.

Locarno. -Neurath ed io abbiamo confermato di tenerci in contatto per l'avvenire come per il passato, avendo riscontrato ancora una volta una identità di vedute su tale questione. La Germania -secondo quanto dichiara von

Neurath -non è disposta ad accettare Patti tripartiti, né ad ammettere una situazione risultante dalla somma della vecchia Locarno più un Patto aereo tripartito anglo-franco-tedesco. Inoltre non intende che tra la nuova Locamo, la situazione orientale ed il Covenant della Società delle Nazioni esistano rapporti di sorta.

Concordiamo nel giudicare utile ai nostri fini il recente atteggiamento belga (l): anche la Germania farà conoscere tale suo giudizio a Bruxelles.

La discussione dell'eventualità di un Patto occidentale ha portato il Ministro tedesco e me ad esaminare i rapporti dei nostri due Paesi con l'Inghilterra. Ho detto a Neurath che noi non facevamo né intendevamo fare una politica antibritannica ma dovevamo registrare le attività che gli inglesi svolgono contro di noi. Se l'Inghilterra continua in tale sua politica, noi siamo decisi a fronteggiarla e la necessaria preparazione è già in atto. Neurath mi ha detto che concorda assolutamente con noi nel ritenere. che l'Inghilterra cerca di svolgere una politica di accerchiamento contro l'Italia. Ma la politica dell'Inghilterra, anche nei riguardi della Germania, è tutt'altro che chiara ed amichevole. Neurath non si è mai fatto illusioni su questo punto: egli sa che l'Inghilterra guarda la Germania nazista con animo ostile.

Ho ritenuto allora opportuno di dirgli che sono in nostro possesso alcuni documenti (che, d'ordine del Duce, rimetterò direttamente al Ftihrer) (2), i quali provano in forma definitiva le intenzioni ostili della Gran Bretagna verso la Germania. Neurath mi ha detto che è ben lieto che tali documenti vadano nelle mani del Fiihrer, il quale potrà più tranquillamente abbandonare quei residui di illusioni creatigli da Ribbentrop, secondo le quali l'Inghilterra avrebbe voluto fare una politica di amicizia e di collaborazione sincera con la Germania. Ma anche il Fiihrer in questi ultimi tempi ha avuto modo di rendersi conto di come le previsioni di Ribbentrop fossero fallaci.

Società delle Nazioni. -Tanto Neurath che io confermiamo appieno quanto risulta dal relativo accordo contenuto nel Protocollo. Dico a von Neurath che la nostra decisione di rimanere alla S.d.N. è tutt'altro che definitiva: a suo tempo, ed essendosi verificati alcuni eventi di polizia militare in Abissinia, noi riesamineremo la nostra posizione verso Ginevra. Neurath ne prende atto, ma per parte sua non insiste per una nostra uscita immediata, dato che noi, essendo ancora membri della S.d.N., abbiamo la possibilità di svolgervi, se del caso, un'opera di sabotaggio utile ai comuni fini.

Comunismo. -Si conferma quanto risulta dal Protocollo. Spagna. -Neurath comunica l'intenzione del Governo tedesco di procedere al riconoscimento del governo franchista subito dopo l'occupazione di Madrid. Concordo. Domando a Neurath cosa gli risulti circa la situazione militare delle forze rivoluzionarie. Egli non ha notizie molto precise, ma ritiene che si attraversi una critica fase di stasi. Gli dico che tale è anche l'opinione nostra e che

p. -244, nota 4).

il Duce mi ha incaricato, a questo proposito, di dire al Fiihrer che egli intende compiere uno sforzo militare decisivo per determinare il tracollo del Governo di Madrid. Desidera sapere se il Fiihrer è pronto ad associarsi a tale azione. Per parte nostra, oltre alle nuove forze aeree, che manderemo, possiamo anche fornire due sottomarini sufficienti a liberare il mare dalle forze dei rossi.

Neurath mi dice che certamente il Fiihrer concorderà; comunque la questione verrà definita durante il colloquio a Berchtesgaden. Tra me e Neurath rimangono fissati nei riguardi della Spagna i tre seguenti punti: l) sforzo militare immediato e comune; 2) riconoscimento dopo l'occupazione di Madrid; 3) azione comune, che verrà definita a suo tempo, per impedire il determinarsi e il consolidarsi di uno stato catalano.

Austria. -Confermiamo quanto risulta dal Protocollo.

Neurath esprime la sua soddisfazione per i recenti avvenimenti che hanno comportato il consolidamento totalitario della posizione di Schuschnigg (1). Mi associo pienamente a quanto egli dice.

Gli domando quali siano le intenzioni del Governo tedesco circa la elevazione di quella Rappresentanza al rango di Ambasciata. Neurath risponde che egli è contrario alla cosa, che ha dato istruzioni in tal senso a von Papen, ma teme che quest'ultimo sia riuscito a carpire al Fiihrer -il quale non attribuisce molta importanza a questa questione tecnica specifica -il permesso di avanzare la proposta a Vienna.

Gli dico che anche noi siamo contrari. Comunque rimaniamo d'accordo che, qualora si dovesse arrivare alla elevazione delle Legazioni al rango di Ambasciate, si procederebbe di piena intesa e si adotterebbe il provvedimento lo stesso giorno.

Politica economica generale. -Spiego a Neurath le ragioni che ci hanno indotto alla svalutazione (2). Neurath dichiara di rendersi esattamente conto e dice che il Governo del Reich non ha svalutato adesso per speciali ragioni contingenti, ma che si dispone a farlo non appena tali ragioni saranno cessate.

Collaborazione economica nel Bacino danubiano. -Confermiamo quanto risulta dal Protocollo circa l'opportunità di lasciare definire dagli organi tecnici -però al più presto -la forma e i limiti di tale collaborazione.

L'argomento induce a compiere un rapido esame dei rapporti politici coi vari Stati balcanici. Ci soffermiamo particolarmente sui rapporti con la Jugoslavia e Neurath, registrando la recente détente tra Roma e Belgrado, mi dice che sarebbe nostro interesse di stabilire al più presto buone relazioni con la Jugoslavia per due ragioni: una prima di interesse comune, relativa all'opportunità di rafforzare mediante l'adesione jugoslava il «barrage» al comunismo; una seconda, di interesse particolarmente italiano, relativa ai vantaggi di sot

trarre Belgrado all'influenza britannica; dato che al Governo del Reich risulta in forma sicura che gli inglesi tendono a crearsi una piattaforma di amicizia in Jugoslavia per assicurarsi le basi dalmate in caso di conflitto e per completare il tentativo di accerchiamento anti-italiano.

Rispondo a Neurath che fra noi e la Jugoslavia non esiste alcuna seria ragione di dissenso e che è pertanto nostra intenzione di raggiungere una intesa.

Per quanto concerne poi la Romania, Neurath dice che, una volta stabilito l'accordo con Belgrado, essa dovrà inesorabilmente avvicinarsi a noi.

Neurath dice infine che gli albanesi gli hanno fatto reiteratamente conoscere il desiderio di Re Zog di stabilire una Legazione in Berlino. Il Governo tedesco vorrebbe conoscere il parere italiano in merito. Rispondo che in principio nulla asta e che mi riservo di fargli conoscere eventuali osservazioni in merito.

Abissinia. -Si conferma quanto risulta dal Protocollo e dico a Neurath che, per quanto riguarda i danni subiti dai cittadini tedeschi in Etiopia, egli può farmi pervenire una lista. Mi interesserò affinché il Vicerè sul posto provveda a tacitare i danneggiati con provvedimento di grazia.

Manciukuò. -Neurath dice che il Ftihrer desidera di venire al riconoscimento del Manciukuò ma che egli intenderebbe ritardare di qualche tempo tale gesto per non compromettere alcuni contingenti interessi economici tedeschi in Cina. Tra la Germania e il Giappone si sono però stabilite relazioni di stretta collaborazione e, in via del tutto riservata, mi comunica che tra breve si procederà alla firma di due Protocolli: uno pubblico, contenente una intesa antibolscevica, e un secondo, segreto, contenente la clausola della favorevole neutralità in qualsiasi evenienza.

Per quanto ci concerne, nulla osta da parte tedesca a che noi si proceda al riconoscimento del Manciukuò in cambio del riconoscimento dell'Impero etiopico: anzi Neurath ritiene che un tale avvenimento potrà essere utile ed opportuno.

Neurath esprime infine il desiderio di raggiungere tra l'Italia e la Germania un accordo culturale. Dò l'adesione di massima e si rimane intesi che tra breve si inizieranno le conversazioni relative.

Di comune accordo, Neurath ed io, rinviamo al giorno successivo la firma dei Protocolli, riservandoci inoltre di concordare le dichiarazioni alla stampa e le comunicazioni da fare al corpo diplomatico.

In linea di massima riteniamo non opportuno dichiarare che si è proceduto alla firma di un Protocollo. Ciò darebbe la stura a troppe arbitrarie ipotesi. Converrà però dire che gli argomenti dei nostri colloqui sono stati consacrati in apposito processo verbale firmato dalle due parti.

Il colloquio, al quale Neurath ha tenuto a dare il carattere di una assoluta e, vorrei dire quasi, eccezionalmente marcata cordialità, si è protratto dalle ore 11,20 alle ore 13,05 O).

23 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

(l) -T. 3133/22 R. dell'S aprile, ore 18,20. Riferiva su un colloquio con il ministro degli esteri olandese, de Graeff, il quale aveva dichiarato che il suo governo -che aveva già respinto la proposta di inserire l Paesi Bassi nel nuovo accordo per la sicurezza europea contenuta nel memorandum tedesco del 7 marzo -avrebbe mantenuto la sua posizione negativa di fronte alla identica proposta contenuta nel nuovo memorandum presentato dal governo di Berlino il 31 marzo (per il quale vedi p. 177, nota 4). (2) -T. 10466/197 R. del 20 ottobre. ore 20,35. Riferiva sul colloquio con Litvinov per il quale si veda 11 D. 257.

(3) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 87-92.

(l) -Si riferisce al discorso di Re Leopoldo III del Belgio del 14 ottobre precedente (vedi (2) -Vedi p. 316, nota l. (l) -Si riferisce allo scioglimento delle associazioni paramilltari austriache ed al loro inserimento nella m1l!zia unica dello Stato (vedi p. 214, nota 5). (2) -È l'allineamento della lira del 5 ottobre precedente (vedi p. 129, nota 2).

(l) Il documento ha !l visto di Mussolini.

257

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RR. 3396/1347. Mosca, 21 ottobre 1936 (per. ·tz 26).

Mio telegramma n. 197 in data 20 ottobre (1).

Col telegramma di ieri ho già riferito a V. E. i punti essenziali della mia conversazione con Litvinov. Potrà tuttavia essere utile che io fornisca un resoconto più particolareggiato del mio primo incontro col commissario del popolo per gli Affari Esteri perché esso ha lumeggiato molto nitidamente la posizione sovietica di fronte alla politica italiana.

Premetto che, arrivato in questa sede mentre Litvinov si trovava ancora a Ginevra, avevo espresso al Narkomindiel il desiderio di vedere il commissario appena avesse fatto ritorno alla capitale. Litvinov giunse a Mosca il 15 corrente ma si affrettò a far sapere al corpo diplomatico che non avrebbe ripreso formalmente le proprie funzioni prima del 20. Mi astenni dunque dal sollecitare un incontro, lasciando che l'iniziativa venisse presa da parte sovietica. Ciò avvenne già il giorno 19 con l'invito di Litvinov di andarlo a vedere nel pomeriggio.

Dopo un breve preambolo di frasi cortesi, col quale egli mi ricordò la conoscenza fatta anni or sono a Ginevra e l'incontro a Washington nel 1934 durante la sua visita a Roosevelt per la ripresa dei rapporti diplomatici con gli Stati Uniti, Litvinov entrò in pieno nel tema delle relazioni itala-sovietiche, constatando «con vivo rammarico» che erano !ungi dall'essere quali egli le desiderava. Dopo di che, parlando in modo deciso come chi avesse ben preparato i proprii argomenti, Litvinov enumerò i fatti che secondo lui davano al governo dell'U.R.S.S. giusto motivo di dolersi dell'attitudine dell'Italia.

Citò in primo luogo la nostra stampa e la campagna anti-sovietica che essa stava conducendo da parecchie settimane a cominciare dalle riunioni di Norimberga. « Poiché nessuno ignora -egli disse -che i giornali italiani sono strettamente controllati dal governo, non possiamo fare a meno di vedere in questa campagna un proposito decisamente ostile del governo stesso ».

Interruppi il mio interlocutore, osservando in primo luogo che in tema di stampa avevamo motivi per lo meno altrettanto giustificati di muovere ai giornali sovietici un identico rimprovero. Gli attacchi della Pravda e delle lsvestia ai giornali fascisti durante la guerra civile spagnuola non avevano mai lasciato nulla a desiderare in fatto di virulenza. Osservai pure che la stampa italiana, pur sottoponendosi volentieri ad un regime di auto-disciplina, era di fatto lasciata libera di manifestare le proprie opinioni in materia di politica estera. Mi richiamai infine alle adunate naziste di Norimberga per rilevare che appunto in quel periodo i nostri maggiori giornali, anche dando largo posto, come naturale, alla cronaca delle riunioni, avevano stampato

scarsi commenti editoriali e che io non ricordavo questi fossero stati particolarmente ostili all'U.R.S.S.

Litvinov non se ne mostrò persuaso, e disse ·che, giudicando dai resoconllt inviatigli dall'Ambasciatore Stein, l'ostilità della stampa italiana era stata palese fin da quel tempo e si era andata sempre più inasprendo. Mi citò in modo particolare il Regime Fascista, la cui direzione attribuì in un primo tempo al senatore Federzoni, per correggersi poi menzionando l'on. Farinacci.

Insistette nell'attribuire la campagna di stampa italiana ad ispirazione governativa, mentre da parte sovietica si era usata per molto tempo molta pazienza, dando perfino ai «giornali ufficiosi » l'istruzione di non citare mai specificatamente l'Italia quando essi dovevano attaccare il fascismo per le sue interferenze negli affari spagnuoli. «Oggi però -ha detto Litvinov -ci rendiamo conto che questa nostra moderazione è stata inutile. Ho fatto fare da Stein più di un passo amichevole presso il ministero della Stampa e Propaganda a Roma ed anche presso il ministro Ciano, ma senza risultati. Ci venivano dati degli affidamenti, la campagna ostile si calmava per qualche giorno, ma poi riprendeva anche più violenta. Tanto peggio! Oramai, ho rinunciato al tentativo di rinnovare l'intesa raggiunta altre volte nel passato, quando di comune accordo le due stampe si astenevano dal polemizzare e dall'occuparsi reciprocamente delle cose dell'altro Paese. Non mi occuperò più della stampa italiana, dirò a Stein di non fare più rimostranze a Roma, e lascerò che i giornali sovietici stampino quel che credono a proposito dell'Italia ».

A questo sfogo non ho voluto reagire per non acuire inutilmente la polemica e mi sono limitato ad osservare pacatamente che il mio interlocutore attribuiva forse una eccessiva importanza a quanto pubblicavano i giornali, specialmente quando l'ambasciatore Stein si prendesse il gusto -come mi pareva fosse il caso -di spigolare nei giornali italiani, grandi e piccini, tutto ciò che potesse dar noia a Mosca. Ho dovuto comunque constatare che gli attacchi della nostra stampa, specialmente quando diretti in modo personale contro uomini del governo sovietico, sono qui risentiti in modo molto vivace e che Litvinov ha la tendenza a considerare indistintimente tutti i nostri giornali come portavoce fedelissimi del governo fascista.

Passando ad altro tema, Litvinov ha enunciato la sua seconda recriminazione: «La politica italiana continua ad essere indirizzata verso la conclusione di un Patto a Quattro, con esclusione dell'U.R.S.S. Si vuole adunque isolare la Russia, staccarla dalle sue amicizie, rendere difficile se non impossibile il funzionamento della Società delle Nazioni, dalla quale soltanto si può sperare l'organizzazione di un sistema di sicurezza collettiva. Questa politica non può essere giudicata a Mosca che come sostanzialmente ostile all'U.R.S.S. ».

Ho ribattuto con i consueti ed ovvii argomenti: Il Patto a Quattro, come era stato concepito e formulato nel tempo dal capo del governo italiano, non aveva punte ostili contro alcun Paese. Voleva essere un accordo di collaborazione limitato in un primo tempo alle quattro· grandi Potenze occidentali perché, per la tranquillità d'Europa, era necessario che tali Potenze tentassero anzitutto di accordarsi fra loro per risolvere amichevolmente i problemi che interessavano in modo diretto il settore europeo nel quale la geografia le aveva poste. L'esperienza aveva dimostrato oramai che le grandi assemblee, le numerose riunioni internazionali erano incapaci di raggiungere risultati pratici, tutt'altro! Ginevra ne era la prova. Occorreva adunque adottare altri sistemi, meglio aderenti alla realtà. Questo potevo dire circa la originaria concezione mussoliniana del Patto a Quattro. Non sapevo se, quando e da chi l'idea potesse venire ripresa. Mi sembra però fondamentalmente ingiusto attribuire motivi di ostilità a qualsiasi tentativo di collaborazione fra Potenze, semplicemente perché l'oggetto della collaborazione veniva necessariamente contenuto entro certi limiti.

Beninteso, anche su questo punto non mi faccio illusione di aver influito a modificare minimamente la sospettosa avversione di Litvinov contro un ipotetico accordo fra Italia, Inghilterra, Francia e Germania.

Il mio interlocutore è passato allora al terzo « atto di accusa » che è stato formulato all'incirca in questi termini: «L'Italia si sta mettendo al rimorchio della Germania. La Germania è la nostra nemica potenziale; anzi, dopo Norimberga, è la nostra nemica dichiarata. Qualunque governo mostri di aiutare la politica tedesca, che è politica di aggressione, entra nel campo dei nostri possibili nemici, e noi non possiamo fare a meno di considerarlo come tale ».

Ho ribatttJ.to l) che la politica fascista è stata, e continuerà ad essere perfettamente autonoma. Negli ultimi quattordici anni, l'Italia non si è mai accodata e non si accoderà neanche nell'avvenire ad altre Potenze. Agisce ed agirà come le dettano i suoi legittimi interessi, senza lasciarsi influenzare o blandire da nessuno.

2) che fra l'Italia e la Germania si posano problemi importanti (come quello della indipendenza austriaca) che potranno trovare una soluzione tanto più soddisfacente quanto più amichevoli sono le relazioni fra i rispettivi governi, e che tali soluzioni soddisfacenti potranno risultare utili, non soltanto alle parti direttamente interessate ma alla tranquillità europea in genere.

A questo punto, Litvinov mi ha interrotto per dire che egli non crede alla possibilità di un accordo sincero e duraturo fra Italia e Germania. « Esistono fra i due Paesi -egli ha soggiunto -delle divergenze di interessi che non possono essere conciliate. La Germania mira ad espandersi nei Balcani e verrà inevitabilmente a premere sull'Adriatico. Berlino cerca di lusingarvi, di corteggiarvi per attirarvi nel suo campo che essa stà oggi apprestando contro la

U.R.S.S. Ma verrà il giorno in cùi finirà per rivolgersi anche contro voi, se non si frena fin d'ora il suo spirito aggressivo. Fra Italia ed U.R.S.S. non esistono invece problemi di politica territoriale, mentre sussiste la possibilità di conciliare e sviluppare i reciproci interessi nel campo delle nostre due economie, che sono in grande misura complementari. E' vero che i nostri due Governi sono retti da regimi di concezione molto diversa e con opposte tendenze, ma un passato abbastanza recente ci ha mostrato che la diversità di regimi interni non esclude la possibilità di buoni rapporti e di una utile collaborazione ».

Ho creduto il caso qui di interrompere il mio interlocutore per accennare all'azione dello stesso Litvinov a Ginevra durante il conflitto itala-etiopico; ed a questo proposito egli ha osservato: «La vostra guerra ci ha forzato a prendere posizione, non contro l'Italia, ma a difesa della Lega. Dovevamo farlo per difendere i nostri principi ed i nostri stessi interessi. Sono però stato io il primo, a guerra terminata, ad accettare il fatto compiuto e ad agire per far cessare le sanzioni. Speravo con ciò che i nostri rapporti avessero potuto tornare ad essere quelli che erano stati durante la missione qui del vostro predecessore, l'ambasciatore Attolico. Debbo invece convincermi ogni giorno più, con vivo rammarico, che la mia speranza era male fondata. Il conte Ciano va a Berlino e l'Italia mostra di voler lavorare specialmente con la Germania, che ci è apertamente ostile. Sono persuaso che un giorno si accorgerà di aver sbagliato strada. La sola speranza che mi rimane è che se ne accorga al più presto ».

Con queste parole si è chiuso il lungo colloquio, che ho riferito quanto più esattamente possibile, citando brani di conversazione e cercando di riprodurre il tono stesso delle dichiarazioni di Litvinov, perché mi è parso utile dare a

V. E. una impressione fedele di quella che è oggi l'attitudine del governo sovietico nei nostri riguardi. Tale attitudine è dominata evidentemente dal timore dell'isolamento e da una viva preoccupazione nei riguardi della Germania: preoccupazione che in un mio telegramma odierno (l) ho qualificato di vera e propria «ossessione». Con ciò si spiega la violenza contenuta che ho sentito in certe parole di Litvinov ed al tempo stesso la specie di accoramento da lui manifestato nel constatare le condizioni non favorevoli delle relazioni italasovietiche; come se, malgrado tutto, egli non voglia ancora rinunciare definitivamente alla speranza di un cambiamento in meglio, e perciò cerchi di tenere sempre una porta aperta.

Avendo assolto il mio compito di informatore, giudicherà V. E. della attitudine che dovrà tenere nei confronti del signor Litvinov, qualora egli prendesse l'iniziativa di ritornare sugli argomenti di cui sopra. Intanto, e fino a che non mi giungano istruzioni in contrario, mi propongo di mantenere una attitudine passiva ed un linguaggio molto riservato (2).

(l) T. 10466/197 R. del 20 ottobre, ore 20,35. Riferiva in modo più sintetico sul colloquio con Litvinov.

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L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2700/1019. Varsavia, 21 ottobre 1936 (per. il 29).

Mio telespresso n. 2649/985 del 16 corrente (3).

Le dichiarazioni di Re Leopoldo III sulla neutralità del Belgio continuano a formare oggetto del più vivo interessamento in Polonia ov'esse sono state accolte, sin dal primo momento, con senso di generale comprensione. Non è d'altronde di oggi soltanto l'affermazione qui costantemente ripetuta -e ufficialmente riconfermata in occasione della visita del ministro Beck nella capitale belga (2) -secondo la quale la Polonia, come il Belgio, non appartiene

ad alcun gruppo di Potenze « a interessi illimitati :. e registra una decisa volontà di condurre una politica indipendente. Su questa analogia di principi e di tendenze sono appunto intonati i commenti qui seguiti alle dichiarazioni di Re Leopoldo. In genere, si mette in rilievo con non celato compiacimento il fallimento definitivo del sistema francese di sicurezza collettiva e di quello inglese dei patti di sicurezza regionale. Con soddisfazione ancora maggiore si afferma ormai seppellita per sempre la nuova Locarno. In tutto questo processo di disgregazione, che qui si constata evidentemente con piacere, non si manca di sottolineare l'importanza che in un eventuale sistema di alleanze ha la Polonia e a questo proposito si è unanimi nel dichiarare intollerabile una qualsiasi riesumazione del Patto a Quattro che Varsavia profondamente paventa accusandolo di voler pericolosamente instaurare in Europa la dittatura delle grandi Potenze e -ciò che qui è più sentito -di lasciare alla Germania campo libero oltre ai suoi confini orientali.

Oggi l'ufficiosa agenzia Polska lnjormacja Polityczna precisa quello che è il giudizio del governo polacco sulle dichiarazioni di Re Leopoldo, qualificandole « intieramente razionali e logiche ». La decisione del Belgio è riconosciuta come pienamente giustificata «dalla tensione dell'atmosfera internazionale dovuta al carattere contraddittorio delle dottrine economiche e sociali che reggono attualmente taluni Paesi « nonché » alle lotte politiche interne imperversanti in qualche Stato ».

(l) -Vedi D. 255. (2) -Il documento reca il visto di Mussolini. (3) -Non pubblicato. Riferiva che in Polonia veniva posto in risalto il nuovo valore che l'alleanza con la Polonia assumeva per la Francia di fronte allo sbandamento degli Stati minori, mentre molti giornali sottolineavano che il nuovo orientamento della politica belga era da attrib;J.irsi in larga misura al fatto che il Belgio non intendeva unire il proprio destino a quello di una Francia legata da un'alleanza con l'Unione Sovietica. (2) -Beck si era recato a Bruxelles l! 1° marzo per la firma del Trattato Commerciale belga-polacco, avvenuta 11 giorno successivo. Ne era ripartito il 5.
259

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2701/1020. Varsavia, 21 ottobre 1936 (per. il 29).

Telespresso di V.E. 233468/C. in data 7 corrente (1).

Ho domandato a Beck a che cosa tendesse la sua domanda a Ginevra diretta a far studiare la possibilità di un ampliamento della Commissione dei Mandati (2). Il ministro mi ha risposto che, pur non avendo un programma definito, la Polonia si preoccupa di trovare posto nel mondo ai suoi emigranti, specialmente a quelli di nazionalità ebraica. La Palestina non è certamente adeguata all'assorbimento completo dei numerosi ebrei polacchi e, sebbene una intesa sia intervenuta con l'Inghilterra per la quale una limitata emigrazione colà è ancora possibile, ciò evidentemente non è sufficiente.

Beck mi ha escluso poi la possibilità di profittare delle disposizioni sovietiche tendenti a facilitare la formazione di un secondo focolare ebraico nel Birobigian. A suo dire, il tentativo era completamente fallito. Il problema delle materie prime, dell'emigrazione e quello dei mercati esteri sono realtà assillanti che la Polonia intende prospettare di fronte all'opinione pubblica mondiale

nella speranza che possa essere trovata un'equa soluzione. A tale fine -mi ha

detto Beck -sono stati ispirati tutti i suoi atti nelle ultime riunioni di Ginevra.

Come si vede, Beck tende a spiegare la sua azione come ispirata da preoccupazioni esclusivamente economiche e demografiche. A me sembra però che non possa escludersi che la Polonia oggi abbia qualche aspirazione ad affermarsi come grande Potenza anche nel campo coloniale, pur non nascondendosi le enormi difficoltà che incontrerebbe su tale cammino.

(l) -Rltrasmetteva Il telespresso 3867/1335 del 24 settembre da Berlino con il quale l'ambasciatore Attollco aveva riferito su le reazioni tedesche alle richieste coloniali della Polonia. Nella stampa, si manifestava chiaramente la tendenza «a far perdere di vista le pretesecoloniali polacche, diluendole nel quadro generale della polltlca estera di Varsavia ». (2) -II 19 settembre precedente, Beck aveva chiesto al Consigllo della Società delle Nazioni che fossero chiamati a far parte della Commissione permanente dei mandati l rappresentanti di altri Paesi particolarmente lnteresoati a! problemi discussi dalla Commissione stessa.
260

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1500/991. Praga, 21 ottobre 1936 (per. il 26).

Il discorso del Re del Belgio ha avuto una notevole ripercussione in questi ambienti politici, e la stampa non si è lasciata sfuggire l'occasione per rimettere in discussione il quesito posto a suo tempo dall'organo centrale del partito agrario circa l'opportunità di sottoporre ad una radicale revisione la politica estera cecoslovacca, nel senso di. promuovere un maggior avvicinamento agli stati geograficamente più prossimi alla Cecoslovacchia, quali la Polonia, la Germania e l'Italia.

Il Venkov -fiancheggiato da altri giornali di destra -sostiene infatti che l'esperienza fatta con la Società delle Nazioni, coi patti di reciproca assistenza e con la politica della sicurezza collettiva non è tale da incoraggiare quanti si preoccupano non tanto della vittoria di principii internazionali quanto della sicurezza cecoslovacca. La situazione internazionale è talmente mutata dopo la vittoria italiana nel conflitto abissino, la denuncia dei patti di Locarno, la costituzione del governo del Fronte Popolare in Francia, la guerra civile in Spagna e il nuovo orientamento del Belgio, da porre in dubbio l'efficacia degli accordi conclusi a garanzia della Cecoslovacchia, quali il patto della Piccola Intesa, l'alleanza militare con la Francia (l) e il patto di mutua assistenza cecoslovacco-sovietico (2).

Premesso che il maggior pericolo che incombe sulla Cecoslovacchia è una eventuale aggressione da parte della Germania, sia come conseguenza di conflitti diretti sia come ripercussione di conflitti armati della stessa Germania con la Francia o con la Russia, il V enkov giustamente rileva che in tal caso questo Paese non potrebbe attendere alcun aiuto militare da parte dei due alleati della Piccola Intesa, non essendo ciò contemplato nel patto di alleanza, mentre appare problematica l'assistenza militare della Francia e dell'U.R.S.S., l'una e l'altra geograficamente lontane e separate dalla Cecoslovacchia da una Germania potentemente armata e da Paesi non disposti a permettere il transito, attraverso il loro territorio, degli eserciti sovietici. Da ciò la necessità

della Cecoslovacchia di premunirsi contro tale eventualità mediante accordi con gli Stati vicini atti a migliorare i reciproci rapporti politici ed economici, tanto più che questi stati, e particolarmente la Germana e l'Italia, sono direttamente interessati alla sistemazione politica ed economica dell'Europa centrale.

Secondo i giornali di destra la decisione presa dal Belgio è stata determinata dalle preoccupazioni destate dalla situazione interna in Francia e dalla paura del bolscevismo e delle conseguenze politiche internazionali della collaborazione coi bolscevichi. L'esempio del Belgio dimostra, a giudizio degli stessi giornali, che la politica interna ed estera dello Stato deve tener conto dell'evoluzone mondiale e che la miglior garanzia della propria sicurezza è rappresentata dal consolidamento interno e da un esercito dotato di ogni mezzo di difesa. L'organo dei tedeschi dei Sudeti considera addirittura la decisione del Belgio come un atto molto più utile alla pace di qualsiasi patto diplomatico, poiché se ogni Paese si limitasse a fare il necessario per conservare la pace e il benessere entro le proprie frontiere, rinunciando alla pattomania, l'Europa starebbe assai meglio. Lo stesso giornale rileva in proposito che dal 1914 la diplomazia francese non subì una sconfitta così grave come questa: in altre parole il Belgio avrebbe espresso un voto di sfiducia al patto francosovietico e agli scopi pretesamente difensivi della politica francese.

Della stessa opinione non sono naturalmente gli ambienti di sinistra, i quali accusano il Belgio di aver tradito la causa della pace, indebolendo il fronte democratico a tutto vantaggio degli Stati autoritari e così detti aggressivi. Essi difendono la politica estera finora fatta dalla Cecoslovacchia, riaffermano la fedeltà ai principii della Società delle Nazioni e della sicurezza collettiva e si oppongono a qualsiasi mutamento che possa rallentare i legami con la Francia, i Sovieti e gli Stati della Piccola Intesa.

Con vivo interesse sono attese le dichiarazioni che il 22 corrente farà il ministro degli Esteri Krofta alla commissione degli Esteri della Camera e che dovrebbero precisare anche in tale questione il punto di vista di questo governo (1).

261.

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10483-10479/178-179 R. Tokio, 22 ottobre 1936, ore 6,15 (per. ore 14,40).

Giorni fa ministro Affari Esteri incontrato in un pranzo mi accennò con manifesta soddisfazione al nuovo colloquio di V. E. con Sugimura (2) e mi ripetette avrebbe fatto promessemi pratiche a Hsin king. Credo preferibile non sollecitare risposta perché prima proposta è stata fatta dai giapponesi e credo convenga non dare noi impressione che il nostro interesse sia maggiore che il loro.

Addetto militare mi riferisce che in conversazioni da lui avute con ufficiali di Stato Maggiore del ministero della Guerra, questi si sono mostratii a conoscenza dei colloqui di V. E. con Sugimura e hanno dichiarato che circoli militari desiderano vivamente che tali colloqui si concretino in risultati positivi per più stretti legami fra i due Paesi.. Ho pregato addetto militare far comprendere loro come prove di nostra buona volontà siano già state date al Giappone e come spetti ora al suo governo di corrispondere ad esse in modo efficace.

(l) Trattato di mutua garanzia tra Francia e Cecoslovacchia del 16 ottobre 1925 (Locarno)(testo H1 WIARTENS, VOl. XVIII, pp. 656-657\.

(2)) Trattate, di mutua assistenza tra Cecoslovacchia e U.R.S.S. del 16 maggio 1935 (testo ibid., vol. XXXI, pp. 327-330).

(l) -SI veda il D. 274. (2) -Come già per l precedenti contatti tra Ciano e l'ambasciatore giapponese (vedi p. 180, nota 6), anche su questo colloquio non è stata trovata documentazione.
262

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10513/364 R. Saint Jean de Luz, 22 ottobre 1936, ore 19,30 (per. ore 22,40).

Mio telegramma n. 361 (1).

Viene oggi confermato che Azafia non tornerà Madrid fissando Barcellona propria residenza. Tale decisione, unitamente a continuo arrivo materiale di guerra Barcellona e Alicante, mentre conferma convinzione anche da parte rossi imminente caduta Madrid, conferma volontà tentare accanita resistenza Catalogna che, con repubblica basca, dovrebbe rappresentare, nelle intenzioni dei << rossi » incoraggiate apertamente da U.R.S.S. e più discretamente da Francia, Stato cuscinetto a tinta accesamente socialdemocratica, baluardo contro Spagna nazionalista. Richiamo in proposito anche miei telegrammi 262-264 (2) e 351 (3).

263

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI

T. 4806/138 R. (4). Berlino, 22 ottobre 1936, ore 22,30.

Il comandante delle unità inglesi che si trovano al Falero ha invitato la flotta greca a visitare Malta e la stampa di codesto Paese ha accolto tale invito con manifestazioni di vibrante entusiasmo. Faccia sapere al generale Metaxas -il quale in un discorso pronunciato ad un pranzo presso l'ammiragliato britannico avrebbe avuto anche lui parole entusiastiche -che tali manifestazioni potrebbero anche aver termine dato che non hanno più alcuna giustificazione come scambio di cortesie, mentre si prestano ad ambigue interpretazioni (5).

(l) -T. 10463/361 R. del 21 ottobre, ore 18,40. Riferiva di avere avuto notizia che Azafta Intendeva lasciare definitivamente Madrid, la cui capacità di resistenza era da considerarsi quasi esaurita, mentre crescevano le detenzioni e le fucilazioni di elementi considerati ostili al governo di Valencia. (2) -Vedi serie ottava, vol. IV, DD. 772 e 773. (3) -Vedi D. 184. (4) -Questo telegramma fu spedito con il n. 4277 dall'ambasciata a Berlino dove Ciano si trovava in visita. (5) -Per il seguito si vedano l DD. 282 e 317.
264

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLE AMBASCIATE A BRUXELLES. LONDRA, MOSCA, PARIGI, TOKIO, VARSAVIA, WASHINGTON, E ALLE LEGAZIONI A BELGRADO, BUDAPEST, LISBONA E VIENNA

T. 4808/C.R. (l). Berlino, 22 ottobre 1936 (2).

(Per tutti) Ho avuto in questi giorni vari colloqui con il barone von Neurath (3) su argomenti che interessano particolarmente i rapporti fra i due Paesi e la situazione generale politica. Il barone von Neurath ed io ci siamo trovati d'accordo nel desiderio comune dell'Italia e della Germania di mantenere stretto contatto, come per il passato durante le trattative che si svolgono al fine di raggiungere un nuovo trattato di Locarno per assicurare il mantenimento della pace e lo stabilimento di condizioni di sicurezza nell'Europa Occidentale. Tale nuovo patto dovrà rispondere ai principi essenziali del vecchio trattato.

Abbiamo esaminato la situazione dell'Europa centrale danubiana, alla luce dei Protocolli di Roma, dell'accordo austro-tedesco dell'll luglio, ed abbiamo constatato con soddisfazione i risultati pratici e positivi a vantaggio dell'Austria che la politica dei due Paesi ha già dato, e i benefici che sono derivati dalla normalizzazione dei rapporti austro-tedeschi.

Il barone von Neurath mi ha quindi annunciato che il governo del Reich aveva deciso di riconoscere la sovranità italiana sull'Etiopia. In questa occasione, sono stati regolati i rapporti commerciali itala-tedeschi in relazione all'Africa orientale italiana e ho dichiarato al Barone von Neurath che il governo fascista era disposto ad entrare in trattative con il governo del Reich anche per il riconoscimento delle c<lncessioni giuridicamente valide che i sudditi tedeschi avessero ottenuto in Etiopia anteriormente al 3 ottobre 1935. I negoziati relativi si inizieranno al più presto.

Abbiamo preso in considerazione la situazione della Spagna e ci siamo trovati d'accordo nel riconoscere che il governo nazionale del generale Franco è sostenuto dalla ferma volontà del popolo spagnuolo nella più grande parte del territorio nazionale, dove esso è riuscito a ristabilire l'ordine e la disciplina civile in contrasto con le condizioni di anarchia che vi prevalevano. Allo stesso tempo abbiamo riconfermato il principio di non intervento negli affari di Spagna ed il. rispetto degli impegni. internazionali assunti in questo senso. In questa occasione, abbiamo congiuntamente riaffermato che l'Italia e la Germania non hanno altro desiderio che di vedere la Spagna -nella sua assoluta integrità nazionale e coloniale -riprendere presto il grande posto che ad essa spetta nella vita delle nazioni.

n barone von Neurath ed io ci siamo trovati d'accordo nel riconfermare la precisa intenzione dei due governi di resistere fermamente ad ogni tentativo da parte dei sovieti di svolgere una politica di espansionismo bolscevico in Europa.

(Per Mosca) Quanto precede per informazione di V. E. (Solo per Londra e Lisbona) V. E. (V. S.) potrà servirsi di quanto precede per informazione di codesto governo, e vorrà mettere particolarmente in rilievo la ferma intenzione che hanno i due governi di preservare la integrità spagnola non solo per quanto riguarda il territorio nazionale ma anche per quanto riguarda i protettorati e possedimenti coloniali spagnuoli.

(Per tutti eccetto Londra Mosca e Lisbona) Quanto precede per norma di linguaggio di V. E. <V. S.) e per quelle informazioni che V. E. (V. S.) credesse utile di dare a codesto governo.

(l) -Questo telegramma fu spedito dall'ambasciata a Berlino con il n. 1/C, come primo telegramma di una serie riservata al vlagg!o di Ciano in Germania. La serle comprende soltanto tre telegrammi. (2) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. (3) -Vedi D. 256. Si vedano altresì i promemoria redatti in proposito da von Neurath, che aggiungono molti particolari, in DDT, serle C, vol. V, t. 2, DD. 618, 620, 621 e 622.
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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10602/068 R. Bruxelles, 22 ottobre 1936 (per. il 26).

Parlando ieri davanti alla commissione degli Affari Esteri del Senato, il ministro Spaak ha fatto alcune dichiarazioni circa l'orientamento della politica belga di fronte ai problemi internazionali.

La seduta era segreta e i giornali riproducono notizie disparate. Tuttavia appare che il signor Spaak, pur riservandosi di dare maggiori spiegazioni in sede di discussione del bilancio del suo dicastero, ha tenuto a precisare che il discorso reale doveva essere considerato sovratutto come un'introduzione agli imminenti dibattiti sul problema militare. Ad ogni modo, per quanto concerneva la S.d.N., il governo riconosceva la necessità di non allontanarsene e del pari riconosceva gli obblighi derivanti dai patti internazionali in vigore. Sicché il governo non intendeva denunziare alcun impegno esistente. Spaak avrebbe sottolineato infine che nel discorso del Sovrano non era stata mai usata la parola «neutralità», e che l'accenno fatto da Sua Maestà alla situazione della Svizzera e dell'Olanda si riferiva non allo statuto giuridico dei due Stati ma allo sforzo militare compiuto dai due Paesi in dipendenza della situazione internazionale.

Queste dichiarazioni di Spaak, pur ripetendo all'incirca quanto egli ebbe a dirmi circa il discorso di Re Leopoldo (mio telegramma n. 192 del 19 corrente) (1), rivelano tuttavia, nella forma e nel tono, una tendenza a restringerne alquanto la portata. A ciò ha contribuito la levata di scudi dei socialisti belgi, stante il loro sospetto che il discorso reale potesse esser prodromo di un abbandono della S.d.N. e dei principi dela sicurezza collettiva. Di tale corrente si è fatto violento esponente sovratutto il De Brouckère, capo della

Seconda Internazionale. Per quanto poi riguarda gli scopi che il discorso reale si proponeva raggiungere all'interno -e cioè facilitare un'intesa nazionale ai fini dell'approvazione dei progettati nuovi armamenti -può dirsi che i risultati, almeno per il momento, non sono incoraggianti. Mentre infatti da una parte i nazionalisti fiamminghi annunziano la loro perdurante ostilità ai progetti in parola e lo stesso partito cattolico fiammingo -entrato in negoziati per un'intesa col predetto gruppo nazionalista -mostra esitanze e riserve, dall'altra parte alcuni elementi socialisti, in reazione ai dubbi sorti sulla fedeltà del governo ai principi della sicurezza collettiva, minacciano anch'essi di combattere le leggi militari di cui è questione.

(l) Vedi D. 244.

266

COLLOQUIO DELL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, CON PIERRE LAVAL (l)

APPUNTO. Parigi, 22 ottobre 1936 (2).

Politica interna.

Mi dice avere avuto occasione rilevare un redressement sensible. Ha presieduto consiglio municipale di Aubervilliers, di cui è sindaco da molti anni. Consiglieri sono gente semplice, in massima parte socialisti e qualcuno anche comunisticizzante. Solitamente sono riguardosi con lui, pur non dividendo sue idee politiche. Questa volta li trovò scatenati contro Fronte Popolare e contro comunisti.

Lavai ritiene che sarebbe però necessario che elezioni non fossero fatte prima .di 5 o 6 mesi, per lasciare il tempo a tutta la classe media, piccoli proprietari, esercenti ecc., di toccare con mano il torto fatto loro dal Fronte Popolare con le sue leggi. D'altro lato non crede possibile, dal punto di vista finanziario, che governo di Blum possa restare al potere fino al nuovo anno. Dice che la Francia è una mucca che è stata munta a forza negli ultimi tempi ma è una mucca così forte e che ha tanto latte che neanche il Fronte Popolare riuscirà a ridurla agli estremi. Però . non bisogna spingere l'esperimento troppo oltre se si vuole salvare la Francia.

Lavai non attribuisce importanza a chi sarà il successore di Blum. Traspare dal suo linguaggio il timore che possa farsi avanti Herriot che detesta. Dice che Chautemps, Daladier, Daladier con Chautemps, Paul Reynaud con entrambi o qualsiasi altra combinazione radical-socialista non potrebbe fare gran cosa: preparerà le nuove elezioni facendo varare la riforma della legge elettorale e cercherà di abolire le leggi del Fronte Popolare più nefaste per la economia francese. Accenna alla possibilità che fra qualche mese Francia sia costretta di ricorrere a nuova svalutazione della propria moneta, il che sarebbe una catastrofe. Ci si metterebbe per una via senza uscita. Lavai mi mette in guardia contro Paul Reynaud che dice essere uno degli uomini politici fran

cesi che, al pari di Herriot, subordinano la politica del loro Paese al valore dell'Inghilterra che seguono senza discutere, ossessionati dall'idea che la Gran Bretagna è la Potenza più forte del mondo.

Viaggio di S. E. il conte Ciano a Berlino.

Non è un avvenimento piacevole per la Francia. Una concatenazione dì avvenimenti politici ha permesso alla Germania, senza nessuna rinuncia da parte sua ed a buonissimo mercato, di riacquistare le simpatie dell'Italia. Ritiene che occorra non perdere il sangue freddo e ritiene cke, quali che siano gli accordi raggiunti, la pace del mondo non sia in pericolo né imminente né prossimo.

Rapporti con la Germania.

A Berlino hanno torto dì voler imporre alla Francia dì denunciare l'accordo con l'U.R.S.S. Anche coloro -e sono molti -che criticano questo accordo si sollevano come un sol uomo di fronte alla pretesa del Reìch dì dettare la propria legge al governo francese. Egli -autore dell'accordo -ha già spiegato dì quante cautele lo abbia circondato, cosicché all'atto pratico l'accordo non sarà applicato da parte francese. Ad ogni modo, se i tedeschi avessero maggiore spirito politico comprenderebbero che vi è un solo mezzo per rendere privo di qualsiasi valore il patto franco-sovietico: quello di non occuparsene e dì cercare dì concludere con la Francia un patto sincero di amicizia ed arbitrato. La firma dì un simile accordo e sopratutto il suo significato morale metterebbero automaticamente fuori funzione il patto franco-sovietico, dato che esso ha l'unico scopo dì costituire per la Francia una garanzia pel caso che essa fosse aggredita dal Reich.

Politica generale.

Firmati gli accordi di Roma (l) egli si era proposto di parlare seriamente alla Jugoslavia per farle cqmprendere la necessità di intendersi con l'Italia e di basare sopra la sua amicizia con noi la propria politica futura. Ove ciò fosse stato raggiunto, egli, sicuro che la Francia non avrebbe più corso il rischio di dover scegliere fra l'amicizia dell'Italia e quella della Jugoslavia e forte dell'appoggio morale di questi due Stati, avrebbe pensato innanzi tutto a concludere con l'Italia una vera e propria alleanza militare a cui avrebbe dovuto accedere anche la Jugoslavia. Dopo di che avrebbe pensato dì rivolgersi alla Germania con offerte sincere per addivenire a quell'intesa che sarebbe facile raggiungere qualora nei due Paesi si creasse una diversa atmosfera. Purtroppo gli avvenimenti dello scorso anno in Africa Orientale avevano mandato a monte i suoi progetti.

Francia e Italia.

Lavai s'informa da me come stanno le cose. Dice che fu uno sbaglio dì richiamare il conte de Chambrun in un momento come l'attuale perché si

D. -403).

sarebbe dovuto prevedere che era possibile un incidente circa. le credenziali del nuovo ambasciatore. Il conte del Chambrun era stato collocato a riposo anche per fare cosa sgradita a lui, Lavai, personalmente per il fatto che la propria figlia aveva sposato il nipote dell'ambasciatore. Questi aveva però torto di credere che potrà sperare di vedere revocato il proprio decreto di collocamento a riposo. La politica della Francia è subordinata a delle concezioni giuridiche. È tale nel caso attuale che impedisce al governo francese di avere un ambasciatore a Roma. Riconosce però che non è facile trovare una soluzione rapida del problema. Bisognerebbe che al Quai d'Orsay vi fossero degli uomini e non degli autonomi che non fanno che muoversi entro determinate concezioni e linee politiche.

Domando a Lavai se la commissione per gli Affari Esteri del Senato riunitasi recentemente abbia discusso argomenti specialmente interessanti. Mi rispose che non vale proprio la pena di menzionare quella riunione. Bérenguer che la presiedeva si era limitato a fare una esposizione della questione di Spagna, fra la distrazione generale.

Mi dice che sta pensando di lasciare la commissione degli Esteri del Senato e di farsi nominare in quella delle Finanze, assai più interessante in questo momento perché è su questo terreno che dovrà essere rovesciato il minìstero Blum.

Lavai dice ancora che qualche volta è tentato di parlare a cuore aperto, di dichiarare ad esempio che trova essere stata la guerra itala-etiopica una guerra giusta perché dischiuse alla civiltà un vasto territorio fertilissimo che era in mano ai barbari.

Affari di Spagna;

Si compiace dell'andamento delle cose. Madrid cadrà presto, ma rimane il problema della Catalogna che può diventare grave. Mi confida che poco prima era stato da lui un senatore preoccupatissimo di quanto potrebbe succedere se i Soviet mandassero navi con armi e munizioni a Barcellona e che qualche altro Stato impedisse che tali navi giungessero a destinazione. Aveva detto al suo collega che egli sperava che simili navi non fossero lasciate giungere a destinazione. Il senatore aveva osservato che temeva che la Francia si sarebbe trovata coinvolta, suo malgrado, in un conflitto. Lavai aveva ribattuto di non nutrire simili timori perché supponendo che qualche sottomarino non ben individuato ma che avrebbe potuto essere anche italiano o tedesco, avesse colato a fondo le navi sovietiche, sarebbe stato in primo luogo difficile precisare come si fossero· passate le cose. Ad ogni modo, se l'affondamento avesse avuto luogo alla presenza od a poca distanza da uno spiegamento di forze navali delle due

Potenze suddette, egli era più che certo che la parte sana della nazione francese avrebbe forse deplorato che non vi fossero state sul posto anche navi francesi ma non avrebbe certamente desiderato versare del sangue in difesa di una causa sovietica. Laval mi. pregò di considerare personale e confidenziale quanto mi aveva detto.

Lavai teme che la Catalogna sia un osso assai duro. Sa che molti spagnuoli che vivono a Parigi sono di parere diverso ma dubita che si facciano soverchie illusioni. Per la Francia il problema è serio non solo per la vicinanza della Catalogna ma per il fatto che vi sono molti cittadini francesi di nazionalità catalana (tutto il Roussillon) i quali hanno legami di interessi e famiglia al di là del confine.

Lavai mi dice che suppone si sia deciso a Berlino che Italia e Germania riconoscano, appena presa Madrid, il governo di Franco. Trova la cosa logica ma il Quai d'Orsay getterà alte grida e si trincererà una volta di più dietro ad una concezione giuridica. La Francia deve peraltro pensare che, quale che sia il governo spagnuolo, il suo interesse le impone di essere in ottimi termini con esso, cosicché dovrebbe avere il buon senso di sapere evolvere rapidamente in favore dei nazionalisti. Teme però che il governo di Fronte Popolare non abbia la forza di farlo e questa è un'altra ragione per cui bisognerà che se ne vada.

(l) -Il documento reca l'annotazione a matita: «consegnato a S. E. il Ministro da S. E. Cerruti ». Vedi p. 275, nota 2. (2) -Il colloquio ebbe luogo il 21. (l) -Riferimento agli accordi italo-francesi del gennaio 1935 (vedi serie settima, vol. XVI,
267

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3390/1344. Mosca, 22 ottobre 1936 (per. il 26):

Ho segnalato volta per volta, mediante i telegrammi Stetani o con rapporti a parte, i principali commenti pubblicati negli ultimi tempi dalla stampa sovietica sulla situazione generale europea e particolarmente sulla visita di

S. E. Ciano a Berlino. Essi non rivelano alcun atteggiamento nuovo, ma presentano cionondimeno un certo interesse per il fatto che, sotto il consueto tono di spavalderia, lasciano trasparire un senso di preoccupazione e di disorientamento. Si tratta evidentemente di un riflesso della preoccupazione e del disorientamento che devono regnare anche al Kremlino.

E' sempre difficile in questo posto, dove mancano quasi completamente i rapporti col mondo ufficiale e mancano del tutto quelli con la popolazione, di rendersi esatto conto dello stato d'animo del Paese. Si deve il più delle volte lavorare sulla base di semplici impressioni ed induzioni. Così, oggi la mia affermazione è basata quasi unicamente sulla sensazione che, tanto io quanto i colleghi esteri coi quali mi mantengo in contatto, abbiamo avuto dell'atmosfera di tensione e di ansietà che si respira negli ambienti governativi. Tale sensazione concorda del resto col significato logico degli avvenimenti.

È evidente che, a Ginevra e dopo Ginevra, l'U.R.S.S. -attraverso la tattica della Comintern -aveva tentato, da una parte, di forzare la mano ai governi di Londra e di Parigi sul terreno della politica interna per spingerli ad una intesa ostile alla Germania; dall'altra, di suscitare presso le Potenze minori lo spavento della propria sicurezza di fronte alla incombente minaccia del «fascismo aggressivo ». E' altrettanto evidente che la partita può considerarsi, almeno per ora, perduta per l'U.R.S.S. Le reazioni dell'estero sono state nella loro grandissima maggioranza negative e sfavorevoli, con questo in più: che le manovre sovietiche hanno tolto un altro velo all'attività propagandistica na

scosta sotto il manto della Comintern. Non è possibile che il governo della U.R.S.S., e particolarmente il commissariato degli Affari Esteri, si facciano illusioni in proposito. Il rifiuto categorico di Lord Plymouth di accedere alla proposta sovietica per stabilire un controllo delle coste portoghesi, come quello di convocare immediatamente il Comitato di non intervento (1), devono aver prodotto qui una impressione abbastanza forte, se il Narkomindiel ha creduto di dover ribattere facendo scrivere dal proprio organo delle parole di minaccia alquanto spavalda, come quando dice: <<Si può essere certi che il governo sovietico non vorrà restare eternamente nella sala d'aspetto e che trarrà le conclusioni che impone una risposta così audace ed altisonante ».

A questo scacco si è aggiunto il fallito tentativo comunista di Alsazia (2), diretto presumibilmente a sabotare il governo di Blum, e che sembra aver stroncato per ora la speranza del Kremlino di potere, al momento critico, influire direttamente su Parigi. Restano ancora un mistero i colloqui avuti qui dal leader comunista francese Thorez coi dirigenti politici sovietici. L'incaricato di affari di Francia, col quale ne ho parlato, mi ha assicurato di non possedere egli stesso alcuna informazione positiva. L'ultimo colpo al piano sovietico è venuto finalmente dal discorso di Re Leopoldo del Belgio, che ha suonato come condanna di fatto del sistema di sicurezza collettiva e che al Narkomindiel deve essere apparso molto pericoloso per le sue conseguenze, in quanto si sospetta qui che .esso possa riaprire la via a negoziati per un sempre temuto Patto a Quattro.

La reazione sovietica agli scacchi recentemente subiti tende in genere a rappresentare il complesso della situazione che si è venuta creando nell'occidente d'Europa come un pericoloso aggravamento della minaccia alla pace. Da qui l'insistenza colla quale si ricordano a Parigi ed a Londra le gravi responsabilità assuntesi col lasciare finora impunito l'« aggressore » germanico in seguito al colpo di mano del 7 marzo; di qui l'ammonimento alle stesse capitali di non lasciarsi attirare a concludere un patto occidentale senza coordinarlo con la sicurezza orientale.

In questa atmosfera di nervosismo, non è da stupirsi se il viaggio a Berlino del ministro degli Affari Esteri italiano diventi motivo di nuove apprensioni e se in proposito vengano emesse le più varie congetture ed interpretazioni, miranti tutte a far nascere presso le grandi come presso le piccole Potenze il timore di una positiva collusione italo-germanica. L'U.R.S.S., insomma si sforza di mettere in guardia l'Europa contro le eventuali conclusioni del convegno Ciano-von Neurath-Hitler; ed a tal fine, mentre rileva le difficoltà che si frapporrebbero alla realizzazione di un direttorio europeo, affaccia i pericoli ai quali il mondo si troverebbe esposto qualora venisse minata la Società delle

Nazioni, silurata la sicurezza collettiva e minacciata l'indipendenza dei piccoli Stati. Agli occhi di taluni personaggi sovietici, il convegno di Berlino costituisce una nuova delusione per l'avvenire dei rapporti fra Italia ed U.R.S.S., ed il nome di Mussolini incomincia ad apparire nei giornali vicino a quello di Hitler quali esponenti entrambi di un nuovo sistema politico europeo, pericoloso per gli interessi della pace mondiale.

Negli stessi ambienti si parla anche di un tacito consenso britannico alle nuove direttive politiche esposte dal Belgio, spiegando che l'Inghilterra avrebbe interesse di liberarsi da ogni impegno continentale in modo da perseguire, una volta assicurato il rispetto della neutralità del Belgio, unicamente ed autonomamente gli scopi della difesa e del rafforzamento dell'Impero (vedi Mediterraneo). In tale eventualità, la Francia, contornata dal fascismo tedesco, italiano e forse anche spagnuolo, apparirebbe come la prima vittima della nuova situazione, perché -scrivono le Isvestia -Hitler sosterrà la guerra non solo ad Oriente ma anche ad Occidente. Con ciò si vorrebbe destare l'allarme per la condotta dell'Inghilterra e della Francia che rischierebbero di fare il gioco della Germania. L'assillante preoccupazione dell'U.R.S.S. appare poi ancor più palese quando essa accusa senz'altro il colpo, reagendo all'isolamento che si delinea come il fallimento di tutta la politica di Litvinov. Il patto francosovietico -su cui, come noto, il Commissario sovietico ha impegnato tutto il suo prestigio e che ha servito di giustificazione ad Hitler per rimilitarizzare la zona renana -non trova oggi neppure una citazione nei commenti della stampa mentre un tempo esso veniva sbandierato come il perno della sicurezza collettiva europea (l).

(l) -Il 12 ottobre, il governo sovietico aveva presentato al presidente del Comitato di non intervento di Londra una nota in cui si chiedeva di convocare d'urgenza il comitato per creare un sistema di controllo dei porti portoghesi attraverso i quali, affermava la nota, avvenivano le maggiori forniture di armi agli insorti spagnoli. La richiesta era stata respinta il 14 ottobre da Lord Plymouth perché la nota sovietica non conteneva elementi nuovi rispetto a quelligià all'esame del comitato. Il testo della nota sovietica e della risposta di Lord Plymouth si trova in DP, vol. III, D. 496, allegati A e B. (2) -Allude alle manifestazioni organizzate dal partito comunista francese 1'11 ottobre precedente (vedi p. 220, nota 1), durante la quale il segretario generale del PCF, Thorez, aveva pronunciato un discorso di inaudita violenza contro la Germania nazista che aveva provocato vivacissime reazioni da parte tedesca. Le manifestazioni, che il governo francese aveva cercato di circoscrivere, avevano raccolto scarse adesioni.
268

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2712/1026. Varsavia, 22 ottobre 1936 (per. il 26).

Come è stato giornalmente comunicato a Roma ed a Berlino attraverso il Servizio Stefani Speciale, la visita di V. E. a Berlino è stata messa sin dal primo momento in ampio rilievo da tutta la stampa polacca. Il significato dei colloqui del ministro degli Affari Esteri d'Italia con il collega di Germania ed il suo progettato incontro con il cancelliere del Reich è stato sottolineato in tutti i sensi ravvisandosi negli incontri di Berlino e di Berchtesgaden un avvenimento di grandissima importanza internazionale. È da rilevare che la maggioranza dei commenti fu intonata sinora ad un riconoscimento delle contingenze ideologiche e tattiche che spingono in questo momento Roma e Berlino a marcare un movimento di avvicinamento atto specialmente ad. influenzare gli atteggiamenti politici di Parigi e di Londra.

24-Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

È da segnalare, però, l'insistenza con cui tutta la stampa polacca sottolinea il fatto che l'attuale fase dei rapporti italo-tedeschi non costituisce, né può costituire, un effettivo e definitivo cambiamento nella politica generale dei due Paesi, dato che nessuno dei problemi che finora avevano impedito una stretta collaborazione è stato eliminato. Si accenna segnatamente alla questione austriaca che qui si ritiene perdurare insoluta, nonché agli :::copi in parte differenti che ispirano la politica dei due Stati. È segnalato inoltre con non celata preoccupazione che nei colloqui di V. E. con gli uomini di Stato germanici possa riaffacciarsi il progetto del Patto a Quattro, qui, come è noto, sempre paventato ed avversato come unl:l. combinazione nettamente contraria agli interessi della Polonia. Né al Patto a Quattro si limitano qui le preoccupazioni perché da. qualche tempo anche l'eventualità di una nuova Locarno con esclusione della Polonia suscita malumori e diffidenze.

Beck che ho visto ieri ha dimostrato molto interesse ai colloqui di Berlino senza peraltro manifestare alcuna preoccupazione (1).

(l) Il documento ha Il visto di MussoUnl.

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L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2034/589. Lisbona, 22 ottobre 1936 (per. il 29).

Rapporto n. 1862/538 del 2 corrente mese (2).

Durante le ultime due settimane, parecchi fattori ed evvenimenti esterni hanno avuto considerevolissima ripercussione in questo Paese. Innanzitutto, Io svolgimento drammatico delle sessioni della Commissione di Londra (3) per il non .intervento negli affari di Spagna. Il violento attacco sovietico al Portogallo (4) ha sollevato un'ondata di sdegno ed ha rinsaldato nel governo, intervenuto a malincuore, cedendo all'Inghilterra non senza dissensi interni alla Commissione, come nell'opinione pubblica, il proposito di resistere nella linea prescelta. Quasi contemporaneamente avveniva il grave incidente di Tarragona. Erano stati internati, com'è noto, durante le operazioni per la presa di Badajoz, · circa 1500 governativi che avevano passato la frontiera. Erano ospiti molto indesiderabili. Alle proteste del governo di Madrid per il trattamento che sarebbe stato fatto agli internati, il governo portoghese rispose che era il trattamento fatto secondo le categorie agli ufficiali, sottufficiali e soldati portoghesi e propose la restituzione. Questa fu concordata. Ma quando il trasporto armato dal governo portoghese giunse a Tarragona, le cosidette autorità locali dapprima rifiutarono di ricevere gli internati, poi lasciarono attaccare

il trasporto. Le notizie pubblicate dicono che il cacciatorpediniere di scorta ebbe dal suo comandante l'ordine «al posto di combattimento » e puntò le artiglierie sugli attaccanti, mentre il comandante del trasporto dovette fare «uso della forza». Le prime notizie date dal ministero della Marina al R. Addetto navale precisavano che da bordo si era sparato. Questo particolare non apparve mai tuttavia sulla stampa ed è ora sorvolato nelle conversazioni con uomini responsabili. Comunque la ripercussione fu profonda. Altro grave incidente fu quello in cui fu coinvolto il corriere diplomatico portoghese sulla banchina del porto di Alicante. Di questo non vi fu cenno nella stampa, ma mi è stato raccontato dal segretario generale del ministero degli Affari Esteri.

Prima della presa di Badajoz da parte dei nazionali, erano avvenute le due note e gravissime violazioni della frontiera e del territorio portoghese da parte dei governativi. Il governo portoghese insistentemente domandò soddisfazione al governo di Madrid, senza risultato (l). Si rivolse allora a quello di Burgos che dette pronta e piena soddisfazione (2). Ma a tale atto coraggioso seguì un prudente silenzio: le note non furono pubblicate. La ragione ufficiale è che vi erano in corso delicate trattative per l'intervento a Londra e che il governo portoghese non voleva essere accusato di inasprire la situazione. Ma si è affermato che l'influenza inglese, ancora una volta prevalse in quest'occasione. Sinché di fronte alle provocazioni ricordate l'esitazione fu vinta e le note furono pubblicate. Di più il governo portoghese ritirò il proprio console a Barcellona. E vale la pena di ricordare il significato di tale gesto, quale mi è stato dato dal ministero degli Affari Esteri e cioè ridurre e rallentare sempre maggiormente i legami con il governo di Madrid.

In questo drammatico succedersi di avvenimenti l'Inghilterra stringe la sua azione per non perdere terreno. Ora l'ambasciatore d'Inghilterra dice che la partita può ormai considerarsi vinta per i nazionali in Spagna e che è molto meglio così anche per i rilevanti interessi inglesi in quel Paese. Ma i portoghesi non si fanno illusioni. I più guardinghi non nascondono che « non comprendono» l'azione della «grande alleata» in una situazione in cui il Portogallo ha vitali interessi. Del resto, se l'alleanza con l'Inghilterra è base e tradizione secolare in Portogallo, non si può dire che l'Inghilterra vi sia popolare. Ma essa vi ha ancora uomini fidi, anche al governo, interessi ragguardevoli, in una parola un'influenza senza coilfronti. Il presidente Salazar passa per voler scuotere il giogo dell'alleanza. Ma il ministro degli Affari Esteri è uomo ligio all'Inghilterra, e non manca chi afferma che vorrebbe volentieri servirsene per scavalcare Salazar. Quest'ultimo espresse in una nota ufficiosa sull'attitudine del Portogallo un chiaro monito all'Inghilterra. Meno di due settimane dopo, in un discorso in occasione di esercitazioni militari, dovette rendere omaggio all'alleanza inglese. All'azione dell'Inghilterra certamente si deve se il Portogallo finì con il partecipare al Comitato di Londra, contro ogni suo desiderio, ed ebbe a pentirsene amaramente. Tre giorni fà il ministero

degli Affari Esteri mi comunicava che erano in atto «discrete pressioni~ sul governo portoghese perché rispondesse in tempo al Comitato di Londra per la seduta odierna (a proposito delle accuse contenute nella prima nota sovietica), ma che la risposta non poteva partire che sabato con la linea aerea regolare. Invece è stata fatta partire oggi con un apparecchio militare (1). Evidentemente il governo portoghese non ha potuto resistere alle « discrete pressioni ~Questa alternativa dimostra ad ogni modo che la resistenza vi è, anche se non è in grado di mantenersi sino alla fine. Giova del resto notare che una reazione si manifesta anche nell'opinione pubblica e che trova eco, per quanto molto cauta anche nella stampa. Non credo, come ho avuto precedentemente l'onore di esporre, che possano oggi esserne tratte conclusioni, né tanto meno previsioni. Credo che in realtà vi sia da registrare questo: che una scossa nella base della politica estera portoghese vi è stata e che l'Inghilterra reagisce con tutto il peso della sua secolare influenza in questo Paese.

Il mutamento di attitudine del Portogallo nei nostri riguardi e l'orientamento verso di noi sono senza dubbio sin.ceri e certamente si basano su un interesse attuale portoghese. Esso non sfugge tuttavia all'influenza e all'azione che ho accennato, e pertanto è lontano dall'esser privo di difficoltà. Esse esigono una attenzione ed un'azione costante.

(l) -Il documento ha 1! visto di Mussol!n!. (2) -Non rinvenuto. (3) -Si veda 1! D. 197. (4) -Si riferisce alle note presentate dal Governo sovietico in data 6 ottobre (vedi p. 187, nota 3), 7 ottobre (vedi p. 188, nota l) e 12 ottobre (vedi p. 304, nota 1). (l) -Note de\ governo portoghese al governo spagnolo del 14 agosto (in DP, vol. III, DD. 157 e 158) e del 19 agosto (ibid., D. 186); note del governo spagnolo al governo portoghese del 30 agosto e del 9 settembre (ibid., DD. 215 e 291). (2) -Nota del governo portoghese alla Giunta di Burgos dell'H settembre (ibid., D. 303) e nota della Giunta di Burgos al governo portoghese del 17 settembre (ibid., D. 321)..
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L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T ..../183. Tokio, 23 ottobre 1936 (2).

Azione della R. Ambasciata per un miglioramento di rapporti aveva finora trovato qui ostacoli nelle diffidenze e prevenzioni verso nostra politica. Colloqui di V. E. con Sugimura hanno fatto mutare animo. Desiderio più intimi rapporti con Italia sono manifestati da funzionari ministero Esteri alti ufficiali persone di varia condizione (3). Stampa e giornalisti finora freddi quando non ostili mostrano contegno sia pure genericamente più amichevole come ha notato anche questo rappresentante Stejani. Ho impressione stia per iniziarsi periodo di migliori relazioni. Superfluo aggiunga mi adoprerò favorirlo per quanto io valga e possa seguendo istruzioni che V. E. vorrà darmi e facendo proposte che mi parranno opportune.

(T. 10523/182 R. del 23 ottobre, ore 12).

(l) -Nota del governo portoghese al Comitato di non intervento in data 22 ottobre. Testo ibid., D. 520, allegato l (risposta alla nota del governo di Madrid in data 15 settembre, per la quale vedi p. 187, nota l) e allegato 2 (risposta alla nota del governo sovietico in data 6 ottobre, per la quale vedi p. 187, nota 3). (2) -Questo telegramma, giunto !n seguito ad una richiesta dell'Ufficio Cifra il 17 novembre 1937, è privo dell'ora di partenza e d! arrivo e del numero generale d! protocol!o in arrivo. (3) -L'ambasciatore Aur!ti aveva telegrafato a tale proposito: «Funzionario ministero degl! Affari Esteri m! ha chiesto se sapessi qualche cosa dei colloqui d! V. E. a Berl!no aggiungendoche essi interessano qui assai più che non possa desumersi dalla stampa giapponese, specieperché Ital!a, Giappone e Germania hanno una identica posizione contro bolscevismo ».
271

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10600/066 R. Bruxelles, 23 ottobre 1936 (per. il 26).

Il signor Spaak mi ha oggi fatto rimettere, a titolo confidenziale, copia della risposta belga (l) al memorandum inglese (2), che è stata oggi rimessa al governo britannico a mezzo dell'ambasciatore del Belgio a Londra, barone de Cartier de Marchienne. Unisco copia del documento in parola (3).

272

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10611/09 R. Varsavia, 23 ottobre 1936 {per. il 26).

In un lungo colloquio che ho avuto con Beck, questi ha tenuto a precisarmi la situazione attuale dei rapporti della Polonia con i vari Stati.

Colla Francia, egli mi ha detto, le relazioni sono effettivamente migliorate sebbene nessun elemento nuovo sia sorto dagli ultimi contatti degli uomini politici dei due Paesi. L'alleanza resta essenzialmente quella che era alle origini: un patto bilaterale «che non può funzionare che in un sol caso».

Colla Russia dei sovieti i rapporti sono corretti. La Polonia distingue il Kremlino dal Comintern. Ha poi aggiunto intenzionalmente che niente la Polonia aveva fatto perché il suo avvicinamento alla Francia venisse interpretato in funzione antisovietica. Ma a Parigi egli stesso aveva dovuto constatare che tale interpretazione aveva trovato origine spontanea in tutti quegli elementi che giudicano il trattato con l'U.R.S.S. come un grave pericolo per la Francia. Per quanto riguarda la propaganda comunista, Beck non la teme, giacché la Polonia sa come difendersene. Le parole del ministro degli Affari Esteri sui rapporti con l'U.R.S.S. dànno a riflettere giacché potrebbero essere indizio di uno stato d'animo che vada formandosi sotto la pressione degli avvenimenti.

Parlandomi poi della Germania, Beck si è limitato a ricordarmi l'esistenza del patto di non aggressione (4).

Di Praga ha preferito non parlare. Sembra però che il generale Rydz-Smigly abbia durante il suo soggiorno a Parigi (5) assicurato il governo francese che la Polonia si manterrebbe neutrale nel caso che la Cecoslovacchia venisse attaccata dalla Germania. Quanto alla Romania, Beck mi ha confermato che i rapporti con essa sono ritornati cordiali. Ed è in questa atmosfera di rinnovata amicizia che si effettuerà prossimamente il viaggio del signor Antonescu a Varsavia.

(l) -Il testo della nota, in data 22 ottobre, è in DDB, vol. IV, D. 152. (2) -Vedi p. 90, nota 1. (3) -Non pubblicato. (4) -Vedi p. 7, nota 2. (5) -Vedi p. 7. nota 3.
273

PROTOCOLLO ITALO-TEDESCO (1)

II Ministro degli Affari Esteri d'Italia, Conte Ciano ed il Ministro degli Affari Esteri tedesco Barone von Neurath, a nome dei loro Governi, hanno preso in esame, il 21 e 22 ottobre 1936 in Berlino, le questioni attuali d'ordine politico, economico e sociale di maggiore rilievo ed hanno consta:tato l'accordo dei rispettivi Governi sui seguenti punti:

1°) I due Governi procederanno nelle trattative concernenti il Patto Occidentale come finora nel più stretto contatto fra di loro.

2°) Fino a che l'Italia resterà nella Società delle Nazioni, il Governo Italiano terrà pienamente conto, nella sua politica in seno alla Società delle Nazioni degli interessi comuni ai due Paesi ed a tal fine si terrà in contatto col Governo Germanico. In particolare anche nella questione della partecipazione a singole attività della Società delle Nazioni (conferenze, commissioni, ecc.), il Governo Italiano si concerterà caso per caso con il Governo Germanico.

Ove l'Italia decidesse di uscire dalla Società delle Nazioni, il Governo Germanico riconosce che tale decisione costituirebbe un fatto nuovo tale da svincolare il Governo Germanico dall'offerta fatta al riguardo con le sue proposte del 7 e del 31 Marzo 1936. L'Italia e la Germania anche in tale caso coordinerebbero, nei limiti del possibile, il loro atteggiamento futuro nei confronti della Società delle Nazioni.

3°) I due Governi riconoscono che il maggior pericolo che minaccia la sicurezza e la pace dell'Europa è il comunismo· e confermano il proposito di combattere la propaganda comunista con tutte le loro forze e di indirizzare la propria azione in questa direzione.

4°) Poiché i nazionali occupano la più grande parte della Spagna e l'Italia e la Germania vi hanno rilevanti interessi economici, i due Governi procederanno al più presto al riconoscimento di fatto del Governo nazionale spagnolo, e resteranno in contatto per procedere successivamente al riconoscimento di diritto. Nel darne l'annuncio, i due Governi confermeranno il principio di non intervento e il rispetto dell'integrità e dell'unità territoriale della Spagna e dei suoi protettorati e possedimenti coloniali.

I due Governi esamineranno in comune, quando, dopo il riconoscimento di fatto, sarà venuto il momento di dichiarare nullo il concertato embargo sulle armi.

5°) Il Governo Italiano esprime la sua soddisfazione per la politica di normalizzazione dei rapporti germanico-austriaci inaugurata con l'accordo dell'll luglio c.a., tra la Germania e l'Austria. Il Governo Italiano e il Governo Germanico sono concordi nell'augurio che questa politica si sviluppi vieppiù proficuamente.

6°) Prima di eventuali conferenze internazionali su questioni della politica economica e finanziaria, il Governo Italiano e quello Germanico si concerte

ranno sul loro atteggiamento, e, per quanto possibile, seguiranno in queste conferenze una linea comune.

7°) Il Governo Italiano appoggerà diplomaticamente gli sforzi della Germania intesi ad ottenere colonie per assicurarsi una base sua propria di materie prime.

Il Governo Italiano ed il Governo Germanico di comune intesa si sforzeranno di ottenere, anche prescindendo dalla questione coloniale, che i rifornimenti di materie prime per i due Paesi vengano facilitati.

8°) Il Governo Italiano e quello Germanico si terranno reciprocamente al corrente circa le linee fondamentali della loro politica commerciale nel Bacino Da:mbiano.

I clue Governi, riconoscendo l'utilità di siffatta collaborazione si riservano di hme studiare e determinare i limiti e le modalità dai rispettivi organi tecnici.

I due Governi confermano il punto di vista contrario, anche in avvenire, ad ogni tentativo di creare nella regione danubiana, senza la contemporanea partecipazione dell'Italia e della Germania, nuove organizzazioni economiche, come ad esempio una coalizione economica della Piccola Intesa o una coalizione economica nel senso del piano Tardieu.

9°) In occasione del riconoscimento da parte germanica dell'annessione dell'Abissinia, il Governo Italiano si dichiara d'accordo che il Trattato di commercio itala-germanico del 31 Ottobre 1925, nonché l'accordo di compensazione itala-germanico del 26 Settembre 1934, come pure i successivi accordi stipulati in merito posteriormente, vengano estesi alle Colonie e ai Possedimenti italiani, inclusa l'Abissinia. Inoltre, per le colonie ed i Possedimenti, inclusa l'Abissinia, verranno stipulate analoghe intese come quelle per il commercio con il Regno d'Italia contenute nell'accordo itala-germanico per il regolamento degli intercambi del 16 Aprile 1935 nonché nei suoi accordi addizionali.

Il Governo Italiano favorirà nei limiti del possibile le aspirazioni dell'economia germanica di partecipare alla valorizzazione economica dell'Abissinia.

Il Governo Italiano si dichiara pronto ad iniziare prossimamente conversazioni circa il trattamento delle concessioni giuridicamente valide acquistate in Abissinia da cittadini germanici anteriormente al 3 ottobre 1935 e di condurre queste conversazioni con la massima benevolenza e spirito amichevole.

Per le eventuali concessioni posteriori a tale data il Governo Italiano riserva il suo atteggiamento caso per caso.

I Trattati e gli Accordi necessari per l'attuazione di quanto precede dovranno essere inclusi con la maggiore sollecitudine. Le trattative saranno affidate ai Comitati Governativi italiano e germanico per il regolamento dei rapporti economici itala-germanici, Comitati che si riuniranno al più presto possibile.

Fatto e sottoscritto in doppio originale.

Berlino, li 23 Ottobre 1936-XIV.

F.to Ciano. Von Neurath.

(l) Ed. !n L'Europa verso la catastrofe, II edizione, Milano, Il Sagg!atore, 1964, pp. 90-·93.

274

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1511/991. Praga, 23 ottobre 1936 (per. il 2 novembre).

Mio telegramma n. 109 in data odierna (1).

Questo ministro degli Affari Esteri ha fatto ieri dinanzi alle commissioni parlamentari diffuse dichiarazioni in materia di politica estera. Ne accludo il testo pubblicato col titolo significativo La Tchécoslovaquie et la crise de la sécurité collective (2).

Tali dichiarazioni, che hanno seguito di pochi giorni il noto discorso del Re del Belgio, provano quanto incresciosamente sia stato qui appreso il nuovo orientamento politico belga. Krofta, pur sforzandosi di darvi una interpretazione moderata, riconosce che assai più difficile si rende in conseguenza la stipulazione di un nuovo trattato di Locarno e che la decisione del Belgio costituisce un grave allontanamento di quel Paese dai doveri imposti dal Covenant e potrebbe avere una influenza sfavorevole sulle relazioni di altri Stati colla Società delle Nazioni.

Come ho riferito telegraficamente a V. E., Krofta ha affermato che la Cecoslovacchia non può seguire !"esempio del Belgio perché, data la sua situazione geografica, questo Paese non potrebbe, come il Belgio, sperare di essere in caso di bisogno aiutato da un altro Stato senza impegnarsi esso stesso a fornire assistenza. La Cecoslovacchia quindi rimarrà fedele alla sua politica societaria e alle sue alleanze, che anzi cercherà di rafforzare e di estendere.

Questo ministro degli Esteri non si è lasciata sfuggire l'occasione per replicare alle note dichiarazioni revisionistiche di Eden, sostenendo quanto lo stesso Krofta vi aveva sùbito opposto a Ginevra in nome della Piccola Intesa. Egl.i ha riaffermato la più decisa avversione della Cecoslovacchia e della Piccola Intesa ad una interpretazione estensiva dell'art. 19 del Patto e si è dilungato a mettere in luce le difficoltà e i pericoli di una revisione territoriale. Krofta ha replicato a Eden che «parlando con troppa ostentazione di pretese ingiustizie e mostrando troppo il desiderio di attenerne la riparazione per mezzo di una pressione morale non si serve affatto la causa della pace, bensl si introduce nella vita delle nazioni lo scompiglio e l'incertezza e si rende possibile di commettere ingiustizie a carico di coloro le cui concessioni sarebbero destinate a soddisfare gli scontenti ».

Fatto il consueto giro di orizzonte delle relazioni con gli altri Paesi, compresa l'Italia nei cui riguardi ha affermato che le relazioni itala-ceche si sono sviluppate in questo ultimo periodo in maniera soddisfacente, Krofta ha tenuto a ribattere la cosidetta «propaganda ostile» che sfrutterebbe abilmente la collaborazione politico-militare con l'U.R.S.S. per presentare la Cecoslovacchia quale la sentinella avanzata e il veicolo del bolscevismo in Europa. II ministro

protesta vivacemente contro tale propaganda sforzandosi di accreditare il consueto cliché della Cecoslovacchia «faro solido e indistruttibile della democrazia e dell'evoluzione calma e progressiva verso un grado sempre più elevato di giustizia economica e nazionale in Europa centrale, Paese che più di ogni altro trova nella sua democrazia le più solide garanzie di immunità contro qualsiasi estremismo '>.

Concludendo, Krofta difende la politica estera di questo Paese dalla quale, egli dice, la Cecoslovacchia non intende allontanarsi, ciò che comporta che questi dirigenti non sembrano per ora disposti a rallentare i vincoli esistenti con la Russia sovietica ritenuta più che mai necessaria a completare il sistema difensivo contro la paventata aggressione della sempre più temuta Germania.

(l) -T. 10548/109 R. del 23 ottobre, ore 22.10. Riferiva più succintamente le dichiarazioni di Krofta. (2) -Non pubblicato.
275

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10582/636 R. Parigi, 24 ottobre 1936, ore 21,45 (per. ore 1.30 del 25).

Telegramma di V. E. da Berlino n. 1-C (1).

Mi sono valso delle interessanti informazioni fornitemi da V. E. per fare una comunicazione a Léger che ritenni tanto più opportuna in quanto mi risultava essere diffusa nelle ultime ore una certa nervosità nei circoli politici e giornalistici sopratutto in seguito all'atteggiamento assunto dai sovieti ieri a Londra (2).

Léger ha preso atto con soddisfazione delle informazioni fornitegli, me ne ha ringraziato vivamente e ha detto che pervenendo esse prima del comunicato annunziato per oggi, gli permettevano di renderne edotto immediatamente il ministro degli Affari Esteri che si trova al congresso radico-socialista a Biarritz (3), dove oggi correvano ogni sorta di voci sulle conversazioni di Berlino. Egli aveva telefonato a François-Poncet per appurare quale fosse la verità, ma quell'ambasciatore era privo di notizie precise. Da quanto mi diceva potevo dedurre importanza che aveva per lui la comunicazione fattagli di cui apprezzava molto la sollecitudine.

Léger mi domandò se potessi precisargli in quale data fosse stato firmato il processo verbale relativo alle conversazioni fra V. E. e il barone von Neurath. Gli ho detto che ritenevo fosse in data del 23. Egli osservò che la cosa aveva grande importanza, dato quanto era accaduto ieri a Londra e data la riconferma da parte dei governi fascista e germanico del principio di non intervento

negli affari di Spagna e del rispetto degli impegni internazionali assunti. Léger grande ovazione a Biarritz ed il congresso radice-socialista aveva approvato la liano e tedesco nei riguardi del bolscevismo, giungeva molto opportuna. In Francia si nota negli ultimi giorni un grande rivolgimento dell'opinione pubblica, nettamente in favore dei nazionali spagnoli. Oggi Delbos aveva avuto una grande evasione a Biarritz ed il congresso radica-socialista aveva approvato la sua politica di assoluta neutralità verso la Spagna che aveva permesso agli avvenimenti di svolgersi in senso favorevole agli insorti. Purtroppo i laburisti inglesi creavano delle difficoltà perché, con la lentezza e ostinazione britannica, non si erano ancora decisi ad evolvere come avevano fatto in Francia i socialisti. Léger aggiunse che nelle regioni prossime al confine spagnolo le popolazioni agricole semplici ed oneste avevano avuto occasione di vedere coi propri occhi dei comunisti spagnoli introdottisi in Francia per nascondervi oggetti rubati e tentare di compiere altri atti illeciti. Questa constatazione aveva valso più della propaganda anti-comunista per aprire gli occhi a quella gente sopra quello che è in realtà il bolscevismo.

Léger mi parlò poi dell'atteggiamento assunto ieri a Londra dai sovieti per dedurre che esso sarebbe servito senza dubbio a dimostrare a tutti, e specialmente ai tedeschi, come il patto franco-sovietico sia privo di contenuto pratico. Infatti, la Francia, non solo non seguì l'U.R.S.S. ma assunse un atteggiamento che è in assoluto contrasto con quello sovietico. Esso è stato salutato con viva soddisfazione da tutta la parte sana del Paese che non ne vuole sapere di legarsi in questa occasione strettamente con l'U.R.S.S.

Ma nasconde a V. E. che questo linguaggio di Léger mi interessò immensamente e mi stupì non poco. Ma Léger credette rincarare la dose e mi espose per filo e per segno gli sforzi che durante due anni fece con Herriot, PaulBoncour e Barthou per impedire che essi stipulassero un patto coi sovieti e come soltanto con Lavai e dietro le insistenze di quest'ultimo, elle accusava il Quai d'Orsay di inerzia, egli acconsentì alla stipulazione del patto stesso, circondandolo però di tali e tante garanzie da farlo in realtà esser privo di valore pratico, come è stato dimostrato in modo chiarissimo ieri a Londra e come lo sarà ancora di più se, i sovieti vorranno sostenere efficacemente i separatisti catalani.

(l) -Vedi D. 264. (2) -Il 23 ottobre, n governo dell'Unione Sovietica aveva presentato una nota al presidentedel Comitato di non intervento in cui si accusava il Portogallo di essere diventato «la base principale di riferimento dei ribelli ». Pertanto il governo sovietico, facendo seguito alla sua nota del 7 ottobre (vedi p. 188, nota l) dichiarava di « non considerarsi legato dall'accordo di non intervento in misura più estesa di qualsiasi altro dei partecipanti al detto accordo » (il testo della nota sovietica è in Documenti di politica internazionale 1936, pp. 528-529). Ne era seguita una discussione particolarmente aspra ed il Comitato aveva chiesto al rappresentantesovietico di chiarire in una prossima seduta se n suo governo si considerava ancora vincolato dall'accordo di non intervento. (3) -Vedi D. 301.
276

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, CAPRANICA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10606/0100 R. Belgrado, 24 ottobre 1936 (per. il 26).

Mio telegramma cifra n. 76 {1). Visita Tatarescu a Belgrado continua a suscitare vivaci commenti, sia per mistero di cui è stata circondata (legazione Romania ha continuato smen

tire notizia quando essa era già di dominio pubblico), sia per il fatto che essa si è potratta più di quanto si prevedesse.

Tatarescu ha effettivamente avuto tre lunghi colloqui, due con Stojadinovic ed uno con il principe Paolo. A questo ministero Esteri mi è stato detto che i lunghi colloqui hanno avuto luogo senza intervento funzionari ministero. Dato, ripeto, segreto che si mantiene sui veri scopi dell'incontro non è dato fare in proposito che delle supposizioni.

Questo ministro di Turchia, il quale si è lasciato sfuggire di aver incontrato il presidente del Consiglio romeno «per caso » alla legazione di Romania, ha espresso l'opinione, che riferisco per debito d'ufficio e data forse come alibi, che incontro sarebbe stato causato da possibile prossima restaurazione in Austria. Com'è noto, nel Convegno di Bled (l) Piccola Intesa aveva deciso che si sarebbe energicamente opposta ad una tale evenienza; in un secondo tempo però, la Cecoslovacchia non si è più mostrata così decisa, mentre in Jugoslavia si starebbe ora facendo strada l'opiriione che una Restaurazione non costituirebbe in fondo un pericolo quale lo si era temuto in un primo tempo. Tatarescu avrebbe pertanto voluto presentire Stojadinovic circa la formula con la quale la Piccola Intesa avrebbe eventualmente potuto rivedere le sue posizioni.

D'altra parte, l'affinità di vedute fra Romania e Jugoslavia si sarebbe già manifestata a Bratislava (2), quando i due Paesi si sarebbero dichiarati contrari all'avvicinamento all'U.R.S.S. e al patto franco-sovietico, mentre Benès avrebbe dichiarato essere sua intenzione di non abbandonare la politica di amicizia con la Francia e con l'Unione Sovietica. Dopo Bratislava la Romania ha effettivamente dimostrato nettamente la sua volontà di stringere vieppiù i suoi rapporti con la Jugoslavia, specie di fronte a Mosca.

Concludendo, e a quanto è dato supporre anche sulla base delle voci che circolano negli ambienti di solito bene informati, i due personaggi avrebbero discusso particolarmente: l) atteggiamento verso U.R.S.S. e di riflesso verso Cecoslovacchia e Francia; 2) restaurazione austriaca; 3) nuova situazione creata dall'atteggiamento assunto dal Belgio; 4) posizione della Turchia di fronte a tali problemi.

Prima di partire Tatarescu ha fatto alcune dichiarazioni senza importanza e che trasmetto a parte (3).

(l) T. 10469/76 R. del 21 ottobre, ore 19,30. Riferiva 1 commenti del clrco11 diplomatici circa Il viaggio d! Tatarescu, giunto quel giorno a Belgrado.

277

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL CANCELLIERE DEL REICH, HITLER (4)

APPUNTO S. Berchtesgaden, 24 ottobre 1936.

Il colloquio si è svolto nello studio privato di Hitler, al secondo piano della sua villa.

Il Ftihrer esprime il suo compiacimento per la mia visita in Germania e si dichiara lieto dei risultati raggiunti per la collaborazione dei nostri due Paesi. Lo ringrazio e gli dico di essere incaricato dal Duce di portargli un saluto particolare, dal Duce che ha sempre nutrito per Hitler sentimenti di cordiale simpatia e di vivo interesse per la sua opera, anche nei momenti difficili.

Il FUhrer appare molto toccato da queste dichiarazioni che gli vengono da parte di chi: «è il primo Uomo di stato del mondo, al quale nessuno ha diritto di paragonarsi neppure da lontano ». Durante le sanzioni l'Inghilterra ha cercato più volte di adescare la Germania con promesse, talvolta anche lusinghiere, per attrarla nella sua sfera d'azione anti-italiana. Il Flihrer non ha mai ceduto a tali lusinghe perché ha sempre tenuto presente l'immane opera compiuta da Mussolini per il suo Paese e per il mondo, e perché si è reso conto della intenzione britannica di separare i nostri due Paesi per batterli isolatamente. Una alleanza guidata dall'Inghilterra contro l'Italia prelude ad una alleanza guidata dall'Inghilterra contro la Germania e viceversa. Le democrazie sono saldate tra di loro in un blocco automatico che trova una specie di cemento e di lievito nel bolscevismo. Queste forze sono egualmente nemiche della Germania nazista e dell'Italia fascista.

Al FUhrer, che mi domanda lo stato attuale dei nostri rapporti coll'Inghilterra, faccio un rapido esposto della situazione, mettendo in chiaro che non è né nelle nostre intenzioni, né nei nostri programmi di svolgere una politica anti-britannica per partito preso, ma che sarebbe sciocco e criminoso da parte nostra di chiudere gli occhi di fronte alle continue manifestazioni di preparazione anti-italiana da parte del Governo britannico.

La nostra contro-manovra al tentativo di accerchiamento è rapida e decisa: qualora l'Inghilterra credesse di voler saldare intorno all'Italia un anello per soffocarla, la nostra reazione sarebbe immediata e violentissima. Ma -aggiungo -la Germania non deve farsi illusioni. La politica britannica si rivolge altrettanto attivamente contro di lei. Se non se ne hanno manifestazioni positive e dirette, è perché l'Inghilterra cerca di guadagnare il tempo necessario per completare il suo riarmo.

A questo punto presento al FUhrer, come invio speciale del Duce, il documento noto (1). Il Fuhrer legge subito la circolare di Eden e il telegramma

D. -492]; n. 5) dispaccio n. 1159 del 21 novembre 1933 di Sir E. Phipps (estratto) [ibid, vol. VI, D. -60]; n. 6) dispaccio n. 127 del 31 gennaio 1934 di Slr E. Phipps [ibid., D. 241]; n. 7) dispaccio n. -794 del 5 luglio 1934 di Slr E. Phipps (estratto) [ibid, appendice II, n. 3]; n. 8) dispaccio n. -1221 del 15 ottobre 1934 di S!r E. Phipps (estratto: paragrafi 46, 47, 48); n. 9) dispaccio n. -13 del 7 gennaio 1935 di Slr E. Phipps con accluso rapporto dell'addetto militare sull'esercito tedesco nel 1934 (estratto); n. 10) dispaccio n. 60 del 22 gennaio 1935 d! Slr E. Phipps [ibid., vol. XII, n. 361]; n. 11) dispaccio n. 320 del 1° aprile 1934 d! Slr E. Phipps; n. 12) dispaccio n. -341 del 6 aprile 1935 d! Sir E. Phlpps [ibid., D. 700]; n. 13) dispaccio n. 472 del 15 maggio 1935 d! S!r E. Phipps (estratto) con accluso dispaccio n. 3 dell'li maggio 1935 dell'addetto mll!tare (estratto) [ibid., vol. XIII, D. 204. Il dispaccio dell'addetto mll!tare non è stato pubblicato];

Phipps, nel quale l'Ambasciatore d'Inghilterra giudica il Governo del Reich composto da pericolosi avventurieri. La lettura produce una profonda impressione sul Fiihrer, che dopo un momento di silenzio, ha una reazione violenta.

«A giudizio degli inglesi vi sono oggi nel mondo due Paesi che sono guidati da avventurieri: la Germania e l'Italia. Ma anche l'Inghilterra era governata da avventurieri quando fece l'Impero. Oggi è soltanto governata da inetti».

La lettura dei due documenti ha animato il Fiihrer. Allora egli dice che all'intesa che esiste fra le democrazie bisogna apporne una guidata e capeggiata dai nostri due Paesi. Ma non bisogna limitarsi a tenere un atteggiamento passivo. Bisogna assumere un contegno attivo. Bisogna passare all'attacco. Ed il terreno tattico sul quale conviene portare la manovra è quello dell'anti-bolscevismo. Infatti molti Paesi, i quali, insospettiti da una amicizia itala-tedesca per tema del pangermanismo o dell'imperialismo italiano si schiererebbero contro di noi, saranno portati a far parte della nostra costellazione se vedranno nella unione itala-tedesca la barriera contro la minaccia bolscevica all'interno e all'estero.

In !spagna, italiani e tedeschi hanno già scavato insieme la prima trincea contro il bolscevismo. La Germania si è impegnata a fondo nella questione spagnola senza alcuna mira territoriale e politica: il Mediterraneo è un mare italiano. Qualsiasi modifica futura di equilibrio mediterraneo deve andare a favore dell'Italia. 'così come la Germania deve avere libertà di azione verso l'est e verso il Baltico: orientando i nostri due dinamismi in queste direzioni, esattamente opposte, non si potrà mai avere un urto di interessi tra la Germania e l'Italia.

Faccio presente al Fiihrer che fin dal 1919 Mussolini ha innalzato nel mondo la bandiera anti-bolscevica e che l'azione svolta all'interno è stata tale da far scomparire nel modo più assoluto in Italia ogni minaccia comunista. Anche la rivoluzione spagnola, che pure tanta eco ha avuto nel mondo, non ha prodotto la minima ripercussione nelle masse operaie e contadine italiane, che hanno definitivamente divorziato da una ideologia marxista e comunista.

n. -14) dispaccio n, 563 del 12 giugno 1935 di Sir E. Phipps fibid., D. 327]; n. 15) telegramma n. -201 del 18 dicembre 1935 di Sir E. Phipps (estratto) [ibid., D. 500]; n. 16) telegramma n. -228 del 10 ottobre 1935 di Sir E. Phipps (estratto) [ibtd., D. 518]; n. 17 conclusioni tratte dalla minuta di un capitolo relativo ad alcuni aspetti della situazione interna compilato per il prontuario del War Office sulla Germania dalla ambasciata di S. M. a Berlino il 15 ottobre 1935; n. 18) dispaccio n. 1140 del 7 novembre 1935 di Sir E. Phipps con accluso un appunto dell'addetto militare; n. 19) dispaccio n. 1160 del 13 novembre 1935 di Sir E. Phipps [ibid., vol. XV, D. 213]; n. 20) telegramma n. 287 del 5 dicembre 1935 di Sir E. Phipps (estratto); n. 21) dispaccio n. 1305 del 10 dicembre 1935 di Sir E. Phipps; n. 22) dispaccio n. -1344 del 16 dicembre 1935 di Sir E. Phipps fibid., D. 3831; n. 23) dispaccio n. 1359 del 19 dicembre 1935 di Sir E. Phipps fibid., D. 4041; n. 24) telegramma n. 303 del 21 dicembre 1935 di Sir E. Phipps. II. PARTE ECONOMICA n. 25) estratti dal rapporto del Dipartimento del commercio d'Oltremare sulle condizioni economiche della Germania fino al giugno 1934, redatto dal sig. S.H.F. Thelwall, già consigliere commerciale presso l'ambasciata di S. M. a Berlino; n. 26) estratto del rapporto del Dipartimento del commercio d'Oltremare sul commercio estero della Germania nel 1934 redatto dal sig. E. c. Donaldson Rawlins, consigliere commerciale presso l'ambasciata di s. M. a Berlino; n. 27) dispaccio n. 390 del 25 aprile 1935 di Sir. E. Phipps (estratto); n. 28) dispaccio n. 502 del 22 maggio 1935 di Sir E. Phipps; n. 29) dispaccio n. -1011 del 10 ottobre 1935 di Sir E. Phipps; n. 30) dispaccio n. 1163 del 13 novembre 1935 di Sir E. Phipps; n. 31) dispaccio n. 1231 del 26 novembre 1935 di Sir E. Phlpps; n. 32) dispaccio n. -34 dell'8 gennaio 1936 di Slr E. Phipps.

Agli atti si trova un secondo dossier contenente la traduzione in lingua tedesca di alcuni soltanto del documenti precedenti e cioè; l'introduzione di Eden e l numeri l, 11, 12, 14, 19, 21, 23. Si tratta forse, di una copia del dossier consegnato a Hitler.

Anche la nostra azione in !spagna, dichiaro, non ha mire territoriali: abbiamo soltanto voluto sbarrare la strada al bolscevismo che cercava di intallarsi alle bocche del Mediterraneo. Adesso siamo pronti e decisi a compiere uno sforzo maggiore pur di dare il tracollo al governo di Madrid. Dico al Fuhrer l'intenzione del Duce di mandare ancora 50 aeroplani e due sottomarini. II Ftihrer approva pienamente, dice che è disposto a compiere qualunque sforzo pur di non lasciare la via libera a Mosca e mi assicura che darà istruzioni in tal senso alle sue autorità militari. Se fosse necessario, egli sarebbe disposto anche a mandare dei reparti di truppe. Gli dico che al momento della lotta per le Baleari noi avevamo già preparato due battaglioni di Camicie Nere.

Il Ftihrer mi espone quindi la linea d'azione che dovrebbe venir seguita. A suo giudizio, non v'è dubbio che l'Inghilterra, se avrà la sensazione di poterlo fare impunemente o facilmente, attaccherà l'Italia o la Germania, o tutte e due. Questi Paesi, che rappresentano le forze giovani dirette ad ottenere una migliore e più giusta distribuzione di ricchezze sono le naturali nemiche della potenza conservatrice inglese, la quale trova comodo accusarle di voler turbare la pace del mondo soltanto perché costituiscono una minaccia ai suoi interessi costituiti e che vorrebbe vedere consolidati nella cristallizzazione del mondo attuale.

Ma se l'Inghilterra vedrà -ed è quella la parte attiva della azione che il Ftihrer propone -costituirsi gradualmente una costellazione di potenze che sotto la bandiera dell'antibolscevismo sono disposte a far fronte unico colla Germania e coll'Italia, se l'Inghilterra avrà la sensazione di una nostra comune forza organizzata in Europa ed in Oriente ed in Estremo Oriente e anche in sud-America, non soltanto si asterrà da una lotta contro di noi, ma cercherà di trovare con questo nuovo sistema politico un mezzo ed un terreno di intesa.

Se poi invece l'Inghilterra continuasse a meditare piani offensivi· e cercasse soltanto di guadagnare tempo per il suo riarmo, allora noi la batteremmo sul suo stesso terreno perché il riarmo tedesco e quello italiano procedono molto più rapidamente di q_uanto non possa procedere il riarmo in Gran Bretagna, ove non si tratta soltanto di costruire navi, cannoni ed aeroplani, ma ove si deve ancora procedere al più lungo e più difficile riarmo spirituale. La Germania fra tre anni sarà pronta, fra quattro sarà prontissima, se saranno cinque meglio ancora. Ma la potenza militare raggiunta dai nostri due Paesi sarà tale, anche in questa seconda ipotesi da far desistere l'Inghilterra da ogni proponimento aggressivo.

La Germania lavora già attivamente per creare questo sistema di amicizia nel mondo. Non si tratta, per ora almeno, di fare patti od alleanze. Bisogna cercare qualche cosa di più solido e profondo. Le intese devono sorgere da affinità spirituali e da identità di interessi. Quando queste condizioni sono realizzate, si fa presto, se è necessario, a consacrare sulla carta quello che già esiste di fatto.

La Germania è già effettivamente andata molto in là nella sua intesa col Giappone. Anche con la Polonia il lavoro compiuto è abbastanza buono.

Ma il Fiihrer è un po' scettico sulle reali possibilità polacche perché quel Governo, ben lungi dal trovare, come il tedesco e l'italiano, le sue basi nel consenso popolare, si regge soltanto «sulla punta delle baionette ». Un Paese col quale la Germania è in buoni termini e che si augura possa ben presto arrivare ad una salda intesa con l'Italia, è la Jugoslavia. Bisogna che Roma agisca in primo luogo su Budapest per consigliare i magiari ad orientare il loro irredentismo verso la Cecoslovacchia, anziché contro la Jugoslavia. La Germania ha già dato consigli analoghi. D'altra parte bisogna riconoscere che le rivendicazioni ungheresi verso i serbi sono di portata molto modesta, mentre quelle verso i cechi sono di estrema importanza. La Jugoslavia e preoccupata delle intenzioni aggressive che l'Italia nutrirebbe nei suoi riguardi. Basterà darle assicurazioni in tal senso per acquistarla al nostro sistema e sottrarla definitivamente all'influenza francese e sopratutto per impedire che le mene inglesi, dirette a fare di Belgrado un centro di azione anti-italiana, riescano.

Assicuro il Fiihrer che tali sono anche i nostri sforzi e che in realtà in questo periodo di tempo si è determinata una notevole détente fra l'Italia e la Jugoslavia. E noi siamo pronti ad andare molto più in là: a raggiungere una vera e propria intesa.

Il Fiihrer, concludendo la conversazione, ha ripetuto il compiacimento per gli accordi raggiunti a Berlino ed ha ripetuto la sua volontà di eliminare, sempre, nel futuro ogni difficoltà ·che, nella pratica, possa sorgere tra l'Italia e la Germania. Bisogna annullare gli ostacoli di dettaglio, quando la posta nel gioco è troppo grande.

Il Ftihrer ha fatto quindi entrare nella stanza Neurath, al quale ha brevemente riassunto la conversazione. Neurath, che sempre nei colloqui con me, ma che particolarmente negli ultimi giorni ha manifestato un atteggiamento nettamente anti-britannico, ha portato nuovamente il discorso sull'Inghilterra. Ciò ha dato motivo al Fuhrer di ripetere che egli non si fa nessuna illusione sulle intenzioni che la Gran Bretagna nutre nei nostri e nei suoi riguardi: egli intende soltanto essere estremamente prudente per guadagnare tempo e raggiungere quell?-preparazione militare che dia la sicurezza assoluta del successo.

Ho parlato allora al Fiihrer di quella che è la nostra preparazione militare ed ho rimarcato che ne è rimasto vivamente impressionato. Neurath, quando abbiamo lasciato più tardi la Villa del Fiihrer mi ha detto che la fermezza con la quale avevo esposto al Fiihrer gli intendimenti del Duce di collaborare per la pace se sarà possibile, ma in pari tempo di prepararci duramente alla guerra, se sarà necessario, aveva vivamente colpito Hitler.

La conversazione si è svolta durante due ore e un quarto. Hitler, che parlava lentamente e sottovoce, aveva degli scatti violenti allorché parlava della Russia e del bolscevismo. Il suo modo di esprimersi era piano, piuttosto prolisso. Ogni questione formava oggetto di lunga esposizione ed ogni concetto era da lui ripetuto più volte con diverse parole.

Come ho sopra detto, gli argomenti ·principali del suo dire erano il bolscevismo e l'accerchiamento inglese. Su questo ultimo punto però, a volte, manifestava delle incertezze. Neurath dice che dipendono dall'azione di Rib

bentrop, che, ogni tanto, cerca ancora di fare al Fiihrer delle iniezioni di ottimismo filo-britannico. Ma il Ministro degli Esteri del Reich è molto scettico sui risultati dell'azione che Ribbentrop si propone di svolgere a Londra. Ieri sera, a tavola, Neurath diceva testualmente: «Ribbentrop si accorgerà presto che è più facile farsi dire di sì a Londra come rappresentante di una marca di sciampagna, che non come rappresentante del governo del Reich ». Comunque oggi Neurath mi sembra acquisito alla causa italiana. Se non altro, per fatto personale. Il duello tra lui e Ribbentrop è di pubblica ragione e tutti, in Germania, attendono di vederne i risultati, oggi che Neurath è riuscito a mandare il suo avversario ad operare sul terreno che egli stesso designava quale il migliore per gli sviluppi della politica germanica. Qualunque successo di Ribbentrop a Londra, del resto molto improbabile, sarebbe l'insuccesso di Neurath. Quest'ultimo lo sa ed è pronto a battersi con ogni arma per impedirlo.

Della Francia il Fiihrer ha parlato, come del resto gli altri uomini tedeschi ne parlano, soltanto per inciso e con un lieve disprezzo. Qualche ingiuria agli ebrei che la governano e nulla più. Nel loro giudizio la Francia ha cessato, almeno per ora, di essere un soggetto di politica estera per diventarne un oggetto.

Il Fiihrer si è mostrato particolarmente cordiale con me, ha chiesto ripetutamente notizie della vita e dell'attività del Duce ed ha infine trattenuto a colazione tutto il personale del seguito, col quale è stato premuroso e cortese. Durante la sosta, ha telefonato due volte a Monaco per avere il resoconto del ricevimento fattomi, per il quale, del resto, personalmente aveva impartito le più accurate istruzioni (l).

(l) -SI fa qui riferimento alla riunione del Consiglio permanente della Piccola Intesa tenutos! a Belgrado !l 6-7 maggio precedenti. (2) -XI sessione del Consiglio permanente della Piccola Intesa del 12-14 settembre. (3) -Non pubbl!cato. Sul viaggio di Tatarescu a Belgrado si vedano i DD. 281 e 289.

(4) Ed. !n U Europa verso la catastrofe, pp. 93-99.

(l) -Si tratta di un dossier dal titolo IL PERICOLO TEDESCO. Una collezionz di rapporti pervenuti dall'ambasciata di S. M. a Berlino fra l'epoca della salita al potere di Hitler nella primavera del 1933 e la fine del 1935. Su la copertina vi è la stamplglitura del S.l.M. e la dicitura «stampato per il Gabinetto. Gennaio 1936 ». Il dossier è costituito da un'introduzione di Eden datata 17 gennaio 1936 (il cui testo è stato pubblicato pressocché integralmente ln L'Europa verso la catastrofe, p. 78) e da 32 documenti in traduzione italiana che qui si elencano con il riferimento per ciascuno di essi alla raccolta del documenti diplomatici britannici se in essa pubblicato: I. PARTE POLITICA n. l) dispaccio n. 425 del 26 aprile 1933 di Sir H. Rumbold [BD, vol. V, D. 36]; n. 2 dispaccio n. 979 del lO ottobre 1933 di S!r E. Phlpps (estratto); n. 3) lettera del 25 ottobre 1933 di Sir E. Phipps a S!r M. Hankey; n. 4) dispaccio n. 1044 del 25 ottobre 1933 di Sir E. Phipps (estratto) [ibid,
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 24 ottobre 1936.

L'ambasciatore di Turchia è venuto a portarmi la nota verbale con la quale comunica la nomina della delegazione turca per le trattative commerciali che devono iniziarsi a Roma prossimamente. Nel consegnarmi il documento egli ha tenuto a farmi rimarcare come l'avere acceduto al nostro desiderio che tali trattative si svolgessero a Roma anziché ad Ankara, come la Turchia avrebbe avuto diritto di pretendere, fosse una prova dei sentimenti amichevoli del suo Paese verso l'Italia.

Gli ho risposto che la stessa linea di condotta era stata adottata da tutti gli Stati coi quali abbiamo riveduto i rapporti commerciali, per l'evidente ragione che non era nemmeno concepibile l'invio della delegazione italiana nelle capitali di 52 Paesi. Comunque lo ringraziavo della comunicazione nonché della

accentuazione che egli aveva voluto farmi sui sentimenti dai quali il suo Paese è animato nei confronti dell'Italia.

L'ambasciatore è venuto subito a parlare delle relazioni fra Italia e Turchia dicendomi che, ritornato dal congedo, era sua intenzione dissipare certe impressioni di cui s'era fatta eco la stampa italiana durante il periodo della sua assenza da Roma, specialmente per quanto si riferiva al viaggio del Re d'Inghilterra nel suo Paese (1). Egli teneva a dirmi, non solo come ambasciatore ma anche come privato gentiluomo, che in occasione di quel viaggio nessun accordo era stato, né concluso, né preparato fra la Turchia e la Gran Bretagna e che pertanto i sospetti italiani erano assolutamente ingiustificati.

Ho risposto che se una interpretazione speciale in senso sfavorevole all'Italia era stata data da qualcuno in qualche luogo alle conversazioni di Istambul, era proprio nella stampa turca e in certa stampa inglese che si trovavano tali interpretazioni. Prendevo atto con piacere di quanto egli mi diceva, essere queste fantastiche e in ogni caso lontane dalle intenzioni turche.

L'ambasciatore mi ha detto che evidentemente la Turchia è ben felice di cogliere le occasioni che si presentano per allargare la sfera dei propri rapporti internazionali e rendere sempre più stretti e cordiali quelli che si è già creati. Non vede in questo ragione alcuna perché l'Italia possa adombrarsene. Gli ho risposto che l'Italia, infatti, non se n'è adombrata menomamente ma che d'altra parte in presenza di certe affermazioni di molta stampa inglese e di certa stampa turca, nonché di certe manifestazioni ufficiali -come la visita della flotta turca a Malta -non era da meravigliarsi se in Italia si fosse mostrata qualche sorpresa. Mi ha interrotto per dirmi che alla visita di Malta si pensava in Turchia almeno da tre anni. Al che ho risposto che era una ragione di più per la stampa italiana il rilevare come essa avvenisse soltanto nel momento in cui i rapporti fra Italia e Gran Brettagna attraversavano una fase di qualche delicatezza.

L'ambasciatore mi ha detto allora che sapendo come, per ordine del Duce, io stesso avessi lavorato durante la mia permanenza alla legazione di Atene alla realizzazione della politica stabilita dal Duce a Milano nei confronti, sia della Grecia, sia della Turchia (2), mi avrebbe parlato chiaramente sulle relazioni itala-turche e sui motivi che avevano dato origine a certi malintesi. L'ho pregato di farlo con tutta franchezza, assicurandolo che ne avrei riferito a V.E.

Dopo avere premesso che non si trattava di fare un processo al passato ma semplicemente di spiegare come poteva essersi creata una qualche diffidenza turca nei confronti italiani, egli mi citava:

l) la questione degli isolotti di Castelrosso, per risolvere la quale furono necessarie lunghissime discussioni nelle quali l'Italia mostrò di attribuire un

25 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

interesse specialissimo a poche rocce disabitate e inabitabili, le quali hanno però la sola qualità di trovarsi a corta distanza dalla costa turca. Tenere al possesso di quegli scogli era cosa logica per la Turchia, mentre per l'Italia non si poteva spiegare che con ragioni di carattere militare, e ciò non poteva far piacere alla Turchia;

2) quando si parlò dell'ammissione della Turchia alla S.d.N., prima preferì votare per la Cina anziché per la Turchia (1), pur avendo con questa un patto di amicizia (2);

3) quando la Turchia pose infine la sua candidatura ufficiale a Ginevra, l'Italia preferì votare per il Portogallo anziché per la Turchia (3).

A questi motivi di diffidenza l'ambasciatore dice che potrebbe aggiungerne una lunga serie.

L'ho controbattuto facendogli osservare che il viaggio a Roma del presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri di Turchia (4) avvenne quando le discussioni su Castelrosso erano state concluse con il noto accordo in vigore (5) e che l'entusiasmo che essi dimostrarono, sia nel viaggio di andata, sia durante la permanenza nella capitale, sia nel viaggio di ritorno, entusiasmo che io stesso constatai in loro ad Atene, non sembrava avere risentito alcunché delle discussioni che s'erano svolte alcuni mesi prima. Non escludevo nemmeno, pur senza ricordarmelo precisamente, che all'epoca del loro viaggio a Roma anche il voto a favore della Cina fosse già avvenuto; comunque ricordavo bene che il secondo voto a cui egli aveva fatto cenno, a favore del Portogallo, fu da noi dato in conseguenza di una promessa fatta a Lisbona prima che la Turchia si decidesse a presentare la sua candidatura ufficiale. Comunque, questi motivi e gli altri che egli mi risparmiava avrebbero potuto utilmente essere conosciuti prima che dessero luogo a quella diffidenza che ambedue deploravamo.

L'ambasciatore mi ha allora detto che ve n'è uno -maggiore di tutti ed è la mancata partecipazione dell'Italia alla Conferenza di Montreux e la mancata adesione dell'Italia alle deliberazioni di essa. Egli teneva a sottolineare che l'adesione dell'Italia è di capitale importanza per la Turchia cosicché la mancanza di essa giustifica il sospetto che l'Italia non desideri la sicurezza della Turchia nel suo territorio.

Ho risposto che io mi astenevo dal fargli presente i motivi che potevano giustificare da parte nostra un atteggiamento diffidente nei confronti della

Turchia, fra i quali vi poteva essere l'anomalia della partecipazione turca alla coalizione (l) formata nel Mediterraneo a scopi chiaramente antitaliani e certamente in contrasto con quelli del patto di amicizia concluso fra i nostri due Paesi. Mi limitavo invece a fargli presente che, per quanto si riferisce alla conferenza di Montreux, noi avevamo chiaramente dichiarato di non prendervi parte finché quella coalizione non fosse stata sciolta. Poiché nei Paesi ad essa aderenti -e in Turchia in ispecial modo -vi furono molte esitazioni che non contribuivano a chiarire la situazione mediterranea, noi facemmo presente alla Turchia l'utilità di un breve rinvio della conferenza stessa. Non essendo stàto accolto questo nostro desiderio, non fummo naturalmente in condizione di partecipare alla conferenza. È perfettamente naturale che deliberazioni prese in nostra assenza su argomenti che toccano da vicino interessi nostri, non possano ricevere un'adesione pura e semplice, necessitando esse un esame approfondito.

L'ambasciatore non ha contrastato le ragioni da me addotte, ma mi ha fatto osservare che se la conferenza fosse stata rinviata, probabilmente nemmeno oggi avrebbe potuto riunirsi ed ha voluto ripetere che per la Turchia è una ·questione di capitale importanza l'adesione italiana alle deliberazioni di Montreux, sottolineando essere indispensabile tener presente l'importanza che a questo fatto la Turchia attribuisce anche per ritornare, come sinceramente il suo Governo desidera, in rapporti di stretta amicizia con l'Italia.

Gli ho allora fatto rimarcare che ritenevo venisse intanto apprezzato in Turchia il fatto che l'Italia non dava l'impressione di voler sabotare praticamente i deliberati di quella Conferenza e che si asteneva dal provocare litigi e questioni a proposito di certe applicazioni immediate di essi. Occasioni di far delle chicanes non sarebbero mancate, se l'Italia avesse voluto.

L'ho ringraziato per il suo franco parlare e gli ho detto che il sistema della franchezza essendo ugualmente quello di V.E., ero sicuro che il compito da lui prefissosi e riconfermatogli dal suo governo di ristabilire relazioni sinceramente cordiali fra i nostri due Paesi ne sarebbe stato grandemente facilitato.

(l) Il documento ha il visto d! Mussol!ni.

(l) -Vedi D. 23. (2) -Si riferisce al colloqui di M!lano del 2-4 apr!le 1928 avuti da Mussollnl e da Grandi, allora Jottosegretario agli esteri, con Il ministro degli esteri turco, Tevf!k Rlistti bey, e con quello greco, Mlchalacopoulos, In vista di concludere un complesso di accordi per un'intesa a tre (si veda In proposito serle settima, vol. VI, DD. 216 e 223). Negli ultimi mesi del 1930, Bastlanlnl, allora ministro ad Atene, si era adoperato attivamente per realizzare un collegamento fra 1 tre trattati -italo-turco del 30 maggio 1928, italo-greco del 29 settembre 1928 e greco-turco del 30 ottobre 1930 -che erano stati sottoscritti nel quadro dell'orientamento indicato dal colloqui di M!lano (In proposito si veda serie settima, vol. IX, DD. 325, 367, 412 e 459). (l) -Nel settembre 1931. Si trattava non dell'ammissione alla Società delle Nazioni, come qui detto, ma dell'elezione a membro del Consiglio. (2) -Trattato di neutralità e regolamento giudiziario tra Italia e Turchia del 30 maggio 1928 (testo in Trattati e convenzioni, vol. XXXVIII, pp. 111-118), prorogato di tre anni con "rotocollo del 25 maggio 1932 (ibi., vol. XLI, pp. 335-336) e prorogato al 29 aprile 1942 con scambio di note in data 31 maggio 1934(ibid., vol. XLVIII, pp. 150-151). (3) -Nell'ottobre 1933. Anche in questo caso si trattava dell'elezione a membro del Consiglio. (4) -Si riferisce al viaggio in Italia, del presidente del consiglio turco, Ismet pascià e del ministro degli esteri Tevfik Ri.isti.i Aras dal 24 al 30 maggio 1932. Su tale viaggio non è stata trovata documentazione significativa negli archivi italiani. (5) -Accordo tra Italia e Turchia relativo alla delimitazione delle acque territoriali tra l'isola di Castelrosso e la costa d'Anatolia del 4 gennaio 1932 (testo in Trattati e convenzioni, vol. XLIV, pp. 3-7).
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 7272/2505. Parigi, 24 ottobre 1936 (per. il 27).

Telespresso di V. E. n. 234715/452 del 17 corrente (2).

Il signor Léger, al quale ho chiesto se fosse esatto che il governo turco avesse diretto al Quai d'Orsay una nota relativa alla futura organizzazione del sangiaccato di Alessandretta, in relazione alla nuova sistemazione che, in

base al recente accordo franco-siriano (1), verrà data alla Siria, mi ha dichiarato che il governo turco non aveva fatto finora alcun passo ufficiale ma che il signor Tevfik Aras ne aveva parlato a Ginevra coi delegati francesi.

Il ministro degli Affari Esteri turco aveva detto in tale occasione che gli accordi conclusi fra Turchia e Francia circa il Sangiaccato di Alessandretta (2) non avrebbero potuto continuare ad essere in vigore coi nuovi governi della Siria e del Libano perché, se essi succedevano nei diritti e nei doveri della Francia, ben diversa era la loro situazione morale e ciò che la Turchia aveva potuto concludere con una Grande Potenza, che dava le più ampie garanzie, non avrebbe potuto continuare ad essere in vigore con altri Stati che, pur essendo successori, non davano alla Turchia le stesse garanzie. Al che i francesi ebbero a rispondere che la Siria ed il Libano sarebbero restati per un periodo lunghissimo di tempo occupati dalle truppe francesi che vi avrebbero esercitato anche il servizio di polizia; non era quindi il caso per la Turchia di sollevare eccezioni del genere di quella sopra enunciata.

La questione è rimasta a questo punto ed il signor Léger mi ha promesso di informarmi degli ulteriori sviluppi che essa avrebbe potuto avere. Non mancherò di seguire attentamente la questione e di comunicare all'E. V. le eventuali notizie che questo ministero degli Affari Esteri sarà per fornirmi al riguardo.

(l) -Vedi D. 23, nota 3. (2) -Non pubblicato. Chiedeva informazioni circa l'argomento di cui tratta questo telespresso.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI

T. UU. S.N.D. 10584/4 R. Berlino, 25 ottobre 1936, ore 12,17 (per. ore 14,15) (3).

«Informi opportunamente generale Franco del contenuto del mio telegramma in chiaro n. 3 (4). Gli aggiunga per sua riservata informazione che abbiamo deciso di riconoscere il suo governo subito dopo l'occupazione di Madrid. Richiami la sua attenzione sulle precise dichiarazioni che ho fatto, d'accordo con Neurath, che governo italiano e quello tedesco intendono che integrità Spagna deve essere garantita non solo per quello che riguarda territorio nazionale ma anche protettorati e possedimenti coloniali ~.

(l) -Trattato d! amicizia e d! alleanza del 9 settembre 1936. Gli accordi comprendevano altresì una convenzione m!l!tare, cinque protocolli e undici scambi d! lettere. Testo In Documenti di politica internazionale, pp. 683-693. (2) -Trattato d! amicizia fra Francia e Turchia del 20 ottobre 1921 (In MARTENS, vol. XII, pp. 826-832) e Convenzione d! amicizia e buon vicinato del 30 maggio 1926 (ibid., vol. XXI, pp. 443-460). (3) -Ciano si trovava !n visita In Germania. Questo telegramma fu Inviato dall'ambasciata a Berlino al ministero per essere Inoltrato subito al consolato generale a Tanger!. Fu r!trasmesso con T. 4711/207 R. In pari data. ore 17,25. (4) -T. 4817/216 del 24 ottobre Inviato al ministero dell'ambasciata a Berlino con Il n. 3 della serie speciale relativa al viaggio d! Ciano In Germania. Riportava le d!ch!araz!on! alla stampa fatte da Ciano al momento d! partire da Monaco per tornare in Italia (per le quali si veda Documenti di politica internazionale, pp. 434-436).
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L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10579/142 R. Bucarest, 25 ottobre 1936, ore 14 (per. ore 18).

Presidente del Consiglio Tatarescu si è recato in forma privata per due giorni Belgrado (l) dove ha avuto colloquio con principe Paolo e Stojadinovic. Tale viaggio che si è voluto qui occultare mascherandolo con crociera Tatarescu sul Danubio e che precede immediatamente visita Re di Romania a Praga (2), sembra, dovuto a desiderio Sovrano romeno conoscere avviso principe reggente principali questioni alla trattazione delle quali darà luogo predetta visita reale capitale cecoslovacca. Fra tali questioni primeggiano quelle concernenti rapporti con Russia, colloqui V. E. Berlino, conseguenze dichiarazioni neutralità belga. Delineasi quindi sempre maggiormente stretta collaborazione, seno Piccola Intesa, fra la Romani e la Jugoslavia iniziatasi dopo caduta Titulescu. Segue rapporto (3).

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IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 10751/088 R. Atene, 25 ottobre 1936 (per. il 30).

Mio telegramma n. 220 (4).

Ho rinnovato al presidente Metaxas a nome di V. E. i rilievi e le osservazioni già fattegli circa le interpretazioni sfavorevoli cui dà luogo il succedersi di manifestazioni di acquiescente amicizia della Grecia verso l'Inghilterra che culminano nell'invito britannico alla flotta greca di visitare Malta (5). Tali manifestazioni -ho detto -esorbitano dagli usuali scambi di cortesie, appaiono inconsuete all'opinione pubblica mondiale, minacciano di turbare le relazioni con l'Italia e -soprattutto -ostacolano quella politica di cordiale collaborazione italo-greca da lui e da noi auspicata. Metaxas, dopo avermi ripetuto la dichiarazione che non esiste alcun accordo specifico della Grecia con l'Inghilterra, ha detto di avere, nell'accoglienza tributata alla flotta inglese, inteso di uscire dai limiti delle cortesie abituali. L'invito alla flotta ellenica di visitare Malta è venuto -secondo quanto egli mi ha detto -improvviso, senza alcuna preparazione diplomatica, come un inatteso gesto personale di cortesia dell'ammiraglio inglese, e senza l'intervento né di questo ministro britannico né del governo di Londra.

Ho risposto che in ogni caso, le manifestazioni da me rilevate vanno assumendo carattere unilaterale decisamente a favore dell'Inghilterra, specie se avverrà la visita a Malta cui è impossibile negare portata politica. Metaxas mi ha allora confessato che l'invito lo aveva in certo qual modo imbarazzato e che nei riguardi dell'Italia era mancata finora l'occasione di manifestazioni analoghe.

Ho replicato che non si attenua il significato della visita sottilizzando sulla forma e sul modo dell'invito; anche se questo è stato personalmente fatto da un ammiraglio è pur sempre l'ammiragliato e quindi il governo inglese che Io ha rivolto alla Grecia. Metaxas ha insistito che la Grecia è un piccolo Paese e non può fare atto di scortesia verso una grande Potenza come Inghilterra rifiutando un suo invito. Ho, a mia volta, osservato che se la Grecia è un piccolo Paese la sua posizione geografica gli attribuisce un'importanza che, nella eventualità di un conflitto, potrebbe esporla agli urti sul proprio terreno che essa intende evitare ed ho concluso essere sempre possibile, con qualche pretesto tecnico o di politica interna, rimettere e rinunziare alla visita. Questa avendo luogo a Malta dopo quella turca, mirava, nel pensiero di chi aveva rivolto l'invito, a far rivivere quegli accordi mediterranei che egli si vantava di avere denunciato e susciterebbe pessima impressione in Italia annullando le buone disposizioni del governo Italiano. Metaxas, pur facendomi nuovamente rilevare la situazione molto delicata e difficile in cui si troverebbe il governo ellenico non dando seguito all'invito, mi ha ribadito il suo proposito di fare politica di amicizia con l'Italia ed ha finito col promettere di studiare la possibilità di trovare un pretesto per ritardare o rinviare la visita stessa.

Non so se egli terrà la sua promessa e se vorrà e riuscirà a trovare il pretesto per rimettere o rinunziare alla visita (1). Però, anche se questa avverrà, non è stato inutile il passo che, in esecuzione degli ordini di V. E. (2), io ho ieri rinnovato presso di lui, giacché debbo riconoscere che in questa seconda conversazione dopo il. mio ritorno ad Atene, che è durata più di un'ora e mezza, il Presidente Metaxas mi è apparso effettivamente impressionato delle nostre rimostranze e del peso negativo che noi attribuiamo alla politica greca di acquiescenza all'Inghilterra.

E' mia impressione che Metaxas sia personalmente propenso ad una politica d'intesa con l'Italia. Molte però sono ancora le difficoltà che nell'ambiente politico greco si frappongono alla realizzazione di essa. Occorre innanzitutto distruggere tutti gli strascichi che hanno lasciato i governi greci che hanno preceduto l'attuale, e neutralizzare le ripercussioni penose che hanno qui avuto alcuni episodi dodecannesini. Occorre sopratutto controbattere con mezzi adeguati la propaganda inglese la quale, valendosi, oltre che di antichi ed importanti interessi economici, anche del fatto di non spostare la Grecia dalle sue attuali alleanze, si è in questi ultimi tempi particolarmente intensificata con visite Reali e ministeriali, con invio di navi da guerra e con ogni sorta di esibizioni di forza e di allettamenti amichevoli. Bisogna far vedere e sentire alla

Grecia che l'Italia di Mussolini non solo è un Paese già salito, in tutti i campi, a tanta potenza da non temere alcun confronto ma è anche la grande vicina di immenso avvenire di cui è supremamente utile ed urgente di accaparrarsi l'attiva amicizia; sottolineare e coltivare insomma, presso questo popolo di mercanti l'impressione precisa che può essere un ottimo affare anche il trascurare l'Inghilterra, se si è amici dell'Italia.

(1) -Vedi in proposito anche 11 D. 276. (2) -Re Carol di Romania si recò in visita ufficiale in Cecoslovacchia dal 27 al 31 ottobre, accompagnato dal principe Michele e dal ministro degli Esteri, Antonescu. (3) -Vedi D. 289. (4) -T. 10585/220 R. del 25 ottobre, ore 14,30. Preannunciava un passo del ministro di Grecia a Roma in vista del rimpatrio delle salme di Re Costantino e della Regina Sofia. (5) -Vedi D. 263. (l) -Per !l seguito vedi Il D. 317. (2) -Vedi D. 263.
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IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10752/089 R. Atene, 25 ottobre 1936 (per. il 30).

Codesto ministro di Grecia è stato incaricato di ringraziare V. E. per il generoso asilo offerto finoggi dall'Italia alle salme del Re Costantino della Regina Sofia e d'informarla che S.M. il Re e il governo ellenico hanno deciso trasportarle in Patria.

Traslazione ha per Grecia importanza di avvenimento nazionale. Nel programma stabilito, in massima, dal governo ellenico il principe ereditario e altri due membri famiglia reale insieme con tre ministri del Gabinetto Metaxas e con due dignitari di Corte verrebbero in Italia per prendere in consegna salme che sarebbero trasportate per ferrovia a Brindisi dove si recherebbero la corazzata Averotf e quattro cacciatorpediniere ellenici per riceverle.

Ho parlato della cosa tanto con S.M. il Re che.con presidente Metaxas. Entrambi mi hanno rinnovato i loro ringraziamenti per quanto la nostra Famiglia Reale ed il governo italiano fecero in occasione della traslazione a Firenze delle salme dei Sovrani ellenici e, pur mantenendosi in un delicato riserbo per quanto concerne il trasporto attuale, mi hanno lasciato chiaramente intendere che saranno sensibilissimi a tutto quello che V. E. vorrà fare in tale occasione.

A me sembra che occorrerebbe abbondare in cortesie da parte nostra. Tutto quello che noi faremo non solo sarà molto apprezzato dal Re Giorgio e dalla grandissima maggioranza del popolo ellenico per il quale le figure . del Re Costantino e della Regina Sofia sono diventati simboli nazionali, ma varrà altresì a dare forza al governo del generale Metaxas. In certo qual modo sarà come una contropartita agli allettamenti ed alle cortesie che il governo britannico sta in questi ultimi tempi facendo alla Grecia e servirà forse a fare più facilmente trovare al generale Metaxas quel pretesto che gli occorre per rimettere la visita della flotta greca a Malta di cui al mio telegramma odierno 088 (1).

In linea di massima penso che occorrerebbe fare il trasporto da Firenze a Brindisi a nostre spese col treno reale (come fu fatto per la salma della Regina Sofia da Monaco a Firenze), facendo rendere onori ufficiali, dando una guardia d'onore alle salme ed accordando ogni facilitazione al principe Ereditario, ai

membri della Famiglia Reale ed ai membri del governo Metaxas nel loro viaggio. Qualora poi V. E. non avesse obbiezioni speciali, credo si potrebbe esaminare la possibilità di fare accompagnare il convoglio fino al Pireo da qualche (uno o due) potente unità della nostra Marina che potrebbe forse trattenersi qui un giorno o due dopo l'arrivo. Sarebbe un'occasione propizia di far vedere ai greci qualche nostra modernissima e potente unità che -pur venendo qui per rendere omaggio ·a dei morti cari al loro sentimento nazionale -non mancherebbe di indurii a dei confronti e sopratutto a delle salutari meditazioni. Se però V. E. non stimerà opportuno accogliere appieno questa mia ultima proposta, basterebbe che le autorità navali di Brindisi rendessero gli onori militari alle salme e che qualche nostra nave da guerra accompagnasse il convoglio fino all'uscita dalle nostre acque territoriali.

Sarei in ogni modo gratissimo a V. E. di farmi conoscere al più presto e per telegramma le Sue decisioni, affinché io possa con ogni mezzo valorizzarle presso il Re Giorgio ed il generale Metaxas (l).

(l) Vedi D. 282.

284

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 3748/1999. Vienna, 25 ottobre 1936 (per. il 29).

Von Papen, venuto a vedermi l'altro ieri, mi ha rinnovato l'esposizione delle ragioni che consiglierebbero la di lui partecipazione, come osservatore, alla conferenza dei tre ministri degli Affari Esteri degli Stati dei Protocolli di Roma, fissata a Vienna per 1'11 e 12 novembre prossimo (mio telegramma n. 224 del 21 corr.) (2). Gli ho fatto osservare che istruzioni in proposito sarebbero al caso pervenute a lui ed a me dopo il convegno di V. E. con Neurath a Berlino e con Hitler a Obersalzberg. Nello stesso modo ho reagito, senza mostrare speciale interesse alla cosa, alla domanda di von Papen, circa l'atteggiamento che avrebbe assunto il R. Governo di fronte alla di lui iniziativa dell'elevamento della legazione di Germania a Vienna ad ambasciata.

Von Papen s'è mostrato preoccupato dei motivi che possono aver indotto il Cancelliere federale a dedicare dichiarazioni cosi ampie e precise alla quéstione della restaurazione dinastica in Austria. Ha tenuto a dirmi che il ritorno degli Asburgo, dinastia tedesca sempre mostratasi tale, non fa ombra, né a lui, né a Hitler, che si sarebbe più volte espresso in senso non catastrofico, né drammatico rispetto a tale eventualità. La sua preoccupazione deriverebbe dalle complicazioni che da una affrettata soluzione del problema minaccerebbero gli Stati della Piccola Intesa e specialmente la Jugoslavia.

Pur essendo convinto che il movimento legittimista va acquistando terreno specialmente nelle provincie, ho cercato, a fine polemico, di ridurre la portata della « minaccia absburgica » e delle dichiarazioni di Schuschnigg. In verità, però, queste rappresentano una presa di posizione più concreta rispetto ad analoghe dichiarazioni precedenti. Non solo vi è più precisa e, addirittura, perentoria la rivendicazione della piena libertà dell'Austria di risolvere la questione da sé come problema puramente ed esclusivamente interno, con ripudio d'ogni ingerenza esteriore e d'ogni foro internazionale; ma, pur ripetendosi la formula che l'ora della decisione non è «in vista», è indicata la possibilità di una decisione nella forma del plebiscito, per quanto sia dato pieno sviluppo ai vari organi previsti dalla nuova Costituzione, cioè nel momento stesso in cui si potrebbe e dovrebbe procedere alla elezione del nuovo presidente federale, il cui periodo di funzione è, com'è noto, provvisoriamente prolungato appunto sino all'avvenuta attuazione del nuovo ordine costituzionale.

Per quello che so o posso intuire del pensiero intimo di Schuschnigg, non credo di andar errato affermando che, se egli sarà al potere quando l'attuazione degli ordini costituzionali sarà compiuta e purché la situazione internazionale gli consenta di affrontare in quel momento con relativa sicurezza una soluzione, il cancelliere attuale non esiterà a proporre alla risoluzione popolare il problema della forma dello Stato prima di procedere alla elezione del nuovo presidente dello Stato federale. Ricordo sempre con anale senso di profonda convinzione Schuschnigg mi ripeté l'estate scorsa a Salisburgo, durante la visita del Principe di Piemonte, la sua invidia per il nostro Paese che ha un Re così degno di ammirazione e nel Principe Ereditario una così sicura garanzia di continuità. E ricordo, per conto, con quanta a.mare7.7.::1.. egli spesso, in momenti difficili dello sviluppo interno, anche recenti, non mi ha nascosto la sua amarezza e le sue preoccupazioni per il ben lieve o nullo sostegno che per il governo rappresenta, di fronte all'opinione pubblica, specialmente in un regime di autorità, la forma costituzionale vigente in Austria, che non ha più il coraggio e si rifiuta di dirsi repubblicana, ma tale è ancora nella realtà.

Queste considerazioni sulla maggiore importanza che, in dipendenza anche delle recenti concentrazioni di forze politiche in Austria, va attribuita al movimento legittimista, mi permettono di segnalare l'opportunità che siano concesse quanto prima possibile le udienze al ministro von Wiesner, a cui si riferisce anche il mio telegramma n. 213 del 16 corrente (2).

Al Wiesner non sarà mai abbastanza raccomandata la prudenza e la astensione da ogni «colpo di testa ». Il movimento legittimista non ha che a rimettersi, nel proprio interesse, con fiducia, a quanto, nella pienezza della sua responsabilità ed in possesso di tutti gli elementi di giudizio, saprebbe consigliare o deliberare il Cancelliere federale (3).

(l) -n documento reca Il visto e l'annotazione a margine di Mussollnl: «SI». (2) -Vedi D. 252. (l) -Con T. 9465/213 R. del 16 ottobre, ore 11,50, Salata comunicava: « Wiesner prega vivamente fissargli udienza qualunque giorno purché possibilmente prima del viaggio di V. E. a Vienna. Cancelllere Federale raccomanda aderire tale desiderio ». (2) -li documento ha il visto di Mussolin1.
285

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10614/1365 R. Londra, 26 ottobre 1936, ore 11,50 (per. ore 17,40).

Ho avuto ieri con Vansittart nuovo lungo colloquio durante il quale abbiamo continuato discussione da me avuta con Eden martedì 13 scorso (mio telegramma per corriere n. 514) (l) sui rapporti generali fra l'Italia e l'Inghilterra. A conclusione del colloquio, Vansittart mi ha fatto chiaramente intendere che il governo britannico, accogliendo punto di vista espresso da Foreign Office, ha già in massima deciso ritiro guardie armate ex legazione d'Inghilterra in Addis Abeba nonché trasformazione ex legazione in consolato. Vansittart ha soggiunto che, tuttavia, prima di addivenire ad una decisione formale, la quale susciterà aspre critiche e proteste da parte laburisti e liberali, governo britannico vorrebbe essere sicuro che provvedimento in tal senso varrà a determinare un certo miglioramento nell'atmosfera dei rapporti generali tra i due Paesi.

Naturalmente ho risposto a Vansittart essere per parte mia sicuro che provvedimento sarebbe stato interpretato in Italia come un primo tangibile segno di buona volontà da parte britannica di mettersi finalmente sulla strada di una politica realisti ca (2).

286

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10610/141 R. Roma, 26 ottobre 1936, ore 15 (per. ore 17,40).

Il Papa mi ha fatto chiamare stamane. Egli mi ha incaricato di fare giungere al Duce l'espressione del Suo « sincero compiacimento » per il discorso di Bologna (3). Il Pontefice ha precisato che le parole dedicate dal Duce alla Conciliazione sono state per Lui «di grande consolazione». Il Pontefice ha soggiunto che anche la visita a Loreto gli è riuscita graditissima. Il Santo Padre mi ha detto e ripetuto con insistenza di desiderare che il messaggio che mi affidava pervenisse al Duce. Ho risposto al Papa che avrei adempiuto immediatamente all'incarico che si era compiaciuto di affidarmi.

(l) -Vedi D. 215. (2) -Su la questione, si veda 11 D. 290. (3) -Il 24 ottobre, in un discorso a Bologna, Mussolini aveva dichiarato: «È d'importanzaeccezionale nella vita di un popolo che Stato e Chiesa si siano riconc!liati nella coscienza dell'individuo e nella coscienza collettiva dell'intera nazione ». Per 11 testo del discorso si veda MusSOLINI, Opera omnia, vol. XVIII, pp. 57-60.
287

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10609/142 R. Roma, 26 ottobre 1936, ore 16 (per. ore 17,40).

Nell'udienza accordatami stamane, circa la quale riferisco con altro telegramma (l), il Papa ha detto di ricevere buone notizie dalla Spagna che dànno per sicura la vittoria dei nazionali. Il Pontefice si è dichiarato meno rassicurato per quel che riguarda la Catalogna. Pare, ha Egli soggiunto, che il governo di Mosca intenda instaurare in Catalogna uno Stato bolscevico modello; la qualcosa, se si avverasse, è sempre il Papa che parla, costituirebbe alla lunga un pericolo oltre che per la Spagna, per la Francia e, in genere, per tutto l'Occidente europeo.

288

IL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO, ALLE LEGAZIONI A BAGDAD, CAIRO, GEDDA, TEHERAN E TIRANA, AI CONSOLATI GENERALI AD ALGERI, BEIRUT, GERUSALEMME, RABAT, TANGERI E TUNISI, E AI CONSOLATI AD ADEN, ALEPPO, DAMASCO, LARNACA, NAIROBI E TETUAN

T. s. N.D. 4719/C.R. Roma, 26 ottobre 1936, ore 17.

(Per tutti) Interessa a questo ministero disporre di notizie precise e complete, il più che possibile, sui principali uomini politici e capi di movimenti.

(Per tutti meno Aden, Tangeri e Tetuan) di codesto Paese residenti in patria o all'estero.

(Solo per Tangeri, Aden e Tetuan) di codesta Zona residenti in patria

o all'estero.

(Per tutti) Prego, pertanto, V.S. di volermi far nervenire, con cortese sollecitudine, dettagliate informazioni su tutti coloro che costà hanno avuta, hanno, oppure possono avere in avvenire una posizione preminente dal punto di vista politico e religioso, ovvero, costituiscono elementi che, nel contrasto di ideologie, di partiti, di genti, ed anche di camarille o di personalismi, possono comunque esercitare una influenza di qualsiasi natura sulla situazione locale, con o senza riflessi in Paesi vicini e negli ambienti arabo-mussulmani in genere. La S. V. vorrà riferire separatamente su ogni nominativo, o con diversi rapporti o con singoli appunti trasmessi con un unico rapporto.

(l) Vedi D. 286.

289

L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTT.A,VIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2502/606. Bucarest, 26 ottobre 1936 (per. il 2 novembre).

Con il telegramma n. 142 del 24 corrente (l) riferivo a V. E. circa il recente viaggio del presidente del Consiglio romeno a Belgrado. L'ipotesi formulata in detto telegramma sulle ragioni di tale viaggio sembra essere la vera, tanto più che di essa ho trovato conferma in una conversazione confidenziale avuta con un membro del governo.

Da varie fonti risulterebbe che fra il Re di Romania e il principe Paolo di Jugoslavia esiste una specie di gentlemen agreement in base al quale il Sovrano romeno ed il reggente jugoslavo si sono accordati per consultarsi su tutte le questioni di politica estera di maggior rilievo. Alla vigilia della sua partenza per Praga (2), Re Caro! ha quindi voluto avere l'avviso del principe Paolo su quelle questioni alla cui trattazione darà luogo il suo viaggio. Riferivo già a V. E. con il citato telegramma che fra tali questioni devono essere annoverate quelle riguardanti i rapporti con i Sovietici, le intese concluse dall'E. V. a Berlino e le ripercussioni della dichiarazione belga circa la neutralità.

Che l'esistenza di un accordo del genere di quello da me indicato sia verosimile ne è prova il fatto che anche alla vigilia della Conferenza di Bratislava (3) ebbe luogo uno scambio di vedute jugoslavo-romeno a mezzo del presidente del Consiglio jugoslavo Stojadinovich venuto a Bucarest. Queste circostanze stanno a confermare che nell'ambito della Piccola Intesa si è veramente venuta formando dopo la caduta di Titulescu una più stretta collaborazione fra Romania e Jugoslavia, collaborazione da attribuirsi principalmente ad una comune tendenza antisovietica e che differenzia pertanto la politica generale di questi due Paesi da quella della Cecoslovacchia. Tale collaborazione avrebbe fatto la sua prima prova a Bratislava. La Cecoslovacchia, in occasione della Conferenza della Piccola Intesa colà tenutasi avrebbe proposto agli altri due Stati un patto di mutua assistenza generale che avrebbe dovuto funzionare in tutte le direzioni e cioè non soltanto in senso centripeto verso l'Ungheria. Romania e Jugoslavia, per evitare di essere coinvolte in una guerra contro la Germania e di essere attratte attraverso Praga nell'orbita sovietica, avrebbero rifiutato facendo tuttavia comprendere che il progetto poteva essere da loro preso in considerazione soltanto nel caso in cui una grande Potenza (Francia) venisse a far parte della combinazione. Di ciò sarebbe stato parlato in seguito a Ginevra da Krofta a Delbos.

La risposta del ministro degli Esteri francese sarebbe stata che la Francia prenderebbe in esame il patto proposto solo se esso si estendesse anche a tutti i membri dell'Intesa Balcanica. Poiché è da supporre che la Grecia non intenda marciare in questo senso, come Io dimostrano le riserve già fatte al momento

della conclusione del patto balcanico, e che la Turchia, dove la Germania starebbe guadagnando influenza, vi faccia anche essa opposizione, sembra che il progetto cecoslovacco debba considerarsi caduto.

Sarebbe azzardato dire che la collaborazione jugoslavo-romena possa essere fatale alla compagine dei tre Stati della Piccola Intesa dato che essi sono sempre tenuti insieme dall'ideale antimagiaro, ma è certo che la conclamata unità di vedute su tutti i problemi europei è ben lungi dal rappresentare una realtà.

(l) -Vedi D. 281, che è del 25 ottobre. (2) -Vedi p. 325, nota 2. (3) -Vedi p. 84, nota 2.
290

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10652/1372 R. Londra, 27 ottobre 1936, ore 19,30 (per. ore 23,55).

Sostituto segretario generale degli Affari Esteri Lennox mi ha informato oggi confidenzialmente che Foreign Office sta attendendo ed ha sollecitato risposta da parte del governo francese circa trasformazione ex-legazione d'Inghilterra Addis Abeba in consolato generale e conseguente ritiro guardia armata. Governo britannico prima di prendere tali misure, già decise del Gabinetto in linea di massima (1), ha voluto consultare governo francese col quale esiste gentleman's agreement di non fare alcunché in tal senso se non d'accordo fra Londra e Parigi {2).

291

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10645/487 R. Berlino, 27 ottobre 1936, ore 20,39 (per. ore 22,30).

Stamane è venuto a vedermi François-Poncet.

L'ho trovato piuttosto eccitato. È evidente che nei primi giorni, aggrappandosi a una pretesa riservatezza della stampa tedesca, i francesi come gli inglesi hanno fatto di tutto per fare credere (sopratutto a se stessi) che il convegno a Berlino si riducesse ad una « manovra tattica ». In seguito alle precisazioni dei giornali germanici di domenica e lunedì, questo processo artificioso di svalutazione si è arrestato di botto dando posto quasi a uno stato di allarme. Come si esagerava prima in un senso, si esagera ora nell'altro e ciò per aver diritto di rispondere che di fronte alle imposizioni (sic) dei regimi autoritari, non resta ai regimi democratici che resistere con bontà (3).

Sono stato io stesso sorpreso, tanto più dopo il linguaggio usato con me

da François-Poncet in una sua visita ancora recente (mio telegramma 461) (4),

dalla forza e dall'amarezza della sua reazione di fronte alle possibilità di un'azione concertata in senso anti-sovietico e anti-societario. La Francia, in sostanza, pretende dall'Europa il riconoscimento (a tutti gli effetti) del suo trattato con la Russia sovietica, dimenticando, sia che quel trattato è posteriore e non anteriore a Locarno, sia sopratutto che i fatti di Spagna lo hanno messo in una luce assolutamente nuova ed in un insanabile contrasto con la stessa ragione d'essere della civiltà occidentale. Essa non intende neanche rinunciare ad una S.d.N. che, per struttura come per funzionamento, sia un semplice <<strumento>> della sicurezza francese. Né sembra che questa posizione francese sia destinata (per quanto è dato a François-Poncet di apprezzare oggi) a mutare troppo presto.

Le recenti riunioni di Biarritz (l) dimostrerebbero come gli stessi rivoluzionari più sani abbiano giudicato non matura la caduta Blum. Elemento interessante della conversazione mi sembra poi l'ammissione fatta da ultimo da questo ambasciatore di Francia che, nelle circostanze, per addivenire all'accertamento delle possibilità di intesa che ancora esistono «una conversazione a quattro ormai si impone».

(l) -Vedi D. 285. (2) -Per n seguito vedi il D. 320. (3) -Sic. (4) -Vedi D. 205.
292

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL SERVIZIO INFORMAZIONI MILITARE

T. 4722 R. Roma, 27 ottobre 1936, ore ... (2).

Da notizie pervenute· dal consigliere della R. ambasciata in Spagna (3), il quale travasi ad Alicante, risulta che le masse estremiste ed operaie di Madrid sono atterrite dall'idea di violente rappresaglie che prevedono saranno esercitate dai nazionali dopo l'occupazione della capitale. Il R. consigliere in Alicante ritiene che, se venissero dai nazionali diffuse dichiarazioni che non vi sono propositi di vendetta, buona parte della popolazione madrilena desisterebbe dall'idea di una disperata resistenza.

Si prega comunicare quanto precede al generale Roatta (4) per le ulteriori opportune comunicazioni, facendogli anche conoscere che a nostro avviso sarebbe opportuno che si facessero diffondere volantini diretti ad assicurare popolazione di Madrid (5).

(l) -Si riferisce al Congresso del Partito radical-social!sta, tenutosi a Biarritz dal 22 al 24 ottobre per il quale si veda il D. 301. (2) -Manca l'indicazione dell'ora d! partenza. (3) -T. 10591/110 R. del 25 ottobre, ore 22,30. Il telegramma di de Ciutiis porta il visto di Mussolini. (4) -Il capo del Servizio Informazioni Militare, generale Roatta, era stato inviato in Spagnaagli inizi di settembre con 11 compito di valutare le reali possibilità di successo dei nazionali e di accertare l'entità degli aiuti di cui essi abbisognavano. In ottobre, era stato nominato capo della Missione mllitare italiana in Spagna. (5) -Il 29 ottobre, il generale Roatta rispondeva, tramite il S.l.M.: «Franco gradito assai comunicazione e consiglio che assicura seguire perché vuole sia sfatat a la leggenda della vendetta del nuovo ordine nazionale. Aerei ripeteranno lanci man!festini promettenti clemenza, salvo colpevoli reati comuni che saranno deferiti tribunale» (T. 264-S.840 del 29 ottobre, ore 18).
293

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH

T. 4730/467 R. Roma, 27 ottobre 1936, ore 24.

In conversazione avuta con ambasciatore del Brasile (l) gli ho detto che, dopo il riconoscimento dell'Impero da parte tedesca, non dovrebbe essere difficile al suo governo, non legato da impacci societari, di fare altrettanto. Egli mi ha risposto che condivideva tale parere ma temeva che buona volontà brasiliana potesse trovare una remora in eventuale e probabile opposizione degli Stati Uniti. Comunque comunicherà con Rio de Janeiro e mi riferirà.

Mi riservo telegrafare ulteriormente a V. E. Ma tanto ho voluto farLe conoscere fin d'ora affinché Ella possa già svolgere opportuna azione su codesto governo per indurlo a lasciare libertà d'azione ai governi sudamericani in materia di riconoscimento etiopico (2).

294

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10735/0529 R. Londra, 27 ottobre 1936 (per. il 30).

Vansittart mi ha fatto presente stamane sua preoccupazione per pubbliche dichiarazioni antibritanniche che noto Rossi (3) continuerebbe a fare in Maiorca. Secondo Vansittart, il Rossi, che è ormai considerato dai nazionalisti spagnuoli in Maiorca come uno dei loro capi, avrebbe anche dichiarato pubblicamente che gli italiani i quali hanno liberato Maiorca dal dominio bolscevico non se ne andranno più dalle Baleari, le quali -esattamente come è avvenuto di Fiume attraverso il colpo di mano di D'Annunzio -passeranno sotto il controllo e la sovranità «di fatto » dell'Italia fascista. Vansittart ha aggiunto che, secondo le informazioni pervenute dagli agenti del governo britannico in Maiorca, continuerebbero sistematicamente a giungere nelle Isole Baleari ufficiali italiani e mezzi d'ogni genere da parte dell'Italia, il che -ha continuato Vansittart -comincia a preoccupare seriamente il governo britannico per le inevitabili ripercussioni che notizie di tale natura provocheranno alla Camera dei Comuni. Vansittart mi ha insistentemente pregato perché, a seguito di quanto già mi ha comunicato Eden sull'argomento (mio telegramma per corriere n. 0519 del 13 corrente), (4) faccia presente a V. E. tuttociò nella speranza che governo fascista voglia provvedere, sia facendo giungere al colonnello Rossi istruzioni di moderare il suo linguaggio, sia prov

vedendo a far ritirare o quanto meno ad arrestare l'ulteriore afflusso di volontari e di mezzi bellici nelle Baleari.

Ho risposto a Vansittart che avrei, secondo il suo desiderio, trasmesso la sua preghiera a V. E. ma che non potevo a meno di dirgli francamente che le sue preoccupazioni e quelle del governo britannico confinavano col grottesco. Circa il Rossi ed altri volontari italiani che si trovano a combattere nelle isole Baleari colle truppe del generale Franco, il governo britannico ne sapeva assai di più di quanto non sapesse il governo fascista. Volontari di tutti i Paesi -compresi cittadini inglesi -si trovano in questo momento a combattere in !spagna, vuoi coi fascisti, vuoi coi comunisti. Come il governo fascista non si è mai sognato di attribuire importanza e significato politico alle interviste e dichiarazioni pubbliche in senso anti-fascista e anti-italiano fatte ai giornali da inglesi che militano nelle milizie rosse, così è augurabile che il governo britannico non attribuisca alle presunte dichiarazioni del colonnello (?) Rossi se non il valore che ad esse attribuisce il governo fascista, seppure queste dichiarazioni -cosa di cui ancora dubito -sono state realmente fatte. Il governo fascista -ho concluso -ha dichiarato a più riprese che esso intende rispettare in modo assoluto l'integrità politica e territoriale dello Stato spagnolo, purché bene inteso tale esempio sia da tutti gli altri Paesi seguito. Il governo britannico deve riposare tranquillo, senza pensare al colonnello Rossi, su queste precise dichiarazioni del governo fascista e intanto rallegrarsi che proprio mercé l'aiuto dei volontari italiani le isole Baleari sono state strappate al dominio dei comunisti spagnoli e restituite a quello che è ormai il solo governo legittimo della Spagna. Che ciò sia avvenuto non è soltanto nell'interesse italiano ma anche -ho detto -nell'interesse della Gran Bretagna medesima, la quale non dovrebbe per questo in fondo rammaricarsi della presenza del cosidetto colonnello Rossi nell'isola di Maiorca.

(l) -Non è stata trovata documentazione di tale colloquio. (2) -Per il seguito vedi D. 315. (3) -Vedi p. 232, nota 2. (4) -Vedi D. 212.
295

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10761/090 R. Atene, 27 ottobre 1936 (per. il 31).

La condotta del Belgio e la sua possibile influenza su quella degli altri alleati della Francia, l'improvviso viaggio di Tatarescu a Belgrado (l) e la posizione della Cecoslovacchia nei rapporti sovietici (2) hanno largamente occupato l'attenzione dei circoli greci. Molti giornali si sono fatti eco delle voci di allontanamento della Jugoslavia e della Romania dalla Cecoslovacchia e di una duplice rottura del fronte piccolo-intesista, all'interno, tra i singoli membri dell'alleanza e, all'esterno, nell'alleanza con la Francia.

È interessante rilevare a questo proposito che le dichiarazioni del mini

stro cecoslovacco Krofta (3) prima e le successive dichiarazioni a Belgrado

sul significato del viaggio di Tatarescu tendenti a smentire le suddette voci e impressioni, non sono valse a chiarire tutti i dubbi lasciati dal precipitare degli ultimi avvenimenti.

I commenti della stampa greca che riflettono questi dubbi possono essere riassunti nei punti seguenti:

l) Le smentite sono sufficienti a ricordare la differenza di pos1z1one che esiste fra il Belgio e la Piccola Intesa, in quanto il problema di quest'ultima consiste nel difendere non soltanto le neutralità, ma sopratutto la integrità territoriale così dei singoli membri come di tutti gli alleati presi insieme.

2) Tuttavia nella situazione della Piccola Intesa il fattore esplosivo della Russia a causa del patto ceco-sovietico entra in giuoco assai più direttamente che non nel caso del Belgio a causa del patto franco-sovietico.

3) La condotta della Russia nella questione del non intervento in Spagna assume un tale aspetto e implica tali responsabilità che ne risulta scoperto uno dei talloni di Achille della Piccola Intesa e cioè la. nota divergenza di posizioni e di atteggiamenti dei singoli membri rispetto ai soviet: intransigenza da parte della Jugoslavia, oscillazione da parte della-Romania, intesa da parte della Cecoslovacchia.

4) Come il pericolo di una Russia alla conquista dell'occidente si accentua, queste divergenze non possono che accentuarsi pregiudicando la compagine delle alleanze e, unitamente agli altri fattori latenti di disgregazione dell'alleanza con la Francia, creare in Oriente, per effetto del patto cecosovietico, una situazione parallela se non analoga a quella che il patto francosovietico ha finito per determinare nel caso del Belgio. Le conseguenze sarebbero tali da interessare in sommo grado anche la Grecia come parte della compagine balcanica.

(l) -Vedi DD. 276, 281 e 289. (2) -Sic. (3) -Vedi D. 274.
296

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2766/1055. Varsavia, 27 ottobre 1936 (per. il 3 novembre).

Per ultimo, mio telegramma n. 198 del 23 corrente (1).

Gli incontri di V. E. con gli uomini di Stato germanici a Berlino ed a Berchtesgaden hanno continuato ad essere oggetto del più vivo interessamento da parte dei circoli politici e giornalistici polacchi.

Se ha persistito quel senso di evidente preoccupazione per gli eventuali risultati dei colloqui di V. E., è apparsa chiaramente, sopratutto nella stampa,

26 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

la tendenza a non attribuirvi un significato tale da far prevedere una sostanziale modifica nelle direttive politiche d'Italia e di Germania. Senza voler esprimere una propria opinione definitiva, quasi tutti i giornali -segnatamente quelli vicini al governo -hanno tenuto ad affermare con vivissimo compiacimento che nei circoli politici francesi ed inglesi si riteneva che tra Roma e Berlino, pur attraverso la constatazione di una completa analogia nei comuni punti di vista sui più salienti problemi internazionali attuali, non è stata conclusa alcuna alleanza politica speciale fra i due Paesi comunque divisi da importanti problemi.

La stampa è stata unanime nel riconoscere che, di fronte ad un'Europa gravemente minacciata dal pericolo del sovversivismo moscovita, il significato fondamentale degli incontri di V. E. coi ·dirigenti del III Reich costituisce un profondo insuccesso per la politica rivoluzionaria del Comintern. Tutti i giornali sono stati concordi nel constatare che in seguito all'intesa itala-germanica il comunismo non ha più possibilità di successo nell'Europa occidentale. Tale intesa -qui si è voluto sottolineare -costituisce un severo monito alla Francia affinché questa non abbia ad appoggiare i folli tentativi sovietici minaccianti seriamente la pace europea.

La Polonia -si è affermato in generale -non avrebbe che da rallegrarsi di una rapida liquidazione di questi nefasti tentativi. E perciò è stata qui messa in risalto con soddisfazione la piena solidarietà affermatasi tra Roma e Berlino in occasione del recente viaggio di V. E. di fronte agli avvenimenti spagnoli, e la ferma intenzione dell'Italia e della Germania di intervenire in aiuto del governo di Burgos nel caso di un intervento ufficiale dell'U.R.S.S. in !spagna (1).

(l) Riferimento errato. Con ogni probabilità si tratta del T. 10556/157 R. delle ore 19,36 nel quale venivano riportati l commenti della stampa polacca sul viaggio di Ciano in Germania.

297

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. PERSONALE 3255. Londra, 27 ottobre 1936.

Ti ringrazio di avermi trasmesso l'interessante ed accurato pro-memoria

sulla questione di Malta (2). Il documento è di grande utilità per il mio lavoro.

E' appena superfluo io dica che le conclusioni alle quali il rapporto giunge

coincidono esattamente con quelle che sono qui le mie impressioni. Gli inglesi

a guisa della vecchia Austria asburgica, hanno fatto di tutto per alimentare e

ravvivare nel popolo fascista la questione di Malta italiana e irredenta. Ormai il

problema è posto in termini di conflitto permanente fra noi e l'Inghilterra. Se

fosse possibile avere qualche martire dell'oppressione brittannica di Malta...

(l} Il documento ha 1l visto di Mussollni.

(2) Vedi D. 229.

298

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10671/187 R. Tokio, 28 ottobre 1936, ore 12,20 (per ore 20,40).

Tutta la stampa pubblica riassunto articolo Giornale d'Italia circa Giappone. Mancanza commenti non deve essere considerata con segno opposizione o anche soltanto indifferenza. Secondo quanto ho più volte riferito, è norma dei giornali giapponesi ostentare disinteresse per politica Stati occidentali, cosicché malgrado amichevolissimi rapporti con Germania non ho mai letto finora un solo articolo che ne dia testimonianza. Nostra politica tanto verso Germania quanto verso Russia è qui invece seguita con la massima attenzione. Coll'accentuarsi della nostra amicizia verso la Germania e della nostra ostilità verso la Russia si diffonde qui sempre più convinzione di un avvenire di migliori rapporti tra l'Italia e Giappone.

299

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10679/490 R. Berlino, 28 ottobre 1936, ore 16,55 (per. ore 19,30).

Ho visto oggi von Neurath in visita gratulatoria. Ho constatato con piacere che la soddisfazione era reciproca. Oltre che per i suoi risultati obbiettivi, von Neurath si è mostrato molto lieto della visita di V. E., anche perché ha servito a stabilire fra lui e V. E. « un rapporto diretto di reciproca fiducia » che non potrà che avere le migliori ripercussioni sullo svolgimento pratico del programma di collaborazione fra i due Paesi.

Ho detto a von Neurath delle sfavorevoli impressioni tratte dalla mia conversazione di ieri con François-Poncet (1). Egli aveva avuto (attraverso Dieckhoff che ha visto François-Poncet proprio stamane) impressioni analoghe, ma le attribuiva in gran parte al «dispetto personale» provato dal FrançoisPoncet per non essere stato tenuto al corrente assolutamente di «nulla ». I rapporti telegrafici giunti a von Neurath direttamente da Parigi davano invece una impressione di assai maggiore ragionevolezza. Dieckhoff ha dichiarato all'ambasciatore di Francia esser necessario convincersi che il tempo in cui Francia e Inghilterra detenevano il monopolio delle iniziative diplomatiche era ormai passato.

Von Neurath mi ha anche detto aver ieri visto personalmente anche Phipps al quale oltre a ripetere tutto ciò che era già più o meno di pubblica ragione, ha sottolineato che con il riconoscimento dell'Impero la Germania credeva aver

reso un servigio anche a Inghilterra che avrebbe trovato spianata la via a risolvere anche essa il problema nello stesso modo.

Richiesto da ambasciatore Inghilterra se la Germania si preparasse a riconoscere governo di Francia, von Neurath ha risposto: «si, ma al momento conveniente », aggiungendo che anche in questo Germania riteneva di stabilire un « precedente utile pure per l'Inghilterra ». A proposito di riconoscimento, von Neurath mi ha comunicato aver già trasmesso ad Hassell un progetto di formula e pregava a mio mezzo V. E. compiacersi esaminarla con cortese sollecitudine (1).

(l) Ved1 D. 291.

300

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10784/040 R. Budapest, 28 ottobre 1936 (per. il 31).

Mio telecorriere riservato n. 11555/039 del 19 corr. (2).

l) -Come V.E. avrà potuto rilevare dalle segnalazioni Stejani Speciale, la visita del segretario di Stato austriaco per gli Affari Esteri a Budapest si è svolta, da avantieri ad oggi, secondo il programma di rito: ricevimento ufficiale all'arrivo, colazione alla legazione d'Austria con l'intervento del presidente del Consiglio e di vari ministri, due lunghe conversazioni con il signor de Kanya ed una breve conversazione con il signor de Darànyi, udienza e colazione del Reggente, pranzo del ministro degli Esteri e del presidente del Consiglio con l'intervento del ministro d'Italia ma anche -per la prima volta -in manifestazioni al· Teatro Reale dell'Opera, dichiarazioni piuttosto anodine dell'ospite a vari giornali, e caloroso comunicato finale (3). Kanya si è recato all'aeroporto incontro a Schmidt ma non ci sono stati articoli di saluto nella stampa. Meritevole di rilievo, nel comunicato, la frase affermante essersi potuto constatare con soddisfazione che la collaborazione fondata sulla scambievole fiducia che dura già da lunghi anni fra l'Austria e l'Ungheria si è dimostrata «straordinariamente preziosa anche nelle questioni che derivano dalla seria situazione generale odierna e rende possibile una concordia completa nella procedura da seguire », e quella secondo cui le trattative hanno servito per la preparazione della conferenza tripartita di Vienna » che riaffermerà l'ideale del lavoro costruttivo, positivo e pacifico nello spirito dei Protocolli di Roma ed avrà una grande importanza non solo per i Paesi partecipanti ma anche dal punto di vista della comunità europea». Un editoriale di ispirazione ufficiosa, apparso nel

Pester Lloyd di questa sera, sviluppando tali concetti, sottolinea anzitutto -e secondo il solito ad uso della Piccola Intesa -come dalle conversazioni in questione sia anche risultato che tanto Budapest quanto Vienna «considerano assolutamente attiva la propria parte >> nello sviluppo delle condizioni politiche nel bacino danubiano, e che entrambe sono decise a collaborare positivamente al lavoro ricostruttivo in tale regione » sulla base dei Protocolli di Roma e delle recenti intese raggiunte dall'Italia e dall'Austria con la Germania».

2) -Secondo riferitomi da Kanya, soltanto due punti di qualche interesse sarebbero stati toccati nei colloqui che, conformemente alle previsioni, avrebbero avuto del resto carattere «generico e panoramico»: quello delle relazioni politiche austro-ungariche-cecoslovacche e quello dei rapporti economici austroungheresi.

Circa il primo, Schmidt avrebbe nuovamente accennato al desiderio di Vienna di giungere ad un avvicinamento con Praga, adducendo questa volta l'argomento che, malgrado l'accordo concluso nello scorso luglio, Vienna non riteneva di poter abbandonare ogni preoccupazione circa i reali propositi di Berlino nei suoi riguardi, e considerava pertanto conveniente migliorare ulteriormente le sue relazioni con Praga «la cui posizione di fronte al Reich somiglia per molti aspetti alla sua». Kanya -naturalmente -ha dichiarato a Schmidt che tale allarme gli sembrava in tutto ingiustificato e che egli non poteva perciò assolutamente condividere l'idea manifestatagli.

Circa il secondo, sarebbe stato constatato da una parte e dall'altra, con viva soddisfazione, come, in conseguenza dei più recenti accordi tra i tecnici, siano finalmente migliorate, in considerevole misura, le modalità e la possibilità degli scambi commerciali fra Austria ed Ungheria.

Mi riservo di tornare quanto prima sull'argomento.

(l) -Vedi D. 305. (2) -T. per corriere 10461/R. del 19 ottobre. Il ministro Colonna comunicava che la visita a Budapest del segretario di Stato agli esteri austriaco, Schmidt, era stata fissata per i giorni26-28 ottobre e che secondo quanto gli veniva confidato da fonte austriaca, le conversazioni non sembravano dover rivestire un interesse particolare. D'altra parte, 1 dirigenti ungheresi erano irritati per il fatto che, in occasione del recente viaggio in Italia di Schmidt, era stata scelta Vienna anziché Budapest come sede della prossima conferenza dei tre Paesi del Protocolli di Roma.

(3) Testo in Documenti di politica internazionale, pp. 453-454.

301

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 7371/2538. Parigi, 28 ottobre 1936 (per. il 30).

Come è noto a V. E. l'ordine del giorno approvato all'unanimità dal congresso del partito radicale socialista di Biarritz (l) costituisce una decisione di collaborazione condizionata dei radicali al governo di Fronte Popolare. L'atteggiamento anti-comunista della parte più notevole dei congressisti non si è spinto fino al punto da determinare una scissione in seno al partito e un voto di sfiducia verso il governo ma ha avuto per effetto di stabilire in modo non equivoco che il partito radicale socialista non è disposto a seguire il governo oltre i limiti posti dal rispetto dei principi fondamentali dell'ordine repubblicano.

Con l'approvazione dell'ordine del giorno presentato da Daladier, Herriot, Chautemps e Sarraut il partito radicale socialista ha indebolito la situazione del gabinetto Blum. Questo, infatti, è costretto da un lato a soddisfare le esigenze delle masse di cui si dice l'esponente ed è minacciato, d'altra parte, di rottura da quel partito radical-socialista che, se è stato condizione necessaria della sua formazione, può diventare da un momento all'altro elemento determinante della sua caduta.

E' naturale che le riserve implicitamente espresse dai radicali abbiano suscitato il malumore di socialisti e comunisti. Così, Blum, parlando a Narbonne il 25 ottobre, ha accusato genericamente gli avversari del Fronte Popolare, forse alludendo anche ai radicali, di sabotare l'opera sociale ed economica del governo, mentre Thorez, segretario generale del partito comunista, parlando lo st~sso giorno in un comizio e dimenticando le dichiarazioni da lui stesso sottoscritte nella lettera indirizzata dal suo partito ai radicali socialisti, ha dichiarato che il fine precipuo del partito comunista rimane pur sempre l'instaurazione della Repubblica francese dei soviets.

Il congresso di Biarritz ha in definitiva dimostrato che i radicali, avvertendo le gravi conseguenze cui può condurre la incondizionata continuazione dell'esperienza Blum, sembrano volervi porre freno o addirittura porre termine.

(l) Tenutos1 dal 22 al 24 ottobre.

302

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10705/189 R. Tokio, 29 ottobre 1936, ore 7,18 (per. ore 15).

Già prima che fossero stati pubblicati i risultati del viaggio di V.E. a Berlino, la eventuale convenienza di un reciproco riconoscimento dell'Etiopia e del Manciukuò era discusso in questo ministero degli Affari Esteri e qualche funzionario me ne aveva spontaneamente parlato. E' più che probabile se ne discuta maggiormente ora, dopo che è stata resa nota decisione della Germania e dopo che è stato accennato, nei telegrammi di stampa, ai vantaggi che gliene deriveranno per quei suoi commerci. Non è però da escludere che, nella presente delicata situazione di negoziati con la Cina, Giappone tema essi possano essere resi più diffici1i per il primo riconoscimento del Manciukuò da parte di una grande Potenza.

Ad ogni modo credo che, almeno per il momento, sia preferibile io mi astenga dal tornare qui, tanto su tale questione, quanto, come ho già telegrafato, su quella del semplice scambio di consoli, lasciando che la situazione maturi da sé. Il Giappone ha bisogno di riflettere lungamente e liberamente prima di prendere una decisione. Se lo si preme con insistenza si corre rischio di indurlo in sospetto e di ritardarne le decisioni. Mi sembra che il tempo lavori per noi. Cercherò aiutarlo indirettamente.

303

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10700/492 ;a. Berlino, 29 ottobre 1936, ore 13,33 (per. ore 15).

Barone von Neurath mi ha detto ieri che, seguito propositi annunziatigli verbalmente da V. E. nei riguardi Jugoslavia, egli aveva chiamato a Berlino ministro di Germania a Belgrado per dargli istruzioni favorire, per quanto è possibile un riavvicinamento itala-jugoslavo.

Accennando quindi alla prossima visita di Stojadinovic ad Ankara (1), von Neurath mi ha detto che essa andrebbe seguita da presso e sorvegliata così dalla Germania come dall'Italia.

304

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10743/153 R. Lisbona, 29 ottobre 1936, ore 21,30. (per. ore 2 del 30).

Mio telegramma n. 149 (2).

Segretario generale degli Affari Esteri che regge ministero degli Affari Esteri durante la malattia del ministro, mi ha detto che questo governo aveva deciso di non procedere rottura rapporti diplomatici con governo Madrid prima di aver spedito ri::;posta diretta a Londra (3). Poiché risposta aveva dovuto essere improvvisamente anticipata, analogo anticipo si era ripercosso su sospensione relazioni.

Segretario generale degli Affari Esteri mi ha dichiarato che questo governo non intende procedere « attualmente » riconoscimento governo Burgos, ma ha soggiunto che esso deve considerare elementi situazione che ogni giorno maggiormente confermano governo Madrid non è più che «una finzione giuridica». Si è quindi dilungato, cercando dare conversazione carattere accademico e pregandomi non trarne alcuna conclusione immediata, su difficoltà che possono

essere previste, dal lato giuridico, al riconoscimento e su opportunità che avvenga isolatamente o collettivamepte.

Da conversazione, come da altri elementi, raccolti presso ambasciatore d'Inghilterra e rappresentanza di Burgos, ho avuto impressione che, mentre non è da escludere che questo governo possa improvvisamente decidere riconoscimento, specialmente in caso nuove provocazioni governo Madrid e sovietico, vi sono probabilità che attenda presa Madrid. Ma fra le maggiori probabilità sembra essere che proceda riconoscimento senza attendere altre Potenze.

Da rilevare che durante la conversazione, in cui segretario generale per gli Affari Esteri ha osservato cautela che è del resto caratteristica questo Paese, mi ha tuttavia con insistenza e con una certa ansia domandato intendimenti in proposito del R. Governo. Ho risposto ricordando concetti affermati sull'argomento durante le conversazioni itala-tedesche.

È evidente che in questa situazione, specie mentre sono in giuco molteplici Influenze, una nostra eventuale diretta azione presso questo governo, qualora

V. E. la giudicasse opportuna, potrebbe avere peso e portata considerevoli. Ritengo pertanto mio dovere domandare a V. E. se crede opportuno impartirmi istruzioni al riguardo. Opinione che dal canto mio sono in grado di sottoporre, non può evidentemente basarsi che su elementi situazione locale e vicina.

In relazione anche stato d'animo nazionalisti spagnuoli verso Paesi che mostrano loro maggiori simpatie e prevedibili ripercussioni in relazioni mutue, non vedo dal canto mio che abbiamo interesse a farci precedere dal Portogallo, a meno che ciò non debba servir come rottura d'equilibrio, dato probabile mutamento situazione.

(l) -Il presidente del consiglio jugoslavo si era recato il 28 ottobre ad Ankara dove doveva trattenersi fino al 31. Durante la visita, sottoscrisse un nuovo trattato commerciale ed ebbe colloqui con le maggiori personalità turche. L'ambasciatore Galli nel riferire in proposito, rilevava l'accoglienza particolarmente calorosa riservata a Stojadinovic ma aggiungeva di ritenere che «nonostante i tentativi turchi di forzare le tinte, la visita non era andata al di là di una comprensibile manifestazione di cordialità balcanica», cosa che gli era stata confermata anche da un colloquio avuto con lo stesso Stojadinovic. Circa l'Italia, mentre Stojadinovic aveva dichiarato che l'argomento era stato appena sfiorato, da parte turca gli era stato invece affermato che «il problema delle relazioni con l'Italia era stato trattato e sarebbe stato risolto in prosieguo di tempo con identità di vedute e parallelismo di azione» (TT. 10810-10811/304-305 R. del 31 ottobre. I documenti recano il visto di Mussolini). (2) -T. 10647/149 R. del 27 ottobre, ore 20,10. Riferiva che il governo portoghese aveva reso pubblico il testo della nota (in DP, vol. III, D. 526) con cui il 23 ottobre era stata notificata all'ambasciatore spagnolo la rottura dei rapporti diplomatici con 11 governo di Madrid. (3) -Si tratta della risposta alla nota del governo di Madrid del 15 settembre .(per la quale vedi p. 187, nota 1), presentata dal governo portoghese al Comitato di non intervento il 24 ottobre (vedi p. 308, nota 1).
305

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 4765/320 R. Roma, 29 ottobre 1936, ore ... (1).

Come ella ha annunciato in un suo telegramma (2), questo ambasciatore di Germania ha effettivamente fatto una comunicazione relativamente alla Spagna (3) che riassumo. Il governo tedesco intenderebbe, probabilmente pel tramite della sua legazione a Lisbona, far sapere al generale Franco «dopo la presa di Madrid » che la Germania procederà al riconoscimento di fatto, inviando come « fiduciario per la tutela degli interessi tedeschi » un incaricato germanico al suo quartiere generale. Con probabilità, l'attuale rappresentanza tedesca presso l'attuale governo di Madrid verrebbe poi «implicitamente» revocata men

tre sarebbero mantenute le rappresentanze consolari nelle regioni non ancora sotto il controllo di Franco. Alla rappresentanza del governo di Madrid a Berlino sarebbe probabilmente comunicato, dopo il ritiro dell'ambasciata tedesca ad Alicante, che il governo tedesco cesserebbe d'ora in poi i rapporti con l'ambasciata medesima. In un successivo riconoscimento de jure, la Germania nominerebbe presso il generale Franco un incaricato d'affari effettivo.

Il mio avviso però è che ormai convenga marcare in modo più deciso l'atteggiamento dell'Italia e della Germania. Se si vuole aspettare la caduta di Madrid, converrà inviare in tal caso non un fiduciario ma un incaricato d'affari e sopratutto non aspettare, sempre in tal caso, che « implicitamente » cessino le nostre rappresentanze presso i rossi, ma ritirare allo stesso tempo le rappresentanze medesime. La caduta di Madrid ed il fatto che il governo rosso sarebbe ormai un governo per così dire profugo e ristretto ad una parte soltanto dei territorio spagnolo fornirebbero la giustificazione di tale atto. Sarebbe pericoloso procedere al riconoscimento del governo nazionale e non ritirare contemporaneamente le nostre rappresentanze diplomatiche, giacché, in certo senso, saremmo così noi stessi ad agevolare la contemporanea esistenza di due governi nel territorio spagnolo, uno quello nazionale e l'altro presumibilmente della Catalogna. Poiché, però, la caduta di Madrid può forse ritardare magari di parecchio, riterrei opportuno iniziare fin d'ora dei rapporti palesi tra il governo nazionale di Burgos ed i governi italiano e tedesco. Si potrebbe inviare così senz'altro un «delegato presso il governo nazionale di Burgos», salvo a passare poi all'invio dell'incaricato d'affari il giorno in cui avvenisse la presa di Madrid, ritirando eventualmente sin da ora le nostre rappresentanze diplomatiche presso i rossi che d'altronde, ridotte come sono a stare a St. Jean de Luz e nél porto di Alicante, non sono che una larva di rappresentanza. Le rappresentanze com:olari potrebbero invece rimanere.

In questo senso è stata intrattenuta questa ambasciata di Germania ed Ella potrà parlare costì per conoscere le osservazioni di codesto governo in modo che possiamo sollecitamente metterei d'accordo al riguardo (1).

(l) -Manca !"Indicazione dell'ora di partenza. (2) -Vedi D. 299. (3) -Il passo In questione fu compiuto dall'ambasciatore von Hassell Il 28 ottobre. su di esso non è stata trovata documentazione negli archivi Italiani ma si vedano le Istruzioni Inviate a von Hassell ed Il suo resoconto del colloquio con Ciano In DDT, serle D, vol. III, DD. 109 e 110.
306

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ATTOLICO, E A LONDRA, GRANDI

T. 4766/321 (Berlino) 577 ~Londra) R. Roma, 29 ottobre 1936, ore 24.

(Solo per Londra) Suo telegramma 1368 (2). Ho telegrafato Ambasciata Berlino quanto segue:

(Per tutti) In seduta 24 corrente, presidente Comitato non intervento Londra ha pregato membri Comitato consultare rispettivi governi per conoscerne

opinione sulla proposta di costituire, subordinatamente alla accettazione delle due parti in conflitto in !spagna, un organo imparziale formato da un gruppo di persone da insediarsi su territorio spagnuolo nei principali punti di entrata (per mare e per terra) allo scopo di riferire su qualsiasi caso specifico di infrazione ogni qualvolta Comitato ne faccia richie.sta.

Da parte mia osservo che l'organizzazione in !spagna di un controllo come quello suindicato costituirebbe, come è ovvio, una grave limitazione di sovranità; le due parti in conflitto si indurrebbero quindi difficilmente ad accettare tale proposta. D'altra parte, sarebbe dubbia l'efficacia di un controllo in determinati punti di accesso del territorio spagnolo, che verrebbero evitati da chi intende violare impegno di non intervento. Inoltre, non sarebbe possibile dai suddetti punti di accesso controllare l'importazione di mezzi aerei che giungessero in Spagna in volo. Controllo quindi per essere efficace dovrebbe essere troppo macchinoso.

Ove codesto governo fosse d'accordo, rappresentanti italiano e tedesco in seno al Comitato potrebbero far presenti le osservazioni di cui sopra, alle quali -date le precedenti dichiarazioni -dovrebbero dare, per quanto possibile, carattere di collaborazione allo studio della questione e non di opposizione alla proposta, e quindi in definitiva non rifiutarsi di accettare che si interpellino le due Parti circa un'eventuale forma controllo, naturalmente subordinata alla previa accettazione delle Parti medesime onde la loro sovranità non ne resti offesa. Successivamente si prenderebbe contatto col governo di Burgos perché ove quello di Madrid non rifiuti, Burgos abbia a rifiutare (l).

(l) -Per il seguito, si veda il D. 316. (2) -T. 9856/1368 R. del 26 ottobre, ore 19,30. Riferiva circa la seduta del 24 ottobre del Comitato dl non Intervento.
307

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE

T. 4793/109 R. (2). Roma, 29 ottobre 1936, ore 24.

Vedo dalla stampa e dalle comunicazioni di V. E. (3) che i polacchi continueranno a manifestarsi inquieti. Per norma di linguaggio, Le confermo che di Patto a Quattro non se ne è parlato, né per ora se ne parla. Ma quando riaffiorerà, noi stessi ci faremo iniziatori della trasformazione in Patto a Cinque, con l'inclusione della Polonia. Ne dia pure assicurazione (4).

(-4) Per il seguito si vedano l DD. 318 e 340.
(l) -Attolico rispose con T. 10753/498 R. del 30 ottobre, ore 20,25: « Dieckhoff concorda pienamente nella linea di azione proposta da v. E. come in quella che sembra la più adatta a mantenere Italia e Germania nell'ottima posizione tattica conquistata in seno Comitato di controllo. Istruzioni in questo senso saranno date all'ambasciatore tedesco a Londra». (2) -Minuta autografa. (3) -Arone aveva telegrafato che a varsavia la notizia secondo cui l'Italia intendeva conservare uno speciale collegamento con la Polonia nel caso fosse stato concluso un n.uovo Patto di Locarno erano state accolte con sollievo ma non erano state sufficienti ad elimmare le apprensioni dei polacchi (T. 10649/160 R. del 27 ottobre, ore 21,05).
308

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10777/0115 R. Vienna, 29 ottobre 1936 (per. il 31).

Telegramma di V. E. n. 192 (1).

Prima ancora che evessi modo di fargli comunicazioni corrispondenti alle istruzioni di V. E., questo segretario di Stato agli Esteri mi ha assicurato che la sua eventuale visita a Praga sarebbe avvenuta in ogni caso dopo la Conferenza a tre a Vienna. Il dott. Schmidt penserebbe anzi di distanziare abbastanza i due convegni. In ogni caso, sarà anche questo uno degli argomenti delle prossime conversazioni tra V. E. e lui.

309

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RR. PER CORRIERE 10781/494 R. Berlino, 29 ottobre 1936 (per. il 31).

In data 13 ottobre (2) informai l'E. V. che, auspice il signor Ribbentrop, la Germania starebbe cercando di addivenire ad un patto a due con il Belgio. Come telegrafai in data 22 c.m. (3) sono in grado di confermare la notizia. Peraltro secondo quanto mi consta, il Belgio non sarebbe ancora «maturo » per una simile soluzione. Posso aggiungere, per riservatissima informazione della E. v., che ancora poco tempo fa il signor Ribbentrop ha tastato il terreno col ministro del Belgio per sapere se il governo si presenterebbe ad un patto di «garanzia » triangolare. Il Davignon ha risposto di no. Il fatto è però di grande importanza in quanto dimostra la forma in cui il signor Ribbentrop, nella sua ingegnosa anglofilia, penserebbe fare, surrettiziamente, rivivere l'idea di quel patto triangolare che è tanto caro al governo di S. M. Britannica.

La notizia è sicura. Essa si riferisce però a tempo, per quanto di poco, anteriore alla visita della E. V. Vedrà tuttavia V. E. se, non astante tutto, giovi che la cosa sia discretamente portata a conoscenza e attentamente seguita cosi a Londra come a Bruxelles.

(1) -T. 4724/192 R. del 27 ottobre, ore 24. Ciano comunicava di non avere niente da osservare circa un'eventuale visita di Schmidt a Praga purché tale visita avesse luogo dopo la riunione itala-austro-ungherese di Vienna, fissata per 1'11-12 novembre, (2) -Con telespresso 4162/1445, non pubbl!cato. (3) -T. 10515/482 R. del 22 ottobre, ore 19,25, non pubblicato.
310

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10782/495 R. Berlino, 29 ottobre 1936 (per. il 31).

A mie domande circa l'attuale situazione della Polonia nei riguardi della Germania, il barone von Neurath, nella conversazione avuta con me il 28 ottobre (1), pur ammettendo che Varsavia sia alquanto preoccupata degli armamenti tedeschi, ha mostrato di essere ancora sicuro della Polonia al cento per cento. Ciò mi sembra indicare che, dopo la missione del generale Rydz Smigly a Parigi (2), vi deve essere stato fra Berlino e Varsavia uno scambio di affidamenti e, forse, di controassicurazioni. Che anzi, von Neurath spinge la sua sicurezza in materia sino a dar credito alla voce -· già apparsa anche sui giornali che Beck, nel suo prossimo viaggio a Londra, oltreché occuparsi di Danzica, intenda precisare la situazione internazionale della Polonia «in maniera quasi analoga a quella del Belgio».

Mentre questo, come ho detto, dimostra fino a qual punto la Germania si senta sicura della Polonia, la notizia in sé stessa mi sembra tuttavia meritare una qualche riserva. La Polonia, a mio rimesso avviso, continua a seguire la sua politica della «doppia riassicurazione » e se prima si barcamenava fra Russia e Germania, dopo che per necessità di cose si è allontanata dalla Russia, cerca barcamenarsi fra Germania e Francia.

311

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. PER CORRIERE 10783/496 R. Berlino, 29 ottobre 1936 (per. il 31).

Nella conversazione dell'altro giorno (3), conversazione inspirata ad una schietta cordialità, von Neurath, in risposta ad analoghi sondaggi da parte mia, mi ha detto di avere nei suoi colloqui di Budapest, (19-24 settembre) (4) parlato, sia con Horthy, sia con Kanya, del riarmo ungherese, raccomandando che esso sia continuato e perseguito alacremente ma discretamente, e senza far luogo a dimostrazioni esteriori giusta il «precedente tedesco». Neurath ha aggiunto peraltro che l'Ungheria manca di artiglieria pesante e che questa le è stata promessa dalla Germania.

(l) -Vedi D. 299. (2) -Vedi p. 7, nota 3. (3) -Vedi D. 299. (4) -Vedi D. 107.
312

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10844/069 R. Bruxelles, 29 ottobre 1936 (per. il 2 novembre).

Il ministro degli Esteri Spaak ha ieri pronunziato alla Camera un notevole e forte discorso in cui, sulla linea di quanto già ebbe del resto a dirmi (mio telegramma n. 192 del 19 corr.) (l) ha ribadito e precisato con più complete delucidazioni e argomenti la nuova direttiva della politica estera belga. Le dichiarazioni del signor Spaak hanno tanto più valore in quanto egli appartiene tuttora, come è noto, al partito socialista. Richiamo l'attenzione di V. E. su alcuni punti di tale discorso che mi sembrano particolarmente interessanti anche per riflessi che vanno oltre lo stretto quadro della politica belga.

l) La S.d.N. sarebbe una eccellente cosa ma la sua ormai provata inefficienza e la sua mancata universalità impongono, a chi ha senso di responsabilità, di provvedere alla propria difesa con mezzi più idonei e più concreti di quelli offerti del patto.

2) Il ministro Spaak, studiando in questi mesi il patto della S.d.N., è rimasto sempre più colpito della « imprecisione di certi articoli essenziali del patto stesso, e conclude »: « Mi sembra che non vi sia nulla di più pericoloso, nulla dì più mortale per un Paese che il sottoscrivere degli impegni che non sono precisi». Infine: «Noi rispetteremo la nostra firma ma occorre che sappiamo esattamente che cosa abbiamo promesso di fare ».

3) Dopo aver riaffermata la fede nei patti sottoscritti e negli impegni assunti, e in particolare negli accordi di Londra dell'aprile (2), notevolissima è la netta e precisa affermazione -la quale diminuisce molto la prima affermazione sul riconoscimento degli impegni presi -che l'attuale situazione, quale appunto scaturisce da quegli accordi, è di regime transitorio e provvisorio, ed ha aggiunto <<zoppicante». Più che agli impegni di Londra con Francia e Inghilterra, e che considera provvisori, egli si richiama al regime definitivo, il quale non può essere che un nuovo patto con la esplicita menzione della partecipazione italiana e germanica.

4) La politica del Belgio si deve inspirare, quando si tratta di concludere un patto di pace nell'Europa occidentale, a tre idee essenziali che sono la posizione geografica, le tradizioni, e le possibilità belghe. Politica indipendente dai vicini, politica militare di sufficiente difesa contro gli eventuali vicini aggressori.

5) Desiderio belga, nei limiti dei propri modesti mezzi, di contribuire alla conservazione della pace in Europa e, in ogni caso, della pace per il Belgio.

Dal punto di vista interno desidero poi rilevare che un deputato rexista, subito dopo il discorso dello Spaak, ha presentato una mozione per la denuncia del patto di Locarno e degli accordi militari franco-belgi (1). D'altra parte, l'autorevole leader fiammingo van Cauwelaert, nel dichiararsi d'accordo con Spaak e nell'approvare il discorso del Re, ha tenuto a precisare che la fine del patto di Locarno segnerà pure ineluttabilmente la fine di tutti i controversi accordi militari franco-belgi, dei quali il vecchio Locarno era in definitiva la base e la possibile giustificazione.

(1) -Vedi D. 244. (2) -Si riferisce agU scambi di lettere tra i governi del Belgio, Francia e Gran Bretagna in data 1o aprile 1936 per l qua!l vedi p. 274, nota 3.
313

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3487/1390. Mosca, 29 ottobre 1936 (per. il 3 novembre).

Sugli avvenimenti di Spagna sono in questo momento concentrati i maggiori sforzi del governo di Mosca. La sensazione che qui si ha dell'isolamento dell'U.R.S.S. in seguito alle ripercussioni negative avutesi in Francia ed in Inghilterra dopo la fallita manovra sovietica (2), trova oggi sintomatico riscontro in tutta la stampa locale la quale, mentre da una parte passa alla difensiva sul terreno ideologico, dall'altra continua ad attaccare non soltanto gli «aggressori fascisti » ma anche e sopratutto i rappresentanti dei governi di Londra e di Parigi nel Comitato di non ingerenza. L'attacco assume addirittura un tono aggressivo e talvolta insolente (lord Plymouth è preso particolarmente di mira). II Comitato viene apertamente tacciato di connivenza con gli insorti spagnoli e con gli Stati fascisti « violatori » dell'accordo di non ingerenza. I soviet accusano poi i governi di Londra e di Parigi di servile obbedienza agli ordini di Berlino e di Roma; di arrendevolezza alle esigenze degli «invincibili» Hitler e Mussolini. Soltanto il governo di Mosca -si fa scrivere -può «apertamente e altamente esprimere le opinioni ed i sentimenti di uomini non solo del proprio Paese ma anche degli altri Paesi».

In questo tono altisonante non v'è chi non veda la ostentazione e la preoccupazione che accompagnano il gesto di risentimento col quale il governo sovietico ha dichiarato di non considerarsi ulteriormente legato agli obblighi della non ingerenza in misura maggiore degli altri partecipanti all'accordo. Mosca non ha voluto rompere definitivamente con il Comitato. Anzi l'atto viene sopratutto sfruttato per tentare di salvare le azioni di Mosca nei riguardi dei Fronti Popolari ed assume il significato di una nuova minaccia rivolta ai governi di Londra e di Parigi, accusati di non difendere gli interessi della democrazia europea.

Su questa presa di posizione da parte dei Soviet, considerata qui come deduzione logica della situazione internazionale, la stampa ufficiosa sovietica sostiene che non vi sarebbero che tre alternative:

l) Mantenere la finzione della non ingerenza, continuando cosi a discreditare il Comitato di Londra.

2) Considerare l'accordo come patentemente violato dai governi tedesco, italiano e portoghese, eppertanto dichiararne la fine, riversando così sugli altri Stati la responsabilità della dissoluzione del Comitato di Londra, con l'aria di avere le mani nette nell'affare spagnolo. E' un modo abbastanza ingenuo per acquistare la piena libertà di azione con tutti i pericoli che ne potrebbero risultare per la pace.

3) Impegnarsi infine nella via del controllo effettivo e dare all'accordo della non ingerenza una nuova forma ed efficacia.

Le suddette tre alternative riflettono in sostanza la posizione sovietica assunta in seno al Comitato di Londra, la quale, appunto per essere tutt'altro che chiara, anzi addirittura ambigua, offre al Kremlino la possibilità di continuare a manovrare anche a rischio di trovarsi da un momento all'altro, senza volerlo, interamente separato dalla Francia e dall'Inghilterra.

La realtà è che i fatti di Spagna si ripercuotono sulla impalcatura composita, che è rappresentata dall'unione del Comintern, del Partito comunista russo e dello Stato sovietico, mettendola a dura prova e facendola anche scricchiolare. Perché è certo che l'ideologia portata sul terreno della politica internazionale non può non avere, come già si sta verificando per la crisi spagnola, profonde ripercussioni sulla «normalizzazione » della diplomazia sovietica, sulle relazioni dell'U.R.S.S. con le Potenze occidentali e sulle correnti antibolsceviche in Europa. La stessa tattica dei Fonti Popolari del Comintern finisce per agire come un boomerang contro il comunismo di Stalin!

Del resto, come ho segnalato per telegramma (1), il fatto del contrasto assai profondo fra il Comintern e il governo sovietico, contrasto che potrebbe portare appunto a compromettere le posizioni acquisite dall'U.R.S.S. nella politica internazionale, è precisamente la conseguenza di tale ibridismo. Litvinov si troverebbe ora sempre più stretto dalla morsa tra la politica degli interessi effettivi e quella ideologica. Non deve quindi meravigliare se la questione spagnola, per la complessità che ha assunto e gli imponderabili che presenta, è passata al primo piano della politica sovietica e al disopra persino della tensione germano-sovietica (2).

(l) -Vedi p. 254, nota l e p. 246, nota 2. (2) -Vedi p. 313, nota 2. (l) -Con T. 10651/201 R. del 27 ottobre, ore 19,45, l'ambasciatore Rosso aveva fatto presente, a proposito delle voci di massicci aiuti sovietici al governo di Madrid, che era difficile prevedere le mosse dell'U.R.S.S. nei riguardi del conflitto spagnolo a causa dei contrasti che esistevano tra i dirigenti sovietici. «Da vari indizi -telegrafava Rosso -sembra potersi dedurre che in questo momento esiste vivo contrasto fra corrente capeggiata da Dimitrov, segretario generale del Comintern, e corrente rappresentata specialmente da Litvinov. La prima esercita forte pressione per spingere governo dell'U.R.S.S. a rompere definitivamente con Comitato di Londra e ad intervento attivo a favore del Fronte Popolare spagnolo, minacciando in caso contrario allontanamento della Terza Internazionale da Mosca. Litvinov si sforzerebbe invece indurre stalin ad adottare attitudine di compromesso, facendo rilevare pericolo derivante da un eventuale distacco da Londra e Parigi. Questo dissidio, molto profondo e non composto finora, spiegherebbe manovra ambigua della delegazione sovietica al Comitato del non intervento ed incertezze della stessa stampa circa séguito da dare all'ultima dichiarazione di Maisky.Dall'esito della lotta dipenderà futura azione dell'U.R.S.S. nell'affare spagnolo, come pure futura posizione dello stesso Litvinov ». (2) -Questo documento ha il visto di Mussolini.
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L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. (1). V arsavia, 29 ottobre 1936.

In questi giorni che precedono la partenza del ministro degli Esteri Beck per Londra (2), fissata per il 6 novembre, nei circoli politici e giornalistici polacchi si continua a sottolineare l'importanza di questa visita che si tiene ad attribuire a «ripetuto invito inglese». E' da rilevare a questo proposito che in un primo tempo si parlava invece semplicemente di una restituzione alla visita fatta qui nello scorso anno dal signor Eden. Ora che preme particolarmente alla Polonia di marcare la sua presenza di fronte ad eventuali negoziati fra le grandi Potenze occidentali, si comprende come essa desideri mostrare che il viaggio del signor Beck a Londra è provocato da iniziativa britannica.

L'ufficiosa Polska Zbrojna, organo dei circoli militari polacchi, ha messo in rilievo che, a differenza delle visite fatte nel passato in Inghilterra da membri del governo polacco, aventi tutte soltanto un carattere privato o semi-ufficiale, questa volta il ministro degli Affari Esteri di Polonia si reca a Londra in forma pienamente ufficiale, «in un momento in cui la stagione politica batte il suo pieno sulle rive del Tamigi, mentre, a Parlamento aperto, tutto il mondo politico britannico si riunirà nella capitale dell'Impero ». Ciò -rileva l'organo ufficioso -darà all'uomo di Stato polacco la possibilità di un contatto personale con i più eminenti uomini politici inglesi e gli permetterà di discutere tanto delle questioni che interessano specialmente i due Paesi quanto di quelle che concernono la politica mondiale ».

Circa gli argomenti che faranno oggetto delle conversazioni del ministro Beck a Londra, è indubbio che quello relativo ad una eventuale nuova Locarno è qui ritenuto fra i più importanti. In questi giorni, infatti, negli ambienti politici si accentua il nervosismo già segnalato da qualche tempo circa la deprecata possibilità che la Polonia abbia ad essere lasciata fuori di una nuova costruzione politica internazionale. È da rilevare, anzi, a questo proposito che negli ultimi giorni, dopo gli incontri di V. E. con i dirigenti germanici e sopratutto a seguito del colloquio dell'ambasciatore di Polonia a Roma coll'E. V. (3), che qui ha destato il più grande interesse, si è fatta strada attraverso la stampa la notizia, di presunta fonte francese, secondo cui il governo fascista appoggerebbe una partecipazione polacca al sistema politico che dovrebbe sostituire gli accordi di Locarno ma tale iniziativa, la quale incontra il favore dei circoli politici di Parigi e di Londra, si troverebbe di fronte ad una recisa opposizione del governo del Reich. A queste considerazioni è anzi da attribuire una singolare modifica verificatasi da oggi negli apprezzamenti di queste sfere dirigenti

nei riguardi dei risultati della visita di V.E. in Germania. Segnalo a tale riguardo con telespresso odierno n. 2785/1061 (l) l'articolo pubblicato oggi dall'ufficiosa Gazeta Polska.

Intanto vari giornali insistono sulla necessità per la Polonia di poter dire la sua parola in Europa. È ripetuto in tutti i toni che la divisione dell'Europa occidentale ed orientale non ha alcun senso, né alcuna base. È sottolineato che nulla potrà essere creato senza la partecipazione della Polonia. In questa atmosfera e su queste affermazioni si preparano le conversazioni che il ministro Beck avrà a Londra.

(l) -Non è stato rintracciato l'originale d! questo documento. Il testo qui pubblicato è tratto dalla ritrasmissione a Londra, Parigi, Mosca, Berllno e Bruxelles effettuata il 10 novembre con T. per corriere 4948/C.R. (2) -Il ministro degli esteri polacco, Beck, soggiornò !n visita ufficiale a Londra dal 7 al1'11 novembre. (3) -Su tale colloquio non è stata trovata documentazione.
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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10764/573 R. Washington, 30 ottobre 1936, ore 18,47 (per. ore 3,30 del 31).

Telegramma di V. E. n. 467 (2).

Secondo le notizie avute al Dipartimento di Stato, mi è stato affermato che governo federale non intende esercitare influenza su altri governi americani nei riguardi riconoscimento conquista italiana Etiopia. Pur non potendosi escludere che governi America latina attendano conoscere atteggiamento S.U.A., prima di definire loro attitudine, mi si è dichiarato che al riguardo non vi è stato alcuno scambio di idee. Atteggiamento diverso sarebbe contrario a politica del governo S.U.A. Non garantisco naturalmente la sincerità delle sopradette affermazioni ma comunque mi sembra utile prenderne atto.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10755/499 R. Berlino, 30 ottobre 1936, ore 20,25 (per. ore 22,20).

Telegramma di V. E. n. 320 (3). Dieckhoff, con cui ho conferito re riconoscimento governo Burgos, sarebbe arrivato alle conclusioni che mi pregio qui appresso sottomettere a V. E.

l) Informazioni fonte tedesca darebbero come probabile caduta Madrid fra non molto. Se così fosse, non varrebbe la pena cominciare con fiduciari e delegati provvisori. Ad espediente si potrebbe ricorrere nel solo caso che Madrid tardasse ancora molto a cadere. D'altra parte, invio immediato di fiduciari o delegati potrebbe togliere Franco utile incentivo per accelerare operazioni militari.

27-Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

II) Appena caduta Madrid, governo germanico sin da ora accettando in pieno nostra veduta, sarebbe pronto a: a) nominare immediatamente un incaricato d'affari; b) cessare immediatamente ogni contatto con governo rosso, dandone fra l'altro notifica scritta a rappresentanti del detto governo a Berlino.

III) Se, in dannata ipotesi, Madrid resistesse oltre il previsto, governo tedesco sarebbe pronto a riconsiderare opportunità nomina delegati o fiduciari provvisori.

Mi sembra che con ciò, vedute di V. E. siano state tutte sostanzialmente accolte.

Dalla mia odierna conversazione con Dieckoff sarebbe anche emersa opportunità che stampa itala-tedesca (fra l'altro anche .sfruttando recente rifiuto opposto da Madrid a proposta Eden) (l) porti sempre più opinione mondiale a riconoscere che, con suoi procedimenti arroganti, governo di Madrid s1 e messo fuori di ogni legge, perdendo così definitivamente diritto a essere considerato come legittimo.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 293. (3) -Vedi D. 305.
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IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 10757/223 R. Atene, 30 ottobre 1936, ore 21,35 (per. ore 22,20).

Suo telegramma da Berlino 4277 (2) e mio telegramma per corriere 88 (3).

II presidente Metaxas ha chiesto stamane di vedermi per intrattenermi di argomenti commerciali che riferisco con telegramma separato (4). Avendo appreso da persona a lui molto vicina che egli era rimasto impressionato dalle rimostranze che, in esecuzione degli ordini impartiti da V. E., gli avevo fatto circa eccessive cortesie tributate flotta inglese e che era molto perplesso in seguito a opportunità da me insistentemente prospettatagli di non aderire all'invito rivolto dall'ammiraglio britannico alla flotta greca di recarsi a Malta, gli ho chiesto se aveva trovato il pretesto per rinunziare a tale visita. Egli mi ha detto che per darci una nuova prova della sua buona volontà aveva deciso di sospendere sine die la visita stessa sotto il pretesto che la flotta greca, dopo le recenti manovre e dopo il viaggio che doveva fare in Italia per prendere le salme dei Reali greci, avrebbe avuto bisogno di restare lungamente in arsenale per riparazioni. Gli ho chiesto se potevo telegrafare a V. E. ed egli mi ha autorizzato a farlo.

(l) -Il 21 ottobre, il governo britannico si era rivolto alle due parti combattenti in Spagna chiedendo che fosse raggiunto un accordo per lo scambio degli ostaggi la cui vita appariva in grave pericolo. Il governo di Madrid rispose il 24 ottobre negando che nella capitale vi fossero degli ostaggi: i prigionieri politici erano detenuti perché colpevoli di essersi ribellati alla Repubblica. su tutto ciò si veda BD, vol. XVII, D. 305 e note. (2) -Vedi D. 263. (3) -Vedi D. 282. (4) -Non pubblicato.
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L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10762/163 R. Varsavia, 30 ottobre 1936, ore 21,50 (per. ore 2,40 del 31).

Telegramma di V. E. n. 109 (1). Assicurazione che V. E. mi autorizza di dare riuscirà qui certamente molto gradita.

D'altra parte devo precisare che inquietudine polacca da me segnalata si riferisce più specialmente a conversazioni in corso fra le Cancellerie di Roma, Berlino, Parigi e Londra per una nuova Locarno. Da esse infatti potrebbe scaturire una situazione per la quale: l) l'accordo franco-polacco (2) perderebbe d'importanza per la Francia; Il) la Francia si troverebbe nell'impossibilità pratica di aiutare la Polonia in caso che questa venisse attaccata dalla Germania. Da qui il desiderio della Polonia di partecipare alla nuova Locarno onde potersi assicurare ulteriori garanzie.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10780/0305 R. Parigi, 30 ottobre 1936 (per. il 31).

Commenti sui risultati viaggio di V. E. a Berlino e previsioni sui possibili sviluppi politici delle intese raggiunte continuano. Nota prevalente è preoccupazione per minaccia isolamento. Si è cercato in un primo tempo svalutare portata del viaggio mettendo in rilievo presunte divergenze interessi fra Italia e Germania e sostenendo che intesa fra i due Paesi non potrebbe essere che temporanea poiché l'Italia prima o poi tornerebbe a sentire necessità far fronte al germanesimo. Ma ormai, specialmente da quando è trapelata notizia avvenuta firma di accordi scritti, (cfr. Journal des Débats in data odierna che riproduce articolo Frankfurter Zeitung), la parte più seria dell'opinione pubblica non nega importanza accordi stessi. Anzi, elementi ostili al governo del Fronte Popolare avvertono attrazione che Italia e Germania possono esercitare su Paesi della Piccola Intesa (se ne vede un sintomo nel silenzio nei riguardi della Francia nei discorsi pronunciati in occasione della visita di Re Carol a Praga (3) e nell'accenno fatto da Benes alla «elasticità~ necessaria alla Piccola Intesa), e accusano inazione governo francese, sempre in ritardo e a rimorchio degli avvenimenti creati dalla politica volitiva di altri. Temuta tendenza àl disgregamento satelliti oriente europeo fa ormai apparire a molti francesi sicurezza collettiva quello che essa è sempre stata, cioè nient'altro che un mito.

Per quanto riguarda l'Inghilterra -questo feticcio del Quai d'Orsay -cl si comincia a domandare se le intese italo-tedesche e le assicurazioni date che esse non hanno punta rivolta contro alcuna Potenza occidentale, non possano facilitare un avvicinamento dell'Inghilterra ai punti di vista dell'Italia e della Germania.

(l) -Vedi D. 307. (2) -Vedi p. 39, nota 3. (3) -Vedi p. 325, nota 2.
320

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11045/0533 R. Londra, 30 ottobre 1936 (per. il 2 novembre).

Miei telegrammi n. 1372 (l~ e 1374 (2).

Ho avuto oggi da Thompson personale conferma che governo britannico ha sollecitato governo francese per ottenere risposta circa trasformazione rispettive ex-legazioni in Addis Abeba in consolati generali, nonché ritiro distaccamenti inviati per protezione delle rappresentanze suddette. Foreign Office desidera procedere a questa trasformazione con minimo possibile indugio, ma da parte francese si solleverebbero delle difficoltà avendo Quai d'Orsay mostrato essere sua intenzione di ottenere dall'Italia garanzie specifiche circa determinati interessi francesi in Etiopia in cambio del suo «gesto ».

321

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3364/895. Roma, 30 ottobre 1936 (per. il 2 novembre).

Telespresso di V. E. n. 235777/131 del 27 corrente (3).

Ringrazio della comunicazione fattami del rapporto della R. ambasciata in Spagna. Per quel che riguarda l'eccessiva riserva della Santa Sede, viene detto, in Segreteria di Stato, che l'estrema prudenza è dettata al Pontefice dal desiderio di risparmiare, per quanto possibile, vite umane. Se la Santa Sede assumesse un atteggiamento deciso contro il governo primo dell'entrata dei nazionali in Madrid, l'anarchismo imperante nella capitale spagnuola massacrerebbe senza pietà i prelati, i sacerdoti e i religiosi che sono riusciti fin qui a salvarsi.

322.

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10795/113 R. Praga, 31 ottobre 1936, ore 16,45 (per. ore 19).

Mio telegramma n. 112 (1).

Re Carol dopo tre giorni permanenza ha lasciato ieri sera Praga diretto Brno. Visita con precipuo solito scopo manifestazione solidarietà Piccola Intesa a parte luoghi comuni del comunicato ufficiale del 29 corrente (2) trasmesso Stetani e a parte fantasiose congetture di ogni genere sembra abbia solo ribadito noti postulati Piccola Intesa senza nulla mutare nelle tendenze di ciascuno dei tre Stati. Si vorrebbe tuttavia portare Piccola Intesa dimostrare saldezza indipendenza azione sottratta diretta influenza grandi Potenze singolarmente e collettivamente come in caso di rinascita Patto a Quattro.

Si è detto che Benes avrebbe voluto influenzare Re Carol in favore sovietici ma si è appurato anche che il discorso del Duce (3) intendeva distogliere Cecoslovacchia da amicizia con Mosca. Sembra posizioni reciproche rimaste immutate.

Lo stesso Benès per il quale pericolo germanico e mezzi da opporvi costituiscono ossessione permanente vorrebbe far intendere che Piccola Intesa evolverebbe in senso anti-germanico ammettendo mutua assistenza fra i tre Stati in caso di aggressione da parte della Germania. Pare in effetti che ciò abbia tentato di raggiungere ma senza tangibili risultati.

Si è parlato ancora di collaborazione fra Piccola Intesa e intesa di Roma (4). Si attendono con interesse risultati prossima conferenza Vienna (5) con disposizioni collaborare purché ciò non debba influire sulla compagine politica della Piccola Intesa.

Segue rapporto (6).

323.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10790/650 R. Parigi, 31 ottobre 1936, ore 22,30 (per. ore 3,15 del 1° novembre).

Ho intrattenuto Léger della questione della trasformazione della legazione di Francia a Addis Abeba in consolato dicendogli che risultava al governo fascista che Londra subordinava decisioni già prese in linea di massima ad analogo atteggiamento da parte della Francia in base alle intese di consultarsi al riguardo (7).

Léger mi ha chiesto dal canto suo se a Roma si conoscessero le modalità secondo le quali dovrebbero avvenire queste trasformazioni giusto parere del governo britannico. Si tratterebbe di un semplice mutamento di denominazione della missione senza che fosse chiesto al governo fascista exequatur per il funzionario consolare posto a capo di essa. Questa procedura che era la sola a cui fosse giunto dopo diligente studio ufficio giuridico del Foreign Office preoccupato di non fare nulla che potesse essere considerato come riconoscimento giuridico della sovranità italiana sull'Etiopia sembrava a Léger un rimedio peggiore del male che si voleva eliminare. Quai d'Orsay aveva fatto conoscere suo modo di vedere a Londra.

(l) -Vedi D. 290. (2) -T. 10671/1374 R. del 29 ottobre, ore 0,54. Dava notizia che il Times stava per pubblicare una nota, ispirata dal Foreign Oftice, circa la possibilità che la Gran Bretagna trasformasse in consolato generale la sua rappresentanza ad Addis Abeba e ritirasse da lì il distaccamento di truppe indiane. (3) -Ritrasmetteva il rapporto 2297/1029 del 18 ottobre da St. Jean de Luz. Il rapporto non è stato ritrovato negli archivi ma, circa il suo contenuto, il telespresso di ritrasmissione diceva: <<il rapporto, nella sua ultima parte, accenna all'atteggiamento passivo della Chiesa relativamente agli avvenimenti spagnoli ed alle ripercussioni che tale contegno potrà avere sulle relazioni tra il futuro governo spagnolo e il potere religioso ».

(l) T. 10708/112 R. del 28 ottobre, ore 14,10. Comunicava che il giorno precedente Re Carol di Romania era giunto a Praga in visita ufficiale.

(2) Testo in Documenti di politica internazionale, p. 667.

(3) -Sic. Leggasi «del Re ». (4) -Si riferisce a! Protocolli d! Roma del 17 marzo 1934 tra Austria, Italia e Ungheria. (5) -Conferenza !taio-austro-ungherese dell'll-12 novembre. (6) -Non rinvenuto. (7) -Vedi DD. 290 e 320.
324

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 10963/091 R. Atene, 31 ottobre 1936 (per. il 5 novembre).

In una conversazione di carattere amichevole e personale, questo sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri mi faceva stamane notare la portata del gesto del presidente Metaxas, il quale per farci cosa gradita aveva rinunziato all'invito rivolto dal governo inglese alla flotta greca di recarsi a Malta O). Il signor Mavrudis citava la decisione presa come una prova del vivo desiderio del presidente greco di fare una politica d'intesa con l'Italia alla cui amicizia attribuiva grandissimo peso ed insisteva sul fatto che il rinvio sine die della visita della flotta greca a Malta non avrebbe mancato di provocare il disappunto del governo di Londra. Ho risposto a Mavrudis · che ero sicuro che V. E. avrebbe apprezzato la buona volontà del governo dittatoriale greco in questa circostanza. D'altra parte, le comunicazioni che d'ordine di V. E. avevo fatto al presidente del .Consiglio dopo il mio ritorno dall'Italia (2) erano un indice sicuro delle nostre buone disposizioni verso la Grecia. La buona volontà di quest'ultima però si era manifestata finora in forma per così dire negativa. Mancava ancora un'affermazione di deciso orientamento verso l'Italia. Lo stesso Metaxas lo aveva riconosciuto quando mi aveva detto giorni or sono che aspettava un'occasione

. propizia per estrinsecare positivamente la sua politica verso di noi. A me pareva che di occasioni propizie se ne offrivano tutti i giorni: occorreva non !asciarle sfuggire. E pertanto, dopo aver ben sottolineato che parlavo di mia personale iniziativa senza alcuna istruzione da parte di V. E., ho attirato la attenzione del mio interlocutore che, dopo la Germania, anche la Jugoslavia e forse la Romania avrebbero riconosciuto l'Impero italiano e l'annessione dell'Etiopia. Non sapevo se la notizia era del tutto esatta dovevo però ritenere che essa si fondava su dati positivi giacché fra qualche giorno il nostro nuovo ministro a Belgrado avrebbe presentato le sue credenziali che mi risultava erano intestate a S.M. il Re e Imperatore. Come ministro accreditato in questo Paese, io avrei molto preferito che la Grecia non si fosse fatta precedere da altri nel compiere questo atto di politica chiaroveggente. Che anzi a me pareva che il Governo

ellenico avesse speciali ragioni ed interessi a compierlo prima degli altri, giacché nessun Paese aveva una così importante e numerosa colonia di suoi connazionali in Etiopia. Questi sarebbero stati i primi a sentirne i benefici risultati. Non insistevo su tale argomento perché non avevo istruzioni per farlo ma lui che conosceva l'Italia poteva rendersi conto della portata che avrebbe potuto avere un tale atto se fatto tempestivamente dal governo ellenico.

Il signor Mavrudis, che nell'ascoltarmi mi aveva dato l'impressione di condividere e di approvare le mie considerazioni, mi ha detto che, sebbene la Grecia non potesse prendere nessuna iniziativa al riguardo senza prima informarne gli altri alleati balcanici, egli avrebbe fatto presentire discretamente Belgrado e mi avrebbe riparlato dell'argomento per vedere se era il caso che io ne intrattenessi in altra forma Metaxas.

Ho creduto opportuno riferire quanto precede a V. E. per quelle istruzioni che Ella volesse eventualmente farmi pervenire. Dato il tenore della conversazione ed il suo carattere assolutamente privato non credo tuttavia di avere con essa contravvenuto alle istruzioni generali contenute nel suo telegramma per corriere n. 3202 del 9 luglio u.s. (l).

325.

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 31 ottobre 1936.

Le discussioni anglo-sovietiche che furono iniziate a Londra nel mag.gio scorso (2) allo scopo di raggiungere un accordo navale bilaterale, che armonizzasse con il trattato di Londra del 1936 (3) e aprisse la via all'adesione a questo ultimo da parte della Germania, hanno portato, come è noto a V. E., alla redazione di un accordo-base concordato nel luglio scorso (4).

Si rammenta che il governo sovietico ha con tale accordo accettato nel complesso le disposizioni contenute nel trattato navale di Londra, facendo tuttavia le riserve seguenti:

1°) -Essendo il Giappone rimasto fuori del trattato, l'U.R.S.S. si riserva piena libertà di costruire navi destinate all'Estremo Oriente senza essere tenuta alle limitazioni qualitative stabilite nel trattato stesso.

2°) -L'U.R.S.S. assumerà gli impegni derivanti dal trattato di Londra soltanto subordinatamente all'accettazione degli stessi impegni da parte della Germania.

3°) -L'U.R.S.S. si riserva il diritto di costruire anteriormente al lo gennaio 1943, data della scadenza del trattato di Londra, due navi da battaglia con cannoni del calibro massimo di 16 pollici.

4°) -L'U.R.S.S. si riserva il diritto di costruire fino a sette incrociatori leggeri classe A, di stazza non superiore a 8.000 tonnellate e con cannoni di calibro non superiore a 7,1 pollici.

Da rilevare a tal proposito che l'U.R.S.S. ne manterrebbe permanentemente tre in Estremo Oriente, tre nel Baltico e uno nel Mar Nero, cosicché nel Mediterraneo vi sarebbe un solo incrociatore sovietico.

Tali riserve, a prescindere dalla loro portata politica generale, sopratutto per quanto riguarda l'Estremo Oriente, hanno in particolare il preciso scopo di assicurare alla marina sovietica, mediante una determinazione non solo qualitativa ma anche quantitativa, un certa proporzione di forze di fronte alla marina germanica, il cui tonnellaggio complessivo è oggi, in virtù dell'accordo HoareRibbentrop (1), limitato ad un massimo del 35 per cento di quello britannico.

Le basi d'accordo anglo-sovietico furono comunicate dal governo di Londra, col memorandum del 29 luglio u.s. (2), agli altri governi firmatari del trattato di Londra (Francia e Stati Uniti) e ai governi d'Italia e di Germania, affinché essi facessero conoscere le loro eventuali osservazioni in merito.

L'atteggiamento tedesco al riguardo è di particolare importanza, in quanto, come è noto, la Germania, invitata ad aderire al trattato di Londra, si era dichiarata in massima favorevole, a condizione che venisse preventivamente ottenuta l'adesione della Russia.

Ora il governo del Reich ha fatto conoscere al Foreign Office che esso non può accettare le riserve contenute nelle basi d'accordo anglo-sovietiche. Esaminata insieme con i tecnici del ministero della Marina la situazione derivata dalla risposta tedesca, si è tratta l'impressione che le obiezioni sollevate dal governo di Berlino non abbiano una base ed una portata tecnica, ma rivelino piuttosto intendimenti di natura politica. E' cioè da supporre che la Germania, con le obiezioni da lei sollevate, intenda anzitutto intralciare il corso delle trattative navali con la Russia e in secondo luogo prepararsi a rimettere eventualmente in questione l'accordo Hoare-Ribbentrop. Siccome nel 1935, al momento della conclusione di tale accordo, la flotta sovietica era di proporzioni trascurabili mentre le condizioni stabilite nella base d'accordo anglo-sovietico verrebbero ora a modificare fortemente a vantaggio della Russia l'equilibrio delle forze, la Germania potrebbe invocare il paragrafo 2 C) dell'accordo stesso, il quale stabilisce, in termini che si prestano ad una elastica interpretazione, che: la Germania

<1:

aderisce alla proporzione 35:100 in ogni caso e cioè tale proporzione non sarà influenzata dalle costruzioni di altre Potenze. Se l'equilibrio generale degli armamenti navali, così come è stato normalmente mantenuto nel passato, fosse fortemente modificato per anormali ed eccezionali costruzioni da parte di altre Potenze, il governo tedesco si riserva il diritto di invitare il governo di S. M. Britannica ad esaminare la nuova situazione così creatasi».

Si allega copia di un rapporto ricevuto dal R. ambasciatore a Berlino in data 16 corrente.

ALLEGATO.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

Berlino, 16 ottobre 1936.

L'Oberkommando der Kriegsmarine a cui ho fatto dall'addetto navale chiedere notizie circa la nota presentata recentemente al Foreign Office dall'incaric·ato d'affari tedesco a Londra (1), dichiara che la Gennania ha voluto con la nota stessa solo

precisare la sua situazione e le sue necessità navali, sia in relazione ad un accordo gener·ale e sia sopratutto nei riguardi di un accordo anglo-russo in virtù del quale la

U.R.S.S. venisse a godere di particolari libertà di costruzioni navali, s~a pure colla clausola «per destinazione in Estremo Oriente». Secondo l'Oberkommando der Kriegsmarine, la nota non va oltre questa precisazione e non fa riferimento alcuno all'accordo anglotedesco del 1935 ed al not<> 35 % allora convenuto. La nota presentata, d'alkonde, fa parte di trattative in corso, destinate ad essere proseguite.

Fin qui le comunicazioni dell'Oberkommando der Kriegsmarine. Il nostro addetto navale ha tuttavia avuto l'impressione che, se la piega degli avvenimenti lo esigesse, potrebbe da parte della Germania essere rimessa in questione la quota del 35 %, come quella che fu convenuta in una situazione politico-navale della Russia ben differente di quella che verrebbe a presentarsi ora.

Come è naturale, la Gennania è sensibilissima ad eventuali concessioni che la Gran Bretagna credesse di fare alla Russia, sia pure in considerazione del fatto che il Giappone non è legato da nessun accordo navale. Data però la particolare caratteristica delle navi, la mobilità ecc., la clausola «per destinazione in Estremo Oriente» non è giudicata rassicur.ante non solo per il Baltico ma neppure per il Mediterraneo in relazione al recente accordo di Montreux. E cdò, naturalmente, anche senza considerare l'indiretto interesse che la Germania ha a non veder relativamente sminuita la potenza navale del Giappone, decisamente antirusso e non troppo benevolmente disposto verso la stessa Inghilterra. La precisazione tedesca deve quindi considerarsi come un punto di partenza per ulteriori orientamenti che dipenderanno dalle clausole definitive dell'accordo navale anglo-russo. Intanto posso aggiungere in via assolutamente riservata che la Gennanlia ha deciso la impostazione, oltre che di vario naviglio leggero, anche di: una coraz2lata di trentacinquemila tonnellate, due portaerei di ventimila tonnellate.

(l) -Vedi D. 317. (2) -Vedi D. 251. (l) -T. 3202/C.R. delle ore 8,30. Dava istruzioni di evitare per quanto riguarda il problemadel riconoscimento dell'Impero, pressioni tali da «portare alcuni Governi ad irrigidirsi in atteggiamenti negativi». (2) -Vedi serie ottava, vol. IV, D. 126. (3) -Trattato per la limitazione degli armamenti navali tra Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda e India del 25 marzo 1936 (testo in MARTENS, vol. XXXIV, pp. 679-710). (4) -Si trattava di uno schema per un accordo che sarebbe stato sottoscritto quando 11 governo tedesco avesse accettato di concludere con la Gran Bretagna un accordo analogo. I due accordi furono poi conclusi simultaneamente il 17 luglio 1937. (l) -Vedi p. 147, nota 3. (2) -Vedi DDT, serle C, vol. V, t. 2, D. 486.
326

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI TRANSOCEANICI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. . .. ottobre 1936.

Conferenza Panamericana.

L'iniziativa è sorta nel febbraio scorso con una lettera personale di Roosevelt ai capi di Stati americani.

Superate le prime opposizioni argentine colla premessa che l'auspicata Conferenza sarebbe stata tenuta a Buenos Aires, l'iniziativa venne generalmente accolta con entusiasmo.

Il momento era psicologicamente assai bene scelto: Washington aveva votato la proroga della legge sulla neutralità, il Brasile si era vantato ai quattro venti della sua posizione che gli aveva permesso di non incorrere nell'errore sanzionista, gli Stati centro e sud americani venivano realizzando di essersi fatti trascinare dall'imperialismo britannico su di una strada di cui non si conoscevano le conseguenze; di qui ad un accentuarsi della tendenza isolazionista il passo era facile. Il disgusto per l'opera di Ginevra, il timore di essere coinvolti in una guerra, la speranza di sfruttarla restandone estranei, la vanitosa illusione di poter contrapporre a Ginevra un organismo di pretta marca americana, l'interesse eèonomico ad unirsi sempre più strettamente, l'illusione di poter far rivivere sull'altro continente quei principi democratici umanitari e pacifisti che erano in liquidazione nella vecchia Europa, tutto ciò rafforzava le speranze per una Lega americana.

In quel particolare momento non erano forse estranee all'iniziativa di Roosevelt anche ragioni di politica elettorale. Col tempo molte situazioni si sono venute modificando. Dopo il primo entusiasmo è sopravvenuta la riflessione. Alcuni Stati hanno cominciato a temere l'ingerenza nord-americana. Sono risorti i particolarismi, le ambizioni caratteristiche degli Stati latino-americani. La Argentina è venuta formulando un programma e una tesi da contrapporre a quelli nord-americani ed ha cercato di raccogliere attorno alla concezione paniberica gli Stati più sospettosi dell'ingerenza di Washington.

Il programma della Conferenza, che era stata lanciata per rafforzare gli strumenti di pace, venne gonfiandosi. nella necessità di accogliere e di contemperare tante proposte, sino a comprendere troppi e troppo svariati argomenti. Questa eccessiva ampiezza di compiti, l'attenuato interesse nordamericano, la rivalità tra Washington e Buenos Aires, la varietà delle tesi, delle aspirazioni e delle ambizioni fanno pensare che la Conferenza non possa raggiungere alcun risultato pratico attuale.

Non ci si può tuttavia nascondere che nel quadro più vasto dei rapporti tra l'America e l'Europa questa Conferenza possa avere delle conseguenze che sarebbe pericoloso trascurare. Due sono gli aspetti che a questo riguardo bisogna considerare: quello generale del panamericanesimo e dei rapporti presenti e futuri del continente americano con l'Europa; quello particolare della protezione degli interessi economici e dei nazionali nei singoli Stati.

Sotto l'aspetto generale bisogna considerare due tesi principali:

1°) Tesi nord-americana. Washington persegue, per quanto con grande prudenza, una politica tendente a sottrarre all'ingerenza europea tutti gli Stati americani e a legarli con vincoli sempre più stretti ad una solidarietà panamericana da cui gli Stati Uniti sperano di trarre i più ampi vantaggi ora, e su di cui fondano le più ambiziose speranze politiche per il futuro.

2°) Tesi argentina. L'Argentina vuole rafforzare i legami panamericani evitando di fare il giuoco di Washington. Non vuole perciò opporsi all'idea di una Panamerica ma vuoi tener legata questa a Ginevra dove non c'è Washington e dove l'Argentina spera di mantenere l'attuale posizione e di rafforzarla, divenendo col tempo l'ufficiale porta-voce degli interessi latino-americani, non solo, ma portando a Ginevra l'integrazione necessaria per l'universalità. Sarebbe questo il coronamento della megalomania di Saavedra Lamas che sogna di ergersi su Ginevra e sull'America fondatore di una pace universale.

Sembrano più vicini alla tesi nord-americana il Brasile, di cui sono noti i vincoli con gli Stati Uniti, e un gruppo di piccoli Stati Centrali, capeggiati dal Guatemala, che rappresentano le tendenze estreme dell'isolazionismo panamericano (S. Domingo, Haiti, Costarica, Honduras). Hanno viceversa manifestato tendenze più simili a quella Argentina (inquadramento della pace 2.mericana nel sistema ginevrino) il Cile, l'Uruguay, la Bolivia, l'Equatore, la Colombia, il Messico, il Salvador e il Panama. Non hanno assunto un atteggiamento preciso il Perù, il Venezuela ed il Paraguay. Naturalmente nei particolari tutte le proposte si differenziano. Hanno presentato progetti più dettagliati, rivelando l'aspirazione ad assumere una posizione di primo piano nella Conferenza, la Colombia, l'Equatore e il Guatemala.

Dal punto di vista più particolare e contingente, tre sono i problemi, che saranno affrontati dalla Conferenza e che hanno un particolare interesse per noi:

l) Quello dei rapporti economico-doganali fra gli Stati americani. Quasi tutte le proposte contenevano questo argomento e il programma definitivo lo ha accolto. Non ci si può nascondere che molte aspirazioni, non soltanto nord-americane, a molte condizioni tendono a favorire la formazione di un regime preferenziale fra gli Stati americani.

2) Nel capitolo IV del programma (problemi giuridici) si imposta abilmente sotto una veste dottrinaria il problema della nazionalità americana. Esiste in molti Stati la tendenza a fare accogliere nelle singole legislazioni una discriminazione fra nazionalità americana e non americana.

3) Sarà discusso in particolare il problema delle comunicazio'1i. Es~e hanno un valore, non solo economico, ma anche politico. Naturalmente gli Stati Uniti tendono ed hanno molte possibilità per accaparrarsi le grandi vie di comunicazione interamericane.

Fra gli Stati non americani sembrano particolarmente interessati alla Conferenza la Spagna (prima della Rivoluzione), il Portogallo e la Francia. Tutti e tre questi Stati assieme al Segretariato della S.d.N. si sono dati da fare per fare accogliere un loro osservatore alla Conferenza.

Da quanto è stato esposto, e considerati tutti gli aspetti del problema, risulta: a) che l'Italia non può disinteressarsi, sia dal punto di vista generale che da quelli particolari, del problema panamericano; b) che l'Italia deve opporsi tanto alle tendenze isolazioniste di Roosevelt che a quelle iberico-societarie di Saavedra Lamas sino al giorno in cui i vincoli del mondo latino con Roma, capitale morale e politica della latinità, avranno ricostituito una unità più forte di ogni ideologia panamericana o paniberica.

c) che le tendenze societarie di Saavedra Lamas, che sarà l'ufficiale direttore d'orchestra della Conferenza, e l'appoggio che queste tendenze trovano in molti governi ed in genere nelle ideologie democratico-pacifiste diffuse in tutto il mondo americano, possono facilmente occasionare, in nostra assenza, una manifestazione che direttamente o indirettamente potrebbe nuocere al nostro prestigio e quindi alla nostra politica in America.

d) che i precisi interessi italiani portano ad opporsi alla formazione di un sistema doganale chiuso interamericano e alla discriminazione fra stranieri americani e non americani.

e) che è contrario ai nostri interessi il vedere impostare il risolvere (l) il problema delle comunicazioni interamericane senza alcuna nostra partecipazione. La direzione generale Transoceanica ha già allo studio questo problema e si era ripromessa di cercare di sviluppare in questo senso l'attività e la penetrazione italiana nel continente americano.

Dato quanto sopra la direzione generale Transoceanica ha l'onore di prospettare a S. E. il ministro le gravi conseguenze che potrebbero derivare alla nostra politica presente e futura nell'America latina da un completo disinteressamento dei problemi panamericani che saranno discussi a Buenos Aires, ed ha l'onore di porre in rilievo viceversa che la Conferenza Panamericana offre una utile occasione per prendere contatti e per svolgere un proficuo lavoro, a sostegno e difesa dei nostri interessi, per la presenza contemporanea nella capitale argentina dei più importanti esponenti degli Stati americani.

(l) Presentata il 12 ottobre. Vedi tbid., D. 571.

327

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10995/0310 R. Parigi, 1° novembre 1936 (per. il 6).

Ieri, appena rientrato da Roma, ho veduto prima Léger e poi il ministro degli Affari Esteri, Delbos. Ho stimato opportuno vederli entrambi, rappresentando il primo la continuità del Quai d'Orsay. Con tutti e due mi sono espresso negli stessi termini cominciando con l'esporre quale fosse stata l'atmosfera in cui si svolsero i convegni di Berlino e Berchtesgaden (2). Avevano contribuito a crearla elementi di varia specie: la circostanza di non appartenere la Germania più alla S.d.N. e di nutrire verso Ginevra un'avversione profonda l'aveva indotta a rifiutare di aderire alle sanzioni e di continuare pertanto a scambiare merci con l'Italia durante il lungo periodo relativo. Il Reich aveva potuto rendere così all'Italia servizi che erano stati particolarmente apprezzati e si era verificato quanto era del resto sempre stato fatto presente agli Stati sanzionisti, che cioè la Germania avrebbe conseguito il doppio beneficio di fare dei buoni affari e di acquistare in più la gratitudine dell'Italia. Non preoccupato da considerazioni d'ordine societario, il Reich aveva riconosciuto senz'altro la sovranità italiana sull'Etiopia ed anche un tale gesto, naturale e logico da parte di uno Stato che proclama alto e forte il proprio diritto a riavere esso stesso colonie, era stato accolto dal Sovrano e dall'opinione pubblica italiana col massimo favore.

Il periodo sanzionista e particolarmente l'atteggiamento in nessun modo giustificabile assunto dai due governi francesi che furono al potere dopo il 7 marzo (data della rioccupazione da parte del Reich della zona renana demilitarizzata), i quali non ebbero il coraggio di porre unilateralmente fine alle ingiuste sanzioni contro l'Italia, avevano contribuito a creare fra Roma e Berlino una sempre maggiore comprensione basata sopra comuni ideologie e sopra la constatazione che la levata di scudi societaria contro l'Italia aveva male ·celato un vero e proprio tentativo delle democrazie di abbattere il fascismo e di portare in ogni caso un grave colpo ai regimi autoritari. Donde logicamente la necessità di riflettere, da parte della Germania, ad un analogo pericolo cui potrebbe essa pure venire esposta nel futuro. Tuttociò aveva contribuito a fare comprendere al Reich come fosse necessario di eliminare la principale causa di dissenso con l'Italia, costituita dalla sua aspirazione ad annettersi l'Austria. Gli accordi dell'H luglio scorso fra Germania e l'Austria erano stati un nuovo importante fattore di avvicinamento itala-germanico.

A tuttociò si era aggiunto un elemento imprevisto, la rivoluzione in Spagna fomentata ed appoggiata da Mosca. Il mondo poteva assistere con una certa quale indifferenza all'esperimento comunista ai margini orientali dell'Europa e nel centro dell'Asia. L'Italia, ed anche la Germania, non potevano peraltro ammettere un solo istante che il comunismo si trasportasse nel Mediterraneo, sopratutto in un momento in cui le elezioni in Francia avevano dato ai comunisti un numero ingente di voti in Parlamento ed in cui i partiti di sinistra francesi, ancorché profondamente nazionalisti, erano stati obbligati a patteggiare con i comunisti internazionali. Ogni Stato che abbia a cuore la difesa territoriale deve preoccuparsi di quanto accade al di là dei propri confini e deve temere allo stesso modo l'invasione a mezzo delle armi e quella a mezzo di idee che esso giudica deleterie e che pertanto condanna. Non era riuscita sorprendente in Francia -ed era stata anzi altamente apprezzata dai nazionalisti di ogni partito -la preoccupazione con cui si erano seguiti in Italia gli avvenimenti di Spagna, temendosi che, qualora avessero prevalso i comunisti, la stessa Francia avesse potuto correre il rischio assai serio di sperimentare la dittatura del proletariato. Se questo timore non era stato manifestato pubblicamente in Italia, come era accaduto in Germania, esso era esistito ed aveva creato una nuova fortissima ragione di identità di vedute fra Roma e Berlino. Questa si era manifestata anche nell'adesione data dai due governi alla politica di non intervento in Spagna auspicata dal ministro degli Affari Esteri francese, politica che era stata considerata a Roma e Berlino come atta ad allontanare dalla Francia un grave pericolo da entrambi i governi fortemente deprecato.

Dopo questo preambolo e dopo avere rievocato il comunicato pubblicato dopo l'incontro di V. E. con il Fiihrer (l) nonché le dichiarazioni da V. E. fatte alla stampa a Monaco (2), informai Léger e poi Delbos di quanto Ella mi diede incarico di dichiarare al governo francese e precisamente:

-che le conversazioni di Berlino e Berchtesgaden non avevano avuto alcuna punta contro terzi Stati, particolarmente contro la Francia. Si esclu

deva in modo assoluto che da parte tedesca si fosse fatta alcuna allusione alla Francia avente tale carattere. In ogni caso essa non avrebbe potuto essere ammessa dall'Italia;

-che gli accordi raggiunti sono per contro considerati dall'Italia come una utile base per una politica di collaborazione europea. Da parte della Germania si condivide tale modo di vedere;

-che durante i colloqui suddetti non si parlò del Patto a Quattro. Era stata la stampa francese la sola a menzionare tale patto. Nessun accenno per contro ne era stato fatto nelle stampe italiana e tedesca. Quanto precede non poteva naturalmente pregiudicare l'avvenire;

-che l'Italia non perseguiva in Spagna alcuna mira territoriale o coloniale. Nessun accordo o intesa era stato concluso fra l'Italia e generale Franco anteriormente o durante la rivoluzione. Italia intenderebbe che l'equilibrio del Mediterraneo non venisse modificato in seguito alla rivoluzione spagnuola. Su questo punto esiste pieno accordo con la Germania. Essa, al pari dell'Italia, anche nella sua azione pro-Franco, agì unicamente mossa da ragioni ideologiche.

Léger mi ascoltò con la massima attenzione, mi ringraziò di averlo messo al corrente di quanto avrei poco dopo detto al suo ministro, espresse la convinzione che Delbos avrebbe apprezzato in tutto il suo valore la comunicazione che gli avrei fatto per incarico di V. E. e che essa avrebbe costituito un utile elemento di giudizio. Si espresse nuovamente meco, come aveva fatto già il 24 ottobre (mio telegramma n. 636) (1), nel senso che la decisione italo-germanica di impedire il diffondersi del bolscevismo in Europa riusciva gradita ifi Francia a tutti coloro che erano fautori dell'ordine. Si domandano soltanto che cosa sarebbe accaduto delle numerose navi mercantili sovietiche che stavano recando ai governativi spagnuoli e sopratutto a quelli catalani materiale bellico di ogni specie. Gli risposi che lo ignoravo ma che supponevo che le forze navali degli insorti avrebbero fatto ogni sforzo per impedire tali arrivi. Léger osservò con un sorriso significativo che condivideva il mio modo di vedere ed aggiunse che fortunatamente in Inghilterra, per lo meno nei circoli ufficiali, la Spagna governativa aveva perduto ogni simpatia in questi ultimi giorni.

Il ministro Delbos, dopo avere udito attentamente la comunicazione, mi incaricò di esprimere a V. E. i suoi ringraziamenti sinceri per il Suo atto très obligeant et amical che apprezzava moltissimo. Mi qisse poi che evidentemente vi era una divergenza ideologica notevole fra Italia e Francia, inquantochè in questo Paese profondamente liberale si rispettava l'opinione di tutti i partiti politici, compreso quello comunista, cosicché non si poteva concepire che uno o più Stati esteri pensassero di influenzare con la loro azione politica ed eventualmente con appoggi materiali o morali la evoluzione interna di un altro Stato. Per tale ragione il discorso pronunciato da Hitler a Norimberga in cui si affermava che la Germania non avrebbe potuto rimanere indifferente di fronte ad un esperimento comunista in Francia aveva prodotto la più penosa impressione di tutti in questo Paese, come una minaccia o meglio una indi

zio di intenzione aggressiva. Egli aveva creduto di tenerne parola all'ambasciatore di Germania, recatosi poco prima da lui. Il conte Welczek gli aveva però fornito assicurazioni formali che il Fiihrer non aveva l'intenzione di intervenire negli affari interni della Francia in alcuna circostanza, anche in quella deprecata che dovesse proclamarsi la dittatura del proletariato, ritenendo che ciascuno deve essere arbitro dei propri destini. La frase che la Germania « non avrebbe potuto rimanere indifferente» doveva intendersi quindi soltanto nel senso che in determinate circostanze essa sarebbe stata costretta a prendere, però soltanto sul proprio territorio, provvedimenti severissimi per impedire a teorie ritenute nefaste di passare il confine e dilagare nel Reich.

Il signor Delbos, a proposito di quanto gli avevo detto circa il Patto a Quattro, rilevò che si riteneva a torto all'estero che Pertinax e Geneviève Tabouis avessero relazioni seguite col Quai d'Orsay e ne fossero i porta parola. Egli mi assicurò che entrambi questi pubblicisti ricevevano le loro informazioni da fonti extra ufficiali e sovente ponevano in serio imbarazzo il Quai d'Orsay, appunto a causa della suddetta diceria ampiamente diffusa all'estero.

Per quanto concerneva il punto relativo alla «utile base, che gli accordi italo-tedeschi potevano costituire per una politica di collaborazione europea, Delbos mi disse che la cosa era indubbiamente interessante, ancorché questa «base» gli apparisse come uno sconvolgimento radicale dei principi di « sicurezz<ì. collettiva» e di «patti regionali» sui quali era stata costruita la politlca francese dal 1919 in poi. L'Italia, anche prima della guerra in Africa Orientale, non aveva avuto molta fede nella Società delle Nazioni; presentemente dimostrava di considerarla qùasi inesistente e ad ogni modo priva di qualsiasi valore. La Francia invece perseverava a credere nella Società delle Nazioni, confidava in una riforma che la rafforzasse e riteneva che avrebbe potuto rendere degli utili servigi alla pace ed alla civiltà.

Non potei astenermi dall'osservare che noialtri eravamo dei realis~i e non correvamo dietro alle speranze vane. Delbos ne convenne e disse, dal suo lato, che i regimi fascisti sono dinamici, mentre quelli liberali e parlamentari sono per loro natura statici cosicché si mostrano profondamente attaccati a tradizioni e principi, anche quando essi sono od appariscono superati dagli avvenimenti. Tale era il caso della Francia nei riguardi della S.d.N. L'Italia doveva peraltro ricordare che, sino dall'inizio del dissidio italo-etiopico, la Francia aveva lealmente dichiarato che la propria amicizia per l'Italia non le poteva consentire di venire meno agli impegni assunti firmando il Patto societario. Tale era tuttora la posizione della Francia, che non desiderava di meglio che riconoscere il più rapidamente possibile la sovranità italiana sull'Etiopia ma che non era peraltro in grado di farlo sintantoché questo impero figurasse nell'elenco degli Stati membri della Società delle Nazioni.

Osservai che in tale modo la Francia poneva a repentaglio le proprie relazioni di amicizia con l'Italia per un semplice motivo procedurale e che il fatto di appartenere alla S.d.N., anziché garantire la sua sicurezza, la esponeva a pericoli che potevano essere seri. Delbos non poté fare altro che rispondermi che così era, se volevo, ma che la Francia non era in grado di agire diversamente.

Il ministro degli Affari Esteri accennò poi alla speranza che si potesse raggiungere un accordo per un nuovo trattato che rimpiazzasse quello di Locarno. Disse di avere esaminato la risposta del governo fascista alla nota britannica (l) e di averne riportato una buona impressione ancorché vi fossero due punti che richiedevano chiarimenti. Quanto alla Germania, ognuno in Francia sarebbe stato lieto se si fosse potuto stipulare un'intesa fra i due Paesi.

Ho detto dal mio lato a Delbos che nessuno Stato più dell'Italia desiderava tale intesa che avrebbe garantito la pace dell'Europa. Era stata mia costante cura di far conoscere al mio governo come gli uomini politici francesi, a qualunque tendenza appartenessero, ponessero l'intesa tra Francia e Germania in cima alle loro aspirazioni, consci come erano che colui cui sarebbe riuscito di concluderla, sarebbe stato portato in palma di mano dai suoi compatrioti, desiderosi sopratutto di pace. Avevo pure avuto cura di far presente a Roma come si opponesse tuttora ad un tale accordo la mancanza dell'atmosfera adatta, tanto in Francia che in Germania. Delbos ripose che così era e che se ne aveva una prova manifesta nella avversione che esisteva in Germania contro l'accordo franco-sovietico e nella corrente che si faceva strada nell'opinione pubblica tedesca la quale pretenderebbe che qualsiasi intesa franco-germanica fosse preceduta dalla denuncia dell'accordo medesimo. In Francia viceversa i più accaniti avversari dell'accordo -come l'Action Française e Le Jour -protestavano contro l'ingerenza di uno Stato estero nella politica francese ed osservavano che del resto la Germania non aveva mai denunciato il Trattato di Rapallo. Tutti in Francia si auguravano una maggiore comprensione da parte della Germania su questo delicato argomento, dato che un'eventuale intesa franco-tedesca avrebbe di per sé stessa reso privo di valore l'accordo franco-russo.

Delbos terminò dicendomi che lo sforzo da farsi, non solo dai due Paesi in questione ma anche da quelli che vedrebbero con soddisfazione una intesa franco-tedesca era dunque quello di creare una atmosfera di maggiore reciproca fiducia che permettesse a Francia e Germania di accordarsi per un patto di amicizia e conciliazione. Se l'Italia avesse voluto contribuire a tale opera di pace la Francia gliene sarebbe stata assai grata.

(l) -Sic. (2) -Durante il viaggio di Ciano In Germania, vedi DD. 256 e 277.

(l) Testo in Documenti di politica internazionale, p. 434.

(2) Testo ibid., pp. 434-436.

(l) Vedi D. 275.

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IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R.U.R. Vienna. 1° novembre 1936.

A seguito delle mie conversazioni con questo segretario di Stato per gli Affari Esteri, comunico a V. E. lo schema del programma che, secondo il pensiero del signor Schmidt, approvato dal Cancelliere federale, potrebbe essere seguito nella prima conferenza dei ministri degli Affari Esteri degli Stati dei

Protocolli di Roma, indetta in Vienna per i giorni 11 e 12 novembre corr. Ho ragwne di credere che il signor Schmidt abbia tenuto conto anche dei desideri manifestatigli a Budapest (1).

Questo segretario di Stato agli Esteri prega V. E. di voler esaminare lo schema del programma, facendogli conoscere per mio mezzo eventuali Sue osservazioni per modificazioni od aggiunte. Egli terrebbe molto a poter preparar~ in tempo da parte Sua i materiali necessari per altri argomenti, che l'E. V. credesse di includere nel programma.

IL PROGRAMMA

comprenderebbe tre parti: I. Temi politici; II. «Militaria ~; III. Questioni economiche.

A) TEMI POLITICI

l) Esame della situazione politica generale, con particolare riguardo ai rapporti politici rispettivamente: a) dell'Italia; b) dell'Ungheria; c) dell'Austria, verso la Germania, la Polonia e gli Stati della Piccola Intesa.

2) Esame dei più importanti problemi europei: a) rapporti italo-inglesi e questione del riconoscimento dell'Impero italiano; b) problema di Locarno (atteggiamento dell'Italia circa il passo del Belgio); c) riforma della Lega delle nazioni (posizione dei tre governi rispetto alla Lega, eventuali piani di riforma, compiti che spetterebbero al caso, all'Austria nella conferenza per la riforma della Lega delle Nazioni indetta per il 7 dicembre); d) sviluppo della situazione in Spagna (questione del riconoscimento del governo nazionalista e dei suoi rappresentanti all'estero: posizione del Comitato per la neutralità a Londra; il problema della Catalogna); e) situazione e sviluppo in Francia; f) problema del Mediterraneo (rapporti dei tre Stati dei Protocolli romani rispetto alle Potenze balcaniche e alla Russia sovietica); g) propaganda bolscevica (organizzazione della difesa, a traverso eventuali accordi tra le polizie); h) rapporti della Cecoslovacchia con la Polonia e la Germania.

B) « MILITARIA ~

C) QUESTIONI ECONOMICHE

a) in nesso con le conversazioni dei ministri Schtiller e Nickl a Roma; b) possibilità di collaborazione di forze lavoratrici austriache od ungheresi (in particolare, operai specializzati e ingegneri) alla ricostruzione dell'Abissinia; al caso, possibilità di emigrazione in quei territori.

PROBLEMI POLITICI

Per quanto riguarda il primo gruppo (A. Temi politici), molto si attende a Vienna e a Budapest dalle notizie che V. E. crederà di dare, in aggiunta alle dichiarazioni pubbliche e alle comunicazioni riservate autorizzate da V. E.

28 -DocumenU diplomatici -Serle VIII -Vol. V

co~ dispaccio circolare da Berlino (1), sull'effettiva portata e su ulteriori sviluppi degli accordi tra l'Italia e la Germania dopo il viaggio di V. E. a Berlino. Rispetto alla Germania, è innegabile -e risulterà anche alla conferenza viennese -una differenziazione che non è solo di tono, tra Austria ed Ungheria .

. Nei confronti della prima, converrà bensì insistere che un parallelismo politico itala-germanico è la migliore garanzia dell'indipendenza statale dell'Austria e insieme una facilitazione es:>enziale del compito del Governo austriaco nella sua politica interna e nel rassodamento del regime austriaco attuale rispetto agli stessi «nazionali~. Ma nell'istesso tempo, non sarà mai abbastanza controbattuta l'opinione di alcuni circoli che ormai l'Austria non avrebbe più bisogno dell'amicizia dell'Italia e potrebbe, in tale settore, fare da sé.

Per l'Ungheria è anche più necessario che per l'Austria far valere il concetto che i loro rapporti con la Germania dipendono essenzialmente dall'atteggiamento di Roma e che è Roma a dover rimanere ancora sempre l'asse della loro politica verso la Germania, se non vogliono diventarne strumenti nelle sue mani, senza propria volontà e senza possibilità di tutela dei propri speciali interessi.

In generale -e ciò sia detto per i rapporti con la Polonia e anche più con gli Stati della Piccola Intesa -deve essere messo in primo piano il concetto della politica mussoliniana, attuata ora dall'E. V. di fare di Roma il centro e il tramite delle nuove relazioni fra il gruppo degli Stati dei Protocolli romani e altri singoli Stati o coalizioni di Stati interessati all'Europa centro-danubiana.

Anche rispetto agli Stati della Piccola Intesa risulterà alla conferenza di Vienna -come è stato accertato già dalle conversazioni di Budapest fra Schmidt e Kanya -che Austria ed Ungheria hanno, se non interessi effettivi contrastanti, atteggiamenti politici diversi, che sarà compito dell'Italia di conciliare.

Verso la Cecoslovacchia, all'Austria basterebbe di ottenere, come da Praga si è più volte promesso negli ultimi tempi, che fossero se non soppresse del tutto, infrenate le attività degli emigrati socialisti austriaci che specialmente da Brno e Bratislava complottano con ogni mezzo contro il regime attuale austriaco. Conseguito ciò, l'Austria sarebbe pronta a stringere accordi economici e anche politici con la Cecoslovacchia.

Il governo federale non farà alcun passo senza il nostro consenso e sino a che possa con ciò pregiudicarsi l'interesse politico del gruppo a cui è legato. Ma si risentirebbe e mal sopporterebbe che, verificatesi le premesse sostanziali, dovesse essere impedita dallo stringere migliori rapporti con Praga solo dalla resistenza politica dell'Ungheria.

A Burlapest, come ho già riferito, (mio telegramma 233) (2) si è ·parlato a Schmidt della Cecoslovacchia -come del resto anche della Jugoslavia e della Romania -come di un nemico irreconciliabile. Schmidt avrebbe avuto ben poca fortuna con il suo consiglio di accantonare, differendoli, i problemi politici e territoriali per tentare di creare, sul terreno degli accordi puramente economici, una atmosfera col tempo favorevole a qualche soluzione di quegli

stessi problemi ora insolubili senza una guerra. Forse qualche provvedimento organico di autonomia amministrativa alla Slovacchia -reso meno ostico a Praga dalle origini slovacche dell'attuale presidente del Consiglio .cecoslovacco potrebbe realizzare, con una tutela più concreta delle minoranze alloglotte, quella premessa ad accordi con l'Ungheria che Kanya ha ribadita anche nel suo recente discorso.

Certo è che la disposizione ben evidente della Cecoslovacchia (si veda il discorso di Krofta del 22 ottobre) Cl) a qualche intesa con il gruppo dei Protocolli romani (riaffermata anche nel comunicato sul recente incontro reale a Praga) potrebbe essere sfruttata per indurla a <;onsentire le premesse indispensabili di tali intese. Converrebbe approfittare anche della sensazione che hanno ormai vasti circoli cecoslovacchi, dell'onerosità morale, della non utilità economica e della problematica militare delle alleanze e francese e russa, per indurii ad accogliere una mediazione italiana prima nei rapporti con la Germania e poi, con la stessa influenza italo-germanica su Budapest, con l'Ungheria.

Questo piano, di larga portata, non dovrebbe essere considerato immaginario. Esso prospetta vantaggi ben chiari e alla Germania e alla Cecoslovacchia: alla prima aprendo alcune fonti di rifornimento di prodotti agricoli e di qualche materia prima anche industriale; alla seconda aprendo un mercato d'esportazione di tali prodotti che essa non può certo trovare né in Francia né in Russia.

Contenuto per ora nell'ambito economico, questo piano non avrebbe bisogno di affrontare problemi politici, come quello dell'alleanza russa per la Cecoslovacchia o quello della tutela della minoranza tedesca dei Sudeti per la Germania. Ma darebbe a tutte e due un senso di sollievo e di sicurezza reciproca, di cui entrambe mostrano ben chiaro il bisogno.

Le resistenze dell'Ungheria -non parlando qui della Romania -sarebbero a quanto mi ha detto Schmidt, minori rispetto alla Jugoslavia. Con questa l'Austria non ha divergenze attuali se non per la questione dinastica o, meglio, per gli allarmi di Belgrado e le agitazioni, talvolta veramente irragionevoli, contro ogni accenno austriaco alla restaurazione.

Se, come tutto fa credere, si stanno creando le condizioni più favorevoli ad un nuovo più préciso accordo tra noi e la Jugoslavia, questa potrebbe avere da noi, indirettamente, quelle assicurazioni e garanzie che il governo Federale austriaco, pur non pensando ad una imminente restaurazione, non intende, per ragioni di principio, dare su questo argomento ad una Potenza straniera.

È ben evidente:

a) che, senza aspirare ad uno sfasciamento della Piccola Intesa, la realizzazione di accordi, se pur solo economici e se anche solo, a volta a volta, bilaterali tra Stati del gruppo dei Protocolli di Roma e Stati della Piccola Intesa, varrebbe a spostare praticamente la tendenza di quest'ultimo raggruppamento;

b) il fatto che i nuovi accordi sarebbero stretti sotto gli auspici e per il tramite di Roma, toglierebbe virtualmente alla Piccola Intesa ogni punta antitaliana e antigermanica;

c) sarebbe veramente avviato ad una sistemazione vitale il problema medieuropeo e danubiano.

Sarebbe un nuovo trionfo della politica realizzatrice del Duce e dei suoi piani lungimiranti, alla cui attuazione l'E. V. avrebbe dato la Sua opera.

Gli argomenti raggruppati nel n. 2 del capitolo A del programma non possono avere illustrazione speciale da Vienna. Qui si ha il desiderio di essere illuminati da Roma e di secondare possibilmente Roma nel suoi piani politici, nell'interesse dell'intero gruppo.

Al punto a) Vienna è pronta a dare una forma anche più concreta ed ufficiale al riconoscimento dell'Impero che di fatto essa ha dato, sia con la nota lettera di Berger-Waldenegg (1), allora ministro degli Affari Esteri, sia con l'intitolare al Re Imperatore le lettere credenziali del nuovo suo ministro presso la Real Corte, sia specialmente con l'accettare le mie credenziali e col saluto ufficialmente rivoltomi dal Presidente Federale nella mia qualità di rappresentante del Re d'Italia, Imperatore d'Etiopia.

Al punto b) qui si è ormai convinti del fallimento della sicurezza collettiva, ma anche dell'impossibilità di far rivivere nella sua sostanza precedente il Patto di Locarno. Per conto loro, gli ungheresi sarebbero lieti di un ritorno, mutatis mutandis al Patto a Quattro, né si allarmerebbero, né si adonterebbero, rassicurati e confidati all'amicizia dell'Italia, di una ristabilita gerarchia delle grandi Potenze responsabili dell'ordine politico europeo.

Al punto c) Schmidt è desideroso di prendere contatti concreti con V. E. in vista specialmente della convocazione del Comitato ginevrino del 7 dicembre (2) e del fatto che il membro austriaco è, nell'assenza di un delegato italiano, l'unico rappresentante del gruppo politico dei Protocolli di Roma in quel Comitato.

Al punto d) Austria ed Ungheria pensano di procedere di pieno accordo con l'Italia in tutti i problemi, anche solo formali, che via via si matureranno nell',avvenire imminente dagli avvenimenti spagnuoli. E attendono di poter esaminare di concerto con l'E. V. ogni eventualità, specialmentE:' il tempo e il modo di un riconoscimento del governo nazionalista, prima o dopo dell'occupazione di Madrid.

Al punto e) ed f) qui si attendono orientamenti dalle informazioni che saranno recate da V. E. e dai propositi della politica italiana.

Al punto g) si pensa qui ad una più stretta e sopratutto sistematica collaborazione delle polizie dei tre Stati nella lotta contro il bolscevismo. Si crede possibile la conclusione di un accordo tecnico al riguardo per lo scambio organico di informazioni, di esperienze, di piani, con riunioni periodiche di delegati delle tre amministrazioni centrali di polizia. Si vorrebbe poter sfruttare attraverso l'Italia i risultati pratici che su questo campo già si sarebbero avuti dai contatti tra le polizie di Roma e di Berlino.

II punto h) sta in nesso diretto con l'atteggiamento cbe potrà essere preso riguardo alle future relazioni fra il nostro gruppo e la Cecoslovacchia. E mi riferisco a quanto ho esposto circa il punto l del programma.

MILITARIA

L'uso del plurale (neutro) latino ha negli intendimenti di Vienna e Budapest un significato particolare, derivato dal gergo aulico delle antiche amministrazioni centrali absburgiche. Tale significato è restrittivo, in quanto non comprende la vera e propria politica e amministrazione militare in senso lato, ma piuttosto i particolari tecnici esecutivi.

In verità, qui e a Budapest non si penserebbe a prendere l'iniziativa di veri e propri patti od accordi militari che vadano, nelle loro applicazioni, al di là di quelle che sono le intrinseche obbligazioni derivanti dai rapporti di amicizia politica attualmente sanciti. Si pensa piuttosto a prevedere:

a) uno scambio più organico e più ampio di informazioni ed esperienze di carattere militare, di vicendevole interesse, tanto sui propri armamenti e ordinamenti militari, quanto su quelli degli Stati confinanti non partecipanti alla nostra formazione politica;

b) ricorrenti incontri tra delegati dei Corpi di Stato Maggiore dei tre Stati per l'esame delle questioni tecniche che di tempo in tempo apparissero di comune interesse.

Non si esclude l'esame di richieste di aiuti di materiali militari in vista di possibili complicazioni che possano sopravvenire prima che i piani di armamento dei minori Stati siano compiuti. Così ho l'impressione che Schmidt e anche Schuschnigg, il quale tiene il portafoglio della difesa del Paese, farà oggetto delle conversazioni con V. E. alcuni ritardi di già assicurate forniture di velivoli nel corso dell'estate e di questo autunno, non meno che alcune deficienze accertate in velivoli e materiali forniti da fabbriche italiane e che avrebbero prodotto gravi inconvenienti e non meno gravi commenti. Particolari in proposito dovrebbero essere stati portati a conoscenza del R. ministro della Guerra e del

R. ministro dell'Aviazione.

QUESTIONI ECONOMICHE

Qui si vorrebbe porre in risalto particolare anche l'aspetto economico della conferenza a tre e con ciò degli stessi Protocolli di Roma, il cui contenuto originale è appunto di carattere pr·evalentemente economico. A ciò risponde anche la richiesta da me segnalata telegramma n. 234 del 31 ottobre (l) perché al seguito di V. E. sia rappresentato anche la direzione generale degli Affari Economici del R. ministero degli Affari Esteri o il sottosegretariato per gli Scambi e le valute.

L'argomento immediato sarà dato dalle ripercussioni dei provvedimenti valutari italiani (2) sui traffici itala-austriaci e itala-ungheresi. La base delle conversazioni potrà essere data dai risultati delle trattative svolte a Roma in queste ultime settimane dai delegati economici Schuller e Nickl, rispettivamente per l'Austria e per l'Ungheria.

Qui si spera che possa essere dato seguito concreto al comunicato romano dal giorno 5 ottobre, e dimostrata ancora una volta la vitalità e funzionalità dei

Protocolli di Roma anche a fronte di av\'enimenti così decisivi come una modificazione unilaterale della valuta. Sarebbe così resa palese anche ai più vasti circoli l'importanza effettiva, permanente, anche materiale, di tali Protocolli e dell'amicizia politica dell'Italia per la vita economica austriaca ed ungherese, che senza questa collaborazione avrebbero risentito un danno che per l'Austria sarebbe stato addirittura catastrofico.

Gli elementi per questa prima parte del III capitolo del programma sono a disposizione di V. E. a Roma.

In quanto al secondo punto b) dello stesso capitolo, converrebbe dare qualche espressione, se anche, per ora, di ristretta portata pratica, al desiderio che in qualche modo la mano d'opera, non forse agraria, ma di specialisti tecnici, molto numerosi e bene preparati in Àustria, possa collaborare all'opera civilizzatrice dell'Italia in Africa Orientale, senza pregiudizio dei lavoratori e dei tecnici italiani.

Tale desiderio si è fatto più vivo dalla conoscenza che accordi allo stesso scopo sono stati avviati a Berlino fra la Germania e l'Italia.

Nei circoli agrari austriaci si crede che il bestiame bovino austriaco, selezionato per i territori alpini, potrebbe essere impiegato utilmente per la rigenerazione del patrimonio zootecnico in Etiopia. Vi ha accennato anche il principe Liechtenstein nell'articolo da me segnalato al capo di Gabinetto di codesto ministero con le lettere 22 e 26 ottobre p.p. (1). So che rappresentanze ed istituti zootecnici dell'Austria sarebbero lieti di dare il proprio concorso. L'industria zootecnica, specialmente alpina, attraversa in Austria una grave crisi. Una possibilità anche modesta nel senso accennato produrrebbe ottima impressione.

Del pari potrà essere tenuto presente la già avvenuta od assicurata costituzione di organismi commerciali itala-austriaci a Vienna per l'avviamento di traffici tra l'Austria e l'Africa Orientale attraverso Trieste, su cui ho riferito a V. E. con il telespresso n. 3723/1979 del 23 ottobre u.s. (1).

Nelle conversazioni che l'E. V. avrà con il Cancelliere Federale e il segretario di Stato agli Esteri nei primi due giorni della Sua permanenza a Vienna, potrà essere chiarito ulteriormente ogni singolo punto del programma e creata una base più concreta alle successive conversazioni a tre.

Tutto fa sperare che questa prima conferenza degli Stati riuniti dai Protocolli di Roma corrisponda all'intensa aspettativa che è qui manifesta non solo nei circoli austriaci, ma anche nei circoli diplomatici. Essa trarrà anche maggiore importanza dal venire immediatamente dopo l'avvenimento politico internazionale di eccezionale importanza, quale si annunzia per tutti il discorso che pronunzierà oggi stesso a Milano il Duce e che sarà dedicato ai problemi di politica estera nel così incerto e agitato momento attuale.

Per tenere conto di questa aspettativa, si ritiene alla Cancelleria federale che a conclusione della conferenza converrà non solo che sia pubblicato un ampio comunicato ufficiale -forse più ampio e particolareggiato del solito, se pur non in concorrenza con i molto prolissi comunicati delle riunioni della Piccola Intesa -ma anche che l'E. V. faccia, in proprio, se pur in accordo con

gli altri due partecipanti, dichiarazioni che valgano a sottolineare il valore

politico di questa prima riunione a tre e di questa prima visita di V. E. a Vienna,

che è -come ho già accennato in precedente rapporto -la prima visita di un

ministro del Regno d'Italia alla capitale austriaca dal 1881.

Un raffronto fra l'Austria di allora e quella di oggi sarebbe fuor di posto e ingeneroso per chi darà a V. E. l'ospitalità più calorosa e sincera. Ma, se pur contenuto nell'intimo della nostra coscienza, un raffronto fra l'Italia del 1881 e quella dell'anno XI dell'Era Fascista, fra l'Italia che doveva essere appena tollerata nella Triplice e l'Italia imperiale di oggi, fra l'Italia di Depretis e quella di Mussolini, fra la senilità pavida di Mancini e la giovinezza ardita e operosamente saggia dell'E.V., questo raffronto riempie gli Italiani di ben giusto orgoglio e di sicurezza per l'avvenire.

(l) Vedi D. 240.

(l) Il segretario di Stato Schmldt era stato In visita a Budapest nel giorni 26-28 ottobre.

(l) -Vedi D. 264. (2) -T. 10729/233 R. del 29 ottobre, non pubblicato.

(l) Vedi D. 274.

(l) -Il 12 maggio precedente, l'allora ministro degli esteri austriaco, Berger Waldenegg,nell'accusare ricevuta della nota con cui il governo italiano comunicava il passaggio dell'Etiopia sotto la sovranità dell'Italia e l'assunzione del titolo di imperatore d'Etiopia da parte di Vittorio Emanuele III, aveva espresso la sue «più calorose felicitazioni» per l'avvenimento. (2) -Si tratta del «Comitato del 28 » per la riforma del Patto della Società delle Nazioni. In realtà, la sua riunione fu poi rinviata ed ebbe luogo dal 14 al 16 dicembre. (l) -T. 10769/234 R. delle ore 13,30, non pubbllcato: 11 contenuto è qui riassuntivo. (2) -Vedi p. 129, nota 2.

(l) Non pubblicati.

329

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10867/78 R. Belgrado, 2 novembre 1936, ore 13,40.

Giornali pubblicano stamane ancora, senza commenti, testo discorso pronunciato dal Duce a Milano (1). Per quanto in assenza Stojadinovic venga mancare centro determinante opinione pubblica capitale, risulta che impressione è profonda e favorevole. Sopratutto nei circoli parlamentari di sinistra, accenno fatto Duce alle relazioni future colla Jugoslavia (2), ha avuto accoglienze ottime e senza riserve. Fra i nazionalisti germanofili, invece, riserve sono particolarmente acri nei riguardi rivendicazioni ungheresi. Ambienti economici sono poi specialmente sensibili alle possibilità che loro può offrire una sollecita sistemazione dei rapporti tra i due Paesi.

Qualora V. E. nulla abbia in contrario, pregherei informarne urgentemente di quanto precede S. E. Alfieri, che da Milano mi ha telefonicamente chiesto notizie al riguardo.

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IL CAPO DI GABINETTO, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 2 novembre 1936, ore 18,15.

Il senatore Salata ha telefonato da Vienna per far presente che n discorso del Duce, mentre è stato accolto con vivo compiacimento per la parte che all'Austria è dedicata, ha suscitato qualche delusione, per le espressioni di maggiore

basi d! una concreta amicizia i rapporti tra questi dUe Paesi».

simpatia che il Duce ha avuto nei riguardi dell'Ungheria; è stato poi notato che il Duce non ha fatto parola degli accordi italo-austro-ungheresi, né del prossimo convegno di Vienna.

II senatore Salata suggerisce che per rettificare tale stato d'animo basterebbe che la nostra stampa di domani mettesse in rilievo il prossimo viaggio di S. E. Ciano a Vienna e riconfermasse, a proposito del prossimo convegno in quella città, in relazione anche ad alcune frasi del discorso del Duce, le disposizioni dell'Italia nei riguardi dell'Austria e Io spirito dei Patti di Roma. Quanto i nostri giornali pubblicherebbero in proposito verrebbe naturalmente ripreso dalla stampa austriaca (1).

(l) -Si riferisce al ·discorso del lo novembre per U quale vedi Opera Omnta, vol. XXVIII, pp. 67-72. (2) -Nel suo discorso. Mussollnl aveva detto che tra Italia e Jugoslavia l'atmosfera era "'grandemente migliorata» ed aveva poi aggiunto: «dichiaro che oggi orma! esistono le condizioni necessarie e sufficienti di ordine morale, politico ed economico per mettere su nuove
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10863/652 R. Parigi, 2 novembre 1936, ore 20,22 (per. ore 0,20 del 3).

Mio t elespresso n. 2507 del 24 ottobre u.s. (2).

Tornando a parlarmi del contenuto della risposta italiana alla nota inglese drca nuova Locarno (3), Léger mi ha detto che de Chambrun era stato incaricato di compiere un passo presso V. E. (4) per far osservare che intendimenti del governo italiano di mantener nuovo trattato entro i limiti precisi di quello di Locarno (vale a dire di conservare ad Italia e Gran Bretagna esclusivo carattere Stati garanti, escludendo possibilità che essi siano d'ora innanzi garanti e nello stesso tempo garantiti) sembrava al governo francese non concordare con accordi militare ed aereo stipulati tra l'Italia e la Francia (5).

De Chambrun aveva risposto che V. E. gli aveva assicurato che accordi m~desimi conservavano intero loro valore. Léger deduceva da tale risposta che ambasciatore non aveva esattamente compreso termini della questione. Governo francese desidera infatti richiamare attenzione del governo· fascista sul fatto cne, in base agli accordi militare ed aereo suddetti, era stato stabilito fra .l!'rancia e Italia garanzia reciproca in determinate circostanze e pertanto modificava, nei riguardi dei due Paesi in questione, la situazione esistente in base al trattato di Locarno. Ora governo italiano dichiara che esso non potrebbe ammettere un nuovo trattato in cui Francia e Italia si garantissero vicendevolmente. Governo francese non comprende questo atteggiamento, dato che, a suo modo di vedere, governo fascista aveva accettato di essere garantito con gli accordi militari ed aereo. Léger mi ha pregato quindi di spiegare meglio

a V. E. quale era la reale portata della richiesta francese, aggiungendo che assicurazione data a de Chambrun, mentre riesce assai gradita al governo francese, rende ancora più necessario chiarimento di cui si tratta.

(l) -Il documento ha il visto di Mussollnl. (2) -Non rintracciato. (3) -Vedi D. 240. (4) -Su questo passo dell'ambasciatore di Francia, non è stata trovata documentazione ma si veda quanto riferiva lo stesso ambasciatore de Chambrun circa il suo colloquio con Ciano del 26 ottobre in DDF, vol. III, D. 410. (5) -Si riferisce alla Convenzione M1lltare sottoscritta da Badoglio e Gamelin Il 28 giugno 1935 (per la quale si veda serle ottava, vol. I, D. 480) e agli accordi di collaborazione aerea del 13 maggio 1935 (testo ibid., D. 196).
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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10865/204 R. Bruxelles, 2 novembre 1936, ore 21,22 (per. ore 0,20 del 3).

Discorso del Duce è commentato sopratutto nel passaggio relativo pericoli insiti pace indivisibile. Mentre maggior parte stampa rileva che pensiero capo del governo corrisponde a quello stesso di Re Leopoldo, felicitandosi quindi per nuova direttiva politica belga, giornali socialisti insinuano invece che opposizione Roma Berlino alla sicurezza collettiva condurrà guerra.

Del pari, mentre la stampa di destra rileva che discorso del Duce si ispira schietto realismo, quella democratica e socialista getta grido di allarme per questione rivendicazioni ungheresi (1), sostenendo inoltre che discorso del Duce non recherebbe alcun contributo alla ricostruzione dell'Europa ed alla organizzazione della pace. Alcuni giornali decantano (2) che rivelazione relativa patto austro-tedesco (3), dimostrano che l'Italia è !ungi essere a rimorchio della Germania per quanto concerne Austria ed Europa Centrale. Infine, quasi tutta la stampa rileva che rapporti itala-inglesi non risultano facilitati discorso Milano.

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IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10822/114 R. Praga, 2 novembre 1936, ore 21,30 (per. ore 2,15 deZ 3).

Riferisco Stetani primi affrettati commenti questa stampa, edizione ridotta del lunedì, circa discorso di S. E. il capo del governo, che ha prodotto profonda impressione questi ambienti politici e diplomatici.

A parte risentimento per deciso attacco ideologie ginevrine e malcelato rammarico per accentuazione amicizia itala-germanica, è viva l'amarezza per recisa riaffermazione revisionismo a favore dell'Ungheria (l) contro cui è ribadita volontà intransigente solidale della Piccola Intesa. Si esprime soddisfazi.one per amichevole atteggiamento verso Jugoslavia. Non si vuole mostrare di ritenere gesto Duce diretto sgretolare Piccola Intesa e si dice amicizia Italia verso Jugoslavia potrà, in definitiva, favorire riavvicinamento Italia-Piccola Intesa dati indissolubili vincoli fra i tre Stati componenti.

334.

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10959/373 R. Saint Jean de Luz, 2 novembre 1936 (per. il 5).

Mio telegramma n. 357 (1).

Governo autonomo basco ha testé aperto a Bidart (circa a mezza strada tra Biarritz e Saint Jean de Luz) propria agenzia officiosa incaricata occuparsi sopratutto approvvigionamenti, traffico armi ed informazioni militari. Essa è diretta da generale Urzai che è in relazione con altri agenti baschi all'estero principalmente Praga, Brusselle e Parigi, oltreché con elementi Fronte Popolare francese. A Parigi fiduciario sarebbe certo Picasea per ora non meglio identificato. Mi assicurano che agenzia godrebbe ogni facilitazione e tacito appoggio da parte autorità francesi.

Trattasi di nuova conferma volontà separatisti baschi affermare indipendenza riconosciuta loro da governo Madrid e preparasi difenderla aspramente grazie anche a nuovi armamenti giunti Bilbao in questi ultimi tempi sopratutto di provenienza russa. A tal proposito e richiamandomi a telegramma di questo corrispondente Stetani circa arrivo Bilbao centinaio carri armati provenienza U.R.S.S. con equipaggio sovietico, segnalo che questi sono stati accolti con notevole freddezza da parte separatisti che, come noto, si vantano essere in grande maggioranza di sentimenti cattolico-conservatori. Comunque separatisti stessi si sono rifiutati inviarli su fronte Asturie in appoggio minatori che combattono intorno Oviedo, come desiderava Madrid, preferendo utilizzarli su fronti da cui più strettamente Bilbao è minacciata, anche se qui situazione è per il momento più calma. Baschi insomma intendono ormai battersi unicamente per conservare propria indipendenza e non fanno alcun mistero loro velleità nettamente separatiste e non soltanto autonomiste. Tali velleità riceverebbero continui incoraggiamenti da parte agenti francesi che vorrebbero mantenere almeno questa carta nel loro gioco, di fronte a futura Spagna nazionalista e a Catalogna ormai infeudata più a Mosca che a Parigi (2).

335.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 10996/0309 R. Parigi, 2 novembre 1936 (per. il 6).

Nel corso delle conversazioni che ebbi avantieri con Léger e Delbos (3), essendo il discorso caduto sopra la delicata questione delle credenziali del nuovo ambasciatore di Francia a Roma, ebbi cura di informarli confidenzial

mente dell'atteggiamento che aveva deciso di assumere al riguardo il governo cileno accedendo alla richiesta del governo fascista che le lettere credenziali del nuovo ambasciatore fossero indirizzate a S. M. il Re di Italia, Imperatore di Etiopia.

Léger mi rispose che la cosa non poteva avere gran peso per il governo francese, dato che il suo risentimento era la conseguenza del differente trattamento fatto alla Francia ed agli Stati Uniti. Aggiunse anzi che, siccome la stampa francese di destra parlava della questione imputando al Quai d'Orsay un malcelato malanimo verso l'Italia, egli riteneva che sarebbe stato necessario esporre chiaramente come stessero le cose, in modo che la opinione pubblica francese si rendesse conto che il Quai d'Orsay agiva mosso unicamente dal bisogno di salvaguardare la dignità della Francia.

Ho osservato a Léger che mi sembrava che egli esagerasse. Credevo poi di doverlo mettere in guardia contro quello che egli credeva potesse essere un chiarimento, perché esso avrebbe invece reso più ardua la soluzione, che mi auguravo fosse trovata al più presto, in modo che il conte de Saint Quentin potesse raggiungere il Palazzo Farnese.

Delbos dal suo lato osservò soltanto che non si potevano mettere sullo stesso piano la Francia ed il Cile perché, se gli obblighi societari dei due Stati erano identici, la Francia aveva ragioni particolari di mostrarsi ligia al Patto, dato che tutta la sua politica dal 1919 in qua era stata diretta a sostenere ed a ),'afforzare la Società delle Nazioni.

(l) -Vedi p. 385, nota l. (2) -Slc. (3) -Nel suo discorso, Mussollnl aveva affermato che gli accordi austro-tedeschi dell'll lugliolrano stati da lui conosciuti ed approvati fin dal 5 giugno precedente. (l) -T. 10191/357 R. del 13 ottobre, ore 18.37. Riferiva che nella provincia di Bilbao si stavano intensificando gli sforzi per arginare !"avanzata delle forze nazionali. (2) -Nel giorni successivi, l'ambasciatore Pedrazzi riferiva a più riprese su la collaborazione prestata al separatist! baschi anche da alcune unità navali britanniche dislocate In quella zona. I baschi apparivano ora più fiduciosi perché ritenevano di poter contare su l'appoggio della Gran Bretagna (T. 11020/377 R. del 6 novembre, ore 18,30 e T. 11065/379 R. del 7 novembre, ore 19). (3) -Vedi D. 327.
336

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 3563/1422. Mosca, 2 novembre 1936 (per. il 9).

Negli sforzi che sto facendo per cercare di rendermi conto esatto dello stato d'animo e delle intenzioni sovietiche nei riguardi del problema spagnuolo, le conversazioni dirette col Narkomindiel non possono in questo momento essermi di molto aiuto. Data la posizione antitetica assunta dai due nostri governi davanti alla crisi che attraversa la Spagna e ancora di più data la insanabile contraddizione fra i principi del fascismo e del bolscevismo quale è stata pubblicamente proclamata negli ultimi tempi da entrambe le parti, V. E. certo comprende che io non posso attendermi dal signor Litvinov e dai suoi collaboratori se non un'attitudine di estrema riserva, poco favorevole alle conversazioni confidenziali ed ai sondaggi.

Conscio di questo inevitabile stato di cose, giudico buona politica di astenermi pel momento dal sollecitare dei contatti destinati con ogni probabilità a non portare alcun frutto e mantengo quindi per parte mia un'attitudine altrettanto riservata. Ciò non toglie beninteso che io mi adoperi a scandagliare il pensiero di questi circoli dirigenti per via indiretta, attraverso quelle persone che mi constano essere vicine agli uomini di governo. In questa direzione, credo possa essere di qualche interesse all'E. V. conoscere quanto m1 è risultato da conversazioni recenti.

Premetto che negli ambienti diplomatici di Mosca circola molto un certo barone Steiger, di lontana origine svizzera ma nato in Russia e suddito sovietico. Egli è una delle poche persone del vecchio mondo russo che sono state accettate dal nuovo regime. Uomo di mondo, conoscitore di parecchie lingue straniere, socievole e di tratti simpatici, il barone Steiger frequenta assiduamente le riunioni mondane del corpo diplomatico, intrattenendo rapporti cordiali con molti capi missione. La sua posizione ufficiale non è importante, avendo egli un vago posto di «consulente l> presso la direzione generale dell'lntourist. Di fatto, però, lo Steiger è un agente del commissariato del popolo per gli Affari Esteri ed ha notoriamente una funzione di «informatore l>. Al tempo stesso egli agisce talvolta come porta-parola ufficioso del governo, il quale si serve di lui per far dire ai rappresentanti esteri ciò che preferisce di non dire in via ufficiale. Mi consta che tutti i miei predecessori hanno intrattenuto relazioni personali collo Steiger il quale, oltre a prestarsi volentieri nel facilitare al diplomatico straniero la soluzione dei numerosi problemi che presenta la vita quotidiana a Mosca, può essere talvolta un utile informatore e commentatore su uomini ed avvenimenti.

Ho conosciuto anch'io, fin dai primi giorni di mia residenza qui, il barone Steiger, il quale è venuto a vedermi all'ambasciata un paio di volte. Nell'ultimo nostro incontro, successivo alla mia visita a Litvinov. egli ha parlato a lungo della questione spagnola e delle «sfortunate reazioni :1> che essa aveva avuto sui rapporti itala-sovietici. Si è sforzato di persuadermi che, malgrado le apparenze, il governo di Mosca non ha mai desiderato né incoraggiato il movimento comunista in Spagna e mi ha lasciato capire che la propaganda fatta in quel Paese dalla Terza Internazionale non era mai riuscita gradita al Narkomindiel, in quanto che esso presentiva le dannose ripercussioni che ne potevano derivare per la politica estera « realista e nazionale l> di Stalin e dl Litvinov. Lo Steiger aveva insistito con me sulla gravità della situazione internazionale causata dalla crisi spagnuola, ed espresso ripetutamente la speranza che le maggiori Potenze interessate riuscissero a trovare una soluzione conciliante (? ! ) .

Ieri lo Steiger, in una lunga conversazione avuta con un segretario della

R. ambasciata, è ritornato su questi stessi concetti, ed ha accentuato i pericoli della odierna tensione internazionale, osservando che se si permette che il problema spagnolo assuma fra le Potenze il carattere di una « questione di prestigio l>, le conseguenze potrebbero essere tragiche. Dopo di che, egli ha insinuato che una via di uscita potrebbe forse essere trovata, qualora ad esempio alcuni paesi «neutrali:~>, come potrebbero essere certe repubbliche dell'America Latina, prendessero l'iniziativa di proporre una mediazione fra il governo di Madrid e quello del generale Franco.

Questa idea, non originale e quasi assurda nel momento attuale, non meriterebbe forse che neppure io la segnalassi, se non avessi l'impressione che essa sia stata suggerita allo Steiger dallo stesso commissariato degli Affari Esteri e diventa perciò abbastanza sintomatica dello stato d'animo degli ambienti ufficiali.

Che questi siano seriamente preoccupati della piega presa dagli avvenimenti spagnuoli e della tensione creatasi in seno al Comitato di non intervento a Londra, ho già avuto occasione di segnalare a V. E. coi miei telegrammi (1). Io sono anche portato a credere che Litvinov, nonostante il tono spavaldo della stampa sovietica, si sforzi per non lasciar peggiorare la tensione e che questa sua attitudine, ovviamente approvata da Stalin, incontri l'ostilità degli elementi più accesi della Comintern.

È da chiedersi se Litvinov possa oggi seriamente pensare alla praticità della idea della mediazione quale è stata insinuata dallo Steiger. Io sono incline a dubitarne. Comunque, il discorso fatto da quest'ultimo ha voluto dire in sostanza: «Noi non desideriamo un conflitto e siamo disposti ad arrivare ad un compromesso sulla questione spagnuola. Se però ci spingete contro il muro, saremo forzati di reagire, e le conseguenze ne potrebbero essere molto serie~-In ciò si scorge un certo qual tono di minaccia, che è difficile dire se risponda o meno alle reali intenzioni dell'U.R.S.S. Ho voluto comunque segnalarla all'E. V., anzitutto per debito di informazione, ed in secondo luogo perché le parole dello Steiger, qualunque sia l'importanza che possa esservi attribuita, servono in ogni modo a lumeggiare lo stato d'animo di questi ambienti governativi (2).

337.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO (3)

T. PERSONALE S.N.D. 4828/218 R. (4). Roma, 3 novembre 1936, ore 14,45.

Sarà bene che tu faccia fin d'ora capire a Franco l'opportunità per la Spagna fascista di uscire dalla S.d.N., qualora l'Italia ne esca (5).

338

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10926/312 R. Ankara, 3 novembre 1936, ore 15,23 (per. ore 23,40).

Discorso Milano di S. E. capo del governo . prodotto formidabile impressione. È oggetto conversazioni circoli diplomatici e politici. Da taluni si rico

T. -S/1236 delle ore 18: «Rispondo al telegramma di S. E. il Ministro inviato via Tanger!.Generale Franco al quale ho rappresentato opportunità che Spagna fascista abbandoni Lega qualora Italia ne esca, mi ha dato Incarico di assicurare V. E. nella maniera più ampia e formale che suo governo, qualora dovesse verificarsi predetta eventualità, lascerà Immediatamente Società delle Nazioni. Franco ha aggiunto: nel prendere fino da ora tale preciso impegno,desidero confermare che Spagna nazionalista sarà sempre vicino all'Italia in tutte le questioniinternazionali sia dentro che fuori Ginevra».

nosce essere il più importante discorso politico pronunciato in Europa nel dopoguerra.

Aras (certo per dimostrarmi l'interesse che gli aveva destato), dopo averlo qualificato per franco e salutare, lo ha riletto per intero dinanzi a me iersera chiosandolo di innumerevoli osservazioni che risparmio a V. K Mi limito far notare a V. E. che il buffone (l) ha dichiarato consentire persino a pensiero esposto su sicurezza collettiva pace indivisibile e patto societario. Non avrebbe certo portato il lutto per la morte della S.d.N. A mia stupita domanda ha risposto avere sostenuto tali principi solo per fare piacere al suo amico Litvinov. «Ma questi principi erano anche nel brindisi di Ismet Pascià », ho esclamato! (mio telegramma n. 304 del 31 ottobre) {2). Circa offerta intesa all'Inghilterra ha auspicato avvenisse quanto più presto ed estesa possibile. Egli la riteneva pienamente attuabile se si rinunziasse dalle due parti a qualsiasi egemonia. Ma se l'intesa dovesse sboccare in patti concreti da essi' non potrebbero essere estranei, né Francia, né Stati del Mediterraneo Orientale. Stimava però difficile negoziare in questo momento un accordo mediterraneo e non sapeva vedere quale formula avrebbe potuto escluderne Germania e Soviet. Era concorde su politica della pace armata.

Stampa riprodotto integralmente riassunto Stetani dando rilievo tipografico a punti più salienti e pubblicato larghi commenti giornali esteri. Non mi risulta però, fino a questo momento, se giornali Stambul abbiano propri commenti. Do istruzioni quell'ufficio Stampa segnalarli prontamente a V. E.

(l) -Vedi D. 313. (2) -Annotazione a margine: «Visto da S. E. il Ministro». (3) -Anfuso era stato inviato in missione presso Franco a Salamanca dove era giunto il 2 novembre via Tetuan. Ripartì da Salamanca il 16 novembre. (4) -Minuta autografa. Il telegramma fu comunicato tramite il consolato generale a Tangerl. (5) -Il 12 novembre, Anfuso rispose con il seguente telegramma trasmesso dal S.l.M. con
339

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 10891/144 R. Berna, 3 novembre 1936, ore 20,35 (per. ore 23,40).

Ho veduto oggi Motta il quale ha ascoltato discorso del capo del governo in · mezzo alla folla nella piazza del Duomo a Milano e ha riportato una impressione profonda tanto dalla manifestazione fascista, quanto dalle parole del Duce. Egli mi ha definito discorso « bello e potente » essendo italiano di lingua e di cultura -sono sue parole -ha potuto apprezzare alto valore e grande bellezza di tutte le espressioni ed è dispiacente che le traduzioni divulgate in Europa sminuiscano la precisione di alcune frasi. Ha comunicato stamane al consiglio federale le parole lusinghiere che riguardano la Svizzera (3) e mi prega di ringraziare S. E. iì capo del governo, assicurando che quelle parole, accolte con compiacimento da tutti gli svizzeri, sono state comprese in tutto il loro significato dai consiglieri federali che ne sono stati confortati e ne hanno avuto

grande piacere. Motta le ha sentite con vera gioia. Egli mi ha dichiarato che approva tutto il discorso del Duce perché tutto quanto vi è detto è giusto.

Trova molto dure e lo addolorano parole rivolte alla S.d.N. e spera sempre che Italia riprenda collaborazione societaria che sola può eliminare funesta influenza che ora domina movimenti a Ginevra (l): riconosce però che il comportamento S.d.N. verso l'Italia giustifica tutti i risentimenti ed anche asprezza del discorso del Duce. Condivide pienamente giudizio negativo sulla sicurezza collettiva e sulla pace indivisibile e dice che molti a Ginevra ne riconoscono assurdità, benchè non abbiano coraggio dirlo apertamente.

Egli hft detto che discorso di Milano, che giudica molto misurato in tutte le affermazioni politiche, chiarificherà atmosfera in Europa. Ritiene che l'Inghilterra non possa non accogliere l'invito così leale rivoltole per una intesa Mediterraneo. Riconosce altresì che atteggiamento verso la Francia è giustificato dalla politica del Fronte Popolare. Motta critica acerbamente le grandi Potenze che non riconoscono il fatto compiuto in Etiopia e dichiara inutile la convocazione del Comitato dei 28 per la riforma della S.d.N. se l'Italia fosse impedita di parteciparvi.

Ho l'impressione che il discorso del Duce avvincendo così profondamente Motta, gli abbia dato un piacere che non ha spesso: quello di sentirsi italiano. Non ho mai finora udito dalle sue labbra una così piena adesione alle parole del Duce.

(l) -Nota del documento: «Slc ». (2) -T. 10810/304 R. delle ore 19,50. Riferiva circa la visita di Stojadinovic ad Ankara, riportando anche il contenuto dei brindisi pronunciati in tale occasione. (3) -Nel suo discorso Mussolini aveva detto: «Uno dei Paesi confinanti con l'Italia e con il quale le nostre relazioni furono, sono e saranno estremamente amichevoli, è la Svizzera. Paese piccolo, ma di una importanza grandissima e per la composizione sua etnica e per la posizione geografica che occupa nel quadrivio di Europa ».
340

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10920/171 R. Varsavia, 3 novembre 1936, ore 21,36 (per. ore 0,30 del 4).

Ho ripetuto oggi a Beck quanto V. E. mi ha autorizzato comunicare qui col telegramma n. 109 (2). Evidentemente nostro atteggiamento verso la Polonia nell'eventualità del resto poco probabile di una risurrezione del Patto a Quattro non gli riusciva nuovo. Il governo Polacco è stato già a più riprese assicurato su questo punto, sia a Roma che a Varsavia. Beck peraltro si è mostrato molto soddisfatto della comunicazione e mi ha pregato di ringraziarne V. E. Egli si è detto grato del modo amichevole con cui è stato da noi tenuto al corrente dei colloqui di Berlino dai quali mai ha temuto potesse nascere qualche cosa di contrastante con gli interessi polacchi, data l'amicizia italiana ed il fatto che rapporti tra Germania e Polonia sono stati da lui felicemente portati su un piano di reciproca comprensione. Beck ha aggiunto che non aveva ragione per temere tale comprensione venisse turbata. Passando ad altro, Beck si è mostrato spiacente dell'interpretazione data a Roma sull'atteggiamento di questa stampa durante il viaggio di V. E. a Berlino. Gli ho fatto rilevare come soprattutto nei primi giorni questi giornali fossero unanimi nel mettere in

evidenza i punti contrastanti ad una intesa fra l'Italia e la Germania trascurando i punti favorevoli (1). L'intonazione generale era poi di nervosità. Beck allora mi ha detto tutto ciò se pure esatto non era certo intenzionale tranne forse per qualche piccolo organo di nessuna importanza. Ho risposto a Beck che ne prendo atto ma che le apparenze hanno pure il loro valore.

(l) -Sic. (2) -Vedi D. 307.
341

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 10899/502 R. Berlino, 3 novembre 1936, ore 21,45 (per. ore 23,40).

Von Neurath, che ho visto oggi e che ha espresso sua piena soddisfazione per discorso tenuto dal Duce a Milano; accennando quindi al prossimo viaggio dell'E. V. a Vienna ha mostrato ritenere che in certi circoli austriaci si nutrano troppo facili entusiasmi di fronte avances Cecoslovacchia per un riavvicinamento economico prima e politico dopo. Secondo von Neurath, queste avances meritano invece una certa riserva, Cecoslovacchia (come Romania) costituendo un «esplosivo » capace di fare poi saltare per aria le combinazioni cui essa si mostra apparentemente desiderosa di partecipare.

Nell'occasione, von Neurath mi ha confermato che voci messe in giro da parte cecoslovacca che questo ministero degli Affari Esteri abbia fatto apertura a Praga per un patto bilaterale di non aggressione non (dico non) sono esatte, Germania avendo anzi fatto comprendere non essere preparata per intese flno a quando Cecoslovacchia rimanga mancipia della Russia bolscevica. Notizia pubblicata da certi giornali (compreso Times) che Germania insiste a Londra per una sollecita convocazione delle Potenze locarniane mi è stata da Neurath recisamente smentita (2).

342

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10897/118 R. Budapest, 3 novembre 1936, ore 21,45 (per. ore 0,30 del 4).

Mio telegramma n. 116 (3). Dimostrazioni di stampa, di consigli provinciali e comunali, dichiarazioni di politici e privati senza distinzione di partito, guadagnano (4) unanimità

di commozione popolo magiaro per il gesto Duce (l) e sua comprensione istintiva significato tale gesto per il suo destino. Nei circoli governativi ungheresi, per converso, è tuttora percepibile -accanto soddisfazione aperta -sorpresa malcelata per il fatto che governo fascista abbia ritenuto porre, nel presente momento e così decisamente, revisione ungherese tra questioni primo piano politica europea.

343.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11000/538 R. Londra, 3 novembre 1936 (per. il 6).

La notizia del recente colpo di Stato in Irak (2) è stata qui accolta con un riserbo che appena cela la sorpresa, il disappunto e financo la preoccupazione per lo sviluppo dei recenti avvenimenti in un Paese che sino a ieri era stato sotto diretto mandato britannico ed ancor oggi veniva considerato come un ossequiente e ben controllato protetto. Se gran parte dell'interesse strategico della Inghilterra in Palestina è dovuto al fatto che a Caifa fa capo la pipe-line deì. petrolio di Mossul, a più forte ragione viene seguito con sospetto qualsiasi evento che possa minacciare di compromettere il controllo britannico sui pozzi stessi, che rappresentano una delle principali fonti di rifornimento dell'Impero. I primi atti del nuovo governo di Bagdad vengono quindi seguiti con la più grande atteuzione; i motivi immediati o remoti del recente colpo di Stato, ricercati con palese interesse. Le pronte dichiarazioni del primo ministro Hikmat Suleiman nel senso che il nuovo governo intende mantenere amichevoli relazioni con l'Inghilterra, vengono vagliate criticamente alla luce della figura del generale Bekir Sidqi, l'anima della rivolta, noto per il suo intenso nazionalismo e per lo scarso favore mostrato in passato verso l'alleanza anglo-irakiana. La ferocia di cui egli ebbe a dar prova nel sopprimere la rivolta assira del 1933 è ricordata ancora oggi come aspetto del carattere di un uomo deciso a tutto, ben più difficile a trattare nella sua futura probabile parte di dittatore che non l'assassinato generale Jafar-el-Askani, rispettosamente grato per l'« amicizia» del governo di Londra. Lo stabilimento in Irak di un governo a impronta prettam(;)nte militare, e destinato pertanto a perseguire una politica di nazionalismo e di espansione dell'esercito, non può certo far piacere all'Inghilterra che lungo l'Eufrate, sotto le apparenze di una alleanza protettiva e con la benedizione di Ginevra, si era assicurata il controllo della strada maestra delle sue comunicazioni aeree imperiali.

29-Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

La Gran Bretagna sente a Bagdad scricchiolare uno degli architravi del suo impero. Anche escluso alcun serio pericolo immediato, la sensazione non è piacevole. Non è poi senza amarezza che, ad esempio, nel Times implicitamente si constata come anche questa sia una conseguenza indiretta della questione abissina. Segnalo a questo riguardo una corrispondenza da Gerusalemme alla quale il Daily Herald dà carattere sensazionale ed in cui si accusa «la Germania, ed in minor misura l'Italia, di aver usato la propria influenza per provocare la rivolta militare che ha portato al potere nell'Irak un governo antibritannico ». Parte diretta nella rivolta avrebbe avuto, secondo il Daily Herald, il console germanico a Bagdad, il quale è stato, in tempi recenti, in continuo contatto con i capi militari irakeni e con emissari del governo di Berlino.

344.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A VIENNA, SALATA

T. 4834/201 R. Roma, 4 novembre 1936, ore 1.

Ho consegnato oggi questo ministro d'Austria schema protocollo segreto da firmare in occasione riunione Vienna e uno schema comunicato. Le telegrafo a parte schema protocollo e comunicato (l). Analoga comunicazione ho fatto a questo ministro d'Ungheria. Sarebbe mio desiderio e risponderebbe interesse lavori riunione Vienna che, come già avvenne per incontro Berlino e Berchtesgaden, protocolli e comunicato venissero definiti prima mia partenza e quindi possibilmente entro venerdì sera. Osservazioni di codesto governo dovrebbero essermi fatte conoscere con la massima sollecitudine.

Per ragioni inerenti alla cifra pregola ritrasmettere subito ambedue i telegrammi a Budapest usando medesimo cifrario CA R 28) e avvertendo Budapest della ragione della ritrasmissione.

345.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI

T. 4836/139 R. Roma, 4 novembre 1936, ore 1.

Suo 224 (2) e precedenti.

S. V. può assicurare il generale Metaxas che ogni disposizione sarà presa perché in occasione traslazione in Patria delle salme dei Reali greci siano accordate tutte le possibili agevolazioni e siano resi i maggiori onori tali da soddisfare sentimento nazionale greco.

Sono di massima d'accordo con S. V. su proposta di autorizzare trasporto salme da Firenze a Brindisi su treno reale, assegnare una scorta d'onore e fare accompagnare convoglio fino al Pireo da nostre navi da guerra, che vi sosterebbero un paio di giorni. Mi riservo comunicarLe in dettaglio disposizioni prese.

(1) -Vedi D. 296. (2) -Ciano telegrafava d! avere preso atto delle dichiarazioni di von Neurath e di essere pienamente d'accordo sul fatto che le avances cecoslovacche, cosl come quelle romene, andavano considerate con riserva (T. 4867/329 R. del 6 novembre, ore 11). (3) -Non rintracciato. (4) -S!c. (l) -Si riferiva a quanto Mussolini aveva dichiarato nel discorso del 1o novembre a Milano circa la necessità di riparare 1 torti fatti all'Ungheria con il trattato di pace del 1920. Mussolini aveva detto: «Sinché non sarà resa giustizia all'Ungheria non vi potrà essere sistemazione definitiva degli interessi nel bacino danubiano. L'Ungheria è veramente la Grande Mutilata: quattro milioni di magiari vivono oltre i suoi confini attuali. Per volere seguire i dettami di una giustizia troppo astratta, si è caduti in un'altra ingiustizia forse maggiore. I sentimenti del popolo italiano verso il popolo magiaro sono improntati ad uno schietto riconoscimento, che del resto è reciproco, delle sue qualità militari, del suo coraggio, del suo spirito di sacrificio. Ci sarà, forse, prossimamente un'occasione solenne nella quale questi sentimenti del popolo italiano troveranno pubblica e clamorosa manifestazione ». (2) -Il 29 ottobre, un colpo di stato aveva portato alla costituzione, in Iraq, di un nuovo governo presieduto da Hikmat Suliman. Il generale Bekir Sidqi, considerato l'elemento di maggiore spicco nella rivolta, aveva la carica di capo di Stato Maggiore. (l) -Con T. 4833/200 R. in pari ora e data. (2) -T. 10756/224 R. del 30 ottobre, ore 21,35. Il ministro Boscarelli riferiva che Metaxas gli aveva chiesto notizie circa le decisioni del governo italiano a pwposito della traslazione delle salme dei sovrani greci. Metaxas intendeva inviare in Italia il vicepresidente del consiglio e due ministri i quali si sarebbero recati anche a Roma per presentare a Mussolini e a Ciano i ringraziamenti del popolo greco.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. 4842/88 R. (l). Roma, 4 novembre 1936, ore 24.

Ho la sensazione che costì, nonostante le chiare espressioni di simpatia per la Jugoslavia, il passo del discorso del Duce a Milano, relativo al revisionismo ungherese venga interpretato diretto anche contro la Jugoslavia stessa.

Negli eventuali colloqui, V. S. potrà rilevare: l) che è nostra idea che l'Ungheria debba trovare un modus vivendi con Belgrado, facendo convergere su altri settori, del resto a tal fine più rilevanti, il suo dinamismo irredentista; 2) che il Duce parlando di revisione intendeva ed intende mantenere il concetto altre volte ampiamente espresso di revisione pacifica.

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IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. l (2). [Salamanca], 4 novembre 1936 (3).

Ho visto due volte generale Franco che mi ha incaricato di esprimere sua riconoscenza a V. E. per sollecitudine con cui è venuto incontro alle sue richieste e per comprensione dimostrata verso causa nazionale spagnola. Franco mi ha detto avere inteso profonda portata discorso pronunciato dal Duce a Milano specie per quanto si riferisce lotta antibolscevica.

Riassumo punti conversazione circa i quali riservomi riferire particolareggiatamente a V. E.:

l) MOVIMENTO SOCIALE. Generale Franco intende seguire, come del resto è apparso dal suo recente proclama, linee segnate dal Duce circa inquadramento sindacale e corporativo della Nazione. Si riserva di richiedere consiglio diretto di esperti italiani. Vuole però sin d'ora assicurare che, così come è stato espresso dalla pratica del fascismo, egli intende sviluppare movimento falangista in senso popolare.

2) INTESE ITALO-SPAGNOLE. Ho esposto al generale Franco schema possibili intese itala-spagnole circa trasporti marittimi, aerei, accordi industriali, commerciali, bancari ecc.... Generale ha per primo sottolineato necessità intensa collaborazione economica fra i due Paesi. Ha assicurato che impartirà sin d'ora precise istruzioni perché si esaminino nostre richieste con spirito riconoscente ed amichevole.

3) RICONOSCIMENTO GOVERNO NAZIONALISTA. Generale Franco ritiene che Francia ed Inghilterra opporranno qualche ritardo prima di giungere al riconoscimento del suo governo. Ma deve registrare un certo recente interessamento francese ed inglese ai casi della rivolta nazionalista. Non crede perciò che riconoscimento tarderà a lungo. Nell'eventualità di un governo Daladier, pensa che riconoscimento sarà più probabile che con Blum.

4) SITUAZIONE GENERALE. Generalissimo ritiene che catalani avrebbero già ceduto se non fossero stati incitati da esortazioni e sorretti da aiuti marxisti. Considera ancora dura la lotta su quel settore e indispensabile ulteriore aiuto militare italiano. È molto grato per concessione sottomarini la cui azione può essere decisiva ai fini della liberazione delle coste spagnole ancora in mano dei ribelli. Ritiene non avere ancora bisogno appoggio volontari stranieri e ancora in questi giorni ha declinato offerta generale irlandese O'Duffy che è qui a Salamanca. Ma non sa quali sviluppi possa assumere situazione qualora si verifichino esatte informazioni circa possibile sbarco in Catalogna grossi contingenti sovietici. Non precisa alcuna data circa sua entrata a Madrid ma è qui opinione generale che capitale potrà essere occupata dentro settimana.

Parto domani insieme generale Roatti in direzione Getafe e sarò di ritorno a Salamanca, dove rivedrò generale Franco, giorno 5 corrente.

(l) -Minuta autografa. (2) -I telegrammi di Anfuso da Salamanca recano una numerazione progressiva speciale. (3) -Vedi p. 381, nota 3. n telegramma fu spedito tramite il Servizio Informazioni Militare.
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IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11039/041 R. Budapest, 4 novembre 1936 (per. il 7).

In via di conversazione, il signor Darànyi mi ha detto stasera che, all'indomani del suo discorso di presentazione alla Camera (mio telespresso numero 11592/129, del 22 ottobre u.s. (1), questo ministro di Jugoslavia si era recato da lui per chiedergli se le frasi concernenti il trattamento delle minoranze ungheresi contenute in tale discorso si fossero riferite, nella sua intenzione, anche alle minoranze ungheresi in Jugoslavia; chè, se così fosse stato, doveva fargli osservare essere i suoi appunti ingiustificati. Egli aveva risposto al signor Vukcevic che tale era stata precisamente la sua intenzione: i fatti

minoranze.

non gli consentivano di pensare diversamente. Sei giorni dopo, il governo jugoslavo, «probabilmente in relazione con la distensione in corso tra Roma e Belgrado », aveva improvvisamente preso delle disposizioni atte a far rispettare taluni diritti delle minoranze ungheresi. È noto del resto -ha aggiunto che già da tempo il governo di Berlino esercita insistenti pressioni in senso analogo su quello di Belgrado «con cui intrattiene tanto cordiali rapporti».

Il signor Kànya, che ho visto pure oggi, mi ha detto da parte sua -con esplicito richiamo alle parole dedicate dal Duce alla Jugoslavia nel discorso di Milano -che anche questo governo sarebbe sempre disposto, in massima, ad esaminare la possibilità di un avvicinamento alla Jugoslavia, in favore del quale -ha trovato il modo di rammentare incidentalmente -pure Berlino e Varsavia hanno rinnovato negli ultimi tempi premure così a Belgrado come a Budapest; ma considererebbe indispensabile, per addivenirvi, che alle profferte amabili ed accorte di Stojadinovic «desideroso di mettersi bene con tutti » potessero anche seguire, da parte di Belgrado, -e non soltanto per quanto concerne il trattamento delle minoranze magiare -concessioni sufficienti e durature. Il che -ha concluso -gli sembrava però assai poco probabile.

(l) Non pubblicato. Nel suo discorso programmatico alla Camera, il 21 ottobre precedenteDarànyi aveva dichiarato che era intenzione del nuovo governo seguire con la più grande attenzione le sorti delle minoranze ungheresi esistenti negli Stati confinanti, anche perché la Società delle Nazioni non si era dimostrata all'altezza dei suoi compiti nella protezione delle

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L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11040/026 R. Bucarest, 4 novembre 1936 (per. il 7).

Ieri ha fatto ritorno a Bucarest Re Carol reduce dal suo viaggio a Praga (1).

Dalle prime informazioni che è stato possibile raccogliere qui da buona fonte risulterebbe che Sovrano di Romania e Benès avrebbero preso in esame tutte le principali questioni europee. Nel timore di una risurrezione Patto a Quattro sarebbe stato deciso che Cecoslovacchia e Romania seguano con la maggiore attenzione politica grandi Potenze per provvedere d'accordo tutela loro diritti di piccoli Paesi. Per quanto concerne rapporti con la Russia, Benès avrebbe esercitato pressioni per indurre Re Carol a seguire, sull'esempio cecoslovacco, una politica di piena intesa con i Soviet. Il Sovrano romeno avrebbe resistito a tali pressioni affermando che situazione della Romania è diversa da quella della Cecoslovacchia anche per il fatto che Romania ha frontiere comuni con Russia, circostanza questa che la espone in maggior misura ai pericoli della propaganda bolscevica. Pertanto, stato dei rapporti romeno-sovietici rimarrebbe immutato.

Benés ha voluto dimostrare come trattato ceco-russo sia profittevole a tutti i membri della Piccola Intesa.

Si è riconfermata pertanto l'utilità per ciascuno Stati membri concludere amicizie con altri Stati. (Di sicurezza collettiva non si è parlato neppure nei comunicati ufficiali).

Re Caro! avrebbe vivamente consigliato la Cecoslovacchia di migliorare suoi rapporti con Polonia (l). Questione convenienza seguire politica del Belgio sulla via della neutralità sarebbe stata esaminata a fondo e risolta in senso negativo.

Decisioni importanti sarebbero state prese circa armamento dei tre Stati della Piccola Intesa. La Cecoslovacchia avrebbe accordato crediti a Romania e Jugoslavia per armi fabbricate dalla Skoda. In tale campo sarebbe stato inoltre deciso l'impianto in Romania di filiali della Skoda e della Erste Briinner Maschinenfabrik, sia per dotare questo Paese di una ben organizzata industria bellica, sia in previsione di una possibile invasione del territorio cecoslovacco (2).

(l) Vedi p. 325, nota 2

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4544/1556. Berlino, 4 novembre 1936 (per. il 12).

Ho avuto in questi giorni una conversazione abbastanza interessante con il nuovo ministro del Venezuela a Berlino, dr. Silvestre Tovar-Lange, il quale, per esser stato fin qui presso il proprio ministero degli Esteri l'esperto in affari pan-americani, è specialmente al corrente delle questioni di politica continentale. La conversazione è quindi caduta sulla prossima conferenza americana per la pace indétta a Buenos Aires per iniziativa degli Stati Uniti.

n ministro Tovar-Lange mi ha effettivamente confermato che la conferenza di Buenos Aires petrà avere ripercussioni poco favorevoli per la Società delle Nazioni, più in linea di fatto, per altro, che in quella strettamente programmatica. Esiste, è vero, in America una corrente estremista fortemente contraria alla Società delle Nazioni e che sarebbe propensa addirittura ad una uscita del Sud-America da Ginevra. La maggioranza dei Paesi, tuttavia, si

Gli ufficiali romeni al seguito del Re davano giudizi, ostentatamente e apertamente, come se obbedissero ad un ordine loro dato, contro la Russia bolscevica.

Durante un ricevimento, Re Caro!, parlando col ministro tedesco a Praga ha auguratoche le relazioni fra Berlino e Bucarest possano prossimamente migliorare. Ha inoltre detto che se «i cattivi ungheresi non esistessero>>, le relazioni fra i due Paesi sarebbero già molto migliori delle attuali.

Il ministro di Germania nel riferire questo al suo collega ungherese di Praga, ha detto di aver risposto al Re Caro! che, oltre alla questione ungherese, vi sono altre questioni che dovevano essere regolate prima di un possibile e augurabile miglioramento di rapporti fra i due Paesi.

Infine, la stessa fonte mi ha riferito che l'addetto militare polacco a Praga, commentando Il non invito fatto dall'incaricato d'affari della legazione di Polonia (essendo il ministro assente) per un ricevimento ufficiale offerto dal presidente Benes, si sarebbe espresso in questitermini: «E' ora di finirla con queste provocazioni che la Polonia riceve dalla Clcoslovacchia ». Il rapporto del tenente colonnello Roda era trasmesso al ministero degli Esteri dall'incaricato d'affari a Praga, Ottaviani, con telespresso 2761/666 del 25 novembre.

limita a constatare la continua, decisa decadenza dell'istituzione ma preferisce !asciarla morire di morte naturale. Non è quindi da prevedere ·che a Buenos Aires la questione della Società delle Nazioni debba essere discussa -e tanto meno risolta -ex-professo. La conferenza bonearense potrà per altro avere egualmente risultati poco favorevoli per la Società delle Nazioni in quanto suscettibile di dar vita ad un organismo nuovo, inteso ad assicurare l'azionamento dell'istituto dell'arbitrato e che potrà sostituire l'organismo di Ginevra sul terreno della pratica.

Non è già la « conferenza pan-americana » in quanto tale che minacci la Società delle Nazioni, poiché essa, che risiede permanentemente negli Stati Uniti, è per questo stesso fatto tenuta in sospetto, da non pochi Stati del SudAmerica. Una minaccia alla Società potrà invece venire, come ho detto, dagli ulteriori sviluppi del movimento, che in America è fortissimo, per l'arbitrato. Molti dei Paesi americani hanno già ammesso l'arbitrato obbligatorio. Il punto più importante ora in discussione è, se si debba, oppur no, ammettere l'arbitrato, oltre che in questioni di fatto, anche in questioni di diritto (1). Quando quest'ultimo punto fosse favorevolmente risoluto, si addiverrebbe assai probabilmente alla creazione di un organismo nuovo inteso ad assicurare un azionamento rapido ed efficace dell'istituto dell'arbitrato. È da questo nuovo istituto che Ginevra avrebbe da temere, perché qualora i Paesi americani trovassero modo di far funzionare in territorio americano l'arbitrato, efficacemente e rapidamente, essi finirebbero col non sentire più alcun bisogno della lega ginevrina.

Quanto a Saavedra Lamas, egli si è buttato a tutt'uomo nella cosa anche perché sembra coltivare l'intima « speranziella » che un nuovo successo, aggiunto a quello del trattato Saavedra Lamas del 1934 (2) ed all'ancora recente successo del Chaco (3), sia capace di metterlo in evidenza come possibile outsider nelle elezioni presidenziali argentine del 1937.

(l) -Successivamente, il ministro De Facendls riferiva, da Praga, che, secondo notizie da lui raccolte, Re Caro! aveva offerto a Benes di interporre i suoi buoni uffici per un miglioramento del rapporti tra Cecoslovacchia e Polonia. Il vlceminlstro degli esteri cecoslovacco, Krofta, gli aveva confermato l'iniziativa romena, aggiungendo che entro breve tempo il ministro Antonescu si sarebbe recato appositamente a Varsavia e a Praga. Krofta aveva però manifestato il suo scetticismo circa la possibilità che la Polonia modificasse il suo atteggiamento non amichevole nel riguardi della Cecoslovacchia (T. 11054/119 R. del 7 novembre, ore 21,30). (2) -Su la visita di Re Caro! a Praga, l'addetto militare, tenente colonnello Roda, riferiva al ministero della guerra nei seguenti termini: « Questo addetto militare di Ungheria mi ha riferito che il Re Caro!, dopo aver dimostrato a Benes l'impossibilità per la Romania di stipulare un accordo con l'U.R.S.S., ha fatto pressioni su Benes perché la Cecoslovacchia, pur non arrivando a denunciare il patto ceco-sovietico (al quale tiene troppo Parigi) cerchi di « intiepidire >> i suoi rapporti con Mosca. Benes è stato irremovibile
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 7519/2592. Parigi, 4 novembre 1936 (per. l'B).

L'aspetto caratteristico della situazione politica francese, alla vigilia della riapertura della Camera, sembra consistere nella convinzione sempre più diffusa che l'« esperienza Blum » è destinata all'insuccesso. L'ottimismo ufficiale del presidente del Consiglio che non si stanca di affermare la sua certezza nella durata del governo di Fronte Popolare, è contraddetto non solo dai movimenti allarmanti che si verificano in seno al Fronte Popolare stesso ma anche,

e forse più, da un senso diffuso di malcontento, e di timore per l'avvenire, che si fa strada nella pubblica opinione. Alla formazione di questo stato d'animo non sono estranei gli avvenimenti internazionali e le vicende della politica estera. Il successo della rivolta nazionalista in Spagna, l'abbandono, da parte del Belgio, di quella posizione di dipendenza politica e militare che costituiva un assioma per il Quai d'Orsay, la crescente impopolarità del patto francosovietico che la stessa Inghilterra sembra guardare con diffidenza, hanno acuito nelle masse il senso dell'isolamento e aumentato la coscienza dei vari pericoli che incombono sul Paese, abbandonato ad un governo demagogico ed internazionalista. La riapertura della Camera ha così luogo in una specie di indifferenza per quelli che sono i problemi politici interni più immediati, ma con un senso di preoccupazione per le condizioni generali del Paese. E questa preoccupazione si traduce sul piano parlamentare in una maggiore diffidenza per iì governo.

Alla luce di queste considerazioni non apparrà strano che l'attacco del deputato comunista Thorez contro la politica sociale ed estera del governo (discorso pronunziato venerdì scorso alla sede della «Mutualité » ), non abbia sollevato negli ambienti d'opposizione maggiore interesse di quanto non meriti, ciò che si ritiene un episodio del processo di disintegrazione del Fronte Popolare. Thorez non ha esitato ad accusare il «camerata Blum » di aver capitolato dinanzi alle ingiunzioni della borghesia, di aver contribuito alla vittoria dei nazionalisti in Spagna con l'iniziativa e l'applicazione del patto di non ingerenza e di non aver realizzato che in piccola parte il programma sociale del Fronte Popolare. Dopo l'atteggiamento assunto dai radicali a Biarritz (1), il frondismo dei comunisti accentua sempre più il movimento centrifugo che si delinea a destra e a sinistra del Fronte Popolare e che rischia di lasciare Blum senza appoggi sufficienti alla Camera e nel Paese.

La verità è che i grossi equivoci che servirono di piattaforma alla costituzione del Fronte Popolare riuscendo ad alleare in un ibrido connubio fautori dell'ordine e fautori della rivoluzione appaiono ora in piena luce, rivelando le insanabili contraddizioni che sono alla base dell'esperienza Blum, la quale pretende di preparare l'avvento di una società anti-borghese con la collaborazione politica e grazie all'appoggio economico della borghesia.

La risposta che Blum darà al camerata Thorez, in un discorso annunziato per domenica, è quindi facilmente prevedibile: esposizione dell'opera svolta dal governo per il miglioramento delle classi operale e per il mantenimento della pace e volontà di mantenere l'unità del Fronte Popolare, intenzione, questa, già espressa del resto dallo stesso Thorez.

Intanto, il governo, conscio della gravità dell'avvertimento dato dal Congresso radicale socialista di Biarritz, si sforza di condurre in porto un progetto di arbitrato legale per la risoluzione pacifica dei conflitti del lavoro. Così, atteggiandosi a protettore dell'ordine, esso confida di poter più facilmente fare accettare al Parlamento il progetto di bilancio per il 1937, con il suo triste corteo di 25 miliardi di passività, e di trovare nel Paese il consenso finanziario necessario alla riuscita dei progettati prestiti.

(l) -Sic. (2) -Sic. Allusione al patto di non aggressione e conciliazione sottoscritto il 10 ottobre 1933 da Argentina, Brasile, Cile, Paraguay e Uruguay (testo in MARTENS, vol. XXXII, pp. 655-664). Al patto avevano poi aderito numerosi Stati fra i quali l'Italia, che lo aveva sottoscritto, con alcune riserve il 14 marzo 1934 (testo in Trattati e Convenzioni, vol. XLVI, p. 329, nota l). (3) -SI riferisce all'opera di mediazione· effettuata da Saavedra Lamas nella guerra tra Bolivia e Paraguay per il territorio del Chaco ed in particolare all'azione del ministro degli esteri argentino nella conferenza di Buenos Aires,. da lui presieduta, conclusasi con la firma del protocollo del 21 gennaio 1936 che poneva termine al conflitto.

(l) Vedi D. 301.

352

L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10956/153 R. Bucarest, 5 novembre 1936, ore 1,15 (per. ore 4,45).

Al sentimento di reazione prodottosi immediatamente dopo discorso Duce (l) va subentrando senso di preoccupazione. Questi circoli si domandano cosa Duce abbia voluto significare con la frase che il popolo italiano avrà forse presto la possibilità di manifestare in occasione solenne suo riconoscimento qualità anche militari popolo ungherese. Ipotesi temuta è che possa trattarsi dichiarazioni riarmo Ungheria.

Personalità romena che ha avuto conversazione con presidente del Consiglio, mi ha riferito averlo trovato vivamente preoccupato. Signor Tatarescu avrebbe esposto sua intenzione di evitare tutto ciò che potrebbe rendere situazione più difficile, dichiarando non voler «bruciare ponti.). Sta di fatto che progetto indire per domenica manifestazione antirevisionista, in cui tutti i capi partito avrebbero dovuto prendere parola, è stato abbandonato. Da molte parti, dimenticandosi atteggiamenti e negativa politica romena nei nostri riguardi, vengono espressi sentimenti amarezza. Stampa mantiene atteggiamento reazione pure evitando eccessi. Trasmetto in chiaro riassunto articoli più significativi.

353

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 10954/196 R. Tokio, 5 novembre 1936, ore 3,45 (per. ore 9).

Sembra che siano inviate istruzioni Sugimura per far progredire attuali trattative, dirette a più intime relazioni. Sembra altresì istruzioni con lo stesso scopo stiano per essere mandate codesto addetto militare giapponese. Mi si assicura che ministero degli Affari Esteri consenta con idee ministro della Guerra e che entrambi dicasteri conoscano necessità giungere rapida conclusione.

354

L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10988/154 R. Bucarest, 5 novembre 1936, ore 20 (per. ore 0,15 del 6).

Con il mio telegramma n. 152 (2) ho riferito a V. E. che in molti ambienti vengono espressi sentimenti di amarezza per parole Duce. Tali sentimenti costi

tuiscono stato d'animo degli elementi di destra ed in genere dei filo-italiani. Tra essi Jorga, Averescu, Goga, Seicaru, che sentonsi anche in difficile situazione di fronte violenza attacchi sinistra. Pur reagendo tali attacchi col mettere in evidenza errori politica estera fin qui seguita dal governo romeno essi si mostrano profondamente addolorati. Correnti sinistra insistono sfruttando discorso Milano scopo antifascista. Da parte dei circoli giornalistici si mantiene verso dichiarazioni linea assolutamente corretta.

A senatore S. E. Bodrero, qui giunto iersera, si fanno cortesi accoglienze e ministro della Giustizia è intervenuto colazione da me data oggi suo onore.

Segnalo, ogni buon fine, che Jorga parlerà radio domani venerdì ora locale 20 su diritti nazionalità e che conferenza sarà ritrasmessa ore 23 in lingua italiana, tedesca e francese.

(l) -Il giorno precedente, Ottaviani aveva telegrafato che in Romania l'impressione provocata dal discorso di Mussolini a Milano era divenuta più profonda dopo che i giornali avevano pubblicato integralmente il passaggio relativo alle rivendicazioni dell'Ungheria. Il governo era intervenuto per attenuare le reazioni unanimi della stampa (T. 10916/148 R. del 4 novembre, ore 1). (2) -T. 10952/152 R. del 5 novembre, ore 21,30. Riferiva i commenti della stampa romena su il discorso di Milano.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11084/0547 R. Londra, 5 novembre 1936 (per. il 9).

Vansittart mi ha domandato stamane se avevo letto nota britannica consegnatami ieri (l) e quali erano le mie impressioni.

Ho risposto che avevo dato uno sguardo sommario al documento che avevo subito trasmesso a V. E. Più che una nota -ho detto -esso mi era apparso piuttosto uno schematico compendio delle note precedentemente scambiate fra i cinque governi con in più una particolare richiesta al governo fascista.

Vansittart ha replicato dicendo che effettivamente colla nota di ieri il governo britannico non intende di sollevare nuovi punti. Il governo britannico è conscio delle difficoltà, che a prima vista possono apparire anche insuperabili, le quali si frappongono al raggiungimento di un accordo fra le Potenze. Il governo britannico ritiene necessario procedere quindi su questa strada difficile con estrema lentezza e cautela, onde non rischiare di compromettere quelle vaghe ed incerte possibilità di carattere positivo che si intravedono. Vansittart ha continuato dicendo che un chiarimento preliminare ed un approfondito esame delle obiezioni italiane sono indispensabili prima di affrontare gli altri punti controversi. Vansittart mi ha domandato se io potevo dargli elementi che illustrassero il punto della nota italiana alla quale il governo britannico fa espresso riferimento nella sua nota di ieri.

Ho risposto a Vansittart che io non intendevo anticipare in alcun modo la risposta che V. E. crederà di dare a suo tempo al particolare quesito britannico. Mi limitavo semplicemente, a titolo personale, a constatare che il contenuto della nota di V. E., in data 18 ottobre (2), è talmente chiaro ed esauriente

da non richiedere illustrazioni o delucidazioni su questo punto, che costituisce 1'« asse» dell'intero sistema di garanzie e di mutua assistenza che sarà eventualmente fissato in un nuovo accordo fra le cinque Potenze, non è per il governo britannico, e tanto meno per lui, Vansittart, una novità. Vansittart deve ricordare a tale riguardo le precise riserve fatte dal governo fascista durante le diverse fasi della discussione per la conclusione del patto aereo di mutua assistenza (ho citato fra l'altro a Vansittart la conversazione fra MacDonald, Lavai, Simon, Eden, Vansittart e il sottoscritto il 3 febbraio 1935 durante la visita di Lavai a Londra) (l) nonché le discussioni a Londra nel marzo u.s. fra i rappresentanti dell'Inghilterra, della Francia, dell'Italia e del Belgio in seguito all'occupazione militare della Renania da parte tedesca, durante le quali il problema della partecipazione dell'Italia al progettato nuovo accordo di mutua assistenza fra le cinque Potenze firmatarie del trattato di Locarno fu sollevato e discusso (2). Nessuna meraviglia, dunque, per il Governo britannico -ho continuato -se il governo fascista indica nettamente la risoluzione di questo problema come di necessità preliminare ad ogni ulteriore esame di qualsivoglia progetto.

Vansittart ha a questo punto insistito sull'opportunità che i cinque ambasciatori delle Potenze firmatarie del trattato di Locarno accreditati a Londra formassero una specie di comitato di studio per l'esame di tutti i punti sollevati dai rispettivi governi. Ciò potrebbe --ha continuato Vansittart -facilitare assai l'esame delle singole questioni.

Ho replicato a Vansittart che su questa idea, alla quale si accenna alla fine del documento britannico consegnatomi ieri, V. E. farà conoscere a suo tempo quale è il pensiero del governo fascista. Sempre parlando a titolo personale, ho detto a Vansittart che l'idea britannica di un comitato del genere da lui accennato era, a mio avviso, da scartarsi come prematura. «La costituzione di un comitato del genere di quello accennato nella nota britannica di ieri -ho detto a Vansittart -sarebbe interpretata da parte della pubblica opinione internazionale come un indice che le trattative diplomatiche fra le cancellerie sono ormai giunte così avanti da considerare la conferenza come assicurata. Ciò darebbe luogo a fallaci speranze e a interpretazioni premature ed inesatte. Meglio per ora continuare nel metodo più sicuro e cioè nello scambio di note, ovvero conversazioni dirette».

Fin qui quello che ho creduto opportuno, come mio punto di vista personale, di dire a Vansittart. È troppo chiaro, infatti, che il governo britannico -sotto l'apparenza di favorire un rapido e imparziale scambio di idee fra i governi interessati -vuole fare il suo solito gioco e cioè costituire sin d'ora il <<nucleo» di quella che dovrebbe essere nei disegni del governo britannico la futura conferenza, assicurandosi sin d'ora la presidenza di tale conferenza ed anche la collaborazione degli ambasciatori accreditati prest<o il governo britannico, i quali non tutti sanno osare, quando occorre, di mettersi duramente e apertamente contro il volere britannico.

(l) -Memorandum del governo britannico in data 4 novembre 1936 relativo il programma di lavoro della conferenza delle cinque Potenze firmatarie dei Patti di Locarno. Testo in BD, vol. XVII, D. 349. (2) -Vedi D. 240. (l) -Vedi serie settima, vol. XVI. DD. 536 e 554. (2) -Vedi serie ottava, vol. III, DD. 441, 486 e 487.
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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3565/1423. Mosca, 5 novembre 1936 (per. il 14).

La stampa dell'U.R.S.S. mentre continua a commentare criticamente, sebbene in tono meno violento del consueto, gli avvenimenti internazionali e, sopra ogni altro, i recenti colloqui del conte Ciano nonché il recentissimo discorso del Duce, sembra segnare una pausa di attesa. La posizione ideologica e politica sovietica che le ultime manovre hanno reso, dopo le brusche reazioni prodotte a Londra ed a Parigi, più delicata e sospetta, comanda effettivamente tale attesa. Non può quindi meravigliare se gli attacchi contro i Paesi fascisti oggi vengano assumendo un tono di pretesa obiettività, col quale si vorrebbe specialmente mettere in guardia Francia ed Inghilterra contro i pericoli che potrebbero derivare da una effettiva collusione itala-germanica. Il governo sovietico, anzi, tenta ora di sfruttare gli avvenimenti per reagire contro la stampa internazionale che aveva finora accusato Mosca di aver sabotato la progettata conferenza locarnista ed accusa a sua volta le Potenze fasciste di silurare esse stesse la ricostruzione di Locarno. Il K~emlino fa in sostanza dire alla propria stampa che occorre stare in guardia contro dette Potenze perché coloro che sperano ancora in una collaborazione colla Germania fascista e coi suoi amici e satelliti per creare un sistema di sicurezza occidentale sono destinati a rimanere, come sono rimasti finora, colle mani vuote.

In sostanza, con tale polemica, l'U.R.S.S. si sforza di acuire i contrasti fra il binomio Parigi-Londra e quello Roma-Berlino, facendo sopratutto apparire la sempre crescente minaccia della Germania che, con le intese Ciano-Neurath, sarebbe portata a consolidare la sua situazione centro-europea e danubiana, e ad aumentare la sua avversione al patto franco-sovietico. D'altra parte, la posizione dell'Italia viene dalla stessa stampa rappresentata come subordinata alla politica di Berlino, sia per l'effetto di un preteso isolamento di Roma, sia come conseguenza dell'aumentata potenza tedesca.

Ciò non ha impedito i giornali ufficiali sovietici dal prendere seriamente in esame il discorso di Milano, mantenendo verso la persona del Duce un tono formalmente sempre molto rispettoso in confronto di quello usato di solito verso il Fiihrer. La loro polemica, mentre ha sorvolato sulle dichiarazioni anti-bolsceviche del capo del Governo, è stata diretta principalmente a diffondere quelli che il discorso di Milano aveva qualificati come luoghi comuni del pacifismo europeo. Non senza ipocrisia, essi hanno detto che, dopo le intese itala-tedesche circa la questione della Spagna, il trionfo colà delle idee di Hitler e di Mussolini sarebbe una vera disfatta non di Mosca, né della S.d.N. e neppure della sicurezza collettiva, bensì della politica della Francia e dell'Inghilterra che dovranno sopportarne le conseguenze.

L'affermazione riesce oltremodo sintomatica. Mentre Mosca mette avanti le mani perché si sappia sin d'ora su chi dovrebbe ricadere la responsabilità dell'eventuale sconfitta del governo di Madrid, essa non nasconde la sua preoccupazione per un'altra battaglia che già sente di perdere. Se l'U.R.S.S. non osa confessare il timore per una collaborazione itala-tedesca, che si sforza di rappresentare come una minaccia sopratutto diretta contro Londra e Parigi, peraltro non sì dissimula -e lo si desume da tutto il tono della stampa -il pericolo di isolamento per l'U.R.S.S. stessa se l'azione di propaganda internazionale svolta per mezzo della Komintern la faranno allontanare ancora più da Londra e Parigi.

357

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1153/1029. Praga, 5 novembre 1936, (per. il 12).

Mi.o telegramma n. 114 del 2 corrente (1).

Tutta questa stampa in tutta la sua pleiade di tendenze è costretta ad occuparsi a denti stretti del discorso pronunziato a Milano da S. E. il capo del governo, le cui taglienti affermazioni hanno determinato un diffuso senso di smarrimento. Il ministro degli Affari Esteri, che si affrettò il giorno dopo a fare dichiarazioni in proposito dinanzi alle Commissioni parlamentari (vedi Stejani

n. 177 del 4 corr.) (2) per riaffermare l'antirevisionismo della Piccola Intesa ed attenuare dinanzi all'opinione pubblica la portata demolitrice del discorso m Milano, incontrandomi ieri casualmente, abbozzò un sorriso articolando un accorato: «andiamo male». Bene, infatti, non deve certo sentirsi questa gente presa fra la « verticale Berlino-Roma» e la « giustizia all'Ungheria ». Sono parecchi quelli che hanno da tirare qualche conseguenza spiacevole da] discorso del Duce ad incominciare dai societari tutti fino agli Stati più direttamente chiamati in causa quali i tre della Piccola Intesa ma fra questi stessi è la Cecoslovacchia che assomma il massimo rischio e pericolo in quanto è minacciata dal realizzarsi di ognuna delle asserzioni poste decisamente avanti da S. E. Mussolini se si eccettuano le assicurazioni circa l'accordo austro-tedesco e i propositi generali di pace.

Funesta alla sua esistenza ritiene infatti la Cecoslovacchia la distruzione dei miti ginevrini, grave nei suoi riguardi la collaborazione dell'Italia con la Germania, gravissima la netta riaffermazione a favore del revisionismo ungherese che significa attacco diretto all'esistenza stessa di questo Paese come a quella della Piccola Intesa minata, per altra parte, dal gesto di amicizia disgregatrice verso la Jugoslavia, appena ora in istato di una certa compunzione verso gli alleati per i suoi troppo palesi amori con Berlino.

Il discorso di Milano come risposta all'attività della Piccola Intesa, accentuata in questi ultimi tempi -riunione di Bratislava (3) -e in questi giorni -visita di Re Carol a Praga e a Bratislava (4) -contro l'Ungheria,

appare una rude lezione a cui per altro si replica oggi ufficiosamente affermandosi che « il sostegno al revisionismo ungherese verrà accolto in tutti gli Stati . della Piccola Intesa con la stessa disapprovazione e con la stessa deplorazione. La Piccola Intesa ha respinto, respinge e respingerà sempre il revisionismo ungherese... Essa difende e difenderà fino alle ultime conseguenze l'indipendenza e l'integrità dei territori dei tre Stati. Se qualcuno si atteggia a tutore delle aspirazioni revisionistiche, non favorisce l'ordine e la pace nell'Europa centrale ma accresce il disordine e le tensioni. Non crediamo che questi siano gli scopi della politica del capo del governo italiano che a Milano ha proclamato la volontà di pace con tutti, vicini e lontani ».

(l) -T. 10822/114 R. del 2 novembre, ore 21,30. Riferiva su i commenti della stampa cecoslovacca al discorso di Milano, sottolineando in particolare le reazioni provocate dalle espressioni di Mussolini in appoggio al revisionismo ungherese, contro il quale veniva ribadita l'intransigente solidarietà della Piccola Intesa. (2) -Non pubblicato. (3) -Vedi p. 84, nota l. (4) -Vedi p. 325, nota 2.
358

L'ADDETTO MILITARE A BRUXELLES, DUCA, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI

R. 2847. Bruxelles, 5 novembre 1936.

La politica militare belga del dopo guerra, dal 1920 in poi, si era basata sui seguenti elementi essenziali: -disarmo della Germania; -demilitarizzazione della zona renana; -soccorso immediato della Francia in caso di invasione tedesca (accordi franco-belgi del 1920) (l); -intervento delle forze inglesi a protezione dell'integrità del Belgio.

Locarno aggiunse a tali elementi protettivi la garanzia italiana. Nel complesso quindi, il rapporto di forze fra la Germania ed il gruppo occidentale era nettamente sfavorevole alla prima.

La costruzione iniziatasi nel 1929, lungo la frontiera orientale francese, del cosidetto «Muro Maginot », ossia di un sistema di opere fortificate appoggiato agli ostacoli naturali (Reno, Vosgi, Mosella, Ardenne), tale da presentare a un'eventuale invasione tedesca un fronte corazzato teoricamente inespugnabile, cominciò a modificare la situazione strategica dello schieramento franco-belga a svantaggio dei belgi, giacché mentre la frontiera francese doveva ormai considerarsi ben coperta e qifesa, quella belga rimaneva scoperta e poco guarnita e si presentava quindi, più che mai, come la via di più facile accesso per una manovra germanica su Parigi e l'isola di Francia.

D'altro canto il riarmo tedesco procedeva con ritmo sempre crescente (per quanto ancora in segreto), di modo che il Belgio cominciò a considerare non più come una possibilità remota e forse soltanto teorica bensì come una minaccia progressivamente avvicinantesi l'eventualità di divenire ancora una volta campo ·di battaglia dei due grandi antagonisti: Francia e Germania.

Il piano strategico che il Belgio studiò allora e definì (1929-1932) per opporsi ad una simile eventualità, non si discostò da quello tradizionale del Paese: -Difendere per quanto possibile i passaggi della Mosa a Liegi e Namur ritardando la marcia tedesca in attesa dell'arrivo dei soccorsi francesi.

-Riunire la massa dell'esercito di campagna (4 divisioni attive e 6 di riserva) ad est di Bruxelles, per offendere il fianco dell'asse di manovra tedesco puntato verso la Francia.

-Manovrare in ritirata di fronte ad un attacco diretto tedesco ripiegando dìetro la linea Anversa-Escaut per proteggere a qualunque costo la costa fiamminga (base di sbarco delle sopravvenienti forze inglesi) e conservare un lembo di terra, simbolo dell'esistenza e della sovranità dello Stato.

E)ra, grosso modo, la ripetizione della manovra del 1914. Ma questo progetto lasciava in sostanza via aperta ai tedeschi verso la Francia, il che non poteva lasciare indifferente quest'ultima, né, nel Belgio, quegli ambienti e quei settori politici che per affinità di razza, per interessi o per orientamento alla Francia erano più o meno legati. Nacque così, e si sviluppò con abile progressione, una campagna sul problema militare che durò tre anni (1932-1934) e che si imperniò sulla formula «difesa integrale del territorio».

Si intendeva con questa:

-Organizzare una copertura efficente lungo la frontiera orientale.

-Appoggiare tale copertura ad una serie di opere fortificate che prolun

gassero verso nord, sia pure in modo embrionale, la « linea Maginot ». -Impiegare la massa dell'esercito in una manovra difensiva che si opponesse decisamente all'avanzata germanica, appoggiata. in questo dalle forze francesi sopraggiunte.

In tal modo, pretendevano i sostenitori del nuovo principio, la Germania vedendo nel Belgio un ostacolo simile se non eguale a quello del «Muro Maginot », avrebbe rinunziato a passarvi dato che lo svantaggio della maggiore estensione del fronte di manovra non era più compensato dal vantaggio di traversare un Paese la cui resistenza sarebbe stata solo effimera. Agli oppositori, che non mancavano di affermare l'impossibilità materiale, per le limitate forze belghe, di opporsi efficacemente ad un'invasione tedesca, venne fatto compren-. dere più o meno velatamente che l'aiuto francese sarebbe stato così immediato e in forze, da risultare decisivo. La frase di Baldwin (autunno 1934) della « frontiera inglese sul Reno» fu interpretata come la conferma dell'immediato contributo anche delle forze inglesi; Re Leopoldo infine, intervenuto con un discorso, dette in certo qual modo la sua sanzione al progetto difensivo in questione, di modo che la polemica ebbe fine. E la campagna si concluse nell'autunno del 1934 col pieno trionfo della tesi della « difesa integrale del territorio » e del suo antesignano, il ministro della difesa di allora Mr. Deveze, che ottenne fra l'altro l'esonero del Capo di Stato Maggiore, generale Nuyten, sostenitore della tesi opposta. Nel frattempo, 1933, il parlamento aveva votato i fondi per le fortificazioni e il completamento dell'armamento (759 milioni) ed i lavori e le forniture relativi erano stati iniziati.

Alla seconda metà del 1935 le linee maestre del programma fortificativo potevano dirsi realizzate: -I forti di Liegi e Namur esistenti prima della guerra erano stati riattivati e rimodernati.

-Nuovi forti (Eben Emael -Battice -Pepinster) completavano il sistema della posizione fortificata di Liegi a protezione della grande linea di invasione Aquisgrana-Liegi-Namur.

-Una serie di piccole opere armate di mitragliatrici e cannoni di piccolo calibro era costruita lungo tutta la frontiera da Maestricht a Arlon per servire da appoggio alle forze di copertura.

-Qualche lavoro fortificatorio era stato iniziato nella zona di Gand e dietro l'Escaut, fra Gand e Anversa, per farne l'embrione di una posizione fortificata di seconda linea, e anche per dare soddisfazione agli ambienti fiamminghi che non mancavano di lamentare che tutto lo sforzo difensivo veniva fatto per le regioni orientali.

La Francia da parte sua, finito il lavoro essenziale di costruzione del «Muro Maginot » lungo la frontiera orientale, non aveva trascurato completamente il fronte nord ma, pur studiando e predisponendo l'intervento delle proprie forze nel Belgio, aveva intrapreso dei lavori di fortificazioni anche in corrispondenza della frontiera settentrionale. Qualche opera simile a quella del « Muro » era stata quindi iniziata fin dai primi mesi del 1935 a Ovest di Thionville, mentre venivano messi in efficienza e rimodernati i vecchi centri fortificati di Maubeuge e di Lille.

Ma nuovi importanti fatti di ordine politico-militare e tecnico-militare erano intanto intervenuti: l) Il riarmo ufficiale della Germania. 2) Il patto franco-sovietico. 3) La cessazione pratica, se non ufficiale, della garanzia locarniana. 4) L'accordo italo-tedesco sulla questione austriaca. 5) La rimilitarizzazione della zona renana. 6) La motorizzazione intensiva e su vasta scala delle forze armate tedesche. 7) L'aumento delle possibilità dell'arma aerea.

Il primo di questi fatti (riarmo della Germania) fece sorgere all'orizzonte una nuova possibilità d'invasione del Belgio: quella attraverso l'Olanda e la frontiera nord. Invero la maggior disponibilità di effettivi istruiti e pronti, conseguente del riarmo, avrebbe permesso alla Germania un nuovo prolungamento della fronte e il conseguente aggiornamento del fronte fortificato belga.

Davanti a questo nuovo problema il Belgio cercò anzitutto l'appoggio dei vicini. Ma la Francia fece comprendere che non si poteva contare su più di quello che già era previsto (pare tre divisioni motorizzate in primo momento e tre divisioni di fanteria subito dopo); l'Inghilterra offrì forse il suo maggiore contributo nel campo aereo ma nessun impegno prese in fatto di immediati soccorsi di forze terrestri. L'Olanda, preoccupata anch'essa del riarmo tedesco, votò dei fondi per riorganizzare le sue forze armate e imbastire una linea fortifi

cata di copertura ma si rifiutò recisamente di stringere qualsiasi impegno mili

tare, anche se semplicemente difensivo, che avrebbe compromesso la sua politica

tradizionale di neutralità assoluta.

Al Belgio non rimase che decidere di fortificare anche la frontiera nord, fra Anversa e Maestricht, riattando le vecchie opere di difesa di Anversa e costruendo altre piccole opere di appoggio alla copertura. Ma una decisione del genere non poteva attuarsi se parallelamente non venivano adottati altri provvedimenti che aumentassero il contingente delle armi sì da permettere la formazione di unità di copertura capaci di opporre all'invasore la resistenza desiderata. Invero, se le limitate forze belghe già a stento potevano assumersi il peso di coprire la frontiera orientale (circa 280 Km), non era loro assolutamente possibile accollarsi anche la copertura della frontiera nord (altri 90 km circa) senza un conveniente aumento di forze.

Scartata l'idea di provvedere con unità di volontari, che non avrebbero trovato personale sufficiente dato lo scarso spirito militare della popolazione, sorse inevitabile la necessità di prolungare la ferma per rinforzare le unità esistenti e costituirne inevitabilmente di nuove. Ma una eventualità del genere urtò contro l'opposizione netta di larghi strati della popolazione e specialmente dei settori fiamminghi, sì che il prolungamento della durata del servizio da 8/12 a 12/18 mesi, prospettato ufficialmente per la prima volta un anno fa, è ancora in discussione e anche in questi ultimissimi giorni è stato rigettato con larga votazione dagli uffici della Camera dei deputati.

A parte ciò, gli altri avvenimenti europei e la nuova situazione militare tedesca avevano ormai radicalmente trasformato l'equilibrio ed il rapporto di forze su cui il Belgio si era basato per definire la propria politica militare.

Rispetto alla situazione del 1920-1930 si aveva:

da parte tedesca:

-Riarmo. -Renania presidiata militarmente con unità progressivamente in aumento. -Organizzazione militare basata su unità potenti e rapide, aeree e terre

stri, capaci di irrompere oltre frontiera fin dalle prime ore del conflitto.

da parte francese:

-Organizzazione militare essenzialmente difensiva. -Rapporto di uguaglianza di forze rispetto a quelle tedesche in luogo della stragrande superiorità degli anni precedenti. -Situazione politica internazionale tale da richiedere prevedibilmente l'impiego di forze di copertura sulle Alpi e sui Pirenei, a detrimento della massa di manovra. -Maggiori difficoltà nell'afflusso delle forze dal Nord Africa verso la metropoli, per effetto della nuova situazione spagnola.

da parte inglese:

-Contributo più o meno invariato, e cioè: concorso immediato di forze aeree; concorso mediato e non ingente di forze terrestri.

3ù -Documenti diplomatici -Serle VIli -Vol. V

Nel complesso la bilancia si era spostata a netto favore della Germania. Di fronte ad un simile stato di cose non si mancò di considerare nel Belgio che l'accordo militare con la Francia cessava di essere un elemento di sicurezza per divenire un pericoloso legame, che poteva coinvolgere il Paese in conflitti ai quali, diversamente, avrebbe potuto restare estraneo. Tale considerazione guadagnò rapidamente il favore generale, non esclusi i settori amici della Francia, che tuttavia vedevano con preoccupazione la politica filo-sovietica dell'attuale governo di questa, nonché la possibilità che un nuovo conflitto fra Francia e Germania traesse origine dalla divergenza dei principi politici che reggono i due paesi.

Da questo stato d'animo sorse una nuova teoria basata sul principio della neutralità armata: -rinunciare ad ogni legame pericoloso; -essere più forti che possibile per rendere all'invasore la marcia così dura e lenta da farvi rinunciare a priori;

-in caso di invasione difendersi fino alla frontiera, ma manovrare in ritirata a protezione di una specie di ridotto nazionale da costituirsi dietro l'Escaut;

-considerare che l'aiuto esterno si avrebbe in ogni modo, anche senza legami formali preventivi, da parte delle potenze interessate all'esistenza del Belgio.

In fondo, il nuovo principio, affermato dal Re col discorso del 14 ottobre che tanta eco ebbe in Europa, ricalca le orme del piano difensivo tradizionale, cui si è accennato in precedenza, con la variante di una copertura attiva alla zona di confine. Ma riprendendo il concetto della manovra in ritirata verso la Fiandra, esso ridà via libera all'azione tedesca verso il Nord della Francia, mettendo questa nella necessità di organizzare anche qui la propria sistemazione difensiva.

La Francia non poteva restare insensibile a questo mutamento di indirizzo e la sua risposta non ha tardato. Infatti, è di ieri il viaggio alla frontiera Nord del ministro della Guerra e del Capo di Stato Maggiore, svoltosi con notevole pubblicità e terminato con la dichiarazione del ministro che il « Muro Maginot » sarebbe stato proseguito con lo stesso sistema e la stessa efficienza lungo tutto il confine franco-belga, per terminare a Dunkerque sul mare. Con questo si è evidentemente voluto far comprendere al Belgio che, se egli rinuncia all'accordo militare con la Francia, non potrà più contare sull'intervento delle forze francesi, le quali attenderanno l'attacco tedesco dietro lo scudo del «Muro Maginot », senza più occuparsi di quello che può avvenire oltre confine.

Ma finora queste manifestazioni non hanno troppo commosso i belgi. Questi pensano che, dato il modificato rapporto di forze fra Francia e Germania, l'intervento tempestivo e efficace delle unità francesi in terra belga sarebbe in ogni modo assai dubbio e che in fondo la creazione di una linea fortificata francese lungo la frontiera nord verrà indirettamente a loro vantaggio. Infatti l'invasione tedesca per il Belgio, che avrebbe fino ad ora dovuto rompere il solo fronte fortificato belga per poter dare battaglia alle forze combinate francobelghe, si troverà domani nella necessità di sormontare due sistemi fortificati, quello belga e quello francese, prima di venire a contatto delle forze di campagna avversarie. Dato il tempo e la forza occorrenti per realizzare una simile manovra, continuerà questa a convenire ai tedeschi o non diventerà talmente dispendiosa da farli orientare verso altro settore? È quello che sperano i belgi, i quali in definitiva, al di fuori e al di sopra della simpatia per questo o per quel paese, hanno un obiettivo essenziale: rimanere per quanto possibile al di fuori di un conflitto fra le grandi potenze europee.

(l) Vedi p. 254, nota L

359

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11022/1398 R. Londra, 6 novembre 1936, ore 20,37 (per. ore 2,30 del 7).

Vansittart mi ha comunicato stamane ufficialmente decisione governo britannico ritirare guardie ex legazione d'Inghilterra Addis Abeba. Drummond è stato incaricato di far costì analoga comunicazione (1). Circa questione trasformazione ex legazione in un ufficio consolare Vansittart mi ha detto che non ancora tutte le difficoltà sono superate ma che egli spera ciò potrà essere fatto fra non molto.

Vansittart mi ha chiesto impressione sulle dichiarazioni fatte ieri da Eden ai Comuni {2). Ho risposto che assai difficilmente esse sarebbero state accolte in Italia come soddisfacenti. Vansittart è rimasto sorpreso della mia risposta. Egli mi ha confermato che il governo britannico aveva preso nella più seria considerazione parole pronunciate dal Duce a Milano nei riguardi dell'Inghilterra, ed il Gabinetto deciso di corrispondere alle parole franche e leali del Duce con analogo gesto, nell'intendimento di fissare cosi da ambo le parti inizio di un nuovo periodo nelle relazioni fra i due Paesi. Gabinetto aveva discusso e approvato parola per parola dichiarazioni di Eden considerandole come un effettivo gesto di amicizia verso l'Italia e come un importante punto di partenza per un concreto progressivo miglioramento nei rapporti italo-inglesi. Ho replicato a Vansittart che da parte mia non intendevo mettere in dubbio intenzione del governo britannico ma che evidentemente lt> parole avevano un significato diverso per ciascuno di noi.

Vansittart mi ha chiesto se ritenevo opportuno che Drummond si recasse da V. E. per chiarire subito rettificando qualsiasi eventuale malinteso sulla interpretazione delle dichiarazioni Eden e per assicurare V. E. circa significato e portata che esse hanno nella espressione del governo britannico.

Ho risposto che evidentemente chiarimenti da parte di Drummond sareb~ bero stati opportuni.

Vansittart ha detto che invierà oggi stesso istruzioni a Drummond in tal senso e che spera nel frattempo accoglienza al discorso di Eden in Italia non sarà così cattiva da determinare in Inghilterra incresciosa reazione.

Ho risposto soltanto a Vansittart che dichiarazioni di Eden sono conosciute in Italia sino da iersera e che pertanto governo fascista avrà già avuto modo di farsi su di esse una esatta impressione. Invio per corriere particolari colloquio (1).

360.

L'INCARICATO D'AFFARI A SOFIA, VANNI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11035/152 R. Sofia, 6 novembre 1936, ore 21,30 (per. ore 7,15 del 7 ).

Conversazioni avute stamane con presidente del Consiglio mi confermano impressione riferita V. E. col mio telespresso n. 5420 inviato con corriere (2) odierno.

Kiosseivanov ha definito come fantastiche notizie riportate da stampa francese e romena circa probabile adesione Bulgaria Patto balcanico. Mi ha detto avere preso occasione viaggio Stojadinovic Ankara (3) per invitarlo e manifestare sentimenti sincera amicizia popolo fratello ricorrendo suoi buoni uffici per eliminare ostilità altri Paesi balcanici, e in ispecie Turchia, contro Bulgaria in relazione riunione in corso capi di Stato Maggiore Intesa Balcanica (4). Ha affermato che nell'incontro Stojadinovic-Re Boris (5) non si era parlato di patto Bulgaria-Turchia-Jugoslavia. Circa relazioni Bulgaria-Jugoslavia, ha detto essere ottimista ed ho giustificata impressione che egli abbia fiducia giungere a risultati positivi.

È sua convinzione che viaggio Stojadinovic ad Ankara, già da tempo in massima stabilito, sia stato effettuato contemporaneamente visita Re Caro! Praga (6) per giustificare assenza colà principe Paolo. Ciò costituiva altro sintomo inizio disgregamento Piccola Intesa; ma riteneva questo si sarebbe verificato assai lentamente non essendo facile per Jugoslavia liberarsi sistema alleanze.

Stojadinovic avrebbe manifestato ottima impressione discorso del Duce a Milano e gli avrebbe detto desiderare sinceramente avvicinamento con l'Italia esistendo naturalmente tutte le condizioni favorevoli, tanto più che Jugoslavia non può fare a meno collaborazione economica italo-tedesca. Kiosseivanov ritiene che Jugoslavia tenda avviarsi lentamente a politica indipendente pur orientandosi verso Italia e Germania.

(l) -Vedi D. 364. (2) -In un discorso del 5 novembre alla Camera dei Comuni, Eden, dopo aver ribadito che n Mediterraneo era, per la Gran Bretagna, «un'arteria principale di comunicazione » e non già una scorciatoia per raggiungere l suoi territori periferici come aveva detto Mussolinl nel suo discorso di Milano, aveva sottolineato che, come l'Italia non intendeva minacciare quellavia di comunicazione, cosi la Gran Bretagna non intendeva minacciare gli interessi italiani. «Jn queste condizioni -aveva concluso Eden -riteniamo che ognuno dei due Paesi possacontinuare a salvaguardare l propri vitali interessi nel Mediterraneo non solo senza dover entrare in conflitto con l'altro ma anzi con reciproco vantaggio». (l) -Non si è rinvenuto nessun altro documento circa questo colloquio tra Grandi e Vansittart. (2) -Non rintracciato. (3) -Del 28-31 ottobre precedente. Vedi p. 343, nota l. (4) -Riunione del 6-7 novembre a Bucarest. (5) -Del 3 novembre. Si veda in proposito il D. 367. (6) -Vedi p. 325, nota 2.
361

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11026/151 R. Tirana, 6 novembre 1936, ore 21,30 (per. ore 2,30 del 7 ).

Discorso di Milano di S. E. il capo del governo è stato ascoltato attentamente nelle varie città dell'Albania. Stampa locale, come ha telegrafato il nostro agente Stejani, ha pubblicato per intero il discorso, mettendolo anche tipograficamente in rilievo senza però fare alcun commento. Questi circoli politici responsabili si mostrano finora molto riservati al riguardo.

Ministro degli Affari Esteri, al quale ho presentato ieri la copia delle credenziali, parlandomene si è soffermato soltanto sulla parte relativa all'Inghilterra.

Nel grosso pubblico il discorso ha suscitato invece qualche commento per due motivi: a) per il mancato accenno all'Albania accanto all'Austria e all'Ungheria; b) per le dichiarazioni concernenti la Jugoslavia dato che qui si teme che un eventuale accordo con Belgrado abbia come conseguenza immediata una sensibile diminuzione del nostro interesse sopratutto dal punto di vista militare. Mi risulta infine che negli ambienti di Corte la prospettiva di un nostro accordo con la Jugoslavia è considerata con viva preoccupazione.

362

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BAGDAD, POLLICI

T. 4885/45 R. Roma, 6 novembre 1936, ore 23.

Suo telegramma 97 (l).

V. S. dichiari a cotesto primo ministro che R. governo prende atto con compiacimento delle sue intenzioni di consolidare relazioni italo-irachene, e di usufruire appoggio e collaborazione Italia (2). Governo italiano è animato verso Iraq da analoghe intenzioni ed è pronto a venire incontro alle richieste irachene in uno spirito di franca e disinteressata amicizia.

(l) -T. 10746/97 R. del 30 ottobre, ore 13,40. Dava notizia della formazione del nuovo governo iracheno (vedi p. 385, nota 2). (2) -Il 3 novembre, Pollici aveva telegrafato che, sia il primo ministro che si era dichiarato ammiratore di Mussolinl e del fascismo, come il nuovo ministro degli esteri, Nag! Al Asi!, gli avevano espresso il desiderio di consolidare le relazioni con l'Italia (T. 10910/101 R. del 3 novembre, ore 20,35).
363

IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2 (1). [Salamanca], 6 novembre 1936 (2).

Entrata truppe nazionali Madrid è imminente. Salvo ordini contrari V. E., mi proporrei seguire truppe Franco insieme generale Roatta, rimanendo nella capitale qualche giorno in contatto con Franco. Circa intese economiche italaspagnole riferisco con telegramma recante numero successivo (3).

Sottopongo intanto all'E. V. alcune osservazioni in relazione alle linee nazionali di fronte Madrid:

1) Reparti italiani vengono, proporzionalmente, impiegati in misura di gran lunga superiore a quella degli armati spagnoli. Senza parlare aviazione italiana il cui impiego è stato decisivo ai fini del successo dei nazionali, sezioni italiane artiglieria e carri d'assalto sono state sempre in primissima linea e certamente sono le più provate.

2) Da parte nostri aviatori mi è stata fatta presente necessità sostituire apparecchi da bombardamento con materiale più nuovo, possibilmente con alcuni C.R. 20.

3) Portata nostro aiuto militare viene giudicata dagli spagnoli più effettiva di quella germanica. Tedeschi hanno assunto minore rischio dei nostri ed hanno preferito affidare uso loro materiale agli spagnoli. Simpatie dei nazionali sono evidentemente maggiori per noi. Tedeschi dispongono però di numerosissimo personale tecnico ed hanno parallelamente avviato lavoro penetrazione commerciale. Nell'eventualità aumento effettivi aviazione tedesca, sarà necessario rinnovare materiale aeronautico italiano. Accordo fra missioni italiana e tedesca è peraltro perfetto.

4) Prezioso elemento scaturito da recentissime operazioni è costituito da patente constatazione cattiva qualità .materiale aereo e terrestre sovietico, riprova bluff politico bolscevico nel campo militare. Generale Roatta ha raccolto utilissimi dati che invia a Roma.

5) Lotta si svolge con relativa asprezza nel corso azione militare vera e propria ma con nota ferocia dopo epilogo del combattimento. Resistenza rossa è comunque fiaccata e trova alimento solo negli aiuti internazionali sicché si può dire che negli ultimi giorni han veramente combattuto russi contro italiani e tedeschi rispettivamente con unità motorizzate, artiglieria e aeroplani.

6) Si delinea, nei ranghi dei nazionali, un conflitto, per ora formale, fra falangisti e requetés. Conflitto, trattandosi di due partiti che hanno due esponenti come Franco e Mola e due tendenze (una fascista-popolare, l'altra reazionaria) è latente sul fronte ma potrà acuirsi più tardi. Nostro interesse è evidentemente per Falange di ispirazione quasi totalmente fascista.

{3) Vedi D. 376.

7) Morale dei nostri reparti è altissimo come ammirazione spagnola per qualità nostri uomini immensa. Tale stato d'animo ha fatto nascere negli spagnoli un sentimento di amichevole riconoscenza che nelle caldissime manifestazioni popolari ed anche nelle espressioni ufficiali si traduce nella parola «alleanza», nata naturalmente nel sangue versato insieme e che attende di di essere consacrata.

(l) -Vedi p. 387, nota 2. (2) -Questo telegramma fu spedito tramite 11 SerVizio Informazioni M!litare.
364

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND (l)

APPUNTO. Roma, 6 novembre 1936.

Dopo la firma dell'accordo commerciale coll'Inghilterra (2), sir Eric Drummond ha chiesto di restare a colloquio con me. Mi ha detto quanto segue:

l) -Che il governo inglese desiderava ritirare la guardia dalla legazione di Addis Abeba non appena noi potessimo dare garanzia di prendere tutte le misure necessarie per assicurare i funzionari e le proprietà della legazione.

Ho creduto di poter dare immediatamente tale assicurazione a Drummond aggiungendo che Addis Abeba era perfettamente assicurata dalla polizia e dalle truppe italiane.

Drummond ha detto che avrebbe comunicato ciò al suo governo e che la cosa avrebbe potuto diventare di pubblica ragione.

2) -Mi ha parlato del discorso di Eden (3), come di un nuovo gesto che l'Inghilterra intende fare verso la conciliazione (anzi, per un lapsus linguae del quale si è subito ripreso, ha detto <<verso un accordo»).

A qualche osservazione che io gli ho fatto circa il testo del discorso stesso, egli mi ha risposto che probabilmente la traduzione dei giornali italiani non rispecchiava fedelmente lo spirito che animava il discorso di Eden, spirito che lui era autorizzato a dichiarare assolutamente identico a quello che il giorno prima aveva animato il discorso di Halifax (4).

Ha soggiunto che sarebbe molto opportuno per poter facilitare all'Inghilterra la sua marcia verso l'intesa, che la nostra stampa riservasse un'accoglienza, sia pure modestamente cordiale, alle parole del ministro Eden. Un assoluto riserbo, o peggio ancora un attacco, complicherebbero nuovamente ed inutilmente la situazione.

Ho detto a Drummond che prendevo atto di tali sue dichiarazioni e che comunque ero lieto che egli avesse avuto istruzioni di aggiungere tali spiegazioni a quanto appariva dalla pubblicazione del discorso.

3) -Mi ha detto infine che una missione navale turca si prepara ad andare a Londra unicamente per concludere un accordo tipo trattato navale 1936, come già concluso con la Germania, la Russia, ecc. (5). Aveva avuto istruzioni di mettere bene in rilievo la portata esclusivamente tecnica di tale viaggio per evitare che da parte nostra si desse una interpretazione erronea e dannosa ai buoni rapporti tra l'Italia e la Gran Bretagna.

A questi che sono i termini del colloquio, ritengo doveroso aggiungere che ho trovato nel tono e nell'atteggiamento di Drummond un sostanziale cambiamento: per la prima volta egli ha parlato, e con viva insistenza, della necessità di una ripresa di buone relazioni fra l'Italia e la Gran Bretagna, dell'amicizia tra i due popoli, della connivenza (6) dei reciproci interessi, ecc.

(l) -Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 100-102. (2) -Il 6 novembre, erano firmati da Ciano e dall'ambasciatore Drummond due accordi commerciali, uno relativo alle modalità per la compensazione dei pagamenti tra i due Paesi, il secondo che stabiliva i contingenti per le importazioni dalla Gran Bretagna all'Italia. Per il testo si veda Trattati e Convenzioni, vol. L, pp. 364-388. (3) -Vedi p. 403, nota 2. (4) -Il 3 novembre, alla Camera dei Lords, Halifax, parlando a nome del governo aveva dichiarato èhe le difficoltà verificatesi di recente nei rapporti con l'Italia erano state determinate non da contrasti di interesse ma dalla necessità, per il governo britannico di adempiere ai suoi obblighi internazionali. Dopo aver sottolineato che era ozioso discutere su quale dei due Paesi aveva interessi maggiori nel Mediterrano, Lord Halifax aveva concluso: «La storia dei due Paesi ha dimostrato che questi interessi sono non già divergenti ma complementari gli uni con gli altri e che soprattutto il maggiore di questi interessi è per entrambi i Paesi quellodella pace ».
365

L'UFFICIO III DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI TRANSOCEANICI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

PROMEMORIA. Roma, 6 novembre 1936.

È difficile far previsioni sulla ripercussione che la rielezione di Roosevelt potrà avere sulla politica estera degli Stati Uniti. Si può affermare in ogni caso che la vittoria del partito democratico esclude la eventualità che l'America si rinchiuda troppo egoisticamente in se stessa. Gli Stati Uniti seguiranno una politica commerciale piuttosto liberistica, ed una dichiarazione in tal senso ha già fatto il Segretario di Stato Cordell Hull. Si può anche intravvedere la possibilità che Roosevelt, riprendendo l'idea di una conferenza economica mondiale -idea che ha trovato nel recente accordo monetario anglofranco-americano (l) un principio di attuazione -possa lasciarsi indurre alla convocazione di una seconda conferenza del genere. È certo che egli nutre l'ambizione di fare qualche cosa sul terreno internazionale. Così pure non è da escludersi che voglia riprendere il programma del disarmo navale. Sul terreno della neutralità vi è da presumere che riuscirà questa volta ad ottenere dal Senato l'approvazione del suo progetto di limitazione dei rifornimenti di materie prime ai belligeranti in tempo di pace. Sul continente americano Roosevelt continuerà la politica di buon vicinato, nella speranza che alla Conferenza di Buenos Aires si arrivi ad ottenere qualche più concreto risultato.

Si può concludere che la vittoria di Roosevelt non deve essere considerata come un successo dell'idea democratica, quale è intesa in Europa. Si tratta della vittoria di un uomo, il cui programma, per quanto egli si sforzi di non farlo

vedere, ha molto poco in comune con i principi classici della democrazia e si avvicina, se mai, piuttosto alle linee di uno Stato autoritario e centralizzatore, adattato alla mentalità ed ai bisogni degli americani. È da ritenersi che egli cercherà di sfruttare il suo successo, facendolo apparire al mondo come una nuova vittoria della democrazia. E ciò può presentarsi come il solo elemento sfavorevole, dopo la rielezione di Roosevelt, per l'Italia fascista.

(l) -In realtà, nessun accordo «tipo Trattato navale 1936 » (si riferisce al Trattato di Londra del 25 marzo 1936, vedi p, 359, nota 3) era stato concluso fino a quel momento dalla Gran Bretagna con la Germania o con l'Unione Sovietica. In proposito si veda ibid., nota 4. (2) -Sic. (3) -Vedi p. 129, nota 2.
366

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5427/1114. Bruxelles, 6 novembre 1936 (per. il 12).

Mio telegramma n. 204 (l).

Il discorso di Milano continua ad essere l'argomento principale di discusslone. I commenti sono tuttora infiniti e la stampa continua a dedicare pagine intere all'avvenimento. Tre punti vanno rilevati.

Il primo relativamente all'opinione espressa dal Duce nei riguardi della

S.d.N. e la sicurezza collettiva. In fondo, tutti -meno i socialisti -appaiono intimamente soddisfatti che i recenti discorsi di S. M. Leopoldo e del ministro Spaak circa la nuova politica belga d'autonomia abbiano trovato, nelle parole del Duce, «una forma più netta» come scrive il cattolico Rappel; o che il Duce « abbia detto forte quello che tutti pensano ed espresso con maggiore libertà le idee che avevano ispirato il discorso del Sovrano», come scrive il liberale Midi Journal.

Il secondo punto riflette una malcelata preoccupazione per le relazioni italobntanniche. Ne consegue una difesa dell'amica Inghilterra. Ed al riguardo è sintomatico che gli stessi rexisti, a mezzo del loro organo fiammingo De Nieuwe Staat direttamente controllato dal Degrelle, la manifestino in forma sconveniente: «Quando parla dell'Inghilterra, Mussolini adotta un tono ironicamente tagliente e la stampa italiana segue fedelmente tale esempio: è il tono di un giovane arrogante nei riguardi di un vecchio parente ricco; il giovane non ha le ricchezze del vecchio ma considera che la sua forza fresca e fiera valga più del danaro. Ma, disgraziatamente per l'Italia, l'Inghilterra non è il ricco vecchione che ha già un piede nella fossa e noi siamo persuasi che l'Italia considera il suo avversario nel Mediterraneo al di sotto del suo valore. L'Inghilterra è il pugilatore ardente che rimane calmo, tranquillo in attesa del momento opportuno per infliggere al proprio avversario uno swing o un uppercut che abbatterà sul pavimento, per più di dieci secondi, il suo giovane e brillante aggressore. L'Inghilterra ha incassato con tranquilla rassegnazione la sua disfatta abissina; ma quando l'Inghilterra esibirà la tratta al pagamento le cose potrebbero andare molto male per l'Italia ». Uno stesso concetto ripete la democratica Libre Belgi

que: «L'Inghilterra non arma per il pericolo comunista, che non teme, ma per rispondere agli appetiti nazisti e fascisti ».

Il terzo punto concern~ le relazioni dell'Italia con l'Europa danubiana. Viene in genere segnalato che il discorso di Milano «rischia di dislocare la Piccola Intesa», e che esso viene ad attribuire particolare importanza alla visita a Roma del Reggente Horthy, «ed all'itinerario da questi scelto per recarvisi, attraverso la Jugoslavia». Un itinerario che svelerebbe un nuovo stato di cose: amicizia itala-ungherese jugoslava, mercé l'abbandono d'ogni rivendicazione ungherese nei riguardi dei magiari soggetti a Belgrado e la sua susseguente concentrazione degli sforzi di Budapest a favore delle collettività magiare esistenti in Cecoslovacchia ed in Romania.

(1) T. 10865/204 R. del 2 novembre, ore 21,22. Riferiva i commenti della stampa belga sul discorso di Mussolini a Milano.

367

L'INCARICATO D'AFFARI A SOFIA, VANNI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5424/1251. Sofia, 6 novembre 1936 (per. il 14).

Telegramma di questa R. Legazione n. 150 (1).

La prima impressione raccolta in questi ambienti dopo l'incontro avvenuto a Kritchim il 3 corrente fra il presidente del Consiglio jugoslavo, Re Boris e Kiosseivanov è che nessun risultato positivo sarebbe stato raggiunto e che scopo dei dirigenti bulgari sia stato:

l) Di profittare del viaggio di Stojadinovic ad Ankara (2) per neutralizzare la conferenza dei capi di Stato Maggiore della Intesa Balcanica (3) diretta essenzialmente contro il riarmo bulgaro.

2) Tributare all'ospite calorose accoglienze in modo da dargli l'impressione che il governo ed il popolo bulgaro sono animati dai più sinceri sentimenti di fratellanza ed amicizia verso il popolo jugoslavo; eliminare le sue titubanze per la conclusione di un patto bilaterale di amicizia e di non aggressione ed eventualmente assopire la diffidenza turca, preparare il terreno per la eventuale conclusione di un patto jugoslavo-turco-bulgaro al momento propizio allorché gli indizi di scissione in seno alla Piccola Intesa ed Intesa Balcanica saranno divenuti più manifesti.

In questi ambienti viene senz'altro esclusa l'eventualità dell'entrata della Bulgaria nel Patto Balcanico, eventualità in opposizione agli interessi del Paese e contraria alle manifestazioni bulgare, anche recenti, in politica internazionale.

Si fa notare come per le continue profferte bulgare le relazioni tra la Jugoslavia e la Bulgaria si svolgano oggi in un'atmosfera molto favorevole; ma si afferma anche che da parte jugoslava, per quanto si cerchi di appoggiare il Gabinetto Kiosseivanov, non si ha gran fiducia sulla consistenza della situazione interna di questo Paese, giudicata assai precaria.

Le dichiarazioni fatte da Stoja;dinovic e di cui allego il testo (l) ad ogni buon fine, sono giudicate prive di contenuto pratico ma piene di molti propositi e sopratutto di belle parole. La stampa locale n~lle poche notizie finora riportate sull'argomento tende a creare, probabilmente per motivi di opportunità, un'atmosfera di auspicio per un'intesa fra tutti i Paesi balcanici riportando anche qualche commento sulla probabile adesione della Bulgaria all'Intesa Balcanica, commento pubblicato dalla stampa francese in relazione al discorso pronunziato dal Duce a Milano; ma in complesso è stata molto parca sull'avvenimento e lo sfondo principale è quello dell'amicizia bulgaro-jugoslava e del pacifismo perseguito da questo Paese.

(l) -T. 10902/150 R. del 3 novembre, ore 20,20. Annunciava la prossima divulgazione di un comunicato sul viaggio di Stojadinovic in Bulgaria in cui sarebbe stata messa in risalto la particolare cordialità dei rapporti bulgaro-jugoslavi. (2) -Vedi p. 343, nota l. (3) -Il 6-7 novembre a Bucarest.
368

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. 3445. Londra, 6 novembre 1936.

Mentre Tu mi telefonavi avant'leri, avevo qui all'Ambasciata von Ribbentrop, il quale, giunto da pochi giorni a Londra ha subito cercato di stabilire con me un contatto che, almeno dall'apparenza, vuol essere marcatamente cordiale e cameratesco. Egli è già venuto due volte all'Ambasciata; una volta per far visita a me, la seconda per accompagnare sua moglie dalla mia. L'ho incontrato ieri di nuovo alla Camera dei Comuni nella tribuna del Corpo Diplomatico ed egli appena mi ha visto mi ha fatto un bel saluto romano al quale io ho risposto con un bel saluto romano, fra una certa attonita meraviglia dei deputati inglesi e dei diplomatici stranieri presenti. Alle manifestazioni di ostentata cordialità da parte di von Ribbentrop, io rispondo naturalmente con dimostrazioni altrettanto cordiali. Tra poche sere darò in suo onore un pranzo all'Ambasciata. È bene che gli Inglesi abbiano visibilmente l'impressione che i due Rappresentanti dei due grandi Paesi Fascisti marciano insieme, e che lavorano, almeno nell'apparenza, strettamente uniti. Ho detto a Ribbentrop che io mettevo a sua disposizione tutta l'esperienza di questi miei quattro e più anni di vita londinese, cosa di cui egli ha mostrato di essermi molto grato, non nascondendomi la sua personale preoccupazione per alcune imprevedute difficoltà di ambiente per vincere le quali egli mi ha detto di contare sul mio aiuto prezioso. Egli ha insistito con me sul suo desiderio e sulle istruzioni che egli ha del Fuhrer di svolgere la sua azione a Londra in stretto accordo con l'Ambasciatore dell'Italia Fascista. Mi ha citato a tale riguardo l'esempio in atto nel Comitato di non-intervento in Spagna in cui l'Incaricato di Affari tedesco Bismarck regola costantemente la sua azione sulle direttive da me date giorno per giorno.

Ho risposto naturalmente a Ribbentrop che io apprezzavo tutto ciò, e che per parte mia avrei fatto altrettanto. Salvo Tue istruzioni in contrario, io darò

molta corda a von Ribbentrop sopratutto perché intendo, e ritengo sia necessario, di sorvegliarlo e tallonarlo attentamente.

L'arrivo a Londra di Ribbentrop, dopo sei mesi che l'Ambasciata di Germania era senza titolare e dopo tre mesi che era preannunziato, è stato piuttosto movimentato e chiassoso (1). Ribbentrop si è fatto precedere da numerose automobili, uno stuolo di Addetti Stampa e Propaganda e altri Addetti speciali, i quali hanno subito cominciato a battere la grancassa, nonché da un figliuolo, un ragazzo di 14 anni, che Ribbentrop ha collocato nel Collegio inglese di Westminster. Questo ha dato motivo a quasi tutti i giornali inglesi di pubblicare le fotografie di questo ragazzo vestito nella pagliaccesca uniforme inglese di Eton con dei commenti, a mio avviso, tutt'altro che simpatici per un Ambasciatore Nazista. «L'Ambasciatore Nazista fa educare il proprio figliuolo alla maniera inglese». «II giovane Ribbentrop quando tornerà in Germania non saprà più salutare alla nazista... ». Questo é stato, a mio avviso, il primo grosso errore di Ribbentrop il quale ha dimostrato subito di non conoscere abbastanza gli inglesi. Gli inglesi rispettano soltanto coloro che con pacata ironia mostrano di non credere al bluff britannico di una civiltà superiore.

II secondo errore di Ribbentrop è stato quello di dare un'intervista appena smontato a Londra dal treno a Victoria Station. Egli ha detto ai giornalisti inglesi presenti che era venuto a Londra allo scopo specifico di stringere stretti legami di amicizia fra Germania e Inghilterra, che questo compito non era tuttavia facile (prima gaffe), che avrebbe richiesto molto tempo (seconda gaffe), ma che Germania e Inghilterra avrebbero alla fine trovato modo di intendersi sopratutto perché esse hanno un nemico comune, il comunismo (terza gaffe). Questa intervista ha suscitato naturalmente il putiferio. Per due giorni i giornali non hanno parlato d'altro. Dai ritagli di giornali non solo di sini:stra che invio a parte Tu vedrai che le parole più gentili rivolte a Ribbentrop sono state le seguenti «impertinente», «gatteur », «passo falso», «falsa partenza», «gli Ambasciatori che non sanno tacere non sono Ambasciatori» ecc. ecc. I liberali anti-nazisti e i conservatori anti-tedeschi hanno sorriso sotto i baffi, e il Foreign Office ha gongolato nel vedere che i laburisti hanno subito coperto di improperi Ribbentrop. Non sono mancati neppure i lanci di sassi e rottura di vetri di un gruppetto di dimostranti contro l'Ambasciata di Germania (2). Un deputato comunista ai Comuni (Gallacher) ha fatto dell'intervista Ribbentrop oggetto di una interpellanza al Governo chiamando addirittura Ribbentrop: «l'Ambasciatore assassino ». Ribbentrop è andato al Foreign Office a protestare contro gli insulti diretti alla sua persona dal deputato britannico. II Foreign Office ha fatto pubblicare su due colonne la risposta data da Eden a Ribbentrop: «Sono molto dolente ma non ho potere per impedirlo». Poi nel suo discorso di ieri ai Comuni, rispondendo indirettamente a Ribbentrop, Eden ha dichiarato che l'Inghilterra desidera l'amicizia della Germania ma a condizione che tale amici

(T. 11135/1407 R. del 10 novembre, ore 20,14).

zia non sia diretta contro nessun Paese (Russia comunista). Come inizio insomma della sua missione diplomatica non si può dire che Ribbentrop abbia dimostrato di non possedere pienamente le qualità tradizionali degli elefanti teutonici che camminano sui piatti. Egli non è stato neppure abile, sopratutto pretendendo di conoscere la psicologia brittannica, di presentarsi a Londra come una specie di Cardinal legato, con la missione di convertire al Nazismo il diffidente mondo politico brittannico. Da un mese i giornali in corrispondenze da Berlino stanno insistendo sul numero straordinario di Addetti di Stampa e Propaganda che lo hanno preceduto a Londra insieme col figliuolo quattordicenne. La stampa ha anche parlato a lungo di uno speciale aeroplano privato (iì che è esatto perché Ribbentrop stesso me lo ha detto) che il Fuhrer ha messo a disposizione di Ribbentrop perché egli possa recarsi a Berlino ogni volta egli ritiene di avere qualche cosa di importante da riferire al suo Capo.

Ieri sera al Covent Garden, circondato da una dozzina di signore inglesi, che notoriamente l'Ambasciata tedesca paga con somme abbastanza forti perché nelle loro case si parli bene della Germania, Ribbentrop non ha trovato altro di spiritoso da dire a tutti gli inglesi che incontrava se non che: «Che cosa sareste voi inglesi senza la musica tedesca? :& (Mi sovviene il noto giudizio di Svetonio sui Germani: «I Germani sono selvaggi che vivono nelle foreste e che ad alta voce lodano sé stessi... :& ) .

Egli è appena arrivato ma ha già preso, come si dice, l'« onda:& male. Ha ragione Neurath quando Ti ha detto che è assai più facile vendere agli inglesi dello «champagne:& che trattare con loro di politica. C'è tuttavia un punto, forse il solo meritevole di attenzione, che va seriamente considerato nell'azione di Ribbentrop, e questo riguarda i suoi rapporti personali con Hitler. Bisogna dire che il Fuhrer ha fatto di tutto, in questi mesi, per rappresentare Ribbentrop a Londra come il «suo:& uomo che gode la «sua:& personale fiducia. Non vi è dubbio che gli inglesi nonostante le antipatie che hanno subito mostrato (senza neppure darsi la briga di camuffarle con la solita ipocrita educazione inglese) per la persona di Ribbentrop, ritengono che per arrivare al cuore di Hitler bisogna passare attraverso Ribbentrop e questo dà a questo visibilmente mediocre gerarca del Nazismo tedesco una certa chance che non bisogna trascurare. L'Ambasciatore di un Dittatore in un paese straniero vale ed ha prestigio per quel tanto che il Dittatore mostra pubblicamente di tenerlo in conto. E, checché dica Vansittart e il gruppo anti-tedesco dei « die-hards :& britannici che negano la possibilità di un qualsiasi accordo colla Germania, la maggioranza degli inglesi e la maggioranza dello stesso Gabinetto «desiderano :& invece un accordo con la Germania che li sollevi almeno per un certo periodo di tempo dall'incubo della guerra, della «seconda guerra punica :&, e dall'incubo dell'armata aerea della nuova potente Germania sul cielo di Londra. Ribbentrop non è quindi se non la mosca cocchiera di una situazione più vasta e complessa, di una partita diplomatica che si gioca direttamente tra Londra e Berlino e che dipende in gran parte, se non in massima parte, dal « modo :& come Hitler accoglierà le avances dell'Inghilterra, la quale appare sempre più indirizzata a cercare una via di accomodamento sia pure temporaneo con la Germania Nazista.

Il problema dei rapporti anglo-tedeschi è particolarmente importante per noi perché esso ha una diretta ripercussione sul problema dei rapporti italabritannici. Tu, caro Galeazzo, hai visto perfettamente ciò e hai impostato magnificamente questa questione nei Tuoi recenti storici incontri con Hitler e con Neurath. La diplomazia brittannica, è evidente, vuole battere separatamente, per ora sul terreno diplomatico e politico, domani non è da escludersi sul

-terreno militare, Italia e Germania. Come la politica brittannica dell'anno 1935 ha avuto come direttiva principale quella di distruggere l'intesa itala-francese stabilita tra il Duce e Lavai nel gennaio 1935, la politica brittannica dell'anno 1937 mostra segni di una volontà diretta a dividere l'Italia dalla Germania. Come ho già avuto occasione di scriverTi, il Tuo recente viaggio a Berlino è stato un avvenimento internazionale che l'Inghilterra ha seguito con effettiva ansia, quest'ultima neppure mascherata dalla solita indifferenza con cui gli inglesi mostrano di seguire sempre le cose che più stanno loro a cuore. La stretta intesa itala-tedesca, che ha coronato la politica estera del Duce dell'anno XIV, costituisce in questo momento l'oggetto di preoccupazione e meditazione costante dei dirigenti della politica brittannica Questo «blocco di ferro ~ costituito dai due grandi Popoli Fascisti e arbitri dell'Europa perché i soli Popoli, come ha confessato melanconicamente Baldwin in uno dei suoi discorsi, «i quali sappiano combattere per qualche cosa di più che non sia l'esclusiva difesa delle proprie frontiere », dà gli incubi alla politica brittannica. La sgradevole sorpresa con cui gli inglesi hanno accolto l'Accordo italaaustro-tedesco dell'H luglio scorso è diventato una preoccupazione palese di fronte allo spettacolo impreveduto di unità e di compatta solidarietà data dall'Italia e dalla Germania in occasione della Tua missione a Berlino, unità e solidarietà consacrata dal Duce nel Suo Discorso di Milano. Molti inglesi si fanno ancora delle illusioni che la questione austriaca possa risorgere ancora improvvisamente a separare i due Paesi Fascisti. M a se l'Italia e la Germania mostreranno all'Inghilterra sempre più di costituire un blocco compatto, senza incrinature, senza angoli morti, senza tentazioni di sfruttare a proprio vantaggio le difficoltà dell'altro, d(!cisi a seguire una direttrice comune e presentare un fronte comune alle altre Potenze, la politica brittannica sarà costretta a venire a patti con Roma e Berlino contemporaneamente, accettando cioè quelle condizioni che Roma e Berlino d'accordo detteranno a Londra per garantire e mantenere in Europa e nel mondo quella pace che sola permette all'Impero Brittannico di mantenersi faticosamente unito ed in vita. Tutto· ciò Tu lo hai illustrato con un'efficacia straordinaria al Filhrer e a Neurath, e qui sta a mio avviso tutta la chiave dei successi che la politica tedesca e la politica italiana dovranno registrare ancora nel futuro prossimo e lontano nei confronti dell'Impero Brittannico.

È interessante sotto questo aspetto seguire da vicino le recenti evoluzioni

della politica brittannica in generale, sia nei riguardi della Germania, sia nei

riguardi dell'Italia. Durante queste settimane di ripresa politica che ha coin

ciso coll'apertura del Parlamento e colla periodica «calata» a Londra di tutto

il mondo politico, io ho avvicinato uno dopo l'altro tutti gli esponenti più

autorevoli del Governo, della stampa, dei diversi partiti politici e dei gruppi

finanziari della City. Ho fatto una specie di metodica e accurata « revisione,

autunnale di tutti quegli elementi e quelle forze sulle quali, durante i 18 mesi della tensione italo-brittannica, io ho cercato di agire per indirizzarli ad un fine: e obiettivo unico, la lotta contro le sanzioni e la pressione sul Governo per costringerlo ad accettare il fatto compiuto della conquista italiana dell'Etiopia. Queste tre settimane di osservazione metodica e attenta, e di indagine diretta, attraverso personali contatti, informazioni e discussioni, mi hanno portato alla possibilità di fare con sufficiente esattezza il punto di quello che è la politica brittannic~;~. in questo momento.

È difficile, se non impossibile, rappresentare la politica estera brittannica secondo linee· schematiche. In questo paese tutto è grigio, approssimativo, senza contorni netti: l'aria, la politica, gli uomini, i pensieri, le cose. Tutto è slabbrato, anacronistico, contraddittorio e paradossale. È il paese dove è cattiva educazione dire «si ~ oppure «no:. e dove un Governo trova i suoi oppositori più pericolosi nella maggioranza, i suoi sostenitori nell'opposizione. Ma si può tuttavia, a titolo esplicativo, considerare la politica estera brittannica come la risultante mobile di quattro orientamenti da parte di quattro forze distinte, la cui influenza e sopravvento sulla politica ufficiale del Governo varia tuttavia, si può dire, da un giorno all'altro.

1° -Foreign Ofjice. 2° -Conservatori di destra. 3° -Conservatori di sinistra. 4° -Liberali, Socialisti, Preti fanatici e donne quacchere.

Il Governo o meglio il Gabinetto composto di 22 uomini inetti, senza carattere, rosi dalle competizioni arrivistiche e dalla corruzione morale, invece di essere il centro co-ordinatore e integratore di tutte quelle forze in contrasto, continua ad essere il bersaglio opaco e inerte.

1) Liberali, Laburisti ecc. -Comincio dagli ultimi. Questa accozzaglia di gente fanatica e necessariamente antifascista costituisce quella che io chiamo la bestia storica dell'Inghilterra. Sono esattamente gli stessi fanatici che sei secoli fa hanno bruciato Giavanna d'Arco e che quattro secoli fa hanno tagliato la testa a Maria Stuarda e poco più tardi a Carlo I. Non per nulla il carnefice di Maria Stuarda fu il capostipite della famiglia di Cecil, di cui Lord Cecil è oggi l'ultimo degnissimo campione. Un anno fa la bestia storica poco mancò che non prendesse il sopravvento. Ma essa non riuscì tuttavia a sollevare il Popolo inglese e a trascinarlo nella crociata societaria contro l'Italia. Riuscì però a trascinare il Governo di Baldwin. L'uno e l'altro scontano oggi nel giudizio del Popolo inglese la umiliazione che per loro diretta e comune responsabilità l'Impero ha sofferto dopo la clamorosa sconfitta inferta dall'Italia Fascista. Tutta questa gente è in questo momento disordinata e battuta. Ma non ha disarmato. La loro unica forza consiste nel fatto che il Governo conservatore, invece di profittare del momento favorevole per sbarazzarsene, ancora li teme esattamente come li ha temuti un anno fa. Il fanatismo antifascista dei liberali, laburisti ecc. ecc. ha portato questi ultimi ad accettare il programma di riarmo del Governo conservatore non come una necessità nazionale bensì per difendere contro la minaccia fascista il Covenant della Lega delle Nazioni. Analogamente essi hanno accettato l'alleanza colla Francia in nome non degli interessi inglesi bensì in nome del mito della sicurezza collettiva. Lega delle Nazioni e sicurezza collettiva sono diventati ormai i due ghosts ovverosia i due fantasmi di casa della politica inglese. Nessuno ci crede, ma il Governo se ne serve per contrabbandare la sua politica estera e la sua politica militare, nella convinzione di immobilizzare così al proprio seguito il gregge fanatico e pericoloso dei pastori quaccheri e delle donne nonconformiste brittanniche, fra cui il partito laburista cerca sempre più di acquistarsi proseliti.

2) Foreign Oftice.

Il Foreign Office vuole l'alleanza assoluta, politica e militare colla Francia, un'intesa coll'Italia, un'intesa colla Russia. Un piano semplice, rigido, di una categorica nettezza e cioè l'accerchiamento politico e militare della Germania. Il Foreign Office considera necessario e indispensabile educare il Popolo Brittannlco all'idea della ineluttabilità di una prossima guerra fra la Germania e la Gran Bretagna. A questo fine il Foreign Office cerca di scoraggiare sistematicamente i tentativi di riavvicinamento anglo-tedesco, sia di iniziativa brittannica, sia di iniziativa tedesca. Quando si parla della politica estera del Foreign Office, occorre sempre intendere -come ho più volte avuto occasione di ricordare -non la politica estera del Governo brittannico bensì soltanto la politica di Vansittart e della burocrazia diplomatica del Foreign Office che non coincide spesso colla politica ufficiale, adottata con decisione collegiale dal Governo e dal Gabinetto. In uno Stato basato su solide gerarchie sarebbe inconcepibile che la burocrazia diplomatica costituisse una forza politica che agisce secondo direttive proprie e spesso in contrasto colle stesse direttive del Governo. Ma nello Stato inglese ogni criterio gerarchico sta adagio adagio spappolandosi, ed allora è possibile assistere, come oggi, allo spettacolo paradossale di una politica estera che è contemporaneamente diretta all'accerchiamento militare e politico della Germania e all'accordo colla stessa Germania, a seconda che il Foreign Office riesce a imporre la sua volontà al Gabinetto, ovvero il Gabinetto decide in senso contrario a quelle che già pubblicamente si conoscono essere le conclusioni cui il Foreign Office è giunto per proprio conto.

3) Conservatori di destra.

I Conservatori di destra CAmery, Page-Croft, Lloyd, Grigg, Lady Milner, Tyrrell, ecc. ecc.) sono in gran parte sulla stessa rigida linea di Vansittart e del Foreign Office. Essi sono stati degli oppositori decisi della politica sanzionista e anti-italiana di Baldwin e Eden, sopratutto perché ritenevano che bisognava riguadagnare al più presto l'Italia Fascista al fronte anti-tedesco. Essi non sanno in questo momento darsi pace che una volta ottenuta la revoca delle sanzioni, l'Italia Fascista si sia orientata decisamente verso il blocco italatedesco. Pur ammettendo che la responsabilità di ciò ricade in gran parte sulla stolta politica di Eden e di Baldwin, questi Conservatori di destra non sanno tuttavia nascondere un silenzioso rancore verso di noi che, secondo loro, li abbiamo giocati. Io ho veduto in questi giorni fra questi nostri fedeli amici

dell'anno scorso delle facce lunghe e deluse. Lloyd e Churchill mi hanno ripetuto in questi giorni, dopo la Tua visita a Berlino, che essi si domandavano spesso se avevano saggiamente operato, come inglesi, a premere tanto su Baldwin per la revoca delle sanzioni contro l'Italia. Io ho risposto loro un mondo di cose per rimontarli e ho molto insistito dicendo loro che il Duce è più che mai lealmente disposto a un chiarimento generale e completo fra l'Italia e l'Inghilterra e che se tale chiarimento non è ancora avvenuto ciò è colpa esclusiva del Governo Britannico il quale invece di continuare e starsene immobile « sudando » sull'umiliazione subita e sul rancore non ancora digerito, dovrebbe coraggiosamente decidersi ad andare incontro al Duce e all'Italia Fascista.

La differenza principale fra la direttrice politica di Vansittart e del Foreign Office e quella dei Conservatori di destra risiede nel fatto che, mentre Va:Ìl.sittart e il Foreign Office sono favorevoli ad una intesa concreta colla Russia sovietica, trascurando completamente il fattore «comunista :t, i Conservatori di destra rimangono ostili all'idea di un'Inghilterra conservatrice alleata di una Russia comunista. Essi sono i soli in Inghilterra che siano consci del grave pericolo sociale e politico che corre l'Inghilterra, minata essa pure dalla propaganda sovversiva e comunista, e pur a malincuore preferirebbero di vedere una Germania ingrandita a spese della Russia, anziché un'Inghilterra alleata della Russia per stringere la Germania in una unica morsa di ferro di cui l'Inghilterra assai probabilmente sarebbe costretta a sopportare il peso maggiore se non unico. Il ricordo dell'esperienza del 1917 è ancora bruciante nei Conservatori brittannici. Alleanza politica e militare anglo-francese contro la Germania. Ma tuttavia senza la pericolosa appendice sovietica. Questa differenza fra il programma antitedesco di accerchiamento assoluto propugnato dal Foreign Office e di accerchiamento relativo senza la Rus~ia sostenuto dai più autorevoli Conservatori di destra è l'argomento principale delle discussioni nel campo dei die-hards. Ma più interessante ancora è il formarsi, proprio fra i Conservatori di destra, che sono considerati gli esponenti più decisi e intransigenti della politica anti-tedesca, di un gruppo di giovani i quali non solo dichiarano che la salvezza della pace dell'Europa Occidentale risiede nel lasciare alla Germania libero campo di espansione e di sfogo nei territori della Russia sovietica, ma fanno proprie altresì le più ardite tesi revisionistiche e parlano di una intesa colla Germania sulla base di una ridistribuzione dei Mandati da farsi secondo i principi dell'art. 19 del Covenant. Questo atteggiamento con cui alcuni Conservatori di destra hanno sposato a un tratto fra la generale meraviglia le tesi sostenute dai liberali di sinistra, costituisce a mio avviso la novità più importante di questa ripresa politica autunnale.

4) I Conservatori di sinistra, ossia la gran maggioranza del Parlamento e del Paese, capeggiati da Baldwin, Neville Chamberlain, Hoare e Eden, i quali sono i rappresentanti tipici di quella che ho chiamato altra volta la concezione brittannica della difesa « pigra » dell'Impero. Essi accettano da una parte l'alleanza colla Francia perché accuratamente mascherata da uno ordigno fabbricato dalla Lega delle Nazioni in nome della sicurezza collettiva, ma nello stesso tempo sono propensi a ricercare le basi di una intesa colla Germania. Pure lasciando che il Foreign Office continui a svolgere la sua attività anti

31 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

tedesca e filo-sovietica, non mostrano di essere assolutamente contrari all'idea di una Germania che si espande verso la Russia e il vicino Danubio e anche, ove necessario, a considerare come possibile in determinate condizioni ed eventualità un'equa restituzione di qualche Mandato coloniale alla Germania. Questi Conservatori di sinistra nella gran maggioranza desiderano anche, e io credo sinceramente, un'intesa coll'Italia, per le identiche ragioni per cui desiderano un'intesa colla Germania, e cioè perché essi considerano ormai l'Italia Fascista la nemica potenziale non meno minacciosa e pericolosa della Germania. Ma l'umiliazione della disfatta clamorosa loro inflitta dall'Italia Fascista dà loro come il «restio» e così esitano e soffrono e stentano di fronte allo sforzo necessario di procedere sulla strada dell'intesa coll'Italia, strada sulla quale fatalmente dovranno mettersi, non già pe1ché essi si illudano di ricostituire quello che nelle conversazioni diplomatiche si chiama la «vecchia base della collaborazione italo-brittannica », ma semplicemente perché il problema dei rapporti anglo-italiani è diventato per ì'Inghilterra un problema analogo a quello dei rapporti anglo-tedeschi. La Germania è la nemica al Nord e l'Italia è la nemica al Sud. Occorre armarsi per essere pronti a sostenere quell'urto che ormai la maggioranza degli inglesi teme possa da un momento all'altro essere provocato dalla volontà più o meno concorde della Germania e dell'Italia. Armarsi e fortificare, il più estesamente e rapidamente possibile, i punti più vulnerabili della difesa dell'Impero, lavorare a dividere politicamente Italia e Germania indebolendone possibilmente il blocco unitario, intendersi colla Germania e coll'Italia per evitare o almeno ritardare al più lontano possibile lo scoppio della guerra, alla quale l'Inghilterra sta preparandosi nell'ansia e nella speranza tuttavia di non essere costretta a farla e di evitarla.

Questo nuovo aspetto della politica brittannica verso la Germania e verso l'Italia è a mio avviso il punto più importante della situazione attuale. Checché dica vansittart e il gruppo dei « die-harts » intransigenti e imperialisti, i quali non vogliono sentire parlare di intesa con la Germania sopratutto per non dare al Popolo inglese l'illusione pericolosa che un conflitto colla Germania possa effettivamente evitarsi, si sta determinando in seno a ogni gruppo politico inglese, compresi gli stessi Conservatori di destra, una tendenza a fare concessioni alle necessità dell'espansione germanica. Le fiere proteste con cui sono state accolte nella estate scorsa dagli Imperialisti inglesi gli accenni fatti dal Cancelliere dello Scacchiere ad una possibilità di una « revisione » del problema dei Mandati, si sono fatte meno frequenti. Molti Conservatori hanno fatto in questi ultimi mesi propria la tesi sostenuta per primo in Inghilterra da Mosley (il quale ha orientato decisamente la sua propaganda fascista in Inghilterra, oltre che in senso anti-semita, in aperto appoggio alle rivendicazioni coloniali tedesche), e cioè che i territori che fanno parte dell'Impero Brittannico sono sacri e inviolabili, ma i Mandati non sono territori dell'Impero e quindi possono essere soggetti di riesame.

Per quanto riguarda l'Italia, e il problema dei rapporti italo-brittannici, nessuno si fa più oramai in Inghilterra la minima illusione che essi possano ritornare quali essi erano prima dell'anno 1935. Neppure si fanno gli inglesi soverchie illusioni sulla possibilità di riguadagnare l'Italia a un eventuale possibile blocco anti-germanico. Dalla battaglia di Trafalgar fino alla guerra « bian

ca~ tra l'Italia e l'Inghilterra dell'anno 1935-36 nel Mediterraneo e in Africa, la nozione geografica, politica e militare dell'Italia per gli inglesi è stata per un secolo la seguente: «Regno di Napoli allungato verso il Nord~. Dopo la sconfitta che nell'anno 1935-36 Mussolini ha inflitto all'Inghilterra, quest'ultima facendo uno sforzo di raggiustamento veramente notevole per la mentalità tardigrada e opaca di questa gente, ha improvvisamente e precipitosamente «realizzato» (come si dice qui) la nuova nozione geografica, politica, militare dell'Italia di Mussolini. L'Inghilterra si è resa perfettamente conto che l'Impero Italiano di Etiopia è l'Impero Italiano sul Mediterraneo. Io credo sinceramente che, almeno sino ad oggi, il motivo del riarmo precipitoso e frettoloso delle basi navali brittanniche nel Mediterraneo è dovuto ad un piano precostituito di una possibile rivincita contro l'Italia (questa gente ha ormai troppo la mentalità dei turchi dell'Impero Ottomano dell'800 per concepire un piano tanto orgoglioso e pericoloso) quanto alla effettiva << paura » di trovarsi impreparata di fronte a quello che la maggioranza degli inglesi ritiene sia invece il fatale movimento in avanti della Rivoluzione Fascista e cioè il dominio completo del Mediterraneo. Questa gente fa uno sforzo marcatamente visibile per mostrare di superare il rancore della sconfitta patita e di accettare i vantaggi concreti dì una intesa coll'Italia, intesa la quale non potrà peraltro essere basata se non su un piano di provvisorietà storica. È insomma l'armistizio non la pace. A questo armistizio ci vengono pian piano sudando, marciando di traverso, avanzando di tre passi e retrocedendo di due; ma ci vengono perché non ne possono fare a meno.

Tanto più Italia e Germania mostreranno all'Inghilterra di essere . unite, tanto più l'Inghilterra sarà costretta a venire a patti coi due grandi Popoli Fascisti. Tu hai illustrato ciò con straordinaria efficacia al Fuhrer. I protocolli firmati fra Te e Hitler debbono considerarsi effettivamente come la nuova grande leva che il Duce ha messo sotto questa vecchia scricchiolante Europa.

(l) Non pubblicato.

(l) -Su gl! incidenti provocati dall'atteggiamento di von Rlbbentrop al suo arrivo a Londra, Grandi aveva g!à riferito con T. 4062/1370 R.s. del 27 ottobre e ancora con T. per corriere 11194/550 R. del 4 novembre in termini analoghi a quelli qui usati. (2) -Il 9 novembre, Mussollni telegrafava a Grandi chiedendo notizie circa gli incidenti avvenuti a Londra di fronte all'ambasciata d! Germania che, egl! notava, sembravano aver fatto «una profonda impressione su Hitler e contorno» (T.4933/603 R. del 9 novembre, ore 11). Grandi riferiva ancora sull'episodio !n termini analoghi a quelli usati· in questa lettera a Ciano
369

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO (l)

T. S. N. D. 4883/219 R. (2). Roma, 7 novembre 1936, ore 12.

Comitato non intervento Londra ha deciso -subordinatamente all'accettazione delle due parti in conflitto in !spagna -la costituzione di un organo imparziale formato da gruppi di persone che dovrebbero risiedere nei territori spagnuoli sottoposti al controllo delle due parti, allo scopo di riferire al Comitato circa applicazione impegno non intervento. Azione di detto organo straniero in territorio spagnuolo implicherebbe, come ovvio, grave limitazione sovranità, e costituirebbe notevole intralcio per eventuale ulteriore invio di soccorsi.

Prego quindi far sapere al generale Franco con mezzo sicuro che, giungendogli suddetta richiesta dal Comitato, sarà bene governo Burgos prenda tempo a rispondere, in attesa che si chiarisca atteggiamento che al riguardo sarà adottato da governo Madrid. Ove risposta di questo ultimo sia negativa, proposta cadrà da sé. Ove invece sia positiva, converrà governo Burgos procrastini sua decisione, richiedendo ad esempio a Comitato di Londra precisazioni e chiarimenti ed in definitiva rifiuti suo assenso alla proposta.

(l) -Vedi p. 381, nota 3. (2) -Il telegramma fu comunicato tramite il consolato generale a Tangeri.
370

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. U. 11041/512 R. Berlino, 7 novembre 19.16, ore 14,25 (per. ore 16,30).

Nuova comunicazione locarniana (l) annunziata da Eden è pervenuta a questo ministero degli Affari Esteri stamane. Premessa una sinopsi richiamante quattro risposte ricevute, il documento domanda: l) se le Potenze vogliono attendere per pronunciarsi ulteriormente una nuova comunicazione inglese; 2) se ritengano giunto momento interrompere fase carteggio per passare a quello negoziato.

Questo ministero degli Affari Esteri sarebbe di opinione (si tratta peraltro di prime impressioni comunicatemi senza impegno) che gioverebbe continuare nella «preparazione diplomatica». Comunque, prima di pronunciarsi cosi sopra questo come sopra altri punti, sarebbe incline attendere ulteriore comunicazione inglese che nota testé ricevuta fa intravedere come prossima. Gradirei per mia norma conoscere avviso in merito di V. E. (2).

371

IL CAPO DI GABINETTO, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 7 novembre 1936, ore 18,45.

Telefona S. E. Cerruti che gli è stata comunicata oggi la decisione presa dal governo francese di ritirare 50 uomini della guardia alla legazione in Addis Abeba e una compagnia e mezza delle due e mezza che sono di guardia a Dire-Daua. Questo immediatamente. È già preso in considerazione il ritiro di tutto il resto. Per non dare l'impressione che questa decisione sia conseguenza di quella analoga presa dall'Inghilterra, si specifica che le trattative per il ritiro di queste forze erano in corso fino dal 26 ottobre e che al provvedimento si è dato un carattere amministrativo.

(ore 20,25).

Ho telefonato a S. E. Cerruti per dirgli che il provvedimento cosi come è stato preso ed annunziato non ha importanza e si riduce ad una misura di carattere amministrativo.

S. E. Cerruti mi ha risposto che aveva già telegrafato in proposito al ministero (l), attirando l'attenzione sul telegramma che ci giungerà.

(l) -Vedi p. 394, nota 1. (2) -De Peppo rispose con T. 4959/334 R. del 10 novembre, ore 24. «S. E. Ciano è d'accordo».
372

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

r. 11065/379 R. Saint Jean de Luz, 7 novembre 1936, ore 19 (per. ore 22).

Oltre fatto segnalato all'E. V. con mio telegramma n. 377 (l) sono state rilevate in tutti questi ambienti diplomatici altre manifestazioni simpatia e appoggio inglese al governo separatista basco. Ufficiale [comandante] dei tre cacciatorpediniere britannici che fanno spola tra questo porto e Bilbao non nasconde sua viva simpatia favorevole per tale governo e mio collega argentino mi ha detto di avere avuto in proposito discussione «quasi penosa~ con ufficiali inglesi i quali manifestano aperta loro convinzione vitalità neo-repubblica basca.

Ho ragione ritenere che anche questa ambasciata britannica sia in continuo contatto con autorità Bilbao.

Mio collega francese reduce da Bilbao mi confermava stamane, pure stupendosi, tale impressione e aggiungeva che ambienti separatisti baschi molto sperano su aiuti inglesi e si mostrano fiduciosi anche per questo oltre che per numeroso materiale da guerra ricevuto.

Per ora si tratta soltanto di un indizio che mi è sembrato peraltro opportuno non trascurare di segnalare. Telegrafato Roma e Londra.

373

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11064/664 R. Parigi, 7 novembre 1936, ore 21,15 (per. ore 1 dell'B).

Confermo comunicazione telefonica al ministro De Peppo (1). Léger mi ha informato che in seguito pratiche svolte dal Quai d'Orsay presso il ministero delle Colonie, il quale sollevò molte obbiezioni che poterono però essere superate, è stato deciso ritiro dall'Etiopia dei contingenti militari francesi. Esso si

svolgerà progressivamente per le due compagnie di truppa che si trovano a Dire-Daua, restando stabilito che ne partirà immediatamente una compagnia e mezza e che verrà pure ritirata immediatamente la guardia della ex legazione in Addis Abeba, il cui effettivo è di 50 uomini. Bodard riceverà istruzioni di prendere accordi con il Viceré per assicurare la protezione degli uffici demaniali nonché delle persone e averi francesi.

Nel prendere atto della comunicazione fattami ho lasciato comprendere a Léger che essa avrebbe prodotto una impressione più favorevole a Roma se avesse preceduto l'annunzio che Sir H. Drummond avrebbe dato ieri a V. E., relativo al ritiro della guardia dalla ex Legazione britannica (l).

Léger rispose che tale notizia non gli era stata segnalata e che egli la ignorava. Doveva dirmi a titolo confidenziale che non sarebbe stato possibile di arrivare alla decisione comunicata, qualora si fosse portata questione dinanzi Gabinetto. Circoli politici francesi di sinistra si erano infatti risentiti per avere il Duce nel discorso di Milano parso gettare esclusivamente sulla Francia la responsabilità della politica sanzionista, mentre questo Paese ha convincimento di aver fatto tutto quanto era in suo potere, a costo di compromettere relazioni con Inghilterra, per impedire che sanzioni eccedessero certi limiti. Qualora consiglio dei ministri si fosse poi trovato in presenza di una decisione inglese di ritirare propria guardia da Addis Abeba, si poteva esser certi che avrebbe respinto un analogo provvedimento francese, per evitare che in Italia si dicesse, una volta di più, che Francia è incapace di fare politica autonoma.

Metodo da lui preconizzato e che era stato seguito da Delbos, era stato quello della trattazione amministrativa fra i due dipartimenti degli Esteri e delle Colonie. Mi menzionò in proposito le due note del Quai d'Orsay in data del 26 e del 30 ottobre ed aggiunse che ultime difficoltà con ministro delle Colonie, Moutet, avevano potuto essere superate solo pochi minuti prima che io mi recassi al Quai d'Orsay, perché questi avrebbe insistito che ritiro del contingente francese fosse negoziato.

Léger mi assicurò di avere insistito presso Delbos perché convincesse Moutet che, nonostante difficile momento che traversano relazioni itala-francesi ed anzi a causa di ciò e per procurare di distenderle, era necessario compiere un gesto che avesse carattere di spontaneità. Léger ha insistito perché spiegassi bene tutto ciò a V. E. e mi ha pregato di credere che quanto mi diceva era pura verità.

Ho risposto che io personalmente non chiedevo di meglio che di credergli. Dovevo peraltro fare riserve circa impressione che avre.bbero riportato circoli ufficiali ed opinione pubblica italiana, dato che disgraziatamente, ancora una volta, provvedimento sembrava giungere dopo quello analogo inglese.

Léger mi disse infine di far conoscere a V. E. che la decisione di principio di ritirare tutto il contingente da Dire Daua era stata presa per marcare bene che il governo francese non aveva alcuna aspirazione (pas d'empris) sulla regione. Egli voleva sperare che questa prova evidente di buona volontà della Francia sarebbe stata apprezzata al suo giusto valore in Italia, tanto più che mi aveva sempre tenuto al corrente delle difficoltà incontrate al riguardo.

42Z

(l) -Vedi D. 373. (l) -T. 11020/377 R. del 6 novembre. ore 18.30. Riferiva che il cacciatorpediniere britannico «Excort » aveva imbarcato una quarantina di miliziani baschi rifugiati a Saint Jean de Luz per trasportarli a Bilbao. (l) -Vedi D. 371.

(l) Vedi D. 364.

374

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11048/118 R. Praga, 7 novembre 1936, ore 21,30 (per. ore 23).

Mi viene riferito che governo Varsavia avrebbe fatto sapere a Bucarest che, ove Romania si lasciasse indurre a concludere un trattato di assistenza con Soviet, la Polonia denunzierebbe il trattato di alleanza con la Romania (1). Re Carol che ha fatto qui notare sua intenzione rimettendo in valore trattato romeno-polacco posto fuori uso da Titulescu, sembra che si sia avvalso anche dell'accennato ammonimento di Varsavia per opporsi alla spinta cecoslovacca verso Mosca. Telegrafato Roma e Vienna.

375

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 4911/332 R. Roma, 7 novembre 1936, ore 24.

In conformità a quanto concordato con codesto governo, ci accingiamo da parte nostra a riconoscere di diritto governo nazionale spagnuolo, non appena questo avrà comunicato di essersi impossessato di Madrid. Provvederemo anche, come d'intesa, a destinare a Madrid un R. incaricato di affari, ed a richiamare il R. ambasciatore da St. Jean de Luz, nonché il R. consigliere attualmente ad Alicante. Verrà mantenuto sul posto il R. console generale a Barcellona che ha già istruzioni di. astenersi da qualsiasi atto che possa significare riconoscimento del governo locale e di limitarsi a provvedere per il meglio alla tutela dei connazionali. Comunicazione potrebbe essere simultaneamente fatta da governo fascista e da governo tedesco (2).

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IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. '3 (3). [Salamanca], 7 novembre 1936 (4).

In relazione al paragrafo 2 del mio telegramma n. l del 4 corrente (5), ho preso oggi contatto con segretario generale del governo, signor Nicolas Franco, (fratello del capo del governo), al quale ho presentato Mariani (6). Gli

(-4) Il telegramma fu spedito tramite il Servizio Informazioni Militare.

ho esposto ed illustrato nostri punti di vista, sia nei riflessi noto accordo compensazione, sia in quelli degli attesi necessari sviluppi delle intese economiche itala-spagnole, tenendo presente schema consegnatomi Roma da competenti servizi (l). Franco si augura e ritiene di poter concludere con Italia il primo trattato di commercio come primo è stato accordo compensa,zione in via di massima già concluso. All'occasione, il segretario generale si è compiaciuto di farmi rilevare che con la stessa Germania non è stato ancora concluso alcun accordo commerciale e che ad essa è stato soltanto concessa un'autorizzazione scritta per esportazioni a favore della Compagnia Ispano-Marocchina.

Avendogli prospettato in forma specifica questione trasporti aerei, egli mi ha informato che saranno disdette tutte concessioni fatte alla Francia e che tutte richieste concessioni da parte nostra saranno studiate a titolo preferenziale e con spirito riconoscente ed amichevole.

Circa questione mercurio, segretario generale mi ha fatto rilevare che quasi tutte miniere Almaden trovansi ancora in mano dei rossi e che non appena saranno occupate dagli spagnoli potranno essere aperti negoziati per un accordo industriale di reciproca utilità.

Prego V. E. di voler sollecitare esame noto progetto accordo inviato a Roma da Boldori (2) per corriere fin dal 26 ottobre scorso poiché ulteriori ritardi da parte nostra non susciterebbero buona impressione.

Ho stabilito con segretario generale che Mariani riprenderà contatto con lui lunedì prossimo per poter iniziare scambio idee preliminari su vari punti relativi intese economiche e qualsiasi altro tema che possa presentarsi nell'interesse dell'intercambio fra i due Paesi.

(l) -Trattato di garanzia tra Polonia e Romania del 26 marzo 1926 (in MARTENS, vol. XVII, pp. 3-5), rinnovato il 15 gennaio 1931 (ibid., vol. XXX, pp. 35-37). (2) -Per il seguito vedi i DD. 381 e 382. (3) -Vedi p. 387, nota 2. (5) -Vedi D. 347. (6) -Erminio Mariani, consigliere commerciale a Madrid e Lisbona.
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IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. POSTA 6360/1799. Belgrado, 7 novembre 1936 (per. il 9).

Mi onoro trasmettere alcune informazioni pervenutemi da fonte fiduciaria in merito ai rapporti itala-jugoslavi:

Nel fascicolo ò.i Gabinetto relativo alla missione di Anfuso, vi è inoltre il seguente appunto non datato e non firmato: SCHEMA PER INTESE ITALO-SPAGNOLE. l) Trasporti: a) marittimi, pwlungamcnto ai poi·ti spagnli della Cinea GenovaMajorca; b) aerei prolungamento sul continente spagno'o della linea Genova-Baleari. 2) Intese industriali: a) assistenza tecnica all'organizzazione o a' 'a riorganizzazione di industrie spagnole; b) mercurio; c) rame; d) minerali in genere (piombo, ferro. piriti, ecc.). 3) Intese commerciali: a) scambi tra i due Paesi; b) commercio di esportazione dci due Paesi su terzi mercati per agrumi, riso, frutta secca, altri prodotti. 4) Intese bancarie: a) co'!aboi·azione b~ncaria: b) accordi di pagamento tra i due Paesi. 5) Forniture dall'Italia: a) automobili e camions; b) pneumatici; c) aeroplani; d) diverse. 6) Partecipazione italiana alla produzione e az sen;izi pubblici in Spagna: Concessioni.

«Il rapido mutamento nei rapporti itala-jugoslavi ha prodotto nelle masse jugoslave una impressione molto favorevole. Subito dopo le dichiarazioni di Stojadinovic, fatte in occasione della conclusione dell'accordo commerciale (1), ed i commenti della stampa dei due Paesi, le relazioni itala-jugoslave sono diventate l'oggetto dei commenti di tutti i circoli del Paese. Il primo momento è stato di sorpresa generale e tutti si sono · domandati se veramente Mussolini voleva l'amicizia con la Jugoslavia. Si è quindi fatta strada la convinzione che Mussolini preferisca un accordo con la Jugoslavia allo stato di cose che è regnato finora. In vari circoli della capitale si è convinti che l'Italia, avendo avuto il suo impero coloniale in Abissinia, rinuncerà alle sue aspirazioni sulla Dalmazia, almeno fino a tanto che avrà ordinato economicamente ed amministrativamente il suo impero.

Mussolini, nel suo ultimo discorso, ha rivolto parole lusinghiere alla Jugoslavia, ma ha parlato anche a favore del revisionismo ungherese. Tale accenno ha provocato in Jugoslavia un grande pessimismo che ha quasi cancellato l'eccellente impressione causata dalle parole rivolte alla Jugoslavia e dalla precedente opera di pacificazione. Alcuni circoli di Belgrado si sforzano di dimostrare che Mussolini ha voluto scoprire le sue intenzioni poco pacifiche verso la Jugoslavia e ciò proprio nel momento in cui dovevano subentrare felici relazioni fra i due Paesi.

Ora le relazioni fra i due Paesi, a Belgrado, vengono considerate sotto differenti punti di vista.

Il governo ritiene che un accordo con l'Italia sia necessario anche per il fatto che l'Italia e la Jugoslavia si trovano sulla stessa linea nella lotta contro il comunismo, e che tale accordo apporterà al Paese molti vantaggi. Il recente discorso di Mussolini, nel suo accenno all'Ungheria, ha fatto una spiacevole impressione nei circoli del ministero degli Affari Esteri, tuttavia i fattori ufficiali interpretano tale discorso come una dimostrazione di Mussolini e dell'Italia contro le conferenze di Stojadinovic ad Ankara (2) ed a Sofia (3).

Il governo ha chiamato da Roma il ministro jugoslavo, Ducic, il quale è già arrivato a Belgrado da due giorni ed ha riferito a Stojadinovic tutti i dettagli dell'atteggiamento dell'Italia nelle attuali questioni internazionali. Sembra che il tema principale del colloquio Ducié-Stojadinovic sia stato l'imminente convegno degli Stati del blocco romano a Vienna, avvenimento per il quale regna vivo interesse» (4).

(l) Al momento della sua partenza da Roma, Anfuso aveva ricevuto. dal direttore generale degli Affari Commerciali, Giannini, il seguente appunto, datato 27 ottobre: «Navigazione aerea. Occorrerebbe ottenere un affidamento che sarà consentito all'Italia di impiantare una linea per Madrid ed oltre (per andare a Lisbona), per il Sud della Spagna (per l'impianto delle linee sud-americane), per riprendere la linea Roma-Genova-Marsiglia-Barcellona. I dettagli saranno fissati ulteriormente. Navigazione marittima. a) sarebbe utile che ci venisse assicurato che sa;-anno riprese le trattative per il trasporto degli emigranti spagnoli o quanto meno che nessuna restrizione sarà posta alla pratica ora seguita; b) che venisse sussidiata dal governo spagnolo la linea Genova-Barcellona. I dettagli saranno ulteriormente stabiliti, tenendo conto di assicurare. anche nel traffico marittimo, una cooperazione itala-spagnola».

(2) Vedi p. 149, nota 2.

(l) -Accordo del 26 settembre 1936, vedi p. 156, nota 2. Nelle sue dichiarazioni ufficiaU, Stojadinovic aveva sottolineato la straordinaria importanza che gli accordi rivestivano perl'economia della Jugoslavia ed aveva poi affermato che con ciò si realizzava una normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi dopo il difficile periodo delle sanzioni. La stampa italiana aveva riportato queste dichiarazioni con inconsueto risalto accompagnandole con commenti molto positivi. (2) -Visita ad Ankara del 28-31 ottobre precedenti. Vedi p. 343, nota 1. (3) -Incontro con Re Boris di Bulgaria del 3 novembre. Si veda il D. 367. (4) -A partire dal 29 ottobre, erano state anche interrotte le trasmissioni in lingua serba e croata diffuse giornalmente dalle stazioni radiofoniche di Firenze e di Bologna, trasmissioni che peraltro negli ultimi tempi erano state «orientate in senso favorevole al governo di Belgrado, pur senza urtare le suscettibilità e le aspirazioni croate». Poiché, nel fare questacomunicazione, il ministro per la Stampa e la Propaganda, Alfieri, aveva espresso la preoccupazione che una cessazione, anche temporanea, di quelle trasmissioni potesse vanificare il lavoro compiuto fino a quel momento (Alfieri a Ciano, telespresso R. 909872/297 del 30 ottobre), Ciano rispondeva che, tenuto conto delle direttive politiche ora seguite dal governo verso la Jugoslavia, era da escludere una ripresa, sotto qualsiasi forma, delle trasmissioni in lingua croata, mentre potevano essere riprese, ma con l'orientamento già disposto, quelle In lingua serba (Ciano ad Alfieri, telespresso R. 12904 del 6 novembre).
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. uu. 11062-11063/1400-1401 R. Londra, 8 novembre 1936, ore 2,35 (per. ore 8,25).

Eden mi ha domandato stamane (l) se avevo notizia delle impressioni che sue dichiarazioni di ieri (2) avevano suscitato in Italia. Gli ho risposto che non avevo notizie ma che presumevo impressione non (dico non) sarebbe stata affatto buona.

Eden, come Vansittart che ho veduto subito dopo (3), si è mostrato sorpreso di questa mia risposta di cui mi ha domandato le ragioni, poiché colle sue dichiarazioni di ieri egli riteneva di essere andato incontro senza ambiguità e con sincero desiderio di intesa al leale e franco discorso del Duce.

Ho spiegato a Eden ancorq una volta le mille e una ragioni che giustificavano mia impressione. Ho detto che prendevo atto del commento aggiuntivo che egli mi faceva sulla portata e significato delle sue dichiarazioni e che tale commento Io avrei comunicato a V. E. secondo il desiderio da Eden espresso.

Eden mi ha pregato di andarlo a trovare nel pomeriggio per riprendere conversazioni. Abbiamo di nuovo e a lungo discusso dichiarazioni fatte ieri Camera dei Comuni.

Eden ha ripetuto con enfasi che era rammaricato per impressione da me avuta, e che sperava dopo le sue spiegazioni che tale impressione sarebbe stata modificata. Egli ha confrontato parola per parola dichiarazioni del Duce e quelle da lui fatte ieri ed ha concluso dicendomi che le sue dichiarazioni, colle quali ha cercato rispondere all'appello del Duce, indicano chiaramente non solo come egli e governo britannico abbiano apprezzato in tutta loro portata gesto del Duce ma anche come egli e governo britannico siano decisi a proseguire nella strada di un chiarimento definitivo tra i due Paesi malgrado esistano tra fascismo italiano e democrazia britannica delle sostanziali differenze sulle direttive e sui metodi da seguire per risolvere problemi generali rtell'Europa. Eden ha detto sperare che il Duce e V. E. vorranno rendersi conto delle sue difficoltà politica interna. Favore con cui Camera dei Comuni accolto sue dichiarazioni circa comunità interessi anglo-italiani nel Mediterraneo e ristabilimento rapporti amicizia tra i due Paesi lo incoraggia a continuare sulla via iniziata. In materia assicurazioni all'Italia circa riarmo inglese nel Mediterraneo, Eden mi ha detto che egli è disposto, pur non entrando discutere di Patti che mentalità britannica non capirebbe, a precisare ancora più esplicitamente attitudine britannica che vuole essere nel Mediterraneo come dappertutto, di sincera collaborazione coll'Italia. Ha aggiunto avere incaricato ieri Vansittart della decisione per quanto si riferisce al ritiro guardia Addis Abeba, e ciò per far coin

cidere le sue dichiarazioni Camera dei Comuni con un primo gesto concreto. Vansittart lo aveva informato conversazione avuta con me stamane, e Drummond aveva ricevuto oggi stesso istruzioni illustrare a V. E. vera portata dichiarazioni di ieri (1). Eden concluso pregando vivissimamente trasmettere a V. E. quanto egli mi aveva detto.

Invio per corriere particolari della conversazione e le mie impressioni (2).

(l) -Questo documento risulta redatto Il giorno 6 e pertanto è quel giorno che ebbe luogo questo colloquio come risulta anche dalla documentazione britannica (vedi BD, vol. XVII, DD. 353 e 356). (2) -Del giorno 5. Vedi p. 403, nota 2. (3) -Vedi D. 359.
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IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO (3)

T. S. PERSONALE 4931/206 R. (4). Roma, 9 novembre 1936, ore 11.

Comunica al Cancelliere quanto segue:

Ho avuto un colloquio cordiale e interessante con von Wiesner capo dei legittimisti austriaci. Egli mi ha detto che dopo 1'11 luglio la tendenza alla Gleichschaltung, cioè all'Anschluss de facto ha progredito fortemente. Per quanto concerne la restaurazione, gli ho detto chiaramente che una mossa compiuta in un momento non favorevole dal punto di vista della situazione internazionale potrebbe essere fatale all'Austria. Quanto alla indipendenza, ciò dipende ormai dalla volontà degli austriaci stessi.

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IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL JVIINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO (3)

T. PERSONALE 4932/207 R. (4). Roma, 9 novembre 1936, ore 10,30.

Domanda nei circoli di governo notizia sul tenore e il risultato dell'incontro fra Hitler ed il cardinale di Monaco (5).

381.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UU. 11087/513 R. Berlino, 9 novembre 1936, ore 10,33 (per. ore 13).

Telegramma di V. E. n. 332 (l).

Comunicato Dieckhoff. Neurath partito ieri per Monaco, lasciando ordine di non far nulla senza istruzioni sue e del cancelliere del Reich. Se, come sembra, oggi governo di Burgos darà notizia entrata Madrid, questo ministero non mancherà mettersi contatto telefonico con von Neurath ed altrettanto farò io con V. E. in maniera che tutto possa svolgersi di concerto.

382.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. u.u. 11089/514 R. Berlino, 9 novembre 1936, ore 12.

Mio telegramma n. 513 (2).

Questo ministero degli Affari Esteri, cui ho fatto comunicazione di cui al telegramma di V. E. 332 (l) mi fa osservare che non era mai stato inteso che si sarebbe proceduto ad un immediato esplicito riconoscimento di diritto del governo generale Franco. Riconoscimento diritto sarà implicito nella stessa nomina Ca Madrid o in quel qualunque luogo governo di Franca sarà per stabilirsi) di un incaricato d'affari ma la Germania non, dico non, si propone di procedervi in maniera esplicita. Naturalmente, però, essa non si oppone a che noi, se lo vogliamo, procediamo per conto r:ostro anche al riconoscimento, esplicito.

Questo ministero degli Affari Esteri è comunque d'accordo di procedere riconoscimento di fatto appena governo nazionale spagnuolo abbia « comunicato » presa Madrid. Domanda però di sapere se e quali accordi esistano in proposito con governo Franco e in quale forma si crede che detta « comunicazione » sia per avvenire ( 3).

(l) -In realtà, un passo dell'ambasciata Drummond in questo senso fu poi rinviato su consiglio dello stesso ambasciatore (vedi BD, vol. XVII, D. 363), il quale peraltro aveva già illustrato a Ciano il significato delle dichiarazioni di Eden ai Comuni, nel colloquio del 6 novembre (Vedi D. 364). (2) -Non è stato ritrovato nessun documento in proposito. (3) -Ciano si trovava allora in visita a Vienna. (4) -Minuta autografa. (5) -La risposta di Ciano non è stata rinvenuti!. Si veda, comunque, il D. 406.
383

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11102/178 bis R. Varsavia, 9 novembre 1936, ore 15,50 (per. ore 19,10).

Stampa concorde esprime vivo compiacimento per visita ufficiale Beck a Londra (4). Si sforza di mettere in evidenza punti di contatto nella politica due Paesi «ispirata a realismo politico», affermando che, a misura che si sviluppa

il conflitto tra le forze del Reich e quelle dell'U.R.S.S., è naturale che l'Inghilterra si interessi alla Polonia « fattore indispensabile dell'equilibrio dell'Europa Orientale ». Inoltre i due Paesi, sempre secondo questa stampa, si preoccuperebbero di evitare gli accordi internazionali diretti contro un terzo Stato e sarebbero entrambi animati dal desiderio di combattere la tendenza di far sorgere blocchi di Stati contro altri blocchi di Stati. Non manca neanche in questa occasione l'affermazione che non vi può essere sicurezza sul Reno se non vi è pure sulla Vistola. Si dice che non bisogna aspettare dal convegno di Londra alcuna rivelazione o sorpresa giacché non ve ne possono essere nelle relazioni polacco-britanniche, né nella politica polacca ii)-generale.

(l) -Vedi D. 375. (2) -Vedi D. 381. (3) -Per il seguito si veda D. 389. (4) -Vedi p. 352, nota 2.
384

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 11119/204 R. Tokio, 10 novembre 1936, ore 7,35 (per. ore 13,15).

Dall'accenno confidenziale fatto da persona bene informata e degna di fede, circa esistenza di un « patto » fra Germania e Giappone, deve dedursi che, quale che sia suo contenuto, legami fra i due Stati sono ora più stretti di quelli derivanti naturalmente dall'analoga posizione nei riguardi Russia e da una semplice intesa per lo scambio informazioni militari.

385

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11137/165 R. Lisbona, 10 novembre 1936, ore 16,15 (per. ore 20,45).

Mio telegramma n. 156 (1).

Segretario generale ministero degli Affari Esteri mi ha convocato d'urgenza per comunicarmi che governo portoghese, data sua speciale posizione geografica, come aveva dovuto rompere relazioni diplomatiche governo Madrid, così è pronto, se preavvisato, a riconoscere da un momento all'altro governo nazionale spagnolo. Aggiunse che secondo notizie ministri portoghesi Roma e Berlino governi italiano e tedesco avrebbero deciso procedere riconoscimento dopo presa Madrid.

In tal caso governo portoghese considererebbe di grande importanza e appoggio molto amichevole conoscere come R. Governo considera situazione

presente dal punto di vista giuridico e procedurale, sia per governo nazionale e Madrid (l) che di fronte impegno di non intervento.

A domanda segretario generale, gli ho promesso fare conoscere d'urgenza a V. E. tale desiderio governo portoghese. Ministro di Germania ha ricevuto analoga richiesta e ha anch'egli promesso riferire al suo governo.

(l) 10942/156 R. del 4 novembre, ore 20,50. Il ministro Mameli riferiva che, secondo le istruzioni ricevute, aveva fatto presente al segretario generale del ministero degli esteri portoghese l'opportunità di mantenere nel Comitato di Non Intervento un fronte antibolscevico contro l'Unione Sovietica. L'ambasciatore Sampayo gli aveva assicurato che al delegato portoghese sarebbero state subito riconfermate le istruzioni di agire di intesa con il delegato italiano.

386

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11131/1408 R. Londra, 10 novembre 1936, ore 20,14 (per. ore 3,40 dell'11).

Con telegramma 1406 (2) ho trasmesso discorso pronunciato alle autorità della City e rappresentanti corpo diplomatico iersera da Baldwin al banchetto offerto dal lord Mayor, con dichiarazione simpatia verso l'Italia. È questa la prima volta, dacché ricopre carica primo ministro, che Baldwin pronuncia parole di tono marcatamente amichevole all'indirizzo del nostro Paese. Tali parole di Baldwin hanno provocato vivissimi unanimi applausi, specialmente da parte rappresentanti mondo finanziario e industriale della City. Questa spontanea manifestazione filo-italiana, la quale ha -si può dire -caratterizzato cerimonia dell'insediamento del nuovo lord Mayor, è stata interpretata stamane ai Comuni e negli ambienti politici della capitale come una pubblica dimostrazione della viva approvazione al governo per essersi finalmente deciso ad esaminare con senso realistico problema dei rapporti con l'Italia e della viva soddisfazione con cui City ha accolto inizio della distensione itala-inglese e l'annunzio che i due governi stanno esaminando seriamente e concretamente la possibilità di un accordo stabile e duraturo.

387

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA S.D.N., THEODOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. P. Roma, 10 novembre 1936.

In seguito alla conversazione avuta con l'E. V. giovedì 5 corr., mi sono recato da Mc Clure e ieri mattina in compagnia dello stesso Mc Clure dall'ambasciatore di Inghilterra. Tenendo presente quanto l'E. V. ebbe ad accennarmi relativamente ai contatti da me avuti a Londra nella City e negli ambienti parlamentari inglesi, ho cominciato col mettere quei signori di Via XX Settembre al corrente di quanto avevo detto e sentito, sia a Londra che a Parigi. Non feci

mistero che i risultati di quei miei colloqui erano stati già da me riferiti a

Palazzo Chigi.

Drummond mi ha subito detto che era stato felice di apprendere da Mc Clure

la conversazione che avevo avuto con quest'ultimo. Egli era di buonissimo umo

re per i tre articoli apparsi sabato scorso sul Popolo d'Italia, sul Messaggero

e sul Giornale d'Italia (1).

Drummond mi ha accennato al vivo disappunto avuto da Eden in un primo

momento nel constatare che la versione data in Italia del suo discorso (2) non

era esatta. Riferendosi al chiarimento intervenuto in questi giorni (3), Drum

mond mi ha detto che la storia renderà giustizia all'azione da lui svolta, da

un anno a questa parte. Egli ha la coscienza di non aver lasciato nulla di

intentato per giungere al ristabilimento della piena cordialità di una volta.

Oggi gli è facile far constatare a Londra l'identità sostanziale tra il punto di

vista del governo inglese e quello italiano, malgrado che tali punti di vista siano

espressi in una forma rispondente, nei discorsi del Duce ai sentimenti del pub

blico italiano, e nelle dichiarazioni di Eden alla mentalità dei parlamentari

britannici.

«Vi posso assicurare -mi ha detto Drummond -· che occorre coltivare

in primo luogo i rapporti con la City e col governo, poi con la stampa e con

la massa dell'opinione pubblica e infine coi parlamentari, tenendo presente

che le simpatie verso l'Italia, spiccatissime nei primi, diminuiscono col pas

sare dall'una all'altra delle categorie predette. Non dovete dimenticare -ha

aggiunto -che per raggiungere l'obiettivo voluto dai due governi occorre tener

molto conto dell'opinione pubblica britannica giacché la politica estera in Inghil

terra è in massima parte in funzione della politica interna. Il Re, il governo, i

conservatori e molti liberali sono oggi decisi a seguire la strada indicata da

Mussolini nel discorso di Milano ». Drummond riconosce che non esiste nes

sun motivo che potrebbe giustificare una politica di contrasti tra l'Inghilterra

e l'Italia, mentre esistono molti e importanti interessi per una stretta colla

borazione. Si tratta dunque di metodo.

Egli mi chiede a bruciapelo: « Cosa suggerireste voi? ,.. Attenendomi a · quanto mi aveva detto l'E. V., gli ho risposto: «Caro Drummond, non riterrei

opportuno, né possibile un testo di trattato, di accordo o di intesa. Viceversa

mi permetto di attirare la vostra attenzione su quanto fu fatto tra Salisbury

e Di Robilant nel 1887 (4). I due uomini di Stato ritennero allora sufficiente

a consacrare la piena comunanza di interessi delle due Nazioni nel Mediter

raneo, di valersi di un semplice «gentlemen's agreement ». Su di esso è rimasta basata per oltre quarant'anni la politica di amicizia tra le due Nazioni. Il precedente sembra indicare la migliore via da seguire.

Drummond mi ha risposto che l'idea gli sembrava facilissima. «Una volta messisi su questo terreno --mi ha detto -tutte le questioni concernenti degl'interessi comuni diventerebbero estremamente facili a risolversi. Cosi, ad esempio, potrebbe considerarsi un'azione comune per un abbassamento delle tariffe del Canale di Suez che gli armatori inglesi da anni non sono riusciti ad ottenere. Lo stesso dicasi, mi ha aggiunto, per un regolamento sull'uso delle acque del lago Tana, per la questione della zona di Gambela, per la precisazione dei confini da quella parte; così infine per una collaborazione italo-britannica in Abissinia. Voi avete avuto già una prova della possibilità di una tale collaborazione nelle offerte fattevi da Charles Hambro per le miniere nell'Uallega della Società da voi presieduta. Sopratutto, ed egli ha insistito in modo particolare su questo punto, Drummond è d'avviso che per effetto del chiarimento voluto dai due governi, ogni volta che in avvenire si verificasse un malinteso o una divergenza d'interessi tra i due Paesi sarebbe possibile risolvere la questione in uno spirito di piena fiducia, da gentleman a gentleman che si sono stretta la mano guardandosi negli occhi.

La conversazione è poi passata su un terreno più generale. Drummond ha fatto un giro d'orizzonte cominciando dalla Francia. Egli ha dichiarato che in questo momento la politica estera del Quai d'Orsay urta contro evidenti difficoltà sopratutto per motivi di politica interna. Tra due o tre mesi, però, è probabile un mutamento di governo. Ma anche da uomini più ragionevoli che salissero al potere non potrà mai attendersi una denuncia degli accordi franco-sovietici. Ciò che forse sarà possibile è che tali accordi vengano lasciati cadere di fatto, come è avvenuto degli accordi russo-tedeschi di Rapallo (1) e di Berlino (2) che formalmente non sono mai stati denunziati.

Drummond raccomanda di non dare a Parigi l'impressione che l'Italia voglia incunearsi tra essa e l'Inghilterra il che renderebbe i francesi diffidenti. In Francia si è assai suscettibili pel fatto che si parla sempre di una questione mediterranea tra l'Italia e l'Inghilterra, come se la Francia non avesse nulla da dire. Su questo punto mi permetto ricordare a V. E. quanto Le riferii circa i rilievi fattimi nello stesso senso a Parigi da Pietri e dall'ammiraglio Durand Viel, capo di Stato Maggiore della Marina.

Sulla Germania, Drummond è stato assai vago sopratutto quando ho cercato di conoscere il suo pensiero sulle rivendicazioni coloniali tedesche. Egli mi ha detto che la Germania è già sul chi vive per i recenti articoli della stampa italiana di intonazione amichevole verso l'Inghilterra.

«Non dobbiamo perder di vista -mi ha detto -che l'idea geniale di Mussolini del Patto a Quattro è destinata a risorgere. Occorre però non dare l'impressione di voler isolare la Russia. Per una collaborazione tra le quattro Potenze bisognerebbe che l'Italia conducesse per mano Hitler a incontrarsi con Marianna che verrebbe condotta da noi».

«Come vedete -gli ho chiesto -il modo di arrivarvi?».

«È questione di metodo » -mi ha risposto. -«La situazione ha preso una buona piega ma non bisogna assolutamente aver fretta per non creare imbarazzi al governo inglese che ha da fare con un'opinione pubblica lenta e testarda, e con una opposizione parlamentare violenta e fanatica come quella dei laburisti. Il metodo migliore, a mio avviso, sarebbe di preparare discretamente il terreno, specialmente nei saloni dell'aristocrazia, negli ambienti finanziari, nei circoli parlamentari mediante una opera di persuasione che, pur non avendo carattere ufficiale, dovrebbe essere controllata e ispirata dall'ambasciata a Londra ». Dopo le dichiarazioni intervenute in questi giorni da ambo le parti, dichiarazioni che erano state per Drummond motivo di grande soddisfazione, egli riteneva che non vi fosse bisogno di altri gesti, ma che si potesse già pensare alla possibilità, in un secondo momento, di una visita di V. E. a Londra quando l'atmosfera fosse stata improntata a un'assoluta cordialità. Tale sentimento esiste già oggi negli ambienti governativi e nella City, ma occorre ancora un po' di tempo perché sia largamente diffuso nei circoli nei quali è prevalsa una propaganda, non tanto anti-italiana, quanto orientata in favore della Lega.

Un secondo passo dopo la visita di V. E. dovrebbe essere naturalmente costituito dalla partecipazione di S. A. il Principe Ereditario alla cerimonia dell'Incoronazione. Tale visita porterebbe di conseguenza alla restituzione di essa da parte di S. M. Edoardo VIII a Roma. Nell'attuazione di questo programma occorrerebbe procedere ·lentamente all'inizio ma una volta ch'esso comincerà ad attuarsi, si svolgerà rapidamente.

Incidentalmente, nel corso della conversazione ho detto a Drummond che avevo avuto contatti a Londra con l'ingegner Edwards il quale partiva allora per Ankara a controllare l'impiego dei dieci milioni di sterline concessi dal governo britannico a quello turco. Drummond mi ha confermato quanto l'ingegner Edwards mi aveva detto e cioè che tale somma era destinata in parte alle fortificazioni dei Dardanelli e in parte alla attrezzatura e alla sistemazione dei porti sul Mar Nero e degli aerodromi in Anatolia. Egli ha aggiunto che effettivamente i Turchi in un primo tempo avevano orientato i loro armamenti verso l'Italia speculando sulla situazione determinatasi tra noi e )'Inghilterra ma che ora le loro precauzioni erano prese nei riguardi della Russia e in tale atteggiamento erano incoraggiati dall'Inghilterra. Come sempre Drummond mi ha espresso il desiderio di tenersi in contatto. A questo riguardo attendo istruzioni.

(l) -Sic. (2) -T. 11116/1406 R. del 10 novembre. Riferiva che, nel suo discorso, Baldwin aveva ripreso !l concetto che gli Interessi della Gran Bretagna e dell'Italia nel Mediterraneo non erano divergenti ma complementari ed aveva esortato entrambi 1 Paesi a rendersi conto di ciò per U bene di tutti. (l) -Il Popolo d'Italia e Il Messaggero del 7 novembre ed Il Giornale d'Italia del giornosuccessivo avevano tutti dedicato i loro articoli di fondo ai rapporti itala-britannici prendendo spunto dalle dichiarazioni distensive fatte ai Comuni da Eden e da Lord Halifax per mettere in risalto il significato che in questo quadro assumevano la decisione del governo britannico di ritirare il contingente indiano di guardia alla legazione in Addis Abeba e gli accordi commerciali itala-britannici conclusi il 6 novembre. GU articoli -quello del Giornale d'Italia era a firma di Virginio Gayda -esprimevano l'auspicio che si continuasse su la via del chiarimento nei rapporti con Londra, sottolineando che non vi era contrasto tra gli interessi italiani e quelli britannici nel Meditèrraneo, mentre una collaborazione fra i due Paesi sarebbe stata del più grande valore non solo per la pace dell'Europa ma anche per una buona armonia nel mondo coloniale. (2) -Pronunciato alla Camera dei Comuni il 5 novembre, vedi D. 359. (3) -Vedi i DD. 364 e 378. (4) -Si riferisce allo scambio di lettere Corti-Sallsbury del 12 febbraio 1887 per il cui testo si veda British Documents on the Origins ot the War, 1898-1914, vol. VIII, Londra, H.M.S.O., 1932, D. l, allegati a e b. (l) -Trattato di amicizia tra Germania e U.R.S.S. del 16 apr!le 1922 (MARTENS, vol. XII, pp. 70-71). (2) -Trattato di amicizia tra Germania e U.R.S.S. del 24 aprile 1926 (ibid., vol. XVI, pp. 32-36).
388

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 11151/206 R. Tokio, 11 novembre 1936, ore 11 (per. ore 14,30).

Persona diversa da quella del mio telegramma n. 204 (1) (ma che qualche volta è anch'essa bene informata) ha udito dire che il 15 corrente sarebbe stata

3l -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

data pubblica notizia circa trattato politico nipponico-tedesco. Altra persona che ha molte conoscenze fra dirigenti giapponesi mi dice credere che qualche cosa di simile si prepari anche perché ambasciatore di Germania, tornato ieri l'altro dalla Germania, al quale egli ha chiesto se fosse vero avesse portato progetto di un trattato, gli ha risposto che per ora non c'è nulla, ma che qualche cosa potrebbe esservi in seguito. Di positivo risulta soltanto finora che, secondo quanto pubblicano giornali pomeriggio, è stato stamane sottoposto al Consiglio Privato un importante progetto di legge di carattere << diplomatico ».

(l) Vedi D. 384.

389

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. uu. 11144/516 R. Berlino, 11 novembre 1936, ore 13 (per. ore 16,30).

Questo ministero degli Affari Esteri ha, su mia richiesta, riesaminato attentamente questione riconoscimento, entrando in massima nel nostro punto di vista. Rimane quindi inteso che governo tedesco procederà a un riconoscimento esplicito. Soltanto esso non sarà qualificato, né come riconoscimento di diritto, ritenendosi che la formula di un riconoscimento puro e semplice possa riuscire più comoda. Soluzione mi sembra accettabile dato che riconoscimento, purché dichiarato, deriva automaticamente la sua qualificazione dalla nomina di un Incaricato di Affari. Rimango, comunque, in attesa delle istruzioni di V. E.

Telegrafato Roma e Vienna.

390

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO (l)

T. s. N. (2). Roma, 11 novembre 1936.

Segnali al generale Franco mia intervista a Daily Mail per quanto riguarda Maiorca e isole contigue (3). È per rispettare principio non intervento che non ho voluto fare allusioni alla Spagna mio discorso di Milano. Circa vostra allu

sione isole (1), posso dichiararvi nel modo più categorico che simile idea non ha mai sfiorato nostri cervelli. Effettivamente, non avrei nessun rispetto per capo di movimento nazionalista che pensasse un solo istante a possibilità abbandonare parte territorio proprio Paese (2).

(l) -Vedi p. 381, nota 3. (2) -Il telegramma fu inviato al generale Roatta per essere trasmesso ad Anfuso. (3) -Vedi p. 453, nota 2.
391

L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OT'l'AVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2608/626. Bucarest, 11 novembre 1936 (per. il 19).

Trasmetto il seguente notiziario di politica estera redatto a cura dell'incaricato dell'ufficio stampa di questa R. Legazione, signor Giovanni Costa. DISCORSO DI MILANO.

L'emozione suscitata in tutti i circoli romeni dal passaggio riferentesi all'Ungheria contenuto nel discorso tenuto dal Duce il 1° novembre a Milano è continuata vivissima per tutta la settimana. Uomini politici, associazioni e giornali hanno fatto a gara nel manifestare in modi diversi, ma tutti con la stessa foga, !"avversione a ogni idea revisionistica. L'opinione pubblica ha dato, a sua volta, varie testimonianze della profonda eco che il discorso ha avuto su di essa. In conversazioni private nessuno degli interlocutori nasconde la propria « amarezza» per le parole del Duce in favore dell'Ungheria, ed anche non volendo attribuire eccessiva importanza al lieve incidente occorso nei locali del consolato di 'Cluj (3), non si può fare a meno di collegarlo con i mormorii che hanno accolto in un grande cinematografo della capitale l'apparizione sullo schermo del capo del governo italiano, mentre insoliti applausi salutavano quella di Lebrun, come pure con il successo registrato da una serie di vignette caricaturali sulla pretesa latinità degli ungheresi pubblicata dal Curentul.

Va osservato che da parte del governo romeno si è continuata l'azione per temperare le reazioni che generalmente qui si temevano e che gran parte della stampa non ha mancato di assecondare l'opera governativa, evitando quella inurbanità di stile che era caratteristica specialmente del settore demomassonico. Si è quindi scritto che non v'è ragione di allarmare e si è espressa la certezza che non solo l'Italia non scatenerà mai una guerra, ma anche che mai soldato

italiano avrebbe collaborato a eventuali aggressioni contro il popolo romeno. Varie voci hanno ripetutamente invocato sentimenti di fraternità latina e ribadito il concetto che l'attuale tendenza filomagiara della politica estera italiana è frutto di momentanee convenienze internazionali; altre, infine, hanno sostenuto che buona parte della responsabilità della «dolorosa» situazione d'oggi è da ascriversi alle direttive antitaliane impresse negli ultimi anni alla politica della Romania e che non c'è da stupirsi se due mesi di <<ravvedimento» (come si usa chiamare il lasso di tempo successivo al defenestramento di. Titulescu) non sono stati sufficienti per far dimenticare a Roma tutti i torti avuti da parte della Romania.

Maggiormente e particolarmente « addolorati >> si mostrano i circoli nazionalisti. Sostengono i loro esponenti averli posti il discorso di Milano in serio imbarazzo di fronte all'opinione pubblica del paese, dando in pari tempo buon giuoco ai loro avversari, i socialdemocratici ed affini, che se ne valgono per intensificare la già vivace campagna contro i movimenti a sfondo nazionaleautoritario. È un fatto che la stampa di sinistra continua a battere quotidianamente sul tasto del preteso antipatriottismo delle destre, accusandole di essere infeudate al fascismo che mira alla revisione dei confini romeni. È di questi giorni la trovata dell'ufficioso nazional-contadino che «la storia ci insegna che le destre hanno sempre tradito», e ciò in risposta ai tentativi dei nazionalisti di attenuare o comunque limitare la portata pratica ed immediata delle dichiarazioni di Milano.

Questa campagna e il timore di apparire agli occhi della gente sotto la veste di tiepidi oppositori del revisionismo hanno indotto molti dei nostri amici più provati ad assumere atteggiamenti di riserva. Nel campo giornalistico uno dei primi il direttore del Curentul, Pamfil Seicaru, che ha ripetutamente avuto l'onore di essere ricevuto dal Duce e che per l'Italia fascista si è sempre e con accanimento battuto. Pur premettendo che le dichiarazioni di Milano vanno considerate alla stregua di « un fiore retorico a consolazione di Budapest », Seicaru ha scritto giorni fa che «al disopra di ogni logica politica sta la sensibilità di tutto un popolo, oltraggiato dalle parole di incoraggiamento indirizzate ai suoi nemici, parole tanto più dolorose ché vengono da Roma, per la quale la Romania ha sempre nutrito sentimenti di caloroso amore». E più oltre. «S'immagina Mussolini che esiste un sol romeno, dico uno solo, che ammetta l'aberrazione della mutilazione del proprio Paese, foss'anche come semplice ipotesi?». È convinzione dello Seicaru, e non solo sua, che la presa di posizione in favore della tesi revisionista ungherese tornerà a tutto vantaggio della Germania che -si dice qui -evitando prudentemente lo sbandieramento di velleità o tesi revisionistiche, riuscirebbe attrarre verso di sé quelle simpatie che l'Italia si stava conquistando sempre più numerose nell'animo dei romeni. Espressi in un articolo, questi convincimenti hanno indotto il ministro del Reich a deporre un biglietto da visita nella redazione del Curentul.

Numerosi, d'altra parte, gli uomini politici e le associazioni che hanno tenuto

a ribadire clamorosamente propositi antirevisionistici e criti.care, di riverso, il

discorso di Milano. L'impossibilità di ogni modificazione dei confini è stata affermata dal comitato direttivo della Lega antirevisionista romena, appositamente convocato, che ha indetto per il l o dicembre, anniversario dell'annessione della Transilvania, una serie di riunioni popolari in tutto il Paese. Altrettanto si propone di fare il neo «Comitato romeno per la pace», posto sotto la presidenza onoraria di Titulescu e quella effettiva di Mihalache, mentre il prof. Iorga e l'Unione degli ex combattenti intendono invitare personalità italiane a constatare sul posto l'insostenibilità delle rivendicazioni magiare. D'altra parte ancora, « certe dichiarazioni e precisazioni di posizioni da parte di taluni governi stranieri, aventi carattere di gravità per i più vitali interessi del nostro Paese», hanno determinato Mihalache a chiedere l'immediata convocazione delle commissioni di politica estera del Parlamento. Le due commissioni si riuniranno il 20 corrente e, a quanto si afferma, il ministro degli Esteri V. Antonescu farebbe in quell'occasione importanti dichiarazioni, si ritiene in risposta al discorso di Milano.

In un « giuramento » indirizzato a Re Carol, gli insigniti dell'Ordine di Mihai Viteazul -considerati l'aristocrazia del combattentismo romeno essendo quella la più alta decorazione militare -hanno affermato che « nel momento in cui un grande dirigente di una grande nazione dice che i nostri confini sono poco stabili, noi assicuriamo il nostro Re che per renderli durevoli i cavalieri di Miahi Viteazul stanno a disposizione di Sua Maestà perché vengano messi a guardia delle frontiere».

Tra gli uomini più in vista che si sono pronunziati contro il discorso di Milano vanno ricordati gli ex presidenti del Consiglio Iorga, Maniu (del partito nazional-contadino), Vaida Voevod (capo del Fronte Romeno), l'ex ministro Goga e il prof. Cuza (rispettivamente presidente effettivo ed onorario del partito nazional-cristiano), Argetoianu (capo del partito agrario), l'ex sottosegretario agli esteri Gafencu, e quello della presidenza Tilea. Non è forse privo d'interesse riprodurre alcuni scorci delle dichiarazioni fatte da questi personaggi, che danno la sensazione di quanto profonda sia qui stata la ripercussione avuta dal discorso di Milano.

IORGA: «Certe parole venute da dove non ce l'aspettavamo e dove non avrebbero dovuto essere mai dette, anche se si tratta di un errato calcolo politico o di un'imprudenza, insieme all'eco da esse avute in Ungheria, ci mostrano lo stato d'isolamento dello Stato romeno».... «Ho detto al senatore Bodrero che se mai, per un atto che non ritengo possibile, i soldati italiani dovessero trovarsi ai confini della Transilvania per riprendercela, vi troveranno pure me, vostro amico. Per quanto riguarda poi l'esercito ungherese sappiamo da secoli sconfiggerlo ».

MANIU: «Il discorso di Milano lede profondamente gli interessi della nazione romena. Ne risulta chiaramente che il Capo del governo italiano è favorevole alla revisione del Trattato di Trianon e alla mutilazione dei nostri confini. Protestiamo energicamente contro queste tesi ingiuste e nello stesso tempo pericolose per gli interessi europei. La pace di Trianon ha reso giustizia ai popoli oppressi del bacino danubiano. I trattati di pace non hanno mutilato la monarchia austro-ungarica, che era un anacronismo, mentre invece con il

concorso attivo ed eroico della Italia si è riparato ad un'ingiustizia storica e soppresso un'assurdità politica e geografica ».

VAIDA VOEVOD: «Il discorso di Mussolini è un colpo grave e inatteso infertoci da un fratello. È bene ripetere che quanto è stato realizzato nel 1918 rappresenta non soltanto il compimento di un atto di giustizia e di riparazione ma anche e sovratutto un patrimonio di gloria eterna conquistata con il sacrificio dei nostri eserciti. Chi vuoi disputarci oggi la nostra giustizia deve affrontare prima il nostro esercito».

GOGA: «Considero il Duce una gran figura della storia contemporanea e vedo in lui l'uomo la cui parola ha gran peso nella bilancia internazionale. È però concetto profondamente errato parlare di Ungheria mutilata perché la limitazione delle frontiere di quel Paese è avvenuta in virtù del principio nazionale che ha deciso della carta del continente dopo la gran guerra. L'Ungheria non è stata mutilata ma reintegrata nei suoi territori etnici e l'esistenza di infiltrazioni magiare nei territori altrui dimostra la nostra tesi che una minoranza, quella ungherese, ha ingiustamente spadroneggiato per parecchi secoli sui nostri destini».

CUZA: «Credo che Mussolini abbia commesso un errore politico e giuridico. Ma egli ne ha commesso pure uno sentimentale, offendendo profondamente e senza alcun motivo i sentimenti del popolo romeno. Non avrebbe mai dovuto essere che da Roma, dai pressi della colonna di Traiano, un romano si pronunziasse in tal modo contro i romeni. Rispondiamo: noi pure siamo romani, daco-romani, ed abbiamo imparato a non temere nessuna minaccia e ad essere fiduciosi. Se per tanti secoli abbiamo saputo resistere in queste contrade senza che Roma o i suoi dirigenti ci aiutassero, sapremo, all'occorrenza, resistere anche contro Roma».

ARGETOIANU: «Dal punto di vista sentimentale considero le parole di Mussolini assai rincrescevoli e il rammarico è tanto maggiore per noi, e siamo stati in tanti qui, che durante le recenti difficoltà dell'Italia abbiamo moralmente e palesemente sostenuto le sue giuste rivendicazioni. Dal punto di vista politico ritengo tuttavia che quelle dichiarazioni non debbono allarmarci. Se è ovvio che revisione significa guerra né io né altri crediamo che Mussolini sia partigiano di una guerra. Non trattasi dunque che di parole gettate al vento. È mia impressione che Mussolini abbia versato una pia lagrima sulla tomba di un cane fedele».

TILEA: «Benché le dichiarazioni di Mussolini non siano nuove ho l'impressione trattarsi di una pubblica dichiarazione d'amore richiesta da un'alleata gelosa. Comunque, se le dichiarazioni di Milano vanno intese come minaccia esse riguardano piuttosto i nostri grandi alleati, Francia ed Inghilterra, giacché il dieci in condotta dato alla Jugoslavia va a tutta la Piccola Intesa, solidale specialmente nella questione del revisionismo.

Alcuni di questi personaggi hanno accennato anche a responsabilità del governo romeno per «non aver data pronta esecuzione al piano di ravvicinamento con l'Italia annunziato da Antonescu » ma il più esplicito sulle colpe romene è stato indubbiamente Corneliu Codreanu, capo delle « Guardie di Ferro» che in un messaggio indirizzato al Re (interamente censurato però) ha detto: «Il discorso di Mussolini è una risposta estremamente dolorosa al contegno di grande inimicizia e di perfida macchinazione che la nostra politica estera ha avuto nei riguardi dell'Italia fascista. Per 14 anni questa politica è stata infame strumento della massoneria e del giudaesimo. Sono la massoneria e il giudaesimo che ci hanno portato al punto dove oggi siamo. Sotto questo punto di vista consideriamo che Titulescu, l'uomo infeudato alle due cricche, ha commesso il più grande delitto possibile contro l'avvenire dello Stato romeno. Noi siamo stati il primo Stato del mondo, come l'ultimo dei servi del giudaesimo, che ci siamo precipitati, non appena ricevuto l'ordine, ad applicare le sanzioni all'Italia in un momento difficile della sua storia. Più che di inimicizia, l'Italia ha considerato questo nostro gesto come un vero tradimento della razza latina. Dobbiamo stupirei ancora della ferocia del discorso di Musso lini? ».

Sulla linea dei succitati personaggi politici si è schierata anche la stampa rappresentante le varie organizzazioni e quella indipendente. Tutti i giornali hanno ribadito, con abbondanza di documentazioni e di argomentazioni, il concetto che il trattato di Trianon !ungi dal creare un'ingiustizia all'Ungheria ha reso giustizia ai numerosi popoli per secoli oppressi da Budapest. Si è poi insistito molto sulla necessità dell'unità spirituale fra tutti i romeni per meglio combattere eventuali velleità bellicose da parte degli ungheresi; sulla necessità di armarsi per essere pronti ad ogni evenienza e infine -specie nel settore di sinistra -sull'opportunità di rinforzare gli allentati vincoli con le grandi democrazie occidentali. E non sono mancate, naturalmente, invocazioni alla fraternità d'armi itala-romena e alla comune origine latir.a.

Grande rilievo si è voluto inoltre qui dare al discorso di Eden, generalmente interpretato come « diretta replica» al discorso di Milano, sottolineandosi specialmente la «fermezza della decisione britannica di mantenere la sua politica nel quadro della S.d.N. ». Alla duchessa di Atholl, che ai Comuni ha spezzato una lancia in favore dei paesi successori, sono state tributate particolari lodi, tra cui un telegramma di ringraziamento da parte del prof. Iorga.

Un altro argomento largamente dibattuto durante la scorsa settimana è stato l'atteggiamento della Jugoslavia di fronte alle «lusinghe» che le sarebbero state fatte a Milano. In generale si confida qui sulla fedeltà della Jugoslavia e si vuole che la prossima visita di Benes a Belgrado dimostrerà l'inanità di ogni tentativo di smembramento della Piccola Intesa e farà contemporaneamente cessare ogni insinuazione in tale direzione.

Eppure qualche dubbio su questa fedeltà è stato espresso, sia in relazione al viaggio di Stojadinovic a Sofia (1), sia in quella dei favorevoli apprezzamenti intessuti dalla stampa belgradese intorno al discorso di Milano. Si propende, tuttavia, come detto, a considerare dogmatica la coesione della Piccola Intesa. Non sono mancati però suggerimenti per un maggior rafforzamento dei vincoli tra i tre alleati; tale l'idea di una convocazione comune dei parlamenti romeno, jugoslavo e cecoslovacco in una delle tre capitali e quella di un'unione doganale, monetaria e ferroviaria tripartita.

(l) -Nelle comunicazioni di Anfuso da Salamanca non è stato ritrovato nessun accenno in proposito. (2) -Il 14 novembre perveniva al ministro De Peppo il seguente telegramma di Anfuso, inviato il giorno 12 tramite il servizio Informazioni Militare: «Ho segnalato al generale !<,ranco intervista Duce al Daily Mail. Franco non l'aveva ancora letta ed ha appreso con emozione quanto riguarda Spagna, Maiorca, nonché accenno alla sua persona. Mi ha dato incarico di far sapere al Duce che considerava sue parole come un'altra grandissima prova di amicizia verso la causa nazionale spagnola. « Chiudendo la bocca -mi ha detto Franco -a coloro che in Francia ed in Inghilterra insinuavano circa le mire italiane sulle isole Baleari. Il Duce ha dimostrato sua nobiltà di animo e di intenti ed ha aumentato -se possibile -il debito di rièonoscenza di noi spagnoli verso di lui ». (3) -Il 6 novembre, un uomo, cittadino romeno, si era introdotto nel locali del consolato d'Italia a Cluj inveendo contro Mussolini per il suo atteggiamento favorevole alle rivendicazioni ungheresi. La polizia lo aveva subito arrestato.

(l) Vedi D. 367.

392

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11152/120 R. Praga, 12 novembre 1936, ore 1 (per. ore 5).

Questo ministro degli Affari Esteri mi ha intrattenuto lungamente circa penosa impressione qui prodotta da discorso di Milano per quanto si riferisce riaffermazione recisa e totalitaria revisionismo a favore Ungheria. E poiché Krofta mi chiedeva chiarimenti, gli ho rammentato non essere in ciò nulla di nuovo per quella che è stata sempre linea politica italiana in questione revisione che, se era stata trattata da Roma con opportuna moderazione, Piccola Intesa ha avuto torto grandissimo inasprire con ripetute affermazioni e dimostrazioni antirevisionistiche di ogni genere costituenti altrettante inopportune provocazioni.

Ministro degli Affari Esteri avendomi poi accennato come intonazione discorso del Duce contrasterebbe con amicizia della Cecoslovacchia e suoi ripetuti propositi di collaborazione, ho creduto bene di dire francamente a Krofta come, quanto e perché opinione pubblica italiana abbia ragione di vivo risentimento per comportamento passato e recente della Cecoslovacchia verso l'Italia. Gli ho rammentato tuttociò che fu fatto dall'Italia per la creazione della Cecoslovacchia e come gli Italiani per tutta gratitudine ne vennero messi alla porta. Gli ho rammentato tutta l'azione della Piccola Intesa e del demo-liberalismo massonico cecoslovacco contro l'Italia e la sorda lotta contro il fascismo. Venendo poi all'impresa africana, gli ho infine rammentato lo zelo societario della Cecoslovacchia, l'asservimento di Praga ai dettami di Londra, i tentativi di adescamento verso l'Austria, l'appoggio alla Jugoslavia negli accordi del Mediterraneo e le mitragliatrici fornite al Negus. Dopo di che, il risentimento italiano mi pareva più che giustificato.

Krofta, senza contestare i miei rilievi, mi ha espresso suo vivo rammarico per tale stato d'animo opinione pubblica italiana, augurandosi un migliore apprezzamento delle essenziali ragioni di esistenza che determinano condotta politica della Cecoslovacchia. Segnalo intanto contegno calmo questi ambienti politici e linguaggio moderato di questa stampa.

393

IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6 Cl). [Salamanca], 12 novembre 1936, ore 9,40 (2).

Rispondo a telegramma V. E. inviato via Tangeri relativo decisione comitato Londra (3). Generale Franco è naturalmente d'accordo con R. Governo

non ritenere che azione organo controllo emanante comitato Londra sia pregiudizievole ai fini future forniture. Ringrazia l'E. V. per i suggerimenti dati circa atteggiamento da tenere nei confronti Comitato Londra ed oltre che eseguirle a capello, riserva di riferire, preventivamente, al R. governo le eventuali risposte dilatorie che egli dovesse fare pervenire al Comitato. Generale conviene che, dopo avere seguito procedimento dilatorio, sia indispensabile rifiutarsi consentire pure richieste Comitato Londra. Resterà in costante contatto coll'E. V. per seguito presente questione.

(1) -Vedi p. 387, nota 2. (2) -Vedi p. 381, nota 3. II telegramma fu comunicato con numero di protocollo S/1229 dal Servizio Informazioni Militare dove era giunto alle ore 23,50. (3) -Vedi D. 369.
394

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 11166/668 R. Parigi, 12 novembre 1936, ore 13,50 (per. ore 17).

Questo ambasciatore di Germania che per aver trascorso molti anni in Spagna la conosce bene ed ha contatti seguiti con persone provenienti da quel Paese, non mi ha celato le sue preoccupazioni per resistenza militare dei rossi a Madrid. Siccome gli risulta che rossi spagnuoli della capitale sono completamente demoralizzati, conte Welczek attribuisce strenua resistenza alla energia di elementi stranieri. Mi ha detto che vi sono in Spagna varie migliaia di comunisti tedeschi perfettamente organizzati da ex deputato tedesco Neumann che è aviatore e fu braccio destro di Thaelmann nell'organizzazione del comunismo in Germania.

Ambasciatore di Germania è pure preoccupato per Catalogna temendo il governo dell'U.R.S.S. riesca inviarvi forti armamenti. Gli risulta che le forze di Franco sono scarse e che per di più devono essere frazionate perché accorreranno truppe nella regione basca dove situazione sembra intorbidita. Circa atteggiamento della Francia nei riguardi della Catalogna conte Welczek non dubita che il Quai d'Orsay farà sempre valere suo avviso contrario alla costituzione di uno stato autonomo ma teme parte estremista del governo e che Fronte Popolare possa premere per ottenere riconoscimento del governo catalano da parte della Francia. Egli teme pure che la Francia e l'Inghilterra si accordino per una azione contro le Baleari occupate dai nazionali, perché ritiene che queste isole costituiscono interesse vitale per due Stati suddetti.

Gli ho chiesto quali elementi possedesse al riguardo. Mi ha risposto di dedurre quanto mi aveva detto dalla politica generale francese ed inglese.

395

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11184/180 R. Varsavia, 12 novembre 1936, ore 21,15 (per. ore 1 del 13).

Questi circoli dirigenti sono concordi nel compiacersi risultati visita Beck (l) a Londra specialmente per quanto si riferisce alle decisioni che sarebbero state

adottate colà circa alcuni punti patto occidentale nell'intento «trovare una via per salvaguardare i giusti interessi della Polonia in questo problema».

Questo ambasciatore di Germania nel constatare successo Beck mi ha detto di non rendersi bene conto della portata degli impegni che Inghilterra ha potuto assumere. A suo dire, la eventuale connessione dei problemi orientali con la questione della sicurezza sul Reno non potrebbe che rendere ancora più problematico raggiungimento accordo.

(l) Vedi p. 352, nota 2.

396

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11191/016 R. Tirana, 12 novembre 19.16 {per. il 13).

Mio telegramma n. 154 (1).

Il colloquio con Re Zog che ha seguito la presentazione delle credenziali si è prolungato per circa un'ora. Esso si è lungamente aggirato su argomenti di carattere generale in vista dell'antica relazione personale che il Re ha tenuto a ricordare e marcare. Le dichiarazioni di carattere politico che il Re mi ha fatto nel corso della conversazione sono le seguenti:

l) Come egli ha già fatto conoscere, le voci di un nostro accordo politico con la Jugoslavia sono da lui risentite in quanto allontanano il sogno per cui egli ha lottato tutta la sua vita, la riunione di tutti gli albanesi in un unico Stato nazionale. Egli non desidera di intralciare in alcun modo la grande politica estera fascista i cui successi tornano in definitiva anche a vantaggio dell'Albania ma non potrebbe rinunziare per sempre alla speranza di realizzare un giorno, in pace o in guerra, il sogno della sua vita. Egli non crede del resto che un nostro accordo con gli jugoslavi sarà duraturo. Egli ritiene di conoscere i serbi meglio di ogni altro e li crede incapaci di tener fede ad una amicizia verso un popolo non slavo; in particolare ritiene i serbi animati di intimo rancore verso l'Italia e verso l'Albania.

2) Quali che possano essere le necessità della nostra politica estera, egli afferma con testuali parole che «il rapporto itala-albanese deve essere considerato dal governo fascista come un rapporto di politica interna, indipendente dai fatti di politica estera ».

3) Egli vuole una collaborazione chiara e sincera con l'Italia: ha formato un governo forte per spezzare la propaganda comunista che d'oltre il confine greco viene esercitata in Paese ma sopratutto per poter procedere decisamente

e limpidamente sulle vie della collaborazione con l'Italia, Se del resto il nuovo ministero non rispondesse in pieno a questo fine egli lo cambierebbe subito.

4) Considera urgente una opera di chiarificazione spirituale fra i due Paesi. A questo scopo egli riterrebbe essenziale che qualche alta personalità italiana visitasse l'Albania per conoscerne l'anima vera.

5) Egli desidera s6pratutto che siano ben noti i suoi sentimenti di ammirazione e di devozione al Duce e al fascismo; terrebbe molto a poter contare sulla personale benevolenza di V. E. Su un mio accenno alla sua attitudine di fronte alle sanzioni, il Re ha sorvolato dicendosi dolente di non aver potuto fare di più.

6) Considera non lontana una guerra che interessi tutta la regione danubiana balcanica e fa presente che lo stato dell'esercito e delle fortificazioni albanesi è oggi tale che una offensiva jugoslava verso l'Albania raggiungerebbe in pochi giorni o in poche ore il porto di Durazzo.

Questi i punti essenziali delle dichiarazioni di Zog; per parte mia ho rassicurato il Re sui sentimenti del Duce nei suoi riguardi e sull'interessamento che

V. E. prende all'avvenire dell'Albania. Ho fatto tuttavia comprendere come il nostro stile fascista ci rendeva oggi molto esigenti in fatto di chiarezza e di realizzazioni.

Anche sfrondando la dichiarazione da quanto può essere stato suggerito dal desiderio di ben impressionare il nuovo ministro d'Italia, ho tratto la sensazione di un desiderio sincero di stringere sempre più i legami coll'Italia, di stringerli anzi ad un punto che potrà forse divenire imbarazzante per noi. La stessa impressione ho avuto nei colloqui che il presidente del Consiglio, tutti i ministri e il vice presidente della Camera hanno voluto avere con me lo stesso giorno e che erano evidentemente improntati ad un'unica parola d'ordine. E ulteriore conferma me ne ha portato la visita formale che per incarico del Re è venuto a farmi lo stesso pomeriggio il primo aiutante di campo. Particolare di qualche interesse è stata anche l'ostentazione da parte di varie personalità a rallegrarsi del nuovo titolo e della nuova grandezza imperiale italiana.

A non volere essere ottimisti -dati i precedenti -prima spiegazione dell'attitudine del Re può essere questa: di fronte alle eventualità di un nostro accordo colla Jugoslavia, Re Zog guarda alla propria situazione con qualche turbamento e preoccupazione e tenta un decisivo avvicinamento all'Italia: questa è infatti la via più semplice per assicurarsi contro un eventuale accordo concluso a suo danno dall'Italia e dalla Jugoslavia; se poi l'Italia non dovesse rispondere all'aspettativa, Re Zog si sentirebbe giustificato a battere altre vie.

Parlando in genere cogli albanesi, la loro attitudine in questo momento nei riguardi dell'Italia fa pensare a quella di ragazzi che, pur sentendo un'intima ribellione contro l'autorità paterna, contano su di noi come su coloro che li hanno messi al mondo e che non possono abbandonarli.

Il presidente dei ministri Koçio Kotta con molta convinzione mi ha detto che il progresso civile di Tirana deve essere per il Duce fonte di orgoglio grande e di gioia.

(l) T. 11105/154 R. del 9 novembre, ore 20,40. Riferiva su le direttive date da Re Zog al governo presieduto da Kotta che si era formato lo stesso giorno.

397

PROTOCOLLO SEGRETO TRA ITALIA, AUSTRIA E UNGHERIA

Vienna, 12 novembre 1936.

In conformità dei Protocolli di Roma, il Ministro degli Esteri d'Italia Conte Ciano, il Cancelliere Federale d'Austria Schuschnigg e iÌ Segretario di Stato per gli Affari Esteri d'Austria Schmidt e il Ministro degli Esteri d'Ungheria de Kanya si sono riuniti a Vienna nei giorni 11 e 12 novembre. Essi hanno proceduto all'esame della situazione generale e dei problemi interessanti più specialmente i tre Stati, e hanno redatto il presente Protocollo per fissare il loro accordo sui seguenti punti.

l) I Rappresentanti d'Italia, d'Austria e d'Ungheria hanno esaminato con ogni cura i rapporti economici interessanti i tre Stati e hanno riconfermato il proposito di persistere nell'azione concorde sinora svolta e la decisione che le relazioni economiche con gli altri Stati si sviluppino per via di accordi bilaterali. Il Cancelliere Federale d'Austria e il Segretario di Stato per gli Affari Esteri d'Austria e il Ministro degli Esteri d'Ungheria hanno espresso in tale occasione il cordiale apprezzamento dei rispettivi Governi per i risultati già ottenuti grazie alla valida collaborazione data anche ultimamente dall'economia italiana alle due economie austriaca ed ungherese in occasione dell'allineamento della lira.

2) I Rappresentanti dell'Austria e dell'Ungheria hanno comunicato al Ministro degli Esteri d'Italia, a nome dei rispettivi Governi, la decisione del Governo austriaco, rispettivamente del Governo ungherese, di riconoscere formalmente l'Impero Italiano d'Etiopia. Il Ministro degli Esteri d'Italia ha espresso il cordiale apprezzamento del Governo italiano per tale decisione. Seguiranno al più presto trattative tra il Governo italiano e quello austriaco, rispettivamente tra il Governo italiano e quello ungherese, per l'adattamento -le tante volte che sia possibile -dei Trattati in vigore a tale nuova situazione. Il Governo italiano, nei limiti del possibile, terrà nel debito conto i desideri dei Governi austriaco ed ungherese di partecipare colle loro economie, elementi tecnici e mano d'opera specializzata alla valorizzazione economica dell'Abissinia.

3) I Rappresentanti dei tre Governi hanno rilevato con soddisfazione l'armonico funzionamento dei Protocolli di Roma e la loro piena rispondenza ai fini della ricostruzione del Bacino Danubiano. Essi sono d'accordo nel perseverare in tale politica. In pari tempo i Rappresentanti dei Governi italiano e ungherese hanno preso conoscenza con soddisfazione delle comunicazioni fatte dal Governo Federale austriaco circa l'andamento dei rapporti tra Austria e Reich tedesco successivamente all'Accordo dell'li Luglio.

4) Il Ministro degli Esteri d'Italia ha messo personalmente al corrente i Rappresentanti dei Governi austriaco ed ungherese delle sue conversazioni col Fiihrer e Cancelliere del Reich e col Ministro degli Esteri di Germania; e il Cancelliere Federale e il Segretario di Stato per gli Affari Esteri d'Austria e il Ministro degli Esteri d'Ungheria hanno espresso la loro viva soddisfazione per la decisione presa dai Governi italiano e tedesco di trattare i problemi relativi al Bacino Danubiano in uno spirito di amichevole collaborazione. I rappresentanti dei tre Governi hanno unanimemente riaffermato a tale riguardo il proposito di procedere di comune accordo, come è stabilito nel Protocollo addizionale

n. 2 del 23 Marzo 1936.

5) I Rappresentanti dei tre Governi si sono trovati pienamente concordi nel riconoscere la legittimità del punto di vista del Governo d'Austria e di quello del governo d'Ungheria per quanto riguarda l'« uguaglianza di diritti» in materia di armamenti, uguaglianza che risponde ad un elementare principio di giustizia. I tre Governi si terranno in rapporto ai fini della sua realizzazione.

6) Nel caso in cui l'Italia decidesse di uscire dalla Società delle Nazioni, l'Austria e l'Ungheria si consulteranno con l'Italia e tra di loro per decidere l'atteggiamento da seguire.

7) I Rappresentanti dei tre Governi riconoscono che il comunismo minaccia la pace e la sicurezza dell'Europa e confermano perciò il proposito di combattere la propaganda comunista nei rispettivi Paesi con tutte le loro forze.

8) I Rappresentanti dei tre Governi hanno constatato con soddisfazione come l'atteggiamento tenuto dall'Austria e dall'Ungheria in occasione del conflitto itala-abissino, particolarmente per quello che riguarda la quistione delle sanzioni, abbia non soltanto risposto ai rapporti di amicizia e di collaborazione esistenti fra i tre Stati, ma abbia altresì giovato al mantenimento della pace e alla causa della sicurezza in Europa. Essi ritengono che l'art. 16 del Covenant, così com'è attualmente, contenga dei pericoli per la pace e debba quindi essere ampiamente rimaneggiato. Si sono trovati d'accordo nel ritenere inteso che gli Stati firmatari dei Protocolli di Roma -nel caso in cui uno di essi fosse implicato in un conflitto armato -debbano cercare ed adottare -in considerazione dei rapporti di amicizia che esistono .fra di loro -dei mezzi che significhino praticamente l'adozione di una neutralità benevola e pertanto la astensione da qualsiasi misura di carattere militare, economica e finanziaria diretta contro quello dei tre Stati che sia implicato nel conflitto.

398

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 12 novembre 1936.

L'ambasciatore di Germania mi ha chiesto stamattina se fosse vero che da parte della Cecoslovacchia fossero stati iniziati a Roma dei passi per l'adesione di Praga ai Protocolli di Roma, oppure nel senso di stabilire con l'Italia una collaborazione economica inserita nel quadro danubiano. Sottolineando non essere questa la prima volta che da Berlino gli si richiedevano precisazioni del genere, egli mi ha chiesto se da parte nostra si considerasse in pieno vigore l'accordo stabilito da V. E. con la Germania per lo scambio reciproco d'informazioni e di propositi riflettenti la regione danubiana (1).

Ho risposto che erano molto frequenti in giornali stranieri pubblicazioni sulla volontà o sul desiderio della Cecoslovacchia di aderire agli accordi di Roma od anche di stabilire con l'Italia relazioni speciali, ma stava di fatto che niente finora si era prodotto che potesse dare una base di verità a quelle notizie, le quali mi parevano piuttosto degli assaggi o delle manovre che non avevano avuto alcun seguito, né da una parte, né dall'altra. Quanto all'accordo fra Roma e Berlino di tenersi reciprocamente informati, esso era del tutto fuori discussione e non ritenevo nemmeno fosse il caso di dargliene assicurazione.

Von Hassell mi ha fatto notare come a Berlino si mostri sempre un particolare interesse all'attività della Cecoslovacchia nella regione danubiana.

Mi ha detto di essere contento del prossimo arrivo a Roma delle annunciate delegazioni germaniche incaricate di trattare, l'una questioni economiche e finanziarie itala-tedesche nel Regno ed in Africa Orientale e l'altra la collaborazione fra i nostri due Paesi nella regione balcanica. Mi faceva notare che egli però non ritiene debba, questo secondo punto, essere lasciato interamente all'esame e alla discussione di esperti economici, coinvolgendo esso questioni politiche di grande importanza. Ha sottolineato che il compito di eliminare nel futuro eventuali frizioni fra Roma e Berlino nella regione balcanica non può essere affidato soltanto a elementi puramente tecnici, perché tale questione involge naturalmente tutta l'attività dei due Paesi negli Stati balcanici e non soltanto la parte economica.

Gli ho chiesto se avesse notizia del viaggio di Beck a Londra (2) e quale fosse il pensiero della Germania dinanzi al chiaro proposito di Beck di voler evitare un nuovo patto di Locarno e qualunque accordo delle Potenze ad esclusione della Polonia.

Mi ha risposto che se si dovesse dar luogo ad un nuovo Patto di Locarno, riferentesi cioè soltanto a questioni dell'Europa occidentale, la Germania non vede come la Polonia dovrebbe entrare, essendo chiaramente limitati gli obiettivi di esso e i compiti dei partecipanti. Se invece si dovesse trattare di un altro patto più generale, avente in sostanza i principi e gli scopi del Patto a Quattro, allora a Berlino non si avrebbe difficoltà a che la Polonia ne facesse parte.

Gli ho chiesto se avesse notizie della Spagna.

Mi ha risposto di avere letto ieri una dozzina di rapporti dell'incaricato di affari tedesco ad Alicante e di averne tratto l'impressione che questi non è molto ottimista sullo svolgimento delle operazioni. Il prolungarsi della guerra e la grande quantità di rifornimenti che giungendo ai rossi dall'Unione Sovietica li rinforzano moralmente e materialmente, gli sembrano fatti capaci di aumentare ogni giorno più il pericolo di una seria complicazione internazionale.

399.

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2894/1113. Varsavia, 12 novembre 1936 (per. il 17).

Per ultimo mio telespr. n. 2701/1020 del 21 ottobre u.s. (1).

Ho avuto occasione di accennare recentemente a codesto ministero a qualche aspirazione che la Polonia avrebbe ad affermarsi nel campo coloniale. Sono note le ripetute dimostrazioni che attraverso giornali ed agenzie ufficiose si sono volute dare della necessità sempre più impellente di trovare sbocchi per la Polonia alla rilevante eccedenza della sua popolazione. È da segnalare una pubblicazione fatta in questi ultimi giorni dalla << Lega Marittima e Coloniale~ polacca in cui, ribadendosi i concetti generali già più volte esposti, si precisa per la prima volta l'aspirazione ad ottenere la cessione alla Polonia della colonia del Camerun. Siccome la «Lega Marittima e Coloniale~. pur non avendo carattere ufficiale, è notoriamente appoggiata da questo governo, che ha più volte partecipato a pubbliche e solenni manifestazioni di essa, la pubblicazione cui sopra accennavo è stata -a quanto risulta -segnalata al Quai d'Orsay da questo ambasciatore di Francia, il quale ha ricevuto istruzioni di esprimere a questo ministro degli Affari Esteri il rincrescimento del governo francese per l'inopportunità di tale pubblicazione.

400.

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6348/1835. Belgrado, 12 novembre 1936.

Mio telecorriere 0103 del 10 corrente (2).

Da fonte fiduciaria mi viene riferito quanto segue: «Nei circoli politici e giornalistici di Belgrado si attribuisce grande importanza al viaggio del principe Paolo a Londra. Si fa osservare, innanzi tutto, che esso ha luogo mentre si radunano a Vienna gli Stati firmatari dei Protocolll romani e mentre a Londra soggiorna il ministro degli Affari Esteri di Polonia signor Beck (3), i cui viaggi per le capitali europee in questi ultimi tempi causano i più svariati commenti: durante la visita di quest'ultimo a Belgrado (4) si era affermato fra l'altro che egli avrebbe sondato l'atteggiamento della Jugoslavia verso l'Italia e la Germania; sembra pertanto che il principe Paolo avrà a Londra dei contatti anche con il ministro polacco, allo scopo di esaminare la possibilità della creazione di un blocco europeo di piccoli Stati, i quali dovrebbero rurare da soli il mantenimento della loro indipendenza, blocco al quale la Jugoslavia sarebbe disposta ad aderire.

Tuttavia, il fine principale della presenza del prlnclpe nella capitale inglese sarebbe quello di sondare il punto di vista dei fattori ufficiali inglesi sulle questioni di attualità politica, specialmente quelle derivate dal mutamento dei rapporti tra l'Italia e l'Inghilterra in seguito all'annessione dell'Abissinia e della guerra civile spagnuola.

In alcuni circoli si afferma che il principe Paolo si metterebbe in relazione con i circoli politici e finanziari inglesi per esaminare anche la possibilità della conclusione di un prestito a condizioni favorevoli e che dovrebbe servire per realizzare il piano dell'armamento e della motorizzazione dell'esercito jugoslavo. Saranno continuate, inoltre, le trattative che hanno avuto inizio durante il viaggio di Re Edoardo (l) e del ministro della Guerra inglese in Dalmazia (2) per l'eventuale costruzione di una base marittimo-militare inglese nel mare Adriatico. Con tali trattative si mette in relazione la progettata costruzione di un nuovo porto nell'Adriatico (sono già stati iniziati i lavori preliminari) presso la foce del fiume Narenta a Ploce (Aleksandrovo).

In occasione della visita di Re Edoardo in Jugoslavia, l'Inghilterra avrebbe offerto alla Jugoslavia in cambio della cessione di basi nell'Adriatico, la costruzione di una nuova Marina da Guerra jugoslava composta di 40 unità leggere. Una simile proposta sarebbe stata fatta anche alla Turchia.

Non si possono prevedere qllali saranno i risultati del suddetto viaggio, tuttavia nei circoli della capitale si afferma che esso vuoi essere una manifestazione della nuova politica estera jugoslava verso la Francia. Sembra che il Principe Paolo si tratterrà a Londra una diecina di giorni dopo di che si recherà a Parigi.

Da altra fonte mi viene riferito che il viaggio a Londra avrebbe Io scopo di armonizzare i rapporti itala-jugoslavi con la politica britannica: data la sua ben nota anglofilia, il Principe, prima di iniziare qualsiasi azione, avrebbe voluto presentire l'Inghilterra. Secondo la stessa fonte -e riferisco la notizia per solo debito d'ufficio -avrebbero luogo a Londra altresì trattative per un accordo navale anglo-jugoslavo».

401.

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. CONFIDENZIALE. Tirana, 12 novembre 1936.

Con telegramma per corriere n. 016 (3) ho riferito circa il mio primo colloquio con Re Zog. Nel telegramma stesso è appena sfiorato il punto che più interessa il Sovrano. Data la delicatezza dell'argomento mi permetto farne una comunicazione a parte.

Prima ancora che io accennassi in via personale alla possibilità di un viaggio di V. E. in Albania, il Re, come del resto me ne aveva preavvertito l'ex-ministro degli Esteri, mi ha detto che Fuad Aslani gli aveva fatto sperare

in una Sua visita in Albania. Se V. E. lo considerava preferibile, il viaggio poteva avere anche il pretesto di una partita di caccia ma egli desiderava che il suo invito ufficiale e cordiale giungesse al più presto a V. E. coll'assicurazione che nulla sarebbe mancato di quanto era nelle modeste possibilità albanesi per dimostrare in questa felice occasione la sua riconoscenza al governo fascista ed i suoi personali sentimenti verso V. E.

Malgrado i benevoli affidamenti datimi dall'E. V. al riguardo, ho risposto che avrei trasmesso subito tale invito ma che ignoravo quali fossero i prossimi impegni di V. E.

Molto rispettosamente mi permetterei di insistere perché la visita di V. E. potesse avvenire al più presto, e possibilmente, come Ella mi fece sperare, verso la metà di dicembre. Se vi è un momento opportuno e proprio questo in cui Re Zog sente, anche fisicamente, la nostra nuova potenza imperiale e teme che la politica fascista, impostata su così grandi direttive. perda di vista la piccola Albania (l).

(l) -Vedi D. 273, paragrafo 8. (2) -Vedi p. 352, nota 2. (l) -Vedi D. 259. (2) -T. per corriere 11165/103 R. del 10 novembre. Comunicava che 11 principe Paolo stava partendo per Londra. (3) -Vedi p. 352, nota 2. (4) -Il 27-28 maggio precedenti; si veda serle ottava, vol. IV, DD. 106, 147 e 189. (l) -Vedi p. 15, nota l. (2) -Il ministro della guerra britannico, Duff Cooper, aveva raggiunto Re Edoardo sul suo panfilo il 15 agosto e si era trattenuto presso il sovrano fino al 26. (3) -Vedi D. 396.
402

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11211-11228/580-581 R. Washington, 13 novembre 1936, ore 13,25 (per. ore 22,15).

Telegramma di V. E. n. 4890/C. 7 corrente (2).

Persona di mia fiducia ha potuto avere visione del progetto di convenzione che il segretario di Stato presenterebbe alla prossima Conferenza Buenos Aires. Ritengo tale informazione attendibile poiché punti principali progetto corrispondono con informazioni che ero venuto raccogliendo in proposito.

Progetto, dopo aver riaffermato come conflitti internazionali debbano essere regolati soltanto con mezzi pacifici, si svolge sulle seguenti linee: 1°) ostilità non potranno essere iniziate senza preventivo ed inequivocabile avvertimento (dichiarazione di guerra, ultimatum, ecc.... );

2°) se ostilità sono iniziate senza predetti avvertimenti, Stati neutrali saranno liberi di dichiarare, agli effetti della loro legis1az10ne sulla neutralità, esistenza stato di guerra e tale azione non potra essere considerata atto di inimicizia;

3°) gli Stati neutrali potranno liberamente imporre proibizioni o restrizioni sul commercio coi belligeranti secondo rispettivi interessi e interesse della pace, applicandole egualmente a tutti i belligeranti:

4°) in caso di conflitto, Paesi neutrali non permetteranno esportazione armi e munizioni ai belligeranti tanto direttamente quanto attraverso terzi Stati e non consentiranno crediti e prestiti ai belllgeranti. Libertà. ai neutrali di imporre ulteriori restriziont:

33 -Documenti diplomatlcl -Serie VIII -Vol. V

5°) libertà d'azione qualora si trattasse eu guerra fra uno Stato americano e Stato non americano:

6°) creaziOne m un com1tato permanente consultivo composto dei ministri degli Affari Esteri delle repubbliche americane che si adopereranno al mantenimento oace Continente americano;

7°) clausola di salvaguardia per quegli Stati che siano già legati da altri impegni internazionali (Ginevra etc.).

Secondo alcune voci questo progetto avrebbe già raccolto l'adesione di massima degli Stati America Latina. È probabile che durante lungo viaggio delegazione S.U.A. completi questo drajt e non è escluso che essa tenga in riserbo qualche progetto di più vasta mole se l'occasione si presenta favorevole.

Presenza Roosevelt a inaugurazione (presidente si è riservato dare comunicazione definitiva sua decisione sabato prossimo) può fare ritenere che quadro conferenza possa essere allargato assumendo carattere iniziativa pacifista con valore universale, sia pure con dei semplici voti platonici. Forse qualche tentativo potrà essere fatto (per esempio da Saavedra Lamas) per armonizzare patto con principi Ginevra portandolo con ciò, anche nel campo pratico, su terreno universale ma tali tentativi incontreranno certo una tenace resistenza. Il Brasile pare particolarmente ostile a tale estensione. D'altra parte non si vede come nazioni europee fautrici sicurezza collettiva possano aderire piano puro e semplice neutralità che ignora distinzione tra aggressore e aggredito. Tuttavia è da presumere che Stati americani aderenti alla S.d.N. non siano disposti a rompere o ad attenuare sensibilmente i loro legami con Ginevra che rappresenta per loro una certa garanzia contro un eccessivo prevalere dell'influenza nord-americana nella politica del nuovo continente. Ci si deve anche aspettare che da qualche parte si sollevi, sia a proposito della questione neutralità, sia in altra occasione, in relazione forse col Patto antibellico Saavedra Lamas (1), questione riconoscimento dei territori occupati con la forza e quindi del riconoscimento della conquista italiana dell'Etiopia.

A quanto mi ha detto confidenzialmente ambasciatore Aranha, che è una delle figure più in vista della delegazione brasiliana, il Brasile si opporrà a considerare l'applicazione di tale principio all'infuori del Continente americano. Egli ritiene che Stati Uniti seguiranno la stessa linea.

La questione della neutralità è di nuovo all'ordine del giorno della stampa e della discussione politica in questo Paese. Riguardo disposizioni a rinnovare e rinforzare l'attuale legge prima della sua scadenza (maggio) è stato già riferito da questa ambasciata con telegramma per corriere n. 531 del due ottobre (2). Paese, comunque, cui pacifismo sovrasta ogni altrl=l. preoccupazione, non aderirà ad alcun impegno, sia pure rivestito di ideologie universalistiche, che possa anche indirettamente implicarlo in un conflitto. Di tale stato d'animo presidente deve tener conto.

(l) -Ciano rispondeva, con una lettera personale a Jacomoni del 23 novembre, che accettava l'invito ma che, per il momento, non era possibile indicare l'epoca della visita. (2) -Con t. 4890/C.R. del 6 novembre, ore 24, Ciano aveva chiesto alle ambasciate a Washington, Buenos Aires e Rio de Janeiro di assumere informazioni circa 11 contenuto del memorandum nord-americano sulla questione della neutralità. (l) -Vedi p. 391, nota 2. (2) -Con T. per corriere 10168/531 R. del 2 ottobre, l'incaricato d'affari a Washington, Rossi Longhi, aveva riferito che il Dipartimento d! stato stava preparando un nuovo progettodi legge sulla neutraUtà, di cui indicava l punti principaU, e che il governo d! Washingtonsi adoperava perché i principi ®Ila nuova legge fossero accolti dagU Stati dell'America Latina alla prossima conferenza di Buenos Aires.
403

L'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEffiO, MENZINGER, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11213/451 R. Rio de Janeiro, 13 novembre 1936, ore 14,31 (per. ore 19,45).

Mio telegramma del 18 settembre n. 416 (1).

In questi circoli e nell'opinione pubblica Conferenza Buenos Aires appare sempre più come manifestazione anti-ginevrina panamericana guidata dagli Stati Uniti dell'America del Nord nella quale Brasile con aumentato prestigio intende fare sentire suo peso. Brasile farà alla Conferenza alcune dichiarazioni di principio che non sono tuttavia ancora note ma che è da presumersi saranno, come già in altre circostanze, concordate con Stati Uniti d'America non appena Roosevelt, come preannunziato, sarà a Rio de Janeiro.

404

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11225/210 R. Bruxelles, 13 novembre 1936, ore 21 (per. ore 0,30 del 14).

Questa stampa democratica attribuisce particolare importanza risultati colloquio del ministro degli Affari Esteri polacco con Eden (2). All'evidente scopo di controbattere nuovo orientamento politico del Belgio, detta stampa cerca mettere in rilievo: l0 ) che l'Inghilterra riprende l'iniziativa sul Continente; 2°) che essa difende più che mai politica societaria e sicurezza collettiva; 3°) che nuova Locarno deve restare subordinata alle condizioni create da preesistenti accordi ed intese internazionali; 4°) che resta esclusa ogni eventualità di Patto a Quattro.

405

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11209/671 R. Parigi, 13 novembre 1936, ore 21,30 (per. ore 24).

Nei circoli politici e diplomatici di Parigi si acuiscono apprensioni per situazione dei nazionali spagnoli. Ambasciatore Stati Uniti mi diceva testé constargli che Franco non disporrebbe per occupazione militare Madrid che di 15.000

uomini, cosicché se egli si decidesse a compiere grandi sacrifici per impadronirsi della capitale resterebbe poi senza truppe. Bullitt che, dopo essere stato assai favorevole ai sovieti, avendoli conosciuti bene a Mosca li considera ora peste dell'umanità, si mostrò meco impressionatissimo della eventualità di un successo rosso in Spagna che depreca perché ritiene che avrebbe conseguenze incalcolabili nel mondo intero. Egli mi ha chiesto se credevo che Franco sarebbe stato autorizzato a reclutare dei volontari in Italia. Gli ho risposto che non avevo alcun elemento a riguardo.

Impressione dei circoli diplomatici è che il governo del Fronte Popolare farà tutto il possibile per mantenere attuale suo atteggiamento di neutralità, dato che esso è l'unico che salvaguardi pace interna francese. Bisognerà però vedere fino a quando Mosca tollererà tale neutralità e se non impartirà ai comunisti francesi ordine d'ottenere -con qualunque mezzo -atteggiamento favorevole ai rossi di Spagna.

(l) -T. 9222/416 R. delle ore 21,07. Riferiva che il governo brasiliano, d'accordo con gliStati Uniti, manifestava il desiderio di limitare la portata della progettata conferenza di Buenos Aires ad un ambito esclusivamextte americano. (2) -Vedi p, 352, nota 2.
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IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, PITTALIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 8379/639. Monaco di Baviera, 13 novembre 1936 (per. il 14).

Ha suscitato viva sorpresa in questi ambienti la notizia pubblicata senza altro commento dai quotidiani monacensi di alcuni giorni or sono che il Fuehrer ha ricevuto in udienza a Berchtesgaden il cardinale Faulhaber.

Le più diverse congetture si sono subito incrociate e diffuse, senza che a tutt'oggi si possa accertare il loro esatto fondamento, e che soprattutto si sapnia chi abbia preso l'iniziativa della visita. I più vogliono metterla in relazione con spiacevoli incidenti occorsi in queste ultime settimane al cardinale Faulhaber, il quale per ben due volte, e cioè il 25 ottobre nel sobborgo monacense rli Giesing ed il 2 novembre successivo a Krailling, località nei dintorni di Monaco, presso Garmisch, sarebbe stato oggetto di vere violenze da parte di dimostranti che avrebbero colpito ripetutamente con sputi e bastoni la sua

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vettura. Alcuni affermano anzi che proprio in seguito a tali incidenti il Reichsstatthalter per la Baviera, generale von Epp, avrebbe egli stesso accompagnato n flll.rrlinale nella sua udienza dal Fuehrer, circostanza che invece mi è stata smentita da esponenti della Casa Bruna. Altri invece ritengono che la visita vada posta in relazione con un memoriale che i vescovi tedeschi avevano deciso nell'ultima conferenza di Fulda {l) di presentare al Fuehrer, memoriale in cui sarebbe stato fatto cenno all'opportunità che un loro autorevole rappresentante venisse ricevuto da Hitler. Anche sulla durata del colloquio corrono le più diverse versioni secondo la maggior parte delle quali esso si sarebbe protratto per oltre due ore durante le quali il Fuehrer si sarebbe diffuso a trattare il tema del bolscevismo.

Domenica scorsa, otto corrente, all'annuncio che il Cardinale avrebbe tenuto

la consueta predica commemorativa dei defunti, una folla enorme era accorsa fin da un'ora prima alla Cattedrale di Monaco pigiandosi anche al difuori dei suoi vari ingressi. In complesso non si può dire che la predica sia stata più vivace delle ultime che l'avevano preceduta, né d'altro canto che essa abbia avuto un particolare carattere conciliativo. Il cardinale Faulhaber vi ha sostenuto la necessità che la fede sia base e compagna dell'azione di ogni combattente per ogni idea sociale e politica a vantaggio del Paese, ma che d'altro canto non si deve ricercare e scorgere in Cristo soltanto la forza d'azione così come viene insegnato nelle note scuole «simultanee» (Gemeinschattsschule) di recente istituzione, mentre la forza della religione va sopratutto ricercata nel valore morale della fede. Egli ha ricordato anche che l'eroe sociaÌnazionale Schlageter (fucilato a Koblenza dai francesi) è morto chiedendo il conforto della religione. Ha concluso invitando con moltissima insistenza tutti gli intervenuti ad astenersi nel modo più assoluto da ogni manifestazione all'uscita della Chiesa, e dai consueti evviva ed applausi diretti alla sua persona, invito al quale fu rigorosamente ottemperato da tutta l'immensa folla intervenuta.

Certo si è che nei consueti ambienti intransigenti di partito della Casa

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Bruna, l'udienza di Hitler al cardinale non è stata accolta con favore e che P.ssa non ha imoedito che, ad esempio, alla cerimonia inaugurale dell'esposiziOne antibolscevica. l'oratore ufficiale Otto Nippold abbia diretto varie frecciate alla religione, dicendo che non è colle preghiere che si può pensar di vincere il bolscevismo e che bisogna andar a vedere i documenti esposti nella mostra per rendersi conto degli orrori commessi dal bolscevismo contro le chiese ed i sacerdoti, e ringraziar Dio che nella Germania socialnazionale consimili orrori non siano possibili (l).

(l) Vedi D. 3.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11223/1475 R. Londra, 14 novembre 1936, ore 1,03 (per. ore 5,30).

Vansittart mi ha personalmente confermato profonda impressione che intervis';a del Duce al Daily Mail (2) ha provocato in questi ambienti politici ed

alla Camera dei Comuni. « Dichiarazioni del Duce, giunte esattamente due giorni dopo le dichiarazioni di Eden alla Camera dei Comuni (1), hanno determinato un tale favorevole cambiamento di atmosfera politica da autorizzare ormai le speranze più ardite circa nuove future relazioni italo-inglesi. Esse rappresentano contributo prezioso perché dimostrano come il Duce capisce a fondo la psicologia e la mentalità britannica. Esse contengono idee e indicazioni precise e debbono essere considerate come inizio della seconda fase, quella cioè d'un invertimento completo dei rapporti italo-inglesi. Ho segnalato ciò, non solo a Baldwin e Eden, ma anche a tutti i membri del Gabinetto perché lo abbiano presente nelle loro discussioni :1>.

Ho chiesto a Vansittart cosa pensasse della formula: Gentlemen's Agreement.

Mi ha risposto che a suo avviso la formula gli sembrava molto felice. «Essa risponde mentalità britannica e -egli mi ha detto --ritengo che Gabinetto non avrà difficoltà ad accettarla. Si tratta ora di esaminare quale sostanza e contenuto debba avere questa formula e quale sia momento più adatto per addivenire ad una discussione esauriente di esso :1>.

Ho detto a Vansittart che io non avevo istruzioni ma che ero certo interpretare pensiero del Duce e di V. E. dicendo che da parte nostra vi è pure buona volontà procedere senza ritardo ad un esame concreto di quello che potrebbe essere contenuto o sostanza del Gentlemen's Agreement.

Vansittart mi ha chiesto se personalmente avevo sin da ora qualche idea da suggerirgli. Ho risposto che avrei domandato a V. E. e intanto a titolo personale gli ho suggerito considerare opportunità di una sua visita a Roma di carattere privato per un utile preliminare scambio di idee.

Vansittart mi ha risposto che nulla egli desidererebbe di più, ove egli fosse certo che sua visita al Duce ed a V. E. fosse gradita. Ho creduto poter rispondere che sua visita non poteva non essere se non gradita. Vansittart mi ha detto avrebbe seriamente considerato queste possibilità e ne avrebbe parlato personalmente a Eden ed a Baldwin.

Siamo rimasti d'accordo di tenerci intanto in stretto contatto e di scambiarci confidenzialmente ogni eventuale utile suggerimento.

(l) -Questo documento reca il visto di Mussollni. n giorno successivo, il console Pittalis riferiva di avere appreso da buona fonte che, né Hitler, né il cardinale Faulhaber, avevano preso l'iniziativa dell'incontro, che era stato invece organizzato da personalità locali, legate da vecchi rapporti con Hitler e con il cardinale (Telespresso 8411/641 del 14 novembre). (2) -L'intervista era stata rilasciata da Mussolinl a Ward Price 1'8 novembre e pubblicatadal Daily Mai! 11 giorno successivo. Mussolinl aveva dichiarato di desiderare un gentlemen's agreement con la Gran Bretagna ed aveva aggiunto: «Gli interessi anglo-italiani nel Mediterraneo non sono antagonistici ma complementari. Né l'una, né l'altra nazione può permettersi il lusso di essere ostile all'altra in quel mare. L'accordo dovrebbe quindi assicurare la salvaguardia degll interessi anglo-italiani nel Mediterraneo, dovrebbe essere conseguentemente bilaterale ed il-suo carattere dovrebbe essere tale da rassicurare completamente gli altri Stati mediterranei». Rispondendo poi ad una domanda circa le voci di un'intesa segreta con Franco per il trasferimento di Ma!orca all'Italia, Mussolinl aveva dichiarato: «Quanto alle voci sulla cessione di Ma!orca, posso dirvi nel modo più categorico che una tale idea non mi è mal passata per l'anticamera del cervello. Ed lo non potrei aver rispetto per il capo di un movimento nazionalista che considerasse, anche per un solo momento, la possibilità di cedere territori del suo Paese». Per il testo completo dell'intervista si veda B. MussoLINI, Opera Omnia, vol. XVIII, pp. 77-78.
408

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11227/1476 R. Londra, 14 novembre 1936, ore 1,35 (per. ore 7,50).

Ho rivisto stasera Vansittart il quale mi ha detto che la parte dell'intervista del Duce al Daily Mail (2) contenente ovvia e secca smentita alle voci di mire italiane su territori spagnuoli ha suscitato enorme interesse ed ha

formato oggetto attento esame e di ampie discussioni da. parte del Gabinetto nella sua seduta di oggi pomeriggio.

Pare siano state rivolte al governo parecchie interpellanze sull'atteggiamento delle diverse Potenze circa problema della integrità territoriale spagnola; Vansittart ha avuto incarico domandarmi se nella risposta che il governo si prepara dare alla Camera dei Comuni e Camera dei Lords le parole del Duce al Daily Mail possono essere state come una dichiarazione di cui governo britannico è autorizzato prendere atto ufficialmente. Vansittart mi ha ricordato a tale riguardo che in occasione di altra importante intervista concessa giornale inglese da Duce nella primavera scorsa (1), io avevo comunicato testo di tale intervista al Foreign Office. Mi ha chiesto se potevo fare altrettanto in questa occasione, poiché ciò lo avrebbe aiutato in qualche modo nella sua azione di chiarificazione della intricata situazione spagnuola.

Ho risposto che io avrei domandato su questo punto istruzioni di V. E. ma che tuttavia ritenevo poterlo assicurare fin d'ora che l'intervista del Duce al Daily Mail doveva essere considerata dal governo britannico come espressione netta e categorica del pensiero del Duce e che pertanto governo britannico poteva senz'altro prenderne atto.

Ho colto occasione per domandare a Vansittart di dirmi se vi è alcunchè di vero nella notizia da Parigi (v. telegramma nostra ambasciata a Parigi) di un preteso passo britannico, ovvero franco-inglese, presso governo fascista in relazione. ad una presunta attività italiana nelle isole Baleari (2). Vansittart mi ha risposto che giammai governo britannico aveva considerato eventualità di un simile passo, il quale dopo rassicuranti dichiarazioni fatte in ripetute occasioni da V. E. non avrebbe avuto alcuna ragione di essere.

(l) -Vedi p. 403, nota 2. (2) -Vedi p. 453, nota 2.
409

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11230/213 R. Tokio, 14 novembre 1936, ore 6,15 (per. ore 13).

Vice ministro mi ha detto che Manciukuo accetta nostro console, e che egli crede, come idea personale, che il governo giapponese non abbia obiezioni ad intestare lettere patenti per il console giapponese in Etiopia a S.M. il Re d'Italia ed Imperatore di Etiopia. Sugimura riceverà istruzioni fra qualche giorno, per discutere con codesto ministero degli Affari Esteri i particolari della questione (3).

D. -91). Grandi aveva consegnato anche, ma a Eden direttamente, il testo dell'intervista di Mussollni al Datly Telegraph del 27 maggio (vedi ibid., D. 124).
(l) -Si riferisce, presumlbilmente, all'intervista rilasciata il 6 maggio da Mussollnl al Dally Mai!, 11 cui testo era stato consegnato da Grandi a Vanslttart (vedi serle ottava, vol. IV, (2) -Non è stata trovata documentazione di un passo francese o britannico, effettuato In quel giorni, speclficatamente rivolto a chiarire l'attività dell'Italla nelle Baleari. (3) -Per Il seguito vedi D. 437:
410

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 11282/522 R. Berlino, 14 novembre 1936 (per. il 16).

Telegramma per corriere V. E. del 9 corrente n. 4934 R.C. (1).

Ho avuto la sensazione che la recente attitudine della nostra stampa nei riguardi dell'Inghilterra e del discorso Eden (2) non fosse apparsa qui completamente chiara, tanto più che qualcuno cercava di farla passare come segno di una certa, forse troppo rapida, arrendevolezza da parte nostra. Ho creduto quindi opportuno di far oggi parte al segretario di Stato Dieckhoff -in attesa di farlo lunedì a Neurath (3) -del contenuto della conversazione Drummond del 6 corrente, di cui al telegramma di V. E. riferito in oggetto.

Il segretario di Stato ha mostrato di apprezzare la mia comunicazione e si è reso conto che la politica di Eden nei nostri riguardi è, dietro la scena, un po' diversa da quello che appare sulla scena. Dieckhoff ne ha tratto anzi occasione per dichiarare come da parte tedesca non si avesse alcuna ragione per non desiderare un riavvicinamento itala-inglese. Che anzi., avendo Eden, in assenza di Ribbentrop, domandato a Bismarck se fosse vera la notizia inviata dal corrispondente del Daily Telegraph da Berlino, secondo la quale la Germania avrebbe rimproverato all'Italia l'arrendevolezza mostrata nell'occasione verso l'Inghilterra giudicandola contraria ai Protocolli !taio-tedeschi del 23 ottobre, Bismarck si è affrettato a dichiarare la notizia stessa come assolutamente contraria alla verità. Dieckhoff mi ha pure detto che, nell'occasione, Eden -e sempre di sua iniziativa -aveva anche informato Bismarck della conversazione di V. E. con Drummond del 6, aggiungendo che tutto si era limitato ad uno scambio verbale di reciproche assicurazioni. Comunque, non è da escludere che, auspice Ribbentrop, l'ambasciata tedesca a Londra non abbia sottolineato a Berlino il nostro ·contegno interpretandolo a suo modo.

In ogni caso, sta in fatto che, per iniziativa di Ribbentrop, ieri sera ad un concerto tenuto qui dal noto maestro inglese Sir Thomas Beecham è stato fatto intervenire, sfruttando la sua nota musicofilia, anche il Fiihrer. Erano pure presenti Goebbels, Frick Blomberg ed altri. Ribbentrop, che aveva tutto organizzato personalmente, non ha potuto intervenire egli stesso perché trattenuto a Londra da una influenza. Non è peraltro superfluo osservare come tutto questo vada necessariamente messo in relazione anche con l'odierno nuovo colpetto di scena tedesco in materia di fiumi internazionali...(4).

(l) -Trasmetteva il verbale del colloquio tra Ciano e !"ambasciatore Drummond del 6 novembre, D. 364. (2) -Vedi p. 403, nota 2. (3) -Vedi D. 428. (4) -II 14 novembre, !I governo tedesco denunciò le disposizioni contenute nel trattato d! Versa!IIes concernenti le vie navlgab111 situate in territorio tedesco e gll atti !Iuviall Internazionali basati su quelle dlsposlzlonl. La nota fu inviata al 16 Stati -fra cui I'Italla -rappresentati nelle Commissioni fluviall internazionall del Reno, del Danubio, dell'Elba e deii'Oder. II testo della nota è in Documenti di politica internazionale, pp. 488-490.
411

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11281/524 R. Berlino, 14 novembre 1936 (per. il 16).

Devo confessare che il comunicato della visita Beck a Londra (l) mi ha un po' sorpreso. Da esso sembra emergere che la Polonia abbia: l) quasi chiesto «protezione» all'Inghilterra sulla questione di Locarno; 2) sposato al 100/100 (questo punto rappresenta forse il prezzo del primo) la politica inglese della

S.d.N. Nasce la domanda: Varsavia si é indotta a rivolgersi per Locarno a Londra a causa di « dubbi » e preoccupazioni fattele sorgere dal contegno di Berlino? E come mai ha abbracciato, così perspicuamente, la politica inglese della S.d.N. proprio nel momento in cui la Germania aveva accennato, altrettanto patentemente, a distaccarsene?

Queste domande ho posto oggi a mia volta a Dieckhoff, il quale ha convenuto con me che una qualche cosa nel contegno della Polonia meritava di essere elucidata. Le informazioni finora date da Lipski erano molto generiche. Se ne attendevano di più precise solo da Varsavia, Beck essendo passato da Berlino senza fermarsi. Che, anzi, le notizie giunte finora in materia alla Wilhelmstrasse provenivano più che altro da Eden, il quale aveva creduto di dover informare di sua iniziativa Bismarck del contenuto della visita Beck (osservo incidentalmente che, come anche risulta a proposito della conversazione di Drummond con V.E. del 6 corrente -mio telegramma per corriere n. 522 (2) -è abbastanza interessante la premura che Eden pone nel tenere al corrente l'ambasciata di Germania di tutto quello che fa).

Secondo Eden, gli argomenti principali delle conversazioni con Beck sarebbero stati (oltre emigrazione in Palestina):

1) Locarno. La Polonia ha in proposito rammentato che il suo trattato di alleanza con la Francia (3), come quello che era anteriore allo stesso vecchio patto di Locarno, era stato da questo originalmente rispettato. Per le stesse ragioni avrebbe dovuto essere rispettato ora, la Polonia non potendo ammettere che la propria posizione venisse, da un nuovo Locarno, peggiorata in confronto del primo.

2) Danzica. Inghilterra e Polonia si erano trovati d'accordo sulla impossibilità di svincolare Danzica da ciò che era impegno formale di trattati. Rispettate che fossero peraltro le forme, esse erano concordi nel ritenere che una maggiore libertà dovesse essere lasciata, negli affari interni, al Senato di Danzica.

Questo il succo delle informazioni Eden. Sul primo punto, quello di Locarno, Dieckhoff aggiunse, con riferimento al quesito da me originariamente postogli, che finora Germania e Polonia avevano avuto in materia varie conversazioni, la Polonia essendosi peraltro limitata ad « ascoltare » senza formulare alcuna precisa richiesta, come sembra invece abbia fatto a Londra. A mia ulteriore

domanda, Dieckhoff aggiunse che la Polonia non aveva in ogni modo ragione alcuna per dubitare che la Germania non volesse, in materia di eccezioni locarniane, favorire la Polonia ancora una volta. Ciò, riconosceva Dieckhoff, rendeva ancora più inesplicabile l'attitudine di Beck a Londra e sopratutto il prezzo che egli sembrava aver pagato, sotto forma di sottoscrizione alla politica «integrale » della S.d.N. propugnata dall'Inghilterra, per le facili assicurazioni ricevute da Eden. Comunque, ho trovato in Dieckhoff la tendenza a dare alla Polonia e a Beck il pieno beneficio del dubbio e quindi a riservare ogni giudizio definitivo fino alle ulteriori, certamente dettagliate e presumibilmente rassicuranti, informazioni attese da Varsavia. Mi intratterrò della cosa lunedì anche con Neurath (1).

412.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11283/0319 R. Parigi, 14 novembre 1936 (per. il 16).

Telegramma per corriere di V. E. n. 4909/C.R. del 7 corrente (2).

Con riferimento a quanto ha riferito a V. E. il R. ambasciatore in Berlino in data del 29 ottobre, credo utile informare V. E. che questo ambasciatore del Belgio, che suole recarsi quasi ogni settimana a Bruxelles per trattare verbalmente col suo governo i vini affari, mi ha detto ieri di avere constatato in occasione dell'ultimo suo viaggio come l'opinione pubblica belga si sia unanimemente voltata contro la Francia.

Il conte de Kerchove, che è fiammingo, passava, quando era ministro a Berlino, sopratutto presso l'ambasciatore François-Poncet, per essere un tiepido amico della Francia. Egli agiva in quell'epoca nel senso di tentare di persuadere il governo del Reich che il Belgio ha una politica propria, che esso non è legato da alcuna alleanza con la Francia e che i suoi interessi collimerebbero con quelli francesi soltanto qualora il suo territorio fosse nuovamente violato. Mentre non riusciva a persuadere i tedeschi, creava sospetti a proprio riguardo da parte dell'ambasciatore di Francia.

Oggi, dopo il recente discorso del Re Leopoldo, gli umori belgi nei riguardi della Francia sarebbero, secondo il mio collega belga, tali quali furono, nei riguardi della Germania, solamente nei periodi più delicati del dopoguerra. Egli ne attribuisce la ragione alla mancanza di tatto della maggior parte .degli uomini politici francesi, i quali assimilarono costantemente i belgi ai loro compatrioti, pretendendo che pensassero sempre ed unicamente come i francesi, mentre, nei riguardi della Germania, i belgi, pur non scordando affatto gli orrori dell'invasione, nutrono idee notevolmente diverse da quelle dei loro vicini. Se tale situazione esiste realmente -e non vedo per quale ragione il conte de Kerchove mi avrebbe detto cosa falsa -vi sono le premesse necessarie perché possa avere probabilità di successo un patto a due germanico-belga che faciliterebbe il patto di «garanzia , triangolare germanico-anglo-belga che costituisce l'aspirazione somma dell'ambasciatore von Ribbentrop.

(l) Vedi p. 352, nota 2. Il comunicato diramato al termine della visita è riportato In Documenti di politica internazionale, p. 598.

(2) -Vedi D. 410. (3) -Vedi p. 39, nota 2. (l) -Vedi D. 433. (2) -Ritrasmetteva il D. 309.
413

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4679/1607. Berlino, 14 novembre 1936 (per. il 17).

La stampa tedesca ha seguito con grande interesse i convegni di Vienna e di Budapest (1), riportando ampi resoconti sui colloqui e sulle cerimonie che li hanno accompagnati. Nei numerosi commenti su questo avvenimento politico si nota in g·enerale la tendenza a porre in rilievo l'importanza rappresentata dal fattore tedesco nelle conversazioni fra l'Italia, l'Austria e l'Ungheria, benché la Germania non sia stata in fatto rappresentata alla conferenza tripartita. La conferenza stessa è esaminata qui sotto l'angolo dei recenti accordi italatedeschi, i quali, si fa notare, sono destinati ad avere una grande ripercussione anche nei rapporti fra gli Stati dei protocolli di Roma, specialmente per quanto riguarda la loro azione per una soluzione del problema danubiano. A questi concetti è ispirata ad esempio una nota dell'ufficiosa Corrispondenza politica e diplomatica, la quale dopo aver rilevato i notevoli successi ottenuti dalla politica italiana negli ultimi mesi, osserva che il viaggio del ministro Ciano a Berlino e la creazione di una intesa italo-tedesca costituiscono il coronamento di quella politica di adattamento e distensione dettata dai concetti realistici a cui è ispirata l'azione dell'Italia e della Germania, e che i colloqui di Vienna e di Budapest vengono ora ad inserirsi in questo quadro. Rileva l'insufficienza della Società delle Nazioni e la sua incapacità di rappresentare un utile fattore di collaborazione europea, specialmente ora che essa è diventata il campo di battaglia preferito di certe forze distruttive e di certe tendenze aggressive. Aggiunge che i Paesi dei protocolli di Roma e la Germania si rendono perfettamente conto di questa pericolosa situazione creata dalla penetrazione della Russia sovietica nella cosidetta politica di collettività e che appunto da questa comunanza di concetti e di necessità sorge la volontà comune di collaborare seguendo metodi pratici in tutte le questioni la cui soluzione significa un servigio reso alla pace europea. «Questi sono -termina la Corrispondenza politica e diplomatica -il senso e lo scopo delle conversazioni di Vienna ».

La stampa tedesca nota poi che le conversazioni di Vienna sono influenzate dal fatto che dopo la conclusione dei Protocolli di Roma un nuovo elemento è entrato nella politica estera austriaca mediante l'accordo dell'll luglio con la Germania, e rileva che a questo riguardo si è constatata identità di vedute fra l'Italia e l'Austria nel considerare la rispettiva situazione rispetto alla Gertnania. Una nota alquanto discordante a questo proposito è rappresentata da una corrispondenza del Berliner Tageblatt da Roma, in data 11 novembre, la quale citando un articolo di Gayda a proposito della conferenza di Vienna si meraviglia dell'interpretazione data dal giornalista italiano all'accordo austrotedesco dell'll luglio nel senso che esso rappresenti un riavvicinamento della

Germania alla linea direttiva della politica italiana nei riguardi dell'Austria. «Questa marcata predominanza dell'Italia di fronte alla Germania nel problema austriaco, dice il corrispondente, non rappresenta completamente ~l pensiero dell'opinione pubblica italiana. In molti ambienti italiani si è invece del parere che il riavvicinamento dell'Italia alla Germania nei riguardi dell'Austria abbia il significato di un'arrendevolezza dell'Italia).

Si pone poi qui in rilievo che anche nei riguardi della Germania la conferenza tripartita è destinata ad avere effetti favorevoli, nel senso che si verrà a riconoscere come senza la partecipazione tedesca non si possano risolvere, né il problema austriaco, né le questioni che interessano i Paesi dell'Europa sudorientale. Si nota a questo proposito con soddisfazione come il comunicato ufficiale conclusivo sulla conferenza di Vienna riaffermi la decisione del governo italiano e di quello tedesco di esaminare le questioni riferentisi al bacino danubiano secondo uno spirito di cordiale collaborazione. La Deutsche Allgemeine Zeitung dell'll novembre reca poi un articolo del suo corrispondente balcanico in cui viene segnalata la crescente tendenza verso un mutamento nella politica degli Stati balcanici, i quali cercano di riavvicinarsi agli Stati dei Protocolli di Roma, per quanto le difficoltà a tale riguardo siano considerevoli, specialmente a causa del revisionismo ungherese.

Sul problema del revisionismo insistono più specialmente i giornali tedeschi nel riferire le informazioni sulla visita del ministro Ciano a Budapest. Essi rilevano le esagerazioni di certi ambienti ungheresi in cui si parla come se la revisione del Trattato di Trianon fosse imminente e si pongono in circolazione le voci più fantastiche come quella di una prossima restituzione di Fiume e del Buergenland all'Ungheria e quella di una rettifica della frontiera con la Jugoslavia. Notano che contro queste esagerazioni si eleva la maggioranza della stessa stampa ungherese la quale rileva la prudenza con cui nel comunicato pubblicato dopo il convegno di Vienna sono state formulate le affermazioni a favore del revisionismo ungherese.

I corrispondenti dei giornali tedeschi a Budapest rilevano poi la soddisfazione dei circoli governativi ungheresi per i risultati della conferenza di Vienna la quale, si fa osservare, ha adempiuto interamente il suo compito, in quanto in essa si è rafforzata la cooperazione fra l'Italia, l'Austria e l'Ungheria sul terreno politico ed economico, si è trovata la connessione fra l'accordo austrotedesco dell'll luglio ed il riavvicinamento itala-tedesco, ed infine si è dichiarato che il raggiungimento della parità di diritti dell'Ungheria sul terreno militare costituisce una causa comune per le tre Potenze dei protocolli di Roma. A questo riguardo il corrispondente del D.N.B. da Budapest rileva però che il problema della revisione non riguarda tanto la conferenza di Vienna quanto piuttosto i singoli Stati dei Protocolli di Roma.

Infine, da un punto di vista generale, la conferenza di Vienna viene valutata dalla stampa tedesca come un efficace contributo alla pacificazione dell'Europa ed all'auspicata collaborazione fra tutti i Paesi, specialmente sotto il punto di vista dell'affermazione dell'intesa itala-tedesca e della costituzione dell'Asse Roma-Berlino.

(l) Conferenza !taio-austro-ungherese dl Vlenna dell'll-12 novembre e viaggio dl Ciano a Budapest dell'll-16 novembre. Vedi D. 429.

414

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3724/1494. Mosca, 14 novembre 1936 (1).

La visita di Beck a Londra (2) è stata seguita con un evidente interesse dall'U.R.S.S.: interesse che ha rivelato però un senso di incertezza e di preoccupazione per il significato da attribuirsi alla recente manifestazione di avvicinamento anglo-polacco.

A giudicare dai commenti della stampa di ispirazione ufficiosa, le reazioni sovietiche si sono manifestate in due direzioni diverse ed in una certa misura contraddittorie.

Da una parte, si è voluto vedere nel ricevimento cordiale fatto al ministro degli Affari Esteri polacco da parte del governo britannico e nel commiato che ha chiuso le conversazioni di Londra una nota anti-tedesca. Si è cioè attribuito ad essi il significato di una concordanza di vedute determinata dal sentimento comune di apprensione per la politica di Berlino. La Polonia si preoccuperebbe specialmente del pericolo di una conferenza a quattro delle principali Potenze locarniste la quale, oltre ad essere una offesa per l'amor proprio polacco, potrebbe essere portata a trascurare gli interessi polacchi nel settore orientale d'Europa. A sua volta, l'Inghilterra, col mostrare un maggior interessamento alla politica polacca, avrebbe inteso rispondere alla solidarietà italatedesca risultata dal viaggio di S. E. Ciano a Berlino, specialmente per l'eventuale sua portata nei riflessi del problema del Mediterraneo. Sotto questo punto di vista, gli ambienti sovietici sembrano compiacersi del viaggio di Beck a Londra.

D'altra parte, Mosca crede anche di vedere in questa visita un rafforza..: mento di quella che si usa definire qui come una politica di «finta neutralità »; la neutralità cioè di quei governi che non osano o non vogliono prendere posizione contro gli «aggressori». In questi ultimi tempi la stampa sovietica ha spesso rivolto all'Inghilterra l'accusa di debolezza e di indifferenza di fronte alla politica aggressiva degli Stati fascisti, palesatasi in modo indecoroso -essa afferma -specialmente nella crisi spagnola. Oggi essa vede nelle conversazioni anglo-polacche di Londra un passo avanti nella costituzione di un blocco di «finti neutrali», blocco che porterebbe in definitiva al risultato -come scrive la Pravda -di «isolare l'Unione Sovietica e di lasciare alla mercé del fascismo germanico la Cecoslovacchia e gli altri Paesi dell'Europa Centrale e Sud-Orientale». Interpretata sotto questo secondo aspetto, è evidente che la visita inglese di Beck non può far piacere a Mosca.

Come si vede, quella che ho chiamata in un mio precedente rapporto la «ossessione dell'isolamento» continua a dominare gli ambienti politici dell'U.R.S.S. fino ad assumere l'aspetto di una vera e propria mania di persecuzione.

Il mio collega polacco I,Ili ha detto avere egli pure constatato, attraverso le sue conversazioni al Narkomindiel, il malumore sovietico per il viaggio londinese di Beck.

(l) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (2) -Vedi p. 352, nota 2.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11250/1419 R. Londra, 15 novembre 1936, ore 1,04 (per. ore 7,55).

Eden mi ha telefonato stamane che desiderava parlarmi (1). La sua accoglienza è stata così marcatamente cordiale e l'accento di sincerità che egli ha cercato di dare alle sue parole così nuovo da non potere non essere rilevati.

Eden ha cominciato col pregarmi comunicare al Duce come egli era grato e soddisfatto per l'interpretazione e l'accoglienza che il Duce e V. E. avevano riservato alle sue dichiarazioni ai Comuni (2). «Favorevole ripercussione in Italia delle mie dichiarazioni -ha soggiunto Eden -e intervista del Duce al Daily Mail (3) mi hanno molto aiutato a vincere ultime difficoltà e resistenze che esistevano negli ambienti del governo per addivenire senza ulteriori indugi ad un franco e completo chiarimento con l'Italia.

Intervista del Duce al Daily Mail ha determinato un decisivo passo avanti sul terreno positivo e concreto. Non appena ne ho avuto conoscenza mi sono recato da Baldwin pregandolo di inserire nel suo discorso annuale alla City di martedì scorso parole amichevoli verso l'Italia di cui io stesso ho preparato testo e che sono state sottolineate (come Voi stesso avete constatato) da parte mille e più rappresentanti della City e dei Comuni presenti al Guildhall con applausi generali e così vivi come non è stato accolto nessun altro passaggio del discorso del Primo Ministro (4). Poiché qualcuno ha creduto di notare una differenza tra il tono delle dichiarazioni di Halifax ai Lords (5) e delle mie ai Comuni, desidero che il Duce sappia che Halifax si è limitato a pronunciare ai Lords un testo di discorso che era stato da me personalmente preparato. Vorrei sinceramente che fossero dimenticate tutte le polemiche del passato e che in Italia non si pensasse all'Inghilterra come ad un nemico.

Malgrado differenza sostanziale fra le direttive di politica generale che fatalmente esistono e continueranno ad esistere fra la dottrina fascista e le nostre tradizioni di Paese democratico, io credo che sul piano dei grandi interessi mondiali Inghilterra ed Italia debbono trovare una via comune e una stretta collaborazione. Questo è assolutamente indispensabile per la pace europea. Inghilterra ed Italia debbono dare per prime fra i Paesi europei esempio del come buona volontà reciproca ed un sincero desiderio di intesa possono eliminare sospetti e determinare senza troppe difficoltà una fiduciosa e feconda collaborazione. Il Duce ha perfettamente ragione quando dice che Inghilterra ed Italia non possono permettersi il lusso di essere nemici, né nel Mediterraneo, né altrove». Eden mi ha a questo punto letto un lungo telegramma di Roberts da Addis Abeba che informava delle marcate cortesie usate dal Viceré in occasione partenza distaccamento militare britannico, nonché un rapporto del rappresentante British Legion che informa delle accoglienze estremamente

(-3) Vedi p. 453, nota 2.

amichevoli testé ricevute in Italia. «Ho comunicato questi due rapporti nella seduta di ieri del Gabinetto e non potete immaginare quale ottima impressione essi abbiano avuto in tutti miei colleghi~.

Ho creduto opportuno a questo punto informare Eden che era stato personalmente il Duce ad impartire precise disposizioni al Viceré perché fossero riservate tutte le possibili facilitazioni partenza distaccamento britannico, nonché onori militari.

Eden mi ha pregato far pervenire al Duce suoi ringraziamenti più sentiti per queste istruzioni al Viceré e che sono state apprezzate da Gabinetto britannico in tutto loro valore di gesto simpatico e amichevole.

Ho detto a questo punto a Eden che io mi auguravo vedere assai presto ritiro distaccamento seguito dalla trasformazione legazione in consolato e quindi formale riconoscimento Impero.

Eden mi ha fatto presente che questa è strada sulla quale governo britannico si è messo. «Nel nostro precedente colloquio (l) vi ho detto che per trasformazione della ex legazione in consolato, già decisa in linea di massima, vi erano ancora difficoltà da superare. Vi prego non domandate di quale natura esse siano, lascio comunque a voi immaginarle. Confido che esse saranno presto superate.

Desidero che su questo punto il Duce conosca in modo preciso il mio pensiero che è pensiero del Gabinetto. Noi non intendiamo assolutamente « contrattare :. con l'Italia in termini di interessi britannici in Africa, nel Mediterraneo o altrove quello che è e sopratutto sarà futuro atteggiamento britannico nei confronti fatto compiuto della conquista italiana dell'Etiopia.

Circa i nostri interessi in Etiopia noi ci sentiamo perfettamente ed interamente garantiti dalle assicurazioni che il Duce ci ha dato in ripetute occasioni. Non abbiamo nulla di più da domandare né crediamo ce ne sia bisogno. Ho risposto già « no :. al governo francese il quale fin da quando Flandin era al potere sollecitava come di nuovo sollecita adesso, governo britannico di concordare una comune linea di condotta franco-inglese per ottenere dall'Italia speciali vantaggi di carattere coloniale in cambio allora dell'abolizione sanzioni, adesso del riconoscimento formale della conquista italiana. Questa non essendo stata, non è, non sarà mai linea governo britannico il quale continuerà procedere così come ha fatto giugno scorso col prendere iniziativa abolizione sanzioni, poscia di decadenza dell'accordo mutua assistenza Mediterraneo, da ultimo col ritirare distaccamento Addis Abeba, cioè senza contrattazione. Questo Vi prego dire al Duce: che io gli sono assai grato perché Egli ha perfettamente compreso motivi della politica britannica e non ha insistito a riguardo dichiarazioni di Milano mettendo riconoscimento formale Impero Etiopia come una condizione sine qua non per un miglioramento dei rapporti italo-britannici. Ciò dimostra ancora una volta che Duce ha compreso nostra psicologia e mentalità. Governo britannico ha necessità spiegare al popolo e parlamento ulteriori passi che farà sicuramente sul terreno del riconoscimento Impero Etiopia non come condizione, bensì come conseguenza necessaria dei migliorati rapporti italo-britannici. Più presto possibile noì assi

curiamo questo nuovo stato di fatto nei rapporti fra i due Paesi, più presto ·verrà il resto e senza difficoltà :..

Siamo passati discutere formula del gentlemen's agreement indicato dal Duce.

Eden mi ha chiesto se avevo istruzioni esaminare quale secondo Duce

dovrebbe essere sostanza e contenuto di questa formula. Ho risposto non avevo

istruzioni di V. E., ma intanto mi sarebbe stato utile conoscere se tale formula

era accettata in linea di massima dal governo britannico; Eden mi ha rispo

sto che Gabinetto avrebbe discusso di ciò nella seduta di posdomani, ma che

sin da ora credeva potermi anticipare che governo britannico accettava for

mula proposta dal Duce.

Ho domandato ad Eden sue idee circa contenuto dell'accordo.

Eden mi ha risposto che ci stava appunto pensando sopra e che gradirebbe molto conoscere i pratici suggerimenti del Duce su questo punto «Il Duce -ha ripetuto Eden ancora una volta -ha mostrato di conoscere la

psicologia e la mentalità britannica più ancora di quanto noi stessi la cono

sciamo, quando ha subito scartato l'idea di un solito patto di cui spirito bri

tannico ha sempre diffidato. Inghilterra non è formalmente legata con trat

tati bilaterali con nessun Paese, neppure con Belgio. Unica eccezione è allean

za con Portogallo conclusa nel settecento (1).

Credo che meno complicato e meno elaborato sarà il contenuto del gen

tlemen's agreement, più questo nostro accordo sarà accolto in Inghilterra

come impegno veramente serio che i due Paesi hanno concluso fra loro. Io

penso a qualche cosa come ad una dichiarazione formale di accordo sulla

volontà reciproca dei due Paesi di pace e rispetto dei reciproci interessi nel

Mediterraneo e di impegno ad una azione comune per salvaguardare pacifi

cazione e armonica convivenza dei due Paesi».

Si potrebbe chiamarlo -ho detto a questo punto -lo «Statuto della

pace mediterranea ». « Precisamente Eden ha risposto -vorrei meglio cono

scere prima ancora di andare oltre in questo esame quale è pensiero del Duce

in proposito:..

Ho detto che avrei trasmesso a V. E. le sue parole e che intanto mi sarebbe

utile conoscere cosa egli pensava circa momento per concludere questo accordo.

Ho aggiunto che, se da un lato la troppa fretta non è consigliabile, dall'altro

bisogna evitare pericoli di una trattativa condotta con lentezza e che potrebbe

pregiudicare atmosfera psicologica favorevole esistente oggi tra i due Paesi.

Eden mi ha risposto che era d'accordo. Appunto in vista di ciò riteneva

utile non perdere tempo e che per parte sua era disposto procedere senza

indugio.

Siamo rimasti intesi che io avrei riferito nostra conversazione e che egli

avrebbe consultato nel frattempo di nuovo Baldwin ed il Gabinetto e che ci

saremmo rivisti non appena uno o l'altro avesse nuovi elementi per conti

nuare conversazione odierna (2).

(l) -Secondo quanto Eden telegrafava all'ambasciatore Drummond, il colloquio sarebbe avvenuto il 13 novembre (vedi BD, vol. XVII, D. 377). (2) -Vedi p. 403, nota 2. (4) -Vedi D. 386. (5) -Vedi p. 407, nota 4.

(l) Vedi D. 378.

(l) -Il primo trattato di alleanza anglo-portoghese era stato sottoscritto 11 16 giugno 1373. (2) -Il 17 novembre, prima di partire per Roma dove doveva prendere parte alla riunione del Gran Consiglio del Fascismo, Grandi ebbe un altro colloquio con Vansittart circa la forma da dare all'accordo italo-britannico. Di tale colloquio non si è trovata documentazione, ma si veda in proposito BD, vol. XVII, D. 377, nota 5.
416

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. 11259/215 R. Tokio, 15 novembre 1936, ore 3 (per. ore 11,15).

Mi è stato detto confidenzialmente che questo ministero della Guerra vorrebbe suggerire a quello degli Affari Esteri di proporci conclusione di una intesa basata sullo sviluppo dei rapporti culturali, protezione reciproca degli interessi economici e difesa contro il bolscevismo; intesa formulata in tal modo genericamente potrebbe avere in seguito specificati più importanti sviluppi. Mi si è aggiunto però che il ministero della Guerra avanti di intrattenerne quello degli Affari Esteri desidererebbe questo R. addetto militare ne parlasse per primo col ministero della Guerra stesso e gli facesse comprendere che ove simile proposta ci fosse presentata, dal ministero degli Affari Esteri non avremmo obiezioni di principio ad esaminarla.

Al R. addetto militare sono state fatte più volte allusioni generali da alti ufficiali del ministero della Guerra a base di più stretti vincoli ma nessun proposito gli è stato manifestato e nessuna precisa richiesta fatta, né egli ha mai preso alcuna iniziativa o dato alcun affidamento. Sarò grato a V. E. se in linea di principio volesse farmi conoscere se R. addetto militare debba sondare il terreno per accertare fondamento della informazione e in caso affermativo fare qualche accenno al ministero della Guerra nel senso che mi si dice desiderato o se invece non ci si debba occupare della cosa (1).

417

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO (2)

T. u.s.N.D. 5015 R. (3). Roma, 15 novembre 1936 (4).

lì R. console generale in Barcellona in data 11 corr. ha telegrafato (5) che:

l) Noto avvocato Maspons Anglasell ha detto essere stato incaricato di prendere contatto con governo italiano perché questo renda possibili trattative dirette tra governo Burgos e alcuni uomini politici catalani.

(-4) Manca l'Indicazione dell'ora di partenza.

n 13 novembre, il ministro De Peppo provvide a redigere il seguente:

APPUNTO PER IL DUCE «Con riferimento all'unito telegramma del Console generale a Barcellona, si ha l'onore di far presente che -anche secondo l'avviso dell'ammiraglio Magaz -i partiti catalani di sinistra menzionati dal Console Bossi sono precisamente quelli cui incombe la responsabilitàdell'attuale situazione. Per il momento essi sono completamente soverchiati dalle masse comuniste e anarchiche, delle quali hanno perduto il controllo. Comunque, poiché l'attuale situazione potrebbe cambiare ed anzi è prevedibile che cambierà, questo Gabinetto ha sottoposto a S. E. 11 ministro l'opportunità di non lasciar cadere l'iniziativa ma di darvi seguito con la dovuta circospezione ».

34 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

2) Tale incarico gli sarebbe stato affidato dai seguenti partiti: Stato

catalano separatista, la Falce, organizzazione giovane partito di sinistra cata

lano repubblicano, Unione Democratica Catalana, partito democratico cattolico · e da importanti frazioni partito di sinistra catalano repubblicano.

3) Scopo principale eventuali negoziati sarebbe evitare guerra in Cata

logna, sempre che governo Burgos, a vittoria nazionali raggiunta, sia disposto

a creare situazione di mutua comprensione sulla quale basare futuri rapporti

tra governo centrale e Catalogna. Partiti catalani sarebbero pienamente sod

disfatti se potessero ottenere autonomia analoga a quella già conferita paesi

baschi con i così detti tueros. Vantaggi sarebbero reciproci poiché forze cata

lane sarebbero disposte lottare, occo:-rendo, contro anarchici e nazionali vedreb

bero scomparire pericolo costituito da resistenze oltranza catalani.

Avvocato Maspons mi ha inoltre annunziato che presidente Parlamento

Catalogna, Casanovas, troverebbesi attualmente a Parigi dove sarebbero offerti al

governo francese, in cambio riconoscimento indipendenza Stato catalano nel

caso vittoria nazionale, vantaggi di carattere militare.

Prego portare quanto precede a conoscenza del generale Franco, facendomi

conoscere se egli ritiene che la proposta possa interessarlo. In tal caso sareb

bero utili elementi per una risposta da dare all'avvocato Maspons Anglasell,

pel tramite del R. console generale in Barcellona, al quale è stato per il momento

telegrafato (l) di mantenere cauti contatti, in attesa di ulteriori precise comu

nicazioni ( 2) .

418.

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PERSONALE 5016/549 R. (3). Roma, 15 novembre 1936, ore 19.

Graziani mi comunica che nuovi incidenti sono avvenuti a Dire Daua fra soldati francesi e Camicie Nere. Graziani aggiunge che situazione comincia ad essere tesa. È necessario richiamare attenzione Quai d'Orsay sulla situazione.

419.

L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 11264/169 R. Bucarest, 15 novembre 1936, ore 19 (per. ore 20,15).

Comunicato emanato ieri da Stati Piccola Intesa (4) pur non costituendo adesione a tesi parità diritti, in quanto detto comunicato richiamasi decisione Praga 20 maggio 1933 che pone delle condizioni al riarmo degli Stati ancora

Sul documento vi è la seguente annotazione a penna: «Il Duce parlando oggi per telefono con S. E. Bastianinl ha chiesto qualche chiarimento sul telegramma di Bossi e il seguito datovi. Gli è stato inviato il presente appunto». Il documento porta, infatti, il visto di Mussolinl.

soggetti clausole militari, dimostra tuttavia desiderio Stati membri della Piccola Intesa trattare con Ungheria per evitare possibilità trovarsi di fronte eventuale dichiarazione unilaterale ungherese. Ciò mi è stato confermato da ministro Cecoslovacchia.

Tenore comunicato di ieri sarebbe stato voluto da Krofta che, a mezzo signor Badulescu, sottosegretario di Stato Affari Esteri romeno attualmente a Praga, avrebbe fatto trionfare tesi Bucarest.

Mi risulta che ad iniziativa Romania sono in corso consultazioni fra tre Cancellerie per eventualità denunzia clausole militari da parte dell'Ungheria. Tale eventualità fu già presa in considerazione riunione del Consiglio Piccola Intesa Belgrado (l) in cui fu decisa mobilitazione nel caso che eventualità stessa si verificasse. Successivamente in riunione Bratislava (2) essendo venuta diminuire fiducia aiuti francesi sarebbe stata decisa adozione misure non (dico non) militari subordinandosi mobilitazione atteggiamento Italia e Germania.

Misure prese oggi in considerazione sarebbero: dichiarazione decadenza trattato minoranza, sospensione versamento fondo agrari, sospensione servizio coupons portatori ungheresi.

Notizie di cui sopra mi sono state date in via confidenzialissima da buona fonte per non compromettere la quale prego codesto ministero volere dare ad esse carattere segretezza.

(l) -Il presente telegramma reca il visto e l'annotazione a margine di Mussolini: «Si>>. L'autorizzazione fu inviata da Ciano con T. 5057/105 del 18 novembre, ore 24. Per !l seguito si veda il D. 450. (2) -Vedi p. 381, nota 3. (3) -Il telegramma fu inviato tramite il Servizio Informazioni Militare. (5) -T. 11159/646 R. dell"ll novembre, non pubblicato: il suo contenuto è qui riportato. n telegramma del console Bossi fu ritrasmesso a Budapest, dove Ciano doveva giungere in visita nel pomeriggio del giorno 13, con T. 4979/149 R. del 12 novembre, ore 22 dal capo di Gabinetto, De Peppo, con la seguente aggiunta: «Ritengo trattarsi di iniziativa da non lasciar cadere e pertanto prego V. E. autorizzarmi inviare Suo nome i telegrammi del caso a Burgos e a Barcellona>>. (l) -Con T. 5012/242 R. del 15 novembre, ore 1,30. (2) -Per il seguito vedi il D. 460. (3) -Minuta autografa. (4) -Nel comunicato diramato il 12 novembre a conclusione dell'incontro itala-austro-ungherese di Vienna, era stato riportato integralmente l! punto 5 del Protocollo con il quale i tre governi riconoscevano la legittimità delle aspirazioni dell'Austria e dell'Ungheria a conseguire l'uguaglianza di diritto in materia di armamenti e si impegnavano a restare in contatto per
420

L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11262/170 R. Bucarest, 15 novembre 1936, ore 20,50 (per. ore 22,30).

Apprendo da buona fonte che iL ministro romeno a Berlino ha telegrafato suo governo che gli ambienti ufficiali tedeschi mostransi poco soddisfatti nostra azione favore Ungheria.

421

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 15 novembre 1936.

L'ambasciatore di Polonia è venuto a vedermi, perché Beck gli aveva dato istruzioni di comunicare a V. E. i risultati del suo viaggio a Londra (3). Beck è molto soddisfatto dei colloqui ch'egli ha avuto nella capitale inglese, durante i quali egli ha potuto far comprendere la necessità della Polonia di non venire a trovarsi, nel caso della eventuale conclusione di un nuovo Patto di Locarno, nella condizione in cui s'era trovata quando il primo Patto di Locarno fu concluso a sua esclusione.

reallzzarla. Il 14 novembre, il governo cecoslovacco, dopo essersi consultato con gli altri governi della Piccola Intesa, diramò un comunicato In cui si ricordava che fin dal maggio 1933 gliStati della Piccola Intesa avevano accettato il principio della parità di diritto In materia di armamenti, a condizione però che il principio fosse attuato in modo consensuale e venissero date precise garanzie.

Nel telegramma che Wysocki ha ricevuto da Beck è detto che la Polonia, dopo le conversazioni di Londra, può attendere con tutta tranquillità il risultato delle conversazioni per il nuovo Patto di Locarno. Da ciò l'ambasciatore Wysocki arguisce che il suo Paese non entrerebbe in tali conversazioni e che molto probabilmente sono vere quelle informazioni di stampa dalle quali risulterebbe che la Polonia soltanto in un secondo tempo vi sarebbe direttamente interessata. Wysocki ha precisato che egli prevede qualche difficoltà da parte della Francia inquantoché il punto di vista della Polonia nei confronti del Patto franco-sovietico è sempre lo stesso e qundi è desiderio di Beck che Parigi o Mosca non profittino delle discussioni in corso fra le Potenze per concatenare in una maniera o nell'altra il Patto franco-sovietico con un nuovo Patto di Locarno.

Da quanto egli mi ha detto, semb>:u che la Polonia non desideri nemmeno che l'allargamento eventuale, in un secondo tempo, possa estendersi anche alla Cecoslovacchia, quantunque questo sia il desiderio di Krofta e lo scopo principale della sua attuale attività.

Con la comprensione della situazione polacca manifestata sia a Roma che a Parigi e a Londra, la Polonia si sente oggi più tranquilla.

Alla mia domanda, quali fossero in questo momento i rapporti tra il suo Paese e la Germania, Wysocki mi ha risposto che essi attraversano un momento di qualche delicatezza a causa dell'azione nazista a Danzica e della propaganda tedesca che è stata ripresa da qualche tempo con molti mezzi e rinnovata energia in tutta la Slesia.

La Polonia non vuole interessarsi alle questioni fra i nazisti e i loro avversari tedeschi a Danzica, ma non può ammettere che la lotta condotta dai nazisti nella Città Libera contro tutto ciò che non fa parte della loro organizzazione si estenda anche alla stampa, alle istituzioni, alle associazioni, alle scuole e ai cittadini della Polonia. Purtroppo, questo starebbe avvenendo e di ciò profitterebbero gli oppositori di Beck per attaccare con elementi di fatto la politica seguita da questi di stabilire con la Germania relazioni amichevoli. Una campagna in tal senso contro Beck si svolgerebbe anche in questo momento nella stampa di opposizione polacca. La propaganda tedesca in Alta Slesia, che era completamente cessata appena concluso l'accordo fra i due Paesi (1), ha ripreso con maggior larghezza di mezzi in questi ultimi tempi e sembra stia a denotare un cambiamento nel modo di vedere tedesco nei confronti della Polonia.

Wysocki fa però rimarcare che egli non ritiene difficile un nuovo chiarimento dei rapporti fra i due Paesi, al fine di eliminare tali malintesi ed eventuali attriti. Egli è anzi sicuro che Beck non tarderà ad agire in tal senso, non avendo per niente modificato il suo punto di vista nei confronti della Germania.

Mi ha chiesto cosa vi fosse di vero nelle voci che in questi ultimi giorni si ripetono di una restaurazione asburgica in Austria, di un prossimo fidanzamento della principessa Maria con l'arciduca Otto e mi ha domandato se alla riaffermazione contenuta nel discorso di Milano a favore dell'Ungheria e a quella contenuta nella deliberazione di Vienna sul diritto al riarmo (2} si deve pensare che terranno seguito degli atti concreti.

Ho risposto che il diritto dell'Ungheria alla parità era indiscutibile e che l'appoggio dell'Italia era acquisito a quello Stato quando avesse voluto reclamarlo. Quanto alla revisione delle frontiere ungheresi, revisione non voleva dire sconfinamento dell'esercito ungherese sui territori reclamati. Quanto alla restaurazione asburgica, non mi risultava che il Duce considerasse tale questione come di attualità; e circa il fidanzamento di Otto non ne avevo inteso parlare in nessun ambiente responsabile, facendogli rimarcare altresì che nei matrimoni delle Principesse Reali era sembrato che Sua Maestà non si lasciasse guidare da considerazioni di politica.

A titolo puramente personale, facendogli ben rimarcare che si trattava soltanto di una mia curiosità, gli ho chiesto cosa pensasse Beck a proposito dell'Impero di Etiopia. Wysocki mi ha risposto di aver già fatto presente a Varsavia che qualora la Polonia decidesse di dar luogo al riconoscimento dello stato di fatto, un tale gesto non dovrebbe avvenire troppo tardi e in coda agli altri.

Gli ho detto che mi pareva molto saggia questa sua segnalazione e tanto più opportuno sarebbe sembrato che la Polonia tenesse a marcare il suo reale disinteresse a una questione che oggi, anche più di prima, appariva sotto la sua vera luce di una controversia dell'Italia con i due Paesi aventi colonie finitime. Qualche interrogazione alla Camera dei Comuni sugli interessi inglesi nel Lago Tana e qualche articolo di colonialisti francesi su Gibuti e le nuove linee di comunicazione dell'Impero spiegavano a mio avviso molto bene quali fossero i veri termini della questione etiopica, che si era riusciti a fare scomparire nelle formule ginevrine della sicurezza e del Covenant. Poiché nelle competizioni coloniali la Polonia non aveva niente a che fare e Beck durante le sanzioni, lo aveva affermato pubblicamente, il riconoscimento da parte sua della situazione di fatto in Etiopia sarebbe un gesto logico perché conseguente, col quale egli si assicurerebbe il vantaggio di un sincero apprezzamento da parte degli italiani.

Wysocki mi ha risposto che egli condivideva la mia opinione e pensava che il suo governo, salvando in qualche modo la forma per quelli che sono i suoi obblighi ginevrini, troverebbe il modo di farlo.

Egli ritiene che Beck verrà a Roma entro il mese di gennaio.

(l) -Vedi p. 315, nota 2. (2) -Vedi p. 84, nota l. (3) -Vedi p. 352, nota 2. (l) -Si riferisce all'accordo tedesco-polacco del 26 gennaio 1934 (vedi p. 7, nota 2). (2) -Vedi D. 397, punto 5.
422

L'UFFICIO IV DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI TRANSOCEANICI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, .... novembre 1936 (1).

Con precedente appunto (2) sui lavori preparatori della Conferenza Panamericana era stata posta in rilievo la presenza di due tesi principali, l'una isolazionista facente capo a Washington e l'altra iberico-societaria facente capo a Buenos Aires.

Sino all'ottobre scorso sembrava che le forze a sostegno delle due tesi dovessero equilibrarsi e quindi scambievolmente paralizzarsi. Oggi è intervenuto un fattore nuovo che ha rinvigorito la tesi nord-americana: il grande successo elettorale di Roosevelt. Le masse latino-americane non possono non subirne l'influenza. Ne ha approfittato subito Washington per definire in senso più rigidamente isolazionista il suo primitivo programma che, come è stato precedentemente esposto, faceva molte concessioni al societarismo argentino. Roosevelt ha immediatamente diramato un memorandum sulla neutralità e ha dato la stura alla propaganda isolazionista. Attorno a questa tesi si vengono affiancando molti degli Stati fino ad ora dubbiosi. Con grande clamore e con preciso e concreto programma Roosevelt si prepara ad inaugurare la Conferenza del pacifismo americano anti-europeo.

Per quanto non sia possibile conoscere esattamente la portata del progetto di neutralità interamericano si può sotto di esso individuare la volontà di vincolare tutti gli Stati del continente americano in un comune impegno che, in caso di guerra europea, chiuda automaticamente tutta l'America ai rifornimenti dei belligeranti. Con un progetto di portata così vasta è facile intravedere dietro la vernice democratico-pacifista un preciso programma imperialista nordamericano.

Si può immaginare infatti che, quando il Presidente degli Stati Uniti avesse realizzato nelle sue mani un'arma così potente quale potrebbe essere il blocco delle risorse economiche del vastissimo continente americano, lo sdegnoso disinteresse per le beghe europee sarebbe facilmente soffocato dalla ambiziosa speranza di intervenire, novello Wilson, despota e arbitro delle lotte europee.

(l) -L'appunto non reca l'indicazione del giorno in cui fu redatto. Si colloca, comunque, con ogni probabilità intorno alla metà di novembre. (2) -Vedi D. 326.
423

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 11278-11288/216-217 R. Tokio, 16 novembre 1936, ore 6 (per. ore 14).

Ambasciatore di Germania mi ha riservatamente confermato che vi sono trattative in corso tra il suo governo e quello giapponese per un patto antibolscevico, al quale altri Stati potrebbero aderire in seguito. Egli ha aggiunto che esse avvengono a Berlino e che quel nostro ambasciatore ne è certo tenuto informato. Mio collega mi ha detto che Hitler attribuisce in questo momento grande importanza alle relazioni della Germania col Giappone.

Ambasciatore di Germania mi ha detto credere che una questione importante per l'Inghilterra sia decidere se intendersi con l'Italia nel qual caso avrebbe mani libere col Giappone o viceversa e mi ha chiesto che ne pensassi.

Ho risposto che ignoravo i suoi veri propositi a nostro riguardo. Che però circa Giappone mi pareva assai difficile che esso, se anche ne avesse avuto ora la volontà, avrebbe potuto giungere ad una intesa. Non vi era dubbio sull'esistenza qui tuttora di un partito anglofilo composto di consiglieri della Corona, vecchi diplomatici, parlamentari e grossi industriali. Ma esercito e marina, nazionalisti, erano contrari e non mi sembrava facile che la loro opposizione potesse cessare o essere vinta.

424

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11303/1422 R. Londra, 16 novembre 1936, ore 18 (per. ore 2 del 17).

Durante i quindici giorni che oggi esattamente si compiono dallo storico discorso del Duce a Milano, ho segnalato quotidianamente tono progressivamente favorevole stampa britannica decisamente orientata, e malgrado tutto senza ambigue reticenze, ad un accordo con l'Italia. Informatori fiduciari da me stabiliti in ciascun giornale inglese riportano quotidianamente le direttive che gli uffici ministero degli Affari Esteri àànno ogni sera ai redattori diplomatici e l'indirizzo generale che Downing Street ha dato ai direttori giornali ufficiali. Direttive sono in tal senso continuate progressivamente a manifestarsi in favore intesa con l'Italia e preparano gradualmente opinione pubblica a considerare il riconoscimento formale del fatto compiuto conquista italiana dell'Etiopia come conseguenza naturafe di quest'intesa anglo-italiana che è da tutti riconosciuta come indispensabile per la pace europea e mondo.

Deciso orientamento del governo verso un accordo con l'Italia, mentre ha raccolto consenso unanime dei conservatori, non ha suscitato alcuna opposizione da parte laburismo e liberali. Gli stereotipi irosi fanatici antifascisti della Chiesa anglicana e della S.d.N. non hanno fatto [udire] questa volta la loro voce. Tanto alla Camera dei Comuni come ai Lords, ho potuto constatare personalmente una modifica sostanziale nell'atmosfera verso Italia. Discorso del Duce a Milano ha determinato una situazione politica assolutamente nuova che va maturando progressivamente. Nei miei contatti e discussioni quotidiane con questi uomini politici ho modo constatare sempre più effetto magico che le parole rivolte dal Duce agli inglesi hanno prodotto e come la spinta vigorosa impressa dal Duce col suo discorso di Milano domini tuttora e in modo decisivo situazione.

425

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11306/526 R. Berlino, 16 novembre 19.36, ore 21,22 (per. ore 24).

Ho trovato oggi von Neurath preoccupato della situazione spagnola e della lentezza dei suoi sviluppi. Attendere ancora, per riconoscimento governo di Franco, caduta Madrid presenta indubbi vantaggi. Fra l'altro, ponderazione e moderazione di cui Germania e Italia darebbero così prova si presterebbe ad esser diplomaticamente valorizzata, sopratutto a Londra, per indurre (una volta la supremazia di una delle due parti chiaramente affermatasi) anche gli altri governi a bruciare, nell'interesse della pace, le tappe e riconoscere essi pure il fatto compiuto e per tale modo scoraggiare inutili quanto dannose velleità di ulteriori resistenze rosse.

In questo momento, dall'altra parte, però, la situazione per Germania e Italia, sta diventando -specie di fronte alla crescente ingerenza sovietica così delicata che il procedere al riconoscimento subito, anche indipendentemente dalla presa di Madrid, potrebbe convenire per altri evidenti riguardi.

Nelle circostanze, von Neurath, d'accordo col Cancelliere del Reich, è venuto nella determinazione di tenere -nel pomeriggio di domani -consiglio con Blomberg, Raeder e Goering, onde approfondire situazione militare e trarne "lume per azione politica. Sarò informato immediatamente dei risultati del consiglio e a mia volta ne darò domani stesso notizia alla E. V. {1).

426

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE IN SPAGNA, ROATTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 484. [Salamanca], 16 novembre 1936 (2).

Dopo partenza Anfuso avvenuta stamane via Irun, capo questo Gabinetto diplomatico fornito lettera contenente brano seguente: «A conferma nostra ultima conversazione ed affinché V. S. ne faccia quell'uso che riterrà conveniente, mi è molto gradito parteciparLe intenzione che anima generale Franco di riconoscere Impero Etiopia non appena governo italiano converta stato diritto quella situazione di fatto che così cordialmente si è andata determinando da inizio guerra» (3).

427

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11334/0125 R. Vienna, 16 novembre 1936 (per. il 18).

Questo segretario di Stato agli Esteri, dr. Schmidt, mi ha parlato a lungo del suo imminente viaggio a Berlino, per dove partirà mercoledì 18 corr. nel pomeriggio (4). Il programma prevede, tra l'altro, un colloquio col Fuehrer e pranzi e ricevimenti presso von Neurath e Goering. Il governo germanico avrebbe offerto un carrozzone-salon dal confine a Berlino ma Schmidt avrebbe declinato l'offerta. Gradirà invece, tempo permettendo, un aeroplano germanico per il viaggio di ritorno, previsto per il 22. L'ambasciatore von Papen si reca con Schmidt a Berlino. Accompagnano Schmidt il ministro Wildner, capo dell'ufficio economico della Cancelleria e il. ministro Hoffinger, nuovo caposezione nella direzione politica di Hornbostel. Seguendo l'esempio della

D. -119). Per il seguito della questione si veda il D. 434.

conferenza viennese a tre e delle conversazioni di V. E. a Berlino, Schmidt ha proposto a von Neurath un programma particolareggiato degli argomenti da trattare e la redazione anticipata di uno schema di protocollo da firmare a conclusione delle conversazioni. Non ha sinora ricevuto risposta da Berlino.

Rispondendo a mia interrogazione, Schmidt mi ha detto che le conversazioni verterebbero principalmente sulla esecuzione dell'acco·rdo dell'H luglio. Egli si attende che a Berlino si insista per una sollecita e integrale soluzione del problema degli emigrati austriaci in Germania. Per le questioni economiche, che sono le più importanti e meglio atte a rendere manifesti alla popolazione austriaca i vantaggi dell'accordo austro-germanico, ci si limiterebbe a Berlino a concordare di riprendere al più presto le trattative tecniche. Le due delegazioni si riunirebbero questa volta a Vienna. Qualche lavoro preparatorio sarebbe stato fatto in occasione del recente viaggio di von Clodius a Vienna (mio telespresso n. 2030 del 2 corr.) (l). Schmidt non nasconde qualche imbarazzo per questo suo viaggio che è il primo, di un uomo di governo austriaco dopo la morte di Dollfuss. Qualche preoccupazione si nutre qui anche per il ricambio della visita di von Neurath a Vienna, che potrebbe dar adito a manifestazioni inopportune. Si cercherà di protrarre quanto più possibile tale restituzione di visita, che non avverrebbe prima del gennaio.

(l) -Con T. 11321/529 R. del 17 novembre, ore 21,48, Attollco telegrafava che il consiglio era avvenuto. Ma già nel pomeriggio del 16 novembre l'ambasciata di Germania a Roma era stata incaricata di informare Palazzo Chigi che era intenzione del governo tedesco procedereal più presto. se possibile anche il giorno successivo, al riconoscimento del governo di Franco. Si chiedeva, pertanto. se l'Italia intendeva agire nello stesso senso (si veda DDT, serie D. vol. III, (2) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. (3) -Questo documento ha il visto di Mussolin!. (4) -Schmidt si recò in visita a Berlino dal 19 al 24 novembre. In proposito vedi il D. 457.
428

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 11418/527 R. Berlino, 16 novembre 1936 (per. il 20).

Mio telegramma per corriere n. 522 (2).

Come già avevo fatto con Dieckhoff, ho informato -oggi -del colloquio di V. E. con Drummond in data 6 corr. (3) anche Neurath. Egli mi ha ringraziato, rilevando d'altra parte che i nuovi atteggiamenti inglesi nei nostri riguardi non gli erano, come era naturale, sfuggiti. Da essi egli desume che, delineatasi, dopo la visita dell'E.V. a Berlino, la possibilità di un fronte unico itala-tedesco, l'Inghilterra desideri manovrare in maniera da romperlo, forse anche agli effetti immediati delle imminenti iniziative inglesi in materia locarniana. Neurath osservava peraltro che, nel perseguire la politica inglese del «divide et impera» Eden non si mostra all'altezza tradizionale degli uomini di Stato inglesi. Egli ha fatto troppo capire che il suo gioco è quello di guadagnar tempo onde permettere all'Inghilterra di riarmarsi per poi imporsi così agli uni come agli altri, secondo che i suoi interessi le dettino. Neurath pensa pure -egli aveva fatto parte proprio oggi di questa sua convinzione allo stesso Fuehrer -che, in questo momento, l'Inghilterra si prepari a « concentrare la sua azione diplomatica sopratutto contro la Germania». Quanto a lui, vi era preparato, tanto più ignorando (e lo diceva quasi con soddisfazione) fino a qual punto lo stesso Ribbentrop sarebbe riuscito ad evitarlo ...

(l) -Non rinvenuto. (2) -Vedi D. 410. (3) -Vedi D. 364.
429

COLLOQUI DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL CANCELLIERE AUSTRIACO, SCHUSCHNIGG, IL SEGRETARIO AGLI ESTERI AUSTRIACO, SCHMIDT, IL REGGENTE D'UNGHERIA, HORTHY, IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO UNGHERESE, DARANYI, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI UNGHERESE, KANYA (l)

APPUNTO. Vienna-Budapest, 9-16 novembre 1936.

Tanto il cancelliere Schuschnigg quanto il segretario di Stato Schmidt, mi hanno subito chiesto informazioni particolareggiate circa il mio recente viaggio in Germania ed hanno tenuto a farsi rassicurare che gli accordi di Berchtesgaden non hanno in nulla modificato la nostra politica verso l'Austria. Ottenuta questa assicurazione e manifestatami la loro soddisfazione, hanno detto che le relazioni tra l'Austria e la Germania non hanno subito in quest'ultimo tempo alcun sostanziale cambiamento. Vi sono però da parte tedesca tentativi notevoli e ripetuti di insinuarsi sempre maggiormente nella vita nazionale austriaca; particolarmente da parte di Goering, il quale ha offerto di cedere gratuitamente all'Austria fino a 600 aeroplani e di ospitare -facendo pagare persino gli stipendi dalla Germania --gli ufficiali aviatori austriaci in campi tedeschi. Naturalmente tali offerte sono state respinte, pur riservandosi il Cancelliere Schuschnigg di accettare qualche fornitura di armi, evidentemente in proporzioni ridotte, che gli possa venire da parte tedesca.

Schuschnigg ha insistito molto (e forse a tal fine ha molto marcato le offerte di Goering) sulla ripresa da parte nostra delle forniture militarl. Gli ho dato assicurazioni in tal senso, tanto più che egli mi ha confermato il suo desiderio di firmare con noi l'accordo per la favorevole neutralità.

Lega delle Nazioni. Per quanto concerne la Lega delle Nazioni ho trovato in Schuschnigg molti dubbi circa la possibilità dell'uscita austriaca. Egli si rende conto come per l'Austria sia praticamente impossibile di continuare a fare parte di una Società delle Nazioni dalla quale sia uscita anche l'Italia, però ha voluto farmi presente i vantaggi che per noi potrebbero derivare dal fatto di conservare a Ginevra, attraverso il rappresentante austriaco, un osservatore fedele. Ad ogni modo siamo rimasti d'intesa che la questione verrà riesaminata allorquando l'Italia avrà deciso il suo eventuale abbandono della Lega.

Nel giro di orizzonte insieme compiuto della situazione europea non è emerso nessun elemento di particolare rilievo. Anche per quanto concerne la Spagna, il Cancelliere ha espresso la sua grave preoccupazione per la situazione ma, allorché gli ho parlato della intesa italo-tedesca di addivenire all'immediato riconoscimento del Governo franchista dopo, e se necessario anche prima dell'occupazione di Madrid, Schuschnigg, pur non dichiarandolo apertamente, mi ha lasciato comprendere che da parte austriaca non si intenderebbe procedere così rapidamente al riconoscimento del Governo di Burgos.

Cecoslovacchia. Tanto Schuschnigg quanto Schmidt hanno messo molto in evidenza la necessità per l'Austria di mantenere stretti rapporti economico-com

merciali con la Cecoslovacchia, ma hanno escluso essere nei loro intendimenti di addivenire ad un qualsiasi accordo politico con tale paese. Jugoslavia. I rapporti tra l'Austria e la Jugoslavia sono normali e questi ultimi mesi non hanno segnato alcun cambiamento né in un senso né nell'altro.

Armamenti. Il riarmo austriaco procede piuttosto lentamente. Ho trovato una certa preoccupazione determinata da ritardi nelle consegne di armi da parte nostra. Ho assicurato che, dopo la firma del Protocollo contenente l'impegno di reciproca benevola neutralità, non avrei mancato di richiamare l'attenzione del Duce sui desiderata austriaci. A questo proposito debbo aggiungere che al momento della firma dell'Accordo di cui sopra, tanto il Ministro degli Esteri ungherese quanto il Cancelliere d'Austria, hanno espresso il desiderio che in epoca prossima abbia luogo una riunione tra i Capi di Stati Maggiore dei tre Paesi per esaminare le eventualità pratiche che potrebbero verificarsi e concertare conseguenti accordi. Ho creduto di aderire in massima a tale desiderio.

Riunione a tre. Durante la riunione a tre, nessun elemento di particolare interesse è emerso. Da parte austriaca è stato ripetuto più o meno quanto sopra ho riassunto e da parte mia ho esposto le ultime vicende e sviluppi della politica estera italiana. L'accettazione e la firma del Protocollo nella forma e nel testo da noi proposti, sono avvenute senza incontrare troppe difficoltà, eccezione fatta per quanto concerneva l'impegno di eventuale abbandono della S.d.N., sul quale, particolarmente dagli austriaci, sono state fatte molte riserve.

Ho l'impressione, e Kanya la condivide, che i bastoni tra le ruote vengano sopratutto messi da Schmidt, il quale ogni giorno si rivela più trafficante, arrivista e vanesio. Egli, e l'ha lasciato comprendere, crede di .trovare una piattaforma alle sue ambizioni nella tribuna ginevrina. Sogna una glorio1a societaria alla Titulescu o alla Benès. Bisogna ammettere, benché anche questa volta io abbia trovato nel Cancelliere Schuschnigg le solide qualità di ingegno e di carattere, che l'influenza di Schmidt diviene preponderante e spesso ingombrante.

Colloqui a Budapest

Non mette conto di accennare se non di sfuggita ai colloqui che ho avuto con il reggente Horthy. Egli è ben poco al corrente della vita internazionale, mentre invece, secondo quanto dicono a Budapest, continua ad esercitare una influenza determinante e un controllo assiduo sulle questioni di politica interna. In breve, egli si è limitato a dirmi il suo compiacimento per l'avvenuta intesa itala-germanica e a riaffermarmi, sulla base di vecchie rievocazioni di carattere personale e di ricordi di carriera, la sua altissima considerazione per il popolo tedesco.

Nei colloqui con Daranyi e de Kanya sono stato in un primo tempo pre~ato di mettere al corrente i due uomini di Stato ungheresi circa resatto andamento delle maggiori questioni internazionali attualmente sul tappeto. Dopo di ciò Kanya mi ha parlato della posizione dell'Ungheria. In primo luogo, ha tenuto a spiegarmi perché egli aveva voluto attenuare il paragrafo dei Protocolli concernente l'eguaglianza di diritti. Mi ha detto che egli trova ben comoda la posizione attuale che gli permette di continuare a riarmare nella misura che crede, senza d'altra parte togliergli l'arma comoda, particolarmente ai fini di politica interna, di far ricadere sulla Piccola Intesa la colpa delle difficoltà che l'Ungheria possa trovare. Inoltre, egli teme che una esplicita decisione di riarmo venga a creare nuove e più dure situazioni nei confronti delle minoranze ungheresi.

Per quanto concerne i rapporti dell'Ungheria con gli Stati vicini, Kanya mi ha fatto le seguenti dichiarazioni:

Jugoslavia. I rapporti tra Budapest e Belgrado vanno in realtà migliorando ed egli ritiene che in ultima analisi sia possibile addivenire ad un'intesa, anche cordiale, tra i due Paesi. Comunque crede che bisogna procedere su questa strada con molta calma e con assoluta circospezione. Stojadinovic è un uomo di grande duttilità e di alta capacità il quale è riuscito, nel volgere di un tempo relativamente breve, a creare per la Jugoslavia un'ottima atmosfera internazionale. In realtà oggi Belgrado vive in rapporti di amicizia e di buon vicinato con i Paesi limitrofi, si è determinata una détente nei confronti di Budapest e di Roma, non vi è stato nessun allentamento nei legami con Parigi, esiste una stretta collaborazione con Berlino, e da Londra non mancano di aggiungere offerte cortesi per fare entrare la Jugoslavia nel gioco che la Gran Bretagna vuole svolgere nel settore balcanico e mediterraneo. Kanya è favorevole alla politica da noi iniziata di riavvicinamento con Belgrado, ma anche per essa consiglia di procedere con oculata vigilanza. Sarebbe indubbiamente vantaggioso anche per l'Ungheria se tra Belgrado e Roma si riuscisse a stabilire dei rapporti duraturi e ben definiti. Ma egli ritiene, fino a prova in contrario, che Stoyadinovic -· mentre è disposto ad arrivare ad una distensione marcata -non sia invece desideroso di assumere impegni precisi e formali, dato che intende continuare a «ballare su molte corde».

Romania. I rapporti con la Romania attraversano una fase di relativa tranquillità. Qualche sospetto ha fatto nascere il discorso di Milano, sospetto che, però, si è spento, allorché si è compreso che l'affermazione del Duce non comportava alcuna immediata e pratica azione.

Kanya si rende conto delle difficoltà che la revisione presenta nei confronti della Romania e pensa che per il momento sarebbe opportuno arrivare ad un modus vivendi con Bucarest. Considera ciò molto difficile, data la prevenzione e il nervosismo di alcuni circoli romeni, ma non dispera di riuscire.

Cecoslovacchia. I rapporti sono formalmente corretti, di fatto pessimi ed è intenzione del governo ungherese di dare apparente prova di buona volontà, ma di evitare contemporaneamente le relazioni tra Budapest e Praga. In sostanza la vecchia politica continua. Il dinamismo irredentista magiaro si deve orientare tutto verso la Cecoslovacchia la quale rappresenta il punto di minore resistenza. D'altra parte è da lì che le minaccie continuano a dirigersi verso l'Ungheria. Vi sono dei campi di aviazione cechi, -un giorno, forse, russi -dal quali si può arrivare su Budapest in meno di dieci minuti di volo.

A Kanya risulta che la situazione ceca è preoccupante. La pressione tedesca si fa quotidianamente più grave. Goering, con la sua irruente sincerità, ha detto che in meno di due o tre anni la Cecoslovacchia dovrà cessare di esistere. È evidente che in tali condizioni, l'Ungheria debba continuare a tenere al primo piano della sua politica le rivendicazioni territoriali verso i cechi.

Essendo pervenute a Kanya notizie di eventuali intese e negoziati in corso tra Roma e Praga, gli ho confermato quanto già avevo avuto occasione di fargli sapere e cioé che i nostri rapporti con la Cecoslovacchia continuano ad essere molto vaghi e che nessun riavvicinamento è in progetto e nemmeno nelle previsioni.

Russia e comunismo. Kanya ha ripetuto che il comunismo all'interno viene combattuto con mezzi estremamente energici e che l'Ungheria anche sul fronte internazionale, è sempre disposta a prendere posizione aperta, se necessario e nel limite delle sue possibilità, accanto agli Stati anti-comunisti.

Per quanto poi concerne la Russia, è evidente che il Governo magiaro non può guardare con simpatia verso tale Potenza. Comunque un regime comunista a Mosca, fino a quando non tenda ad allargare al di fuori dei confini nazionali la sua influenza ideologica e politica, è preferibile ad un regime zarista che diventi il centro collettore e attivatore di un panslavismo brutale e incoercibile.

Germania. Con la Germania i rapporti continuano ad essere estremamente cordiali e l'intesa tra Roma e Berlino è valsa a mettere l'Ungheria in una posizione di privilegio, molto più agevole di quanto non lo fosse nel passato.

Infine tanto de Kanya quanto Daranyi hanno espresso la loro riconoscenza per quanto il governo fascista ha fatto in ogni occasione per il popolo ungherese e mi hanno parlato della singolare eco che il discorso di Milano ha avuto in Ungheria.

Di ciò personalmente ho avuto occasione di rendermi conto durante la mia visita. Le accoglienze che ci sono state riservate dalla popolazione magiara, non solo da quella di Budapest, organizzata in associazioni e comunque dirette dal Governo, ma anche dalla popolazione rurale e da piccoli gruppi di persone, che nei viaggi abbiamo incontrato in zone disperse e lontane, hanno provato come il nome del Duce e quello dell'Italia siano cari e popolari nella nazione ungherese.

Con tale entusiasmo faceva invece contrasto il gelido atteggiamento della popolazione di Vienna. In nessuna occasione -e molte se ne sono presentate i cittadini viennesi hanno compiuto un gesto che fosse di amicizia e di simpatia verso l'Italia. Per le strade folti gruppi di popolo si radunavano durante le cerimonie ufficiali e assistevano con corretta compostezza, ma non un saluto, non un applauso, non un grido, ad eccezione di qualche saluto romano accompagnato da un « heil », che rivelava la schietta marca nazista. Nei teatri accoglienza altrettanto gelida e, particolare notevole, non sono mai stati suonati gli Inni nazionali italiani all'inizio o alla fine degli spettacoli: forse non si era neppure del tutto sicuri della reazione del pubblico. Per contro devo invece dire che Schuschnigg è stato, come al solito, leale, corretto e cordiale nei nostri confronti. Ma ho l'impressione -e tutti quelli che erano con me l'hanno avuta del pari -che la sua politica di amicizia nei confronti dell'Italia sia ben poco popolare.

La collettività italiana di Vienna è ottima. Costituisce un fiero centro di

orgoglio nazionale e fascista. Il merito di tale organizzazione è dovuto al came

rata Morreale al quale, allorché per le note ragioni dovrà lasciare Vienna, biso

gnerà dare una sistemazione che sia giusta ricompensa dell'ottimo lavoro com

piuto.

In condizioni di abbandono, e quindi di apatia e di freddezza, è la colletti

vità italiana di Budapest. Era triste notare come fosse più fervido l'entusiasmo

degli ungheresi di quello degli italiani. Ne è responsabile particolarmente il

Segretario del Fascio, Principe Pignatelli, che non porta all'organizzazione alcun

interesse. Ho dato disposizioni a Parini, che già ne conosceva la inefficienza, di .sostituirlo con altro elemento di maggiore capacità.

Gli ambienti diplomatici locali hanno seguito con il più vivo interesse l'andamento della Conferenza di Vienna, e le fasi della mia visita a Budapest. In genere ho trovato molta cortesia in tali circoli e specialmente marcata da parte dei Rappresentanti tedeschi. Tanto von Papen a Vienna che Mackensen a Budapest sono stati presenti anche a quei ricevimenti non riservati al corpo diplomatico. Hanno chiesto correttamente notizie circa l'andamento dei lavori, ma non hanno mostrato né irrequietezza né sospettosa curiosità. Particolare, invece, degno di rilievo: i due ministri britannici a Vienna ed a Budapest, sono stati i soli che, nelle ripetute occasioni offertesi, non si sono fatti a me presentare. La cosa non è sfuggita ed ha determinato qualche commento. Molto cordiali i rappresentanti diplomatici francesi (1).

(l) Ed. In L'Europa verso la catastrofe, pp. 104-111.

430

IL CONSOLE GENERALE A BARCELLONA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11330/665/368 R. Barcellona, 17 novembre 1936, ore 14,55 (per. ore 10,30 del 18).

Ad ogni buon fine informo V. E. che da fonte confidenziale mi viene riferito che la Generalità di Catalogna ha raggiunto accordo con organizzazioni comuniste ed anarchiche in base al quale, in caso di caduta di Madrid, si proclamerebbe in Barcellona la repubblica socialista sovietica catalana, aderente alla Terza Internazionale. Detto progetto sarebbe stato elaborato nei recenti lunghi colloqui dei dirigenti catalani con questo console generale russo, che avrebbe dato nuovi affidamenti circa invio partita di materiale da guerra del suo Paese alla futura repubblica sovietica catalana.

Dalle manovre dei politicanti locali risulta ad ogni modo che, mentre estremisti anarchici e comunisti mirano a sopra citata proclamazione repubblica sovietica od addirittura al comunismo libertario, altri elementi più moderati appartenenti sinistre repubblicane cercano premunirsi di fronte vittoria militari a Madrid domandando appoggio francese facendo risaltare a Parigi vantaggi per la Francia in eventualità proclamazione repubblica democratica catalana.

(l) Questo documento reca 11 visto d! Mussollnl.

431

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11328/675 R. Parigi, 17 novembre 1936, ore 21,35 (per. ore 3 del 18).

Parlando meco degli affari di Spagna, Léger espresse parere che cose da tre giorni procedessero in modo più soddisfacente, spiegando che con tale espressione intendeva dire che esse si avviavano ad una soluzione rapida nei riguardi di Madrid. Essenziale per la Francia è che la guerra civile in Spagna cessi presto mentre le è perfettamente uguale che vinca questo o quel partito. Purtroppo nutriva però gravi preoccupazioni per ulteriore svolgimento della campagna dato che resistenza della Catalogna sarà strenua.

Léger espresse poi avviso che atteggiamento del governo sovietico nei riguardi della Spagna sia più calmo e svolse tesi che l'U.R.S.S. avesse sperato di ottenere che si rinunziasse alla politica di neutralità contando in tal caso sopra un movimento estremista in Francia che obbligasse governo del Fronte Popolare a parteggiare apertamente per governativi spagnuoli e provocasse reazione immediata da parte dei governi fascista e nazional-socialista. Tali calcoli erano però stati sventati dall'atteggiamento tenuto da Italia e Germania che assai opportunamente avevano fatto conoscere nel comunicato di Berlino decisione di mantenersi fedeli alla politica di neutralità verso la Spagna, nonché alla dichiarazione categorica fatta dal governo francese a Mosca nello stesso senso, facendo comprendere al governo dei Sovieti che un diverso suo atteggiamento avrebbe potuto mettere in forse esistenza stessa del patto franco-sovietico il cui scopo principale è quello di assicurare pace Europa. Léger ritiene pertanto che U.R.S.S. senza rinunziare a mandare aiuti di materiale di guerra ai governativi spagnuoli non lo faccia nel grande stile che aveva pensato di adottare e si contenti di agire di nascosto analogamente a quanto fanno i governi che aiutano Franco. La Francia considera questo stato di cose come relativamente soddisfacente e conforme ai suoi propositi che consistono nel non essere in alcun caso mischiata ad un conflitto.

432

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11343-11331/185-183 R. Varsavia, 17 novembre 1936, ore 23,40 (per. ore 5,50 del 18).

Ieri Beck mi ha pregato di andarlo a trovare. Egli voleva mettermi al corrente dei risultati del suo viaggio in Inghilterra (1). Mi ha detto di aver telegrafato già direttamente da Londra all'ambasciatore di Polonia costà invi

tandolo a tenere informata V. E. degli scopi che realmente si proponeva di raggiungere (l). Poteva ora dire che i risultati corrispondevano perfettamente alle sue aspettative. Aveva trovato nel governo britannico piena comprensione delle esigenze della sicurezza polacca ed aveva potuto constatare una felice sostanziale evoluzione da parte inglese nel modo di considerare problema. Evidentemente lo stato di animo britannico era ben mutato dal 1925 ad oggi. Il comunicato ufficiale (2) sui risultati delle conversazioni pubblicato in Londra era significativo. Tale comunicato, mi ha detto Beck, deve essere considerato come punto di partenza e non come punto di arrivo: le conversazioni tra i due governi continueranno. Il governo polacco aveva intanto già una base solida per trattare con gli altri governi interessati. Anche in Italia, del resto, egli ha aggiunto, il problema era perfettamente compreso, come con compiacimento aveva potuto constatare Wysocki nelle sue conversazioni avute con V.E.

Beck ha tenuto poi a precisare, ed ha insistito perché lo telegrafassi a V. E., che egli a Londra si era preoccupato esclusivamente della sicurezza polacca, evitando ogni allusione ad altri Stati baltici orientali.

Passando ad altro, Beck mi ha detto che aveva profittato del suo viaggio per esporre «obiettivamente» a Eden la situazione di Danzica, meglio di quanto non avesse potuto farlo a Ginevra. Aveva avuto poi agio di trattare di questioni di minore importanza. Presso autorità britanniche egli avrebbe incontrato le migliori accoglienze, ciò di cui mi è sembrato molto compiaciuto.

Beck mi ha pregato di dire a V. E. che durante il suo soggiorno a Londra aveva avuto agio di constatare, sia presso Eden che presso altri membri del Gabinetto, a cominciare da Baldwin, un senso di certo sollievo per la diminuita tensione nei rapporti fra l'Italia e l'Inghilterra. Le conversazioni da lui avute in proposito lo hanno convinto che la necessità di arrivare ad una intesa con noi è oggi, a Londra, riconosciuta generalmente. Beck ha aggiunto che questo stato d'animo è certamente noto a V. E. ma che egli credeva ad ogni modo che potesse interessarLa di conoscere quanto abbia avuto agio di constatare direttamente.

(l) Vedi p. 352, nota 2.

433

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. PER CORRIERE 11419/528 R. Berlino, 17 novembre 1936 (per. il 20).

Mio telegramma per corriere n. 524 (3).

Ho parlato del convegno Eden-Beck con Neurath, ripetendogli l'argomentazione già svolta con Dieckhoff. Neurath mi è sembrato in materia un po' più responsivo di Dieckhoff. Anche egli assume, naturalmente, la necessità di una politica di amicizia con la Polonia ed è comunque lungi dall'attribuire al contegno di Beck a Londra soverchia importanza. Però egli si rende conto, forse

più francamente degli altri, del « doppio giuoco » polacco. Mentre Beck redigeva con Eden a Londra il noto comunicato (1), dall'altra parte faceva dichiarare dal proprio ambasciatore a Berlino -anche a nome del maresciallo Rydz Smigly che «il convegno di Londra non toccava in nulla le linee della politica di amicizia germano-polacca». Neurath mi ha detto di aver accolto questa dichiarazione da parte di Lipski senza risposta alcuna. Né egli aveva ancora ricevuto dal proprio ambasciatore a Varsavia qualche informazione supplementare. Si proponeva, anzi, di rinviare Moltke (ora qui) immediatamente a Varsavia, appunto per ottenere maggiori chiarimenti.

Gli umori nei riguardi della Polonia mi risultano però «in movimento», extra Auswartiges Amt forse un po' più che al suo interno. Ho avuto questa sera stessa una conversazione confidenziale con il generale Milch, il sottosegretario di Goering per l'aviazione. Egli lamentava il contegno polacco con ancora maggiore libertà di linguaggio e lo attribuiva a un effettivo mutamento nella situazione avvenuta con la morte di Pilsudski e la nomina di Rydz Smigly. Milch mi riferiva per esempio che il capo dell'aviazione polacca era passato proprio oggi da Berlino, diretto a Parigi, senza fermarsi. Ciò dimostra, egli mi diceva testualmente, una certa «cattiva coscienza». Una sua fermata -insisteva Milch -anche solo di qualche ora, sarebbe stata sufficiente a impedire ogni impressione sfavorevole. Questo linguaggio, da parte di Milch, è tanto più sintomatico in quanto la politica di amicizia con la Polonia fa qui capo proprio a Goering, di cui Milch è appunto uno degli alter ego.

Aggiungo infine che, avendo avuto occasione di parlare del convegno di Londra con lo stesso ambasciatore Lipski, questi mi ha dato la netta impressione di non avere, a giustificazione del contegno di Beck, alcun argomento serio.

I più benevoli trovano modo di giustificare il colonnello soltanto con la considerazione che, essendo il nuovo maresciallo Rydz Smigly un amico della Francia, Beck è costretto a barcamenarsi oggi assai più di prima e ciò anche per salvaguardare la sua posizione personale. Forse, dovendo -per ragioni superiori -accostarsi a Parigi egli aveva preferito -si dice -farlo attraverso Londra, anzichè direttamente. Persona, però, che conosce a fondo Beck aggiungeva che, in questo suo capitolo londinese, avevano certo avuto parte anche le debolezze « sociali » del protagonista.

(l) Vedi D. 421.

(2) Per il testo del comunicato vedi Documenti di politica internazionale, p. 598.

(3) Vedi D. 411.

434

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 17 novembre 1936.

L'ambasciatore di Germania d'ordine del suo governo è venuto ieri sera (2) a comunicarmi d'urgenza che la Germania dopo la dichiarazione del governo di Madrid di procedere per le navi tedesche e italiane al blocco dei porti occupati dalle forze nazionali, ritiene indispensabile di anticipare il riconoscimento

35 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

del governo di Franco (nelle forme concordate con noi senza attendere l'occupazione di Madrid. Hassell è stato incaricato di far conoscere a V. E. che la Germania farebbe il riconoscimento oggi stesso.

L'ho pregato di far presente a Berlino che in assenza di S. E. il ministro (l) non avrei potuto fargli avere una risposta prima di stamattina tardi. Hassell mi ha ripetuto che la cosa era urgentissima e che avrebbe dovuto rispondere a Berlino prima dell'ora di colazione.

(l) -Vedi p. 480, nota 2. (2) -Vedi p. 472, nota l.
435

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CAPO DEL GOVERNO DELLO STATO SPAGNOLO, FRANCO BAHAMONDE

T. 5052 R. Roma, 18 novembre 1936, ore 18.

Ho l'onore di partecipare all'E. V. (2) che il governo di S. M. il Re d'Italia Imperatore d'Etiopia ha deciso di procedere al riconoscimento del governo di

V. E. quale governo dello Stato spagnuolo.

436

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11462/038 R. Praga, 18 novembre 1936 (per. il 21).

Venerdì scorso e stamane ho avuto col presidente della Repubblica, a sua richiesta, due lunghe conversazioni. Benes prendendo lo spunto dal mio colloquio con questo ministro degli Affari Esteri (mio telegramma n. 120) (3) è tornato sul discorso di Milano e sullo scottante problema revisionistico che turba più che mai profondamente questi dirigenti. Ha poi cercato di scagionare Cecoslovacchia da ogni addebito di atteggiamento non amichevole verso l'Italia. Gli ho ripetuto quanto avevo detto a Krofta circa la riaffermazione di

S. E. il capo del governo in materia di revisionismo a favore dell'Ungheria e circa le correnti dell'opinione pubblica italiana nei riguardi della Cecoslovacchia. Ne è seguito un vivace dibattito che naturalmente non ha mutato le rispettive allegazioni e convinzioni.

Riassumo per quello che possono valere i punti conclusivi delle dichiarazioni di Benes:

n. -5050/223 R., ore 12,30).

Contemporaneamente, venivano date disposizioni all'incaricato d'affari ad Alicante, de Ciutiis, di trasferirsi a Salamanca con le stesse funzioni (T. 5049/291 R. delle ore 11,30) e all'ambasciatore Pedrazzi di chiudere la sede di Saint Jean de Luz e di rimpatriare con tutto il personale

(T. 5051/292 R. delle ore 18).

l) Cecoslovacchia non ha dimenticato e non dimentica quanto fu fatto dall'Italia in suo favore. Dal canto suo egli serba sempre vivo sentimento di gratitudine verso S. E. Mussolini per l'aiuto personale che volle accordargli.

2) Mettendo da parte ogni reciproca recriminazione relativa al passato (sic) l'atteggiamento della Cecoslovacchia durante l'impresa africana fu dettata non da avversione all'Italia ma da essenziali ragioni di vita della piccola Cecoslovacchia, la cui esistenza è in gran parte affidata all'organizzazione giuridica internazionale creata da quelle stesse Potenze che per contrasti fra di loro avevano poi trascinato tutti in un conflitto generale.

3) Egli si oppone decisamente a che la Russia venga ad ingerirsi negli affari dell'Europa Centrale e se ha chiesto aiuto ai sovieti, di cui peraltro non teme nessuna azione distruttrice, è perché non vede nessun altro che possa materialmente aiutare la Cecoslovacchia presa nella morsa mortale delle rivendicazìoni ungheresi da una parte e della sempre più grave minaccia germanica dall'altra, a non parlare dell'insanabile antagonismo polacco.

4) Il revisionismo totalitario enunciato dal Duce a favore dell'Ungheria, sollevando tutte le altre questioni minoritarie, significherebbe la fine della Cecoslovacchia, fine che l'Italia non può desiderare dovendo mirare all'Erzgebirge come a sua frontiera morale.

5) Guardando lontano, ritiene che politica italiana non può esaurirsi nella difesa dell'Ungheria, il cui revisionismo potrebbe un giorno diventare pericoloso anche per l'Italia, e nell'Asse Roma-Berlino, che al mutare di eventi potrebbe cedere se la Germania non avesse più bisogno dell'Italia per proseguire nel suo cammino di rivendicazioni e di espansione, ammesso pure che la questione austriaca debba ritenersi risolta. Egli chiede di sapere se nonostante tutto V. E. vede la possibilità di una collaborazione fra l'Italia e la Cecoslovacchia anzitutto ed eventualmente fra l'Italia e la Piccola Intesa in problemi di comune interesse.

Benes mi ha poi chiesto se doveva ritenersi esatto quanto si andava affermando e cioè che le profferte di accordo con Belgrado da parte dell'Italia comporterebbero nei riguardi della Jugoslavia l'esclusione del revisionismo che dovrebbe in conseguenza risolversi solo contro la Cecoslovacchia e la Romania. Ho risposto a Benes che nell'enunciazione revisionistica del Duce non vi era nulla di specifico che potesse indurre a concepire discriminazioni del genere; poiché però Benes insisteva affinché io potessi dargli una risposta autorizzata al riguardo, gli ho detto che ne avrei riferito a V. E. con preghiera di volermi mettere cortesemente in grado di rispondere (l).

(l) -Ciano era in viaggio di ritorno dalla sua visita a Budapest. (2) -Il capo di Gabinetto di Ciano, ministro De Peppo, aveva telegrafato poche ore prima al generale Franco per informarlo che In serata il suo governo sarebbe stato riconosciuto come unico governo dello Stato spagnolo e per suggerirgli che «nella risposta non fossero omessi i titoli di S. M. il Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia » (!! telegramma fu trasmesso via Tangeri con

(3) Vedi D. 392.

(l) Nelle carte della s&rie Affar! Polltici, v! è 11 seguente testo di telegramma per corriere indirizzato a Praga (privo di data), preparato dall'ufficio II della direzione generale degli affari d'Europa e del Mediterraneo ma che non risulta essere stato inviato: «Suo telegramma per corriere n. 038 del 18 novembre. Non escludiamo affatto in principio la possibilità di una collaborazione con la Cecoslovacchia sulla base e nell'ambito dei Protocolli di Roma. In tale campo nulla è mutato nell'atteggiamento e nel propositi da noi già espressi in altre occasioni, malgrado l'attitudine tenuta dalla Cecoslovacchia durante 11 conflitto italo-etlopico. Per quanto riguarda la questione del revisionismo ungherese, è notorio per varie e solenni dichiarazioni precedenti, il suo carattere pacifico. Gli stessi ungheresi, come risulta anche dal recente comunicato relativo a la visita del Reggente Horthy e diffuso a Budapest 11 21 corrente, prescindono da qualunque proposito di violenza e confermano d! voler promuovere una politica di pace basata sul riavvicinamento dei reciproci interessi. Sarebbe utile alla causa della pace europea che il governo di Praga favorisse tale disposizione ungherese con una politica di comprensione e di rlavvlclnamento, che l'Ital!a non potrebbe che vedere con piacere. Primo passo verso tale politica dovrebbe essere riconoscimento della parità di diritti a favore dell'Ungheria».

437

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, SUGIMURA (l)

APPUNTO R. Roma, 18 novembre 1936.

Ho ricevuto l'ambasciatore del Giappone il quale mi ha fatto le seguenti comunicazioni:

l) Il governo giapponese è venuto nella determinazione di trasformare la legazione in Addis Abeba in consolato generale, domandando l'exequatur al governo di Sua Maestà il Re d'Italia Imperatore di Etiopia.

Ciò è giudicato il riconoscimento dell'Impero, non facendo il governo giapponese alcuna sostanziale differenza tra un riconoscimento di fatto e un riconoscimento de jure.

L'ambasciatore, nel farmi la comunicazione, ha chiesto assicurazioni per gli interessi e il commercio giapponesi in Etiopia, assicurazioni che non ho mancato di fornire.

2) Il governo giapponese comunica che il governo di Hsing-King ha fatto conoscere il suo gradimento alla apertura di un consolato generale in Manciuria a Mukden. Come procedura l'ambasciatore giapponese consiglia di fare dirigere una nota da Auriti all'ambasciatore del Manciukuò in Tokio chiedendo l'exequatur per il nuovo consolato generale.

Il governo nipponico fa presente l'opportunità che i due gesti vengano mantenuti separati e non risultino quindi come un do ut des. Pertanto, domani

o dopodomani e cioè quando sarà venuta conferma da Tokio in seguito alle assicurazioni da me fornite a Sugimura, potremo dare alla stampa di Roma il comunicato relativo alla decisione giapponese per il riconoscimento dell'Impero Italiano. Due o tre giorni dopo potrebbe venir pubblicata la notizia dell'apertura del consolato in Mukden.

L'ambasciatore del Giappone ha tenuto inoltre a farmi sapere che il suo governo desidera addivenire ad una concretizzazione delle buone relazioni che si sono stabilite tra l'Italia e il suo Paese stringendo legami che uniscano le due Nazioni sia nel campo economico che in quello culturale, politico, militare, ecc.

Egli mi ha detto che ha già pronto un piano in tale senso, e che si riserva di parlarmene non appena avrà ricevuto alcune istruzioni di dettaglio dal suo governo. Per parte mia l'ho incoraggiato dicendo che dal governo italiano è altrettanto desiderata e auspicata una intesa col Giappone.

L'ambasciatore prima di congedarsi ha tenuto ad esprimere il compiacimento suo e del suo governo per la nostra politica diretta a combattere, attraverso la lotta condotta in Spagna, il pericolo bolscevico nel mondo (2).

(T. 5055/104 R. del 18 novembre, ore 24). La minuta del telegramma è autografa di Ciano.

(l) -Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 111-112. (2) -Il documento ha il visto di Mussolini. Lo stesso giorno, Ciano dava istruzioni ad Auriti di chiedere ufficialmente all'ambasciatore del Manciukuò a Tokio l'autorizzazione a creare un consolato generale a Mukden ed aggiungeva: «Faccia conoscere a governo nipponico nostro apprezzamento per quanto è avvenuto e faccia chiaramente comprendere che io considero ciò come l'inizio di una collaborazione che dovrà raggiungere risultati concreti in ogni settore »
438

IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 18 novembre 1936.

Ho fatto pervenire all'E. V. coi miei telegrammi alcune osservazioni di carattere generale sulla fisionomia della lotta anti-marxista· che si svolge in !spagna, sulla collaborazione dei nostri reparti alle operazioni che conducono le truppe nazionali ed ho riferito circa le conversazioni che ho avuto con il generale Franco. A complemento dei predetti telegrammi e di quanto ho avuto l'onore di esporre verbalmente all'E. V., aggiungo le seguenti note:

Generale Franco

È difficile poter giudicare Franco come capo di un movimento nazionale a carattere popolare, come il rappresentante, cioè, di una forza che conquista lo Stato per virtù del suo impeto rivoluzionario. Franco soltanto adesso comincia a rendersi conto che è il capo di un vasto movimento sociale e che la Spagna si aspetta da lui una rinnovazione. Finora è stato un generale, legato perciò ad un gruppo di generali e come tale obbligato per entrare in contatto con la Nazione ad uscire dai legami puramente militari. Essendo il più giovane, il più intelligente ed il più solido dei generali che si sono rivoltati .contro i marxisti, egli si è, istintivamente, orientato verso una educazione politica che somiglia al Fascismo. Dico somiglia perché la «Falange » alla quale Franco non lesina le sue simpatie è un vastissimo partito che è stato troppo presto provato dal fuoco per aver tempo di adattarsi in programma. Franco è una cera malleabile. È il solo dei Generali spagnoli al quale si possa francamente dire che ignora qualcosa. Agli altri è meglio non dirlo. Se si vuole che la Spagna moderna non si irrigidisca, dopo questo sforzo cruentissimo, in una forma di Stato feudale e clericaleggiante che finirebbe per aggiungere altro sangue al molto già versato, bisognerà opportunamente catechizzare il Generalissimo e indurlo a curare e a temprare la «Falange». Franco, è perciò, il solo fascista della Spagna. Il nazismo non ha presa su di lui perché Franco è galiziano, razionale, ama rendersi conto, vuoi vedere. Un certo gruppo della «Falange» conta di sbarrargli la strada mettendo fra di lui ed il popolo spagnolo il giovane De Rivera, se sarà possibile attenerne la liberazione. Mettere cioè il «politico » al posto del militare. Il maggiore ostacolo all'interno per Franco è però costituito dai

Requetès

I requetès sono gli aderenti al partito legittimista spagnolo, il cui capo, è morto recentemente a Vienna. Inquadrati in maniera organica, abbastanza numerosi, hanno dato buona prova al fuoco. Raccolgono tutti i relitti della Spagna classica, nobile, feudale. Mancando adesso di capo, finirebbero per accomodarsi con la branca dei Borboni che ha regnato per ultima. La loro attiva partecipazione alla lotta anti-marxista, la circostanza che alcuni dei generali più in vista (Mola, Orgaz) sono requetès, può creare gravi imbarazzi a Franco quando vorrà organizzare lo Stato. Franco ne diffida ma la Falange è ancora troppo inorganica per attirare i Requetès che sono fiori delle loro formazioni militari. Si aggiunga che la «Falange » è quella che ha maggiormente « limpiado » ripulito cioè, le città occupate fucilando il fucilabile. Un conflitto sarà inevitabile tra Falange e Requetès se Franco non esprime una dottrina sociale capace di assimilare questo mondo turbolento che ha radici in quanto c'è di più intimamente spagnolo.

La guerra anti-marxista

Il generale Roatta ha dettagliatamente riferito sui particolari e le vicende della lotta contro i marxisti asserragliati a Madrid. Le truppe di assalto, quelle che hanno sviluppato l'assalto in tutte le città conquistate dai nazionali sono le marocchine. Mi è stato riferito che Franco per sollevare il morale di questi eccellenti nuclei musulmani ha fatto condurre dal Marocco a Siviglia, in aeroplano, dei gruppi di notabili a pregare nella famosa Giralda, il tempio islamico che i Re cattolici avevano consacrato al culto di Cristo. Questo particolare dimostra l'altissimo conto in cui lo Stato Maggiore spagnolo tiene le truppe moresche. Sobrie e valorose esse hanno, peraltro, sistematicamente saccheggiato le abitazioni lasciate dai rossi in fuga. Paghe del saccheggio, hanno ripreso il balzo in avanti quando è stato richiesto dal Comando, con la disciplina dei soldati di mestiere. Si potrà osservare, più tardi, come sia stato deprecabile abbandonare al saccheggio dei mori le città della Spagna cattolicissima e con tanta lotta redente dal giogo saraceno. Ma, adesso, il contributo dei Mori appare indispensabile. Anche le esitazioni dello Stato Maggiore nazionale ad impiegare i marocchini nell'assedio di Madrid, sono state vinte dalla necessità di opporre truppe resistenti e provate ai rossi che si difendono con un certo accanimento nei quartieri periferici madrileni. Accanto ai marocchini ottima prova hanno dato i legionari della Legione Straniera (Tercio) in effetti per quasi il 70% cosittuita da spagnoli. Requetès, falangisti ed anche gruppi dei due partiti di destra (Azione Popolare e Azione Cattolica) hanno partecipato alle azioni, i primi, in buon numero, come ho detto, gli altri adeguatamente allo spirito ed alla qualità delle rispettive organizzazioni.

Italiani e tedeschi.

Italiani e ~edeschi hanno, infine, fornito l'assistenza più valida, quella della tecnica della guerra moderna, la «specialità». Gli italiani l'hanno fatto con la loro caratteristica spontaneità ed hanno veramente combattuto, (25% di perdite nei nostri reparti), i tedeschi si sono mostrati più guardinghi nel concede il loro sangue. Così mentre i carri di assalto tedeschi sono stati consegnati dal personale tedesco allo spagnolo e da questo adoperati, gli italiani hanno preferito combattere .con il loro materiale e sono stati, e sono ancora, in primissima linea a precedere l'assalto della fanteria spagnola. I reparti di carri armati italiani hanno, moltissime volte, deciso l'esito di duri scontri fra rossi e nazionali, tanto che è nato il vezzo della fanteria nazionale di non muovere all'attacco senza l'assistenza dei carri italiani. Ho visto, a Villaviciosa, un reparto italiano di artiglieria anticarro tenere il fronte, da solo, quando tutte le artiglierie spagnole si erano allontanate, nell'imminenza della notte. Otto soldati e un sergente. Da soli assicuravano la difesa di un vasto settore di fronte a Madrid. E quando al sergente e stato chiesto dove fossero i collegamenti, egli ha risposto: ci siamo noi. Gli spagnoli sono andati a dormire.

Aviazione ·

I fatti dell'aviazione italiana in Spagna sono più noti. I nostri Caproni da bombardamento, i Fiat ed i Romeo da caccia hanno, letteralmente, nettato il cielo di Madrid dell'aviazione sovietica. All'E. V. sono noti i dati circa gli apparecchi rossi abbattuti. Anche in questo campo, i tedeschi hanno preferito, impiegando dell'ottimo materiale, di fare degli utilissimi esperimenti, in vista del futuro, sul materiale sovietico. A parte alcuni aeroplani sovietici da bombardamento, di recente arrivo, il materiale bolscevico non sembra avere le· perfezioni vantate dalla propaganda rossa. Lo stesso si può dire dei carri d'assalto sovietici giunti in gran copia in Spagna ma altrettanto resi inservibili dalle artiglierie italiane e tedesche.

Dal genere di lotta anzidetto appare chiaro che il fenomeno della guerra civile spagnola è puramente contingente. I comandi dei reparti spagnoli di Madrid -mi diceva Franco -sono tutti sovietici.

I nervi dell'esercito di Franco sono invece italiani e tedeschi. L'esercito nazionale spagnolo è retto da queste sicure fasce metalliche offerte dalle due grandi nazioni a regime autoritario. È perciò indispensabile piegare l'audacia bolscevica che si è infiltrata nel Mediterraneo, in maniera definitiva e senza possibilità di ritorni. Franco mi ha detto che non teme i catalani, cattivi combattenti, ma paventa l'aiuto militare sovietico. Il dramma spagnolo, come si vede, diventa un episodio trascurabile di fronte alla lotta militare italo-tedesca e marxista sul territorio spagnolo. Pare, talvolta, che il popolo spagnolo per cui combattono tedeschi, italiani, arabi, russi e francesi sia estraneo alla terribile vicenda che si svolge sulla sua terra. Si aggiunge a questa impressione il suo naturale svogliato (l) e la sua coscienza precisa di dover domandare all'aiuto degli stranieri la soluzione di una contesa che è più drammatica in quanto i migliori combattenti, gli stranieri, sorto anonimi e le loro gesta devono rimanere ignote.

Da quanto mi ha detto Franco e, dalle mie visite sul fronte, l'esito della lotta non può che essere vittorioso per i nazionali. Occorrerà, però, fermare in tempo, il processo di invasione sovietica nella Spagna rossa e ricreare nella Spagna nazionalista un movimento popolare che vivifichi il Paese e conferisca a Franco il prestigio del Capo che governa per forza di consensi.

(l) (Sic!).

439

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2276/1082. Ankara, 18 novembre 1936 (per. il 25).

Prima di partire in congedo ho fatto visita ad Aras. Questi mi ha pregato di recare i suoi omaggi a S. E. il capo del governo ed a V. E. che sperava vivamente un giorno incontrare e conoscere. Ha ripetuto quanto già mi aveva detto Numan (mio telecorriere n. 021 del 14 corr.) (1), cioè che i colloqui avuti da Hussein Raghib Baydur con l'E. V. gli avevano recato grande soddisfazione, sicché egli ne aveva dato conoscenza ad Consiglio dei ministri dove aveva fatto notare che la attuale situazione italo-turca era delle migliori desiderabili. Tale circostanza anche Atatiirk nel suo discorso alla Assemblea Nazionale del 1° novembre aveva fatto chiaramente capire (mio telegramma n. 310 del 2 corr.) (2). Aras si attendeva adesso una utile conclusione del trattato di commercio, a suggello delle buone relazioni e della sincera atmosfera di comprensione che si era ristabilita fra i due Paesi. Dopo di che si passerebbe a nuovi sviluppi. Mi ha formalmente dichiarato che d'accordo con Ismet ed il ministro della Difesa Nazionale (Kazim ozalp) si era deciso di addivenire a forniture militari in Italia (avevo consegnato alcuni giorni prima ad Aras tutte le indicazioni sul materiale bellico che la nostra industria potrebbe fornire alla Turchia). Presa cosi la decisione politica, si attendeva soltanto il ritorno del maresciallo Fevsi Pascià da Bucarest, affinché egli indicasse quale materiale, o quale altro fosse più necessario all'esercito turco.

Aras è poi passato ad esaminare la situazione della Turchia nel momento presente e nei rapporti internazionali. La esposizione non è stata scevra delle solite digressioni espresse col consueto profluvio di parole. Basti dire che è durata circa un'ora. Ma ad estrarre una linea e fissarne qualche punto, ciò può farsi nel seguente modo.

a) egli è persuaso che la politica dei patti sta per finire. Ha ora spavento di nuovi patti che non fanno che complicare la situazione internazionale che abbisogna invece di chiarimento e di alleggerimento. (Tale pensiero egli mi aveva espresso anche dopo il discorso milanese Duce. Telegramma n. 312) (3);

b) si compiace vivamente del rapido progredire del riavvicinamento italainglese. Il fissarlo con un gentlemen's agreement è idea da grande uomo di Stato, e se egli fosse il capo di una grande Potenza come l'Italia non si sarebbe espresso diversamente. Un gentlemen's agreement assicurerà la pace mediterranea, dopo di

che non sarà assolutamente necessario parlare più di Patto Mediterraneo. La Turchia non ne abbisognerà più. L'accordo delle due grandi Potenze mediterranee garantisce completamente la Turchia che ha con l'Italia un patto di amicizia in piena efficienza (l), ed è in pari tempo legata di fatto all'Inghilterra da sicuri rapporti amichevoli;

c) la ammirazione per S. E. il capo del governo è assoluta ed incondizionata. Ammira la assenza di piani teorici nei quali poi la realtà è difficilmente contenuta, mentre invece la agile soluzione trovata dalla politica italiana in ognuno dei settori che la interessano è il risultato più sostanziale e durevole che costituisce immenso successo per S. E. Mussolini;

d) a questa agilità di procedimenti Aras ha contrapposto la politica rigidamente teorica della Francia che basata su concezioni aprioristiche vede ogni giorno la realtà urtarsi contro i suoi piani. La Piccola Intesa sta evolvendosi e orientandosi verso altri centri che imprimono impulso alla politica europea. È illusione credere che la Piccola Intesa possa ancora servire alla Francia, la quale paga i frutti della sua politica teorica e concettuale anche in Siria;

e) L'intesa itala-germanica costituisce un asse sicuro e stabile così come sono sicure e stabili la Piccola Intesa e la Intesa Balcanica. Altre combinazioni ed aggruppamenti politici che diano affidamento oggi non vi sono;

f) egli segue con vera gioia il riavvicinamento itala-jugoslavo. Quando il risultato sarà del tutto raggiunto, un nuovo più saldo legame di pace unirà l'Italia alla Turchia. E crede, come egli ha sempre auspicato, anzi come ha sempre cercato di consigliare, al riavvicinamento ungaro jugoslavo, naturale complemento del primo;

g) risultato di tutto questo dovrebbero essere rapporti sempre migliori con l'Italia. Già la Turchia non si sarebbe mai prestata ad essere strumento di lotta in mani altrui, né lo sarà mai. Così come le armi turche non potranno mai andare, né contro la Germania, né contro l'Ungheria per motivi diversi, ma durevolmente radicati nella volontà politica della Turchia. Ed ha ripetuto per la ennesima volta che soltanto la alleanza con i Soviet impedisce un accordo politico con la Germania, mentre è lieto di constatare che i Soviet non avendo un fronte mediterraneo, un vero e proprio conflitto fra Italia e Soviet non può sussistere. Ciò che può permettere alla Turchia di mantenere tutte le sue amicizie;

h) del resto in sostanza la politica turca non aspira che al mantenimento della pace e con tutte le sue forze.

Ho ascoltato attentamente e pazientemente Aras durante tutta la sua disquisizione. Al termine della quale gli ho detto (e non senza lieve ironia) che ero estremamente lieto constatare così decisa evoluzione del suo pensiero. La politica turca veniva in tal modo a coincidere in parecchi campi con quella fascista. Ne deriverebbe certamente una possibile maggiore reciproca comprensione.

La dichiarazione di Aras, fatta la debita parte alla sua consueta doppiezza, alla convenienza di adattare costantemente la espressione del suo pensiero all'interlocutore, e dato il debito valore a talune delle sue affermazioni (p. es.: mai strumento militare anti italiano) corrispondono però in genere all'attuale momento della politica turca che porta ogni attenzione sul fissarsi di una nuova posizione europea determinata dall'ascendere della forza italiana. È a questa nuova situazione che la Turchia cerca adattarsi. Ma è sopratutto il rapido concludersi del riavvicinamento con l'Inghilterra che colpisce e forza il nuovo atteggiamento turco. Volere o no, malgrado la guerra nella quale l'Inghilterra le fu nemica, malgrado lo sforzo fatto dagli inglesi per distruggere la esistenza stessa della nazione turca, Londra ha conservato intatto un grande prestigio che ha affascinato i turchi. Ora il vedere che dopo il non dubbio abbassamento del prestigio inglese costretto a vedere il pieno trionfo italiano in Abissinia e malgrado lo spiegamento di tutte le sue forze navali e la riuscita coalizione mondiale antitaliana, l'Inghilterra corre sollecita verso l'accordo con l'Italia (la stampa turca aveva detto che le parole minacciose del Duce avevano scavato nuovo abisso fra italiani e inglesi) determina una seria ed accorta evoluzione che si orienta sulla nuova posizione mondiale dell'Italia, e tiene ogni conto dell'Asse Roma Berlino.

La Turchia ha creduto alla continuità del conflitto itala-britannico e ha speculato sul dissidio franco-italiano. Così pure la Turchia ha creduto alla continuità del conflitto itala-jugoslavo e vi ha costruito, anche per difendersi dal temuto riavvicinamento bulgaro-jugoslavo -si parla nella stampa il meno possibile delle recenti dichiarazioni di Kiosseivanov così significative per i rapporti Sofia-Belgrado (l) -la Intera Balcanica, strumento in primo luogo anti italiano. Col verificarsi di un inatteso, ritenuto fino ad ieri impossibile (2) viene a mancare alla politica turca quella costruzione difensiva che essa aveva creduta sicura e durevole. Perciò si fa buon viso a cattivo giuoco e si accoglie con apparente compiacimento quello che la forza degli eventi stabilisce contro ogni sua volontà, e contro ogni sua sperata previsione.

Poste queste ragioni generali le dichiarazioni di Aras sono politicamente sincere, e precisano che in Turchia si considera con ogni attenta attenzione il nuovo momento europeo, nel quale appare in piena luce la nuova forza italiana.

La attitudine della stampa corrisponde genericamente a questa evoluzione e vi si possono anche trovare le traccie di alcuni dei pensieri espressimi da Aras. Già con mio telespresso n. 2233/1051 dell'H corr. (3) indicai a V. E. quanto era stato significativo, in tal senso, lo scrivere dei giornali turchi. Anche nella settimana che si chiude con oggi, se pur di tratto in tratto affiora quel veleno e quella astiosità dalla quale la stampa turca non può d'un tratto e totalmente guarirsi, i giornali turchi come V. E. rileverà da contemporaneo telespresso hanno continuato nell'atteggiamento sereno della settimana precedente.

(l) -T. per corriere 11567/021 R. del 14 novembre. L'ambasciatore Gall! riferiva che il segretario generale del ministero degli Esteri turco, Numan, gli aveva domandato quandol'Italia avrebbe aderito alla Convenzione di Montreux, argomento sul quale -affermava Numan -l'ambasciatore di Turchia a Roma, Baydur, aveva già intrattenuto Ciano, il quale aveva lasciato sperare in una soluzione positiva della questione. Numan aveva anche rilevato che di recente Ciano aveva ricevuto due volte l'ambasciatore Baydur, sottolineando che ad Ankara «si era assai soddisfatti per il tenore ed il calore dei colloqui ». Su questi colloqui non vi è documentazione nell'archivio italiano. (2) -T. 10820/310 R. del 2 novembre, ore 15,22: riassumeva il discorso pronunciato all'Assemblea Nazionale da Atattirk, il quale aveva accennato indirettamente all'Italia parlandodelle buone relazioni esistenti ora con gli altri Stati mediterranei. (3) -Vedi D. 338.

(l) Vedi p. 322, nota 2.

(l) -Il 9 novembre, il ministro degli esteri bulgaro, Kiosseivanov, aveva dichiarato in una intervista all'Agenzia Avala che il riavvicinamento in atto tra Bulgaria e Jugoslavia aveva le sue radici nella fratellanza di sangue, di lingua e di costumi del due popoli e che quindiquella politica doveva essere proseguita da chiunque fosse stato al governo. (2) -Slc. (3) -Non pubblicato.
440

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. S.N. Berlino, 18 novembre 1936.

Secondo informazioni riservate, che non ho modo di controllare ma che tuttavia sembrano plausibili, il signor Ribbentrop avrebbe recentemente rivolto un rapporto riservato al Fuhrer (rapporto che non sarebbe arrivato neanche a von Neurath) per riferirgli che nei circoli governativi inglesi l'avvicinamento itala-tedesco sarebbe visto con grande preoccupazione e costituirebbe, in pratica, un grave ostacolo ad un riavvicinamento fra Inghilterra e Germania. Secondo il mio informatore, il signor Ribbentrop trarrebbe argomento da questa premessa per raccomandare al Fuhrer una maggiore considerazione del fattore inglese occorrendo magari a scapito di quello italiano. Alla tendenza Ribbentrop si associerebbero anche alcuni elementi della Cancelleria del Fuhrer (1).

441

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5592/1175. Bruxelles, 18 novembre 1936 (per. il 23).

Il conte Lippens, ministro di Stato ed ex presidente del Senato, appartenente al partito liberale e buon amico dell'Italia, mi ha qualche giorno fa intrattenuto sul problema militare del Belgio, insistendo specialmente sul punto che gli accordi militari franco-belgi del 1920 (2) non sono mai stati applicati dal governo di Parigi.

Secondo lo stesso Lippens, sarebbe rimasto allora bene inteso che mentre il Belgio avrebbe dovuto provvedere alla difesa della sua frontiera orientale, la Francia, oltre ad assicurare l'invio di truppe francesi in Belgio in caso di aggressione, avrebbe dovuto prolungare -e ciò era il punto più importante -la Linea Maginot sino al mare del Nord, ossia lungo tutta la frontiera francobelga. Il che avrebbe prodotto la seguente conseguenza: che il Reich avrebbe certamente rinunziato ad ogni eventuale progetto d'invasione del Belgio e ciò per evitare il superamento di un doppio ordine di fortificazioni, dapprima quelle belghe alla frontiera belga-germanica e dappoi quelle francesi alla frontiera belga-francese. Senonché, il governo di Parigi non aveva mantenuto fede ai propri impegni, giacchè esso, «più che d'integrità belga, si mostra sempre desideroso di conservare il Belgio quale campo di battaglia di un eventuale nuovo conflitto franco-germanico ».

Il Lippens ha aggiunto che sin dal 1930, nella sua qualità di ministro, aveva attirato l'attenzione del governo su tale grave circostanza e sulla necessità di

richiamare la Francia ai suoi impegni che però i suoi passi erano rimasti vani e che era stato necessario giungere alla recente, nota dichiarazione di Re Leopoldo perché la Francia cominciasse a provvedere in qualche modo alla difesa della propria frontiera settentrionale. Tutto ciò costituiva anche una prova -ha aggiunto il Lippens -dell'errore commesso dai suoi amici liberali di parte vallone, come il signor Devèze ed il signor Hymans, di troppo fidare nella Francia per la difesa del Paese: un errore altrettanto grave che quello dei socialisti e dei democristiani, che continuano a sperare nella S.d.N .. Il Belgio invece -ha concluso il mio interlocutore -deve ormai contare esclusivamente sulle proprie forze e far sì che queste divengano effettivamente tali da permettergli la difesa della propria integrità territoriale per un periodo di 15 giorni, cioè sino al giorno in cui è prevedibile l'arrivo delle truppe delle grandi Potenze interessate alla sua indipendenza: Inghilterra e Francia in caso d'invasione tedesca; Inghilterra e Germania in caso d'invasione francese.

Ed effettivamente può dirsi che la questione militare sia venuta ormai al primo piano. Lo prova il recente discorso del Sovrano, destinato sovratutto a persuadere l'ostico elemento fiammingo, mercé l'annunzio della desiderata politica estera d'indipendenza, ad una adeguata politica militare; e lo prova il progetto di legge per il prolungamento della ferma, testè presentato al Parlamento.

Questo progetto contiene tre punti essenziali: a) il prolungamento della ferma fino a 18 mesi per la fanteria (eccetto talune specialità) ed a 12 mesi per tutto il rimanente del contingente annuo. Attualmente la ferma va da un minimo di otto ad un massimo di 14 mesi; b) l'estensione del volontariato dì tre anni, ora limitato a talune truppe destinate alla prima copertura; c) la votazione di fondi straordinari (pare un miliardo di franchi) per completare l'armamento, le fortificazioni e l'aviazione.

Ora, mentre il complesso del progetto è stato accolto favorevolmente dalla Camera dei Deputati, il punto concernente il prolungamento della ferma a 18 mesi per una parte del contingente (esattamente 18.600 uomini) è sempre più profondamente osteggiato. In conseguenza, tale punto è stato stralciato dal progetto complessivo per essere discusso a parte. Intanto, agli uffici della Camera, esso è stato respinto ed a moltissimi voti. Risultano ormai ostili al prolungamento della ferma fino a 18 mesi: l) il partito socialista; esso, però, per il fatto che partecipa largamente all'attuale governo, non può opporsi ufficialmente al progetto e quindi è ricorso al sotterfugio di lasciar liberi i propri membri di votare come meglio ritengano; 2) buona parte del partito cattolico e di questo specialmente le frazioni fiamminghe e quelle di sinistra; 3) talune frazioni del partito liberale essenzialmente quelle fiamminghe. Nelle popolazioni l'idea del prolungamento della ferma è poi accolta sfavorevolmente: fra i fiamminghi tale disfavore è più accentuato perché i 18 mesi graverebbero in maggior misura sulle famiglie numerose, che in Fiandra sono prevalenti. Da parte sua, il governo insiste sull'adozione del progetto integrale e pare intenzionato a porre su di esso la questione di fiducia.

Per ora nessuna decisione definitiva è stata adottata: il problema è allo studio presso la Commissione parlamentare per la difesa, che cerca una nuova soluzione capace di conciliare le diverse tendenze. Anche i partiti discutono nel loro seno il complesso problema, il quale può finire coll'uscire dall'ambito strettamente militare per divenire un motivo di attacco contro il governo, e provocare la caduta di esso. Ma questa crisi, che pur produrrebbe un serio rivolgimento nell'attuale situazione politica del Paese avrebbe ripercussioni anche più gravi nel campo della nuova politica estera enunciata dal Sovrano. Difatti, il discorso reale ha sottolineato che il Belgio deve compiere ogni sforzo militare per poter praticare nell'avvenire, mercè adeguati apprestamenti contro ogni attacco esterno, una politica di indipendenza basata essenzialmente sulla rinunzia d'ogni impegno di natura generale od indeterminata, compresi quelli dipendenti da teorie o tesi generiche, quali la sicurezza collettiva. In tale situazione, il rigetto dei progetti militari rischierebbe di far rivivere la teoria della mutua assistenza, sulla base che la debolezza militare del Paese dev'essere integrata dal giuoco degli accordi internazionali e da una stretta fedeltà ai principi della sicurezza collettiva. D'onde, la particolare importanza dei progetti militari in questione ed il grande interesse che essi suscitano in queste sfere politiche e diplomatiche.

(l) -Questo documento ha il visto di Mussol!ni. (2) -Vedi p. 254, nota l.
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L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2685/647. Bucarest, 18 novembre 1936 (per. il 22).

Trasmetto il seguente notiziario di politica estera redatto a cura dell'incaricato dell'ufficio stampa di questa R. Legazione, signor G. Costa.

Sul discorso del Duce.

La già segnalata reazione qui suscitata dalla parte del discorso del Duce riguardante l'Ungheria è continuata per tutta la settimana, arricchendosi di nuove manifestazioni a cui hanno tenuto a partecipare anche gli ambienti ufficiali. La più importante di queste manifestazioni è indubbiamente quella del 12 novembre, svoltasi nella città di confine di Oradea Mare e durante la quale, alla presenza di alcune diecine di migliaia di contadini appositamente concentrati, hanno preso la parola vari ministri rappresentanti la Bessarabia, la Bucovina e la Transilvania, come pure il capo del partito liberale Dinu Bratianu. Questo ha sostenuto che nella composizione della popolazione rurale lungo il confine occidentale l'elemento magiaro entra soltanto con il 18 % di fronte al 60 % dell'elemento romeno, e che lo stesso elemento magiaro rappresenta soltanto il 19% e 1'11 %, rispettivamente della popolazione totale e di quella rurale della Transilvania. Secondo l'oratore, «sarebbe desiderabile che gl\. uomini politici che gettano siffatte bombe (revisione territoriale in favore dell'Ungheria) con cui perturbano l'Europa si documentassero prima sul vero stato di cose~. Ha aggiunto Bratianu che se mai venissero poste sul tappeto rivendicazioni territoriali, « il popolo romeno, il cui valore militare è noto, saprà difendere il proprio patrimonio nazionale e non permetterà a nessuno di discutere sull'unità della sua nazione~. Detto anche che «noi non tendiamo il ramo d'ulivo da una selva di baionette ma con una mano non minacciosa di concordia e collaborazione, Bratianu ha insistito sulla necessità di affrettare il riarmo militare e di conseguire la solidarietà dell'intero popolo. (Queste concezioni Bratianu le ha ripetute nelle dichiarazioni fatte due giorni appresso alla maggioranza parlamentare, nonché in una lunga intervista concessa a L'Intransigeant).

I leit-motiv del discorso di Bratianu sono stati ripresi e sviluppati dagli altri oratori di Oradea Mare. Stupore e rammarico per l'atteggiamento filoungherese della « grande nazione sorella » ha espresso tra l'altro il vice presidente del Consiglio, Inculetz, che ha aggiunto « siamo venuti qui per affermare l'eternità dei nostri confini, eterni al pari del diritto e della giustizia ».

Opposizione a ogni idea revisionistica si è avuto anche in Parlamento. Il Senato ha acclamato a suo presidente il ministro di Stato Lapedatu, che rappresenta la Transilvania nel partito liberale, e Re Carol ha tenuto a dire nel discorso inaugurale della sessione parlamentare che «la politica estera della Romania continua a perseguire senza titubanza e con assoluta calma lo scopo supremo di assicurare la pace e l'integrità dei confini del Paese, tracciati per la eternità».

Continua d'altra parte la mobilitazione di sodalizi di ogni genere tendente a dimostrare che l'intera popolazione è ostile all'idea revisionistica. E si votano a getto continuo ordini del giorno «di risposta alla campagna revisionista >> affermanti tutti gli « imprescrittibili ~ diritti su tutti i territori facenti parte del Regno di Romania. Un'associazione di ingegneri ha acclamato una mozione con cui tutti i suoi membri dichiarano di considerarsi «mobilitati permanentemente» ed invitano il governo a risolvere il problema delle fortificazioni del Paese. Si susseguono d'altra parte, specialmente lungo il confine con l'Ungheria, riunioni popolari nei diversi comuni organizzate dalla «Lega antirevisionista », ed altre consimili vengono annunziate dai singoli partiti politici che sembra vogliano fare a gara per attestare il loro patriottismo. Nelle concioni tenute dagli oratori della predetta Lega domenica scorsa in 15 località di frontiera non sono mancati spunti bellicosi, come per esempio: «E quando non potremo sopportare più oltre agli intrighi dell'Ungheria dovremo marciare su Budapest. Ma non per abbandonarla dopo, come abbiamo fatto nel 1919, ma per installarvici definitivamente. Il nostro motto deve essere ora «a Budapest! ». E gridiamolo da questo confine perché lo sentano i magnati di Budapest! ~.

Per quanto riguarda l'atteggiamento della stampa poco c'è da aggiungere a quanto precedentemente segnalato. Alla persistente tendenza del settore demomassonico di presentare l'Italia e il Duce come « nemici ~ dichiarati della Romania, cerca di controbilanciare il settore di destra che nel continuare ad esprimere vivo rincrescimento per la presa di posizione dell'Italia in favore delle rivendicazioni ungheresi, insiste nell'attribuire tale contegno al malcontento che la politica estera della Romania avrebbe determinato nelle sfere dirigenti

di Roma.

Polemizzando con un gruppo di intellettuali iscrittisi per partecipare a un'escursione in Italia, e che «in segno di protesta per il discorso di Milano ~ hanno manifestato l'intenzione di rinunziare al viaggio, il direttore della Porunca Vremei sostiene essere ora più che mai necessario che «i romeni si facciano conoscere dagli italiani nella vera loro luce e non sotto quella della propaganda magiara ~.

Sempre in tema di revisionismo va segnalato l'effetto qui prodotto dall'articolo «i popoli oppressi e la revisione~ apparso sul Voelkischer Beobachter a firma di Alfredo Rosenberg (1).

I giornali di destra, accusati come noto dagli avversari di essere filo-revisionisti in quanto simpatizzanti per il fascismo e il nazismo, si sono affrettati ad interpretare l'articolo in parola nel senso che la Germania è antirevisionista, almeno per quanto riguarda le rivendicazione territoriali altrui, e che quindi essa può essere considerata fautrice dell'integrità territoriale romena. Non è piaciuta però quest'interpretazione ai giornali di sinistra che si sono a loro volta affrettati a sostenere che la mossa di Rosenberg tende semplicemente a creare l'illusione dell'antirevisionismo germanico per far cadere in trappola i piccoli Stati, e in primo luogo quelli della Piccola Intesa. Una terza corrente infine, rilevando le reticenze dell'articolo ~el Voelkischer Beobachter e il fatto che Rosenberg si è astenuto dal pronunciare la parola antirevisionismo, ha chiesto che la Germania dichiari esplicitamente se è revisionista

o meno.

Sta comunque di fatto che nell'opinione pubblica romena sta prendendo radice il convincimento che, contrariamente a quanto sta facendo l'Italia, che protegge le aspirazioni di terzi, e nel caso specifico quelle dell'Ungheria, la Germania è restia ad occuparsi delle rivendicazioni che non la riguardano direttamente. Se ne deduce che non ostante le recenti manifestazioni di parallesismo politico tra Roma e Berlino, ognuna delle due grandi Potenze agisce nel bacino danubiano secondo i propri interessi e che non è lontano il giorno in cui le due direttive verranno a trovarsi in aperto conflitto.

Sul viaggio del conte Ciano.

Il viaggio del conte Ciano in Austria e in Ungheria è stato qui seguito con vivissimo interesse ma nel contempo anche con grande diffidenza dovuta, a quanto si afferma, alle apprensioni suscitate dagli accenni filo-magiari contenuti nel discorso tenuto dal Duce a Milano. Pertanto, subito dopo la partenza del nostro ministro degli Esteri per Vienna, i giornali romeni hanno cominciato a registrare tutte quelle malevole voci messe in giro all'estero circa gli scopi reconditi del convegno degli Stati firmatari dei protocolli di Roma.

I commentatori locali hanno quindi avuto larghe possibilità di sbizzarrirsi nel prevedere le « macchinazioni » più infernali ai danni, beninteso, dei Paesi della Piccola Intesa. Ne è conseguita una serie di appelli alla solidarietà dei membri dell'organismo tributario, nonché vivaci affermazioni sulla sempre più salda volontà degli stessi di opporsi a qualsiasi decisione atta comunque a ledere quelli che si usa ormai chiamare i « sacrosanti diritti » acquisiti nel campo internazionale dalla Romania, dalla Cecoslovacchia e dalla Jugoslavia. La massima intransigenza è stata manifestata, anche stavolta, nei riguardi del revisionismo, della restaurazione absburgica e del riarmo dell'Ungheria. Come di consueto, il linguaggio dei fogli di sinistra e di quelli della cosidetta stampa gialla è stato improntato a una certa violenza; essi hanno battuto sul tasto che «la Piccola Intesa deve essere pronta non soltanto a parare ogni colpo ma anche a reagire decisamente nel richiamare all'ordine i nemici dei trattati e della pace».

La stampa di destra e governativa ha manifestato invece un certo spirito di comprensione per i lavori di Vienna, ma ha anche cercato di sminuirne la portata mostrandosi assai scettica circa i risultati che avrebbero potuto essere conseguiti. Scriveva infatti l'ufficioso Independance Roumaine che «la conferenza di Vienna non darà risoluzioni sensazionali e radicali, ma soltanto conclusioni che non differiranno in nulla da quelle precedenti». E l'economico Argus osservava che «i tre Stati possono tutt'al più sperare di conservare le posizioni conquistate giacché ogni passo in avanti travolgerebbe l'intero edificio finora costruito, apparentemente grandioso ma vacillante in realtà ».

Con l'abbondanza di valutazioni che hanno accompagnato gli sviluppi della conferenza ha fatto contrasto la relativa scarsezza di commenti sul comunicato diramato la sera del 12 novembre. A dar retta all'ufficioso lndependance Roumaine, detto comunicato non meriterebbe neppure di essere commentato «in quanto non affronta frontalmente nessuno dei problemi del giorno », menmentre il Le Moment esprimeva l'opinione che dopo le catastrofiche previsioni precedentemente fatte intorno al convegno, il comunicato finale « non può che deludere e sconcertare ».

Nei non molti apprezzamenti sui risultati della conferenza i giornali romeni hanno manifestato in genere molta moderazione, soddisfatti evidentemente di constatare che i numerosi timori sorti intorno a quello che taluno si era già affrettato a definire «il complotto di Vienna » non avevano ragione d'essere.

L'unico punto del comunicato che ha attirato l'attenzione dei commentatori locali è stato quello sui diritti ungheresi al riarmo, questione che inquadrata in quella più grande della revisione dei trattati, costituisce come noto uno dei problemi più scottanti ed irritanti per la Romania. In merito sono apparse valutazioni disparate: chi ha detto che la riaffermazione di tali diritti era stata preveduta e non aveva pertanto provocato sorpresa, chi invece il contrario. Unanimemente espresso il concetto che il riarmo ungherese non può essere effettuato «prima che la Piccola Intesa abbia detto la sua parola». L'eventuale unilateralità significherebbe, secondo il senatore Filipescu ed altri, che «l'Ungheria sta preparando un'aggressione».

Sull'argomento ha avuto luogo anche uno scambio di vedute tra i dirigenti della Piccola Intesa, a seguito del quale è stato diramato il 14 novembre e contemporaneamente nelle tre capitali, questo comunicato:

«Prendendo conoscenza della parte del comunicato della conferenza tripartita di Vienna circa l'uguaglianza di diritti in materia di armamenti, gli Stati della Piccola Intesa ritengono necessario ricordare che essi hanno esplicitamente dichiarato, fin dal maggio del 1933, la loro adesione, in materia d'armamenti, al principio della uguaglianza di diritti, a condizione tuttavia che la realizzazione avvenga a mezzo di liberi negoziati e sia accompagnata da formali garanzie di sicurezza».

Qualche giornale ha poi impostato i commenti su questo comunicato, definito «riservato e degno ma non perciò meno categorico».

La visita del conte Ciano a Budapest e le varie manifestazioni cui la sua presenza ha dato luogo in tutta l'Ungheria non sono state commentate, almeno per ora. Non è men vero però che gli sviluppi delle relazioni d'amicizia italaungherese vengono seguiti in tutti questi ambienti con crescente amarezza (1).

(l) Il 15 novembre, Alfred Rosenberg aveva pubblicato sul Volkischer Beobachter un articolo con il titolo «Popoli oppressi e revisioni », nel quale sosteneva che si poteva parlare di politica revisionlsta nazionalsocialista solo In rapporto a casi ben definiti e non come di una politica che veniva attuata dovunque ed In qualsiasi direzione. In proposito si veda anche Il D. 627. ·

443

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL GENERALE ROATTA

T. U. s. N. D. 5077 R. (2). Roma, 19 novembre 1936, ore 20.

Faccia sapere al generale Franco che riconoscimento del suo governo da parte dell'Italia e della Germania lo impegna a continuare le operazioni colla massima energia (3). Bisogna assolutamente evitare che contando troppo sulla solidarietà materiale e morale italo-tedesca cotesta gente si metta sull'imbraca. Risponda ( 4).

J6 --Documenti diplomatici -Serie VIII --Vol. V

(l) -Un foglio allegato porta l'annotazione: «chiesto in visione dalla Segreteria Particolare del Duce». (2) -Minuta autografa. Il telegramma venne trasmesso tramite il Servizio Informazioni Militare. (3) -In una relazione datata 16-17 novembre, il generale Roatta cosi si era espresso a proposito della situazione intorno a Madrid: «La resistenza opposta dai rossi nei sobborghidi Madrid e sulle rive del Manzanares ha costituito una novità ed una sorpresa. Non si comprende, infatti, come coloro che hanno ceduto cosi facilmente, dinnanzi a tenui colonne bianche isolate nella vasta e nuda campagna possano avere deciso di resistere alle portedella capitale, in condizioni assai meno favorevoli, per essere le colonne bianche ormai a contatto fra loro, la città sotto il tiro di fucile e le comunicazioni del retro terra con essa, e da essa al fronte della Sierra, sotto il tiro di artiglieria. Propendo perciò a credere elle la difesa di Madrid non fosse ne! piani avversari. Ma elle le milizie rosse, sia per la presenza di ufficiali e gruppi sovietici, sia perché ormai a contatto immediato colle proprie famiglie (che non volevB.no abbandonare e che si immaginavano di dover proteggere dalla «barbarie dei mori»),sia, infine, perché combattevano da caseggiati (sempre preferiti dai combattenti rivoluzionari),hanno tenuto un contegno assai più deciso di quello precedente, riuscendo, per la prima volta, ad arrestare il nemico. Constatata, il primo giorno, tale possibilità, il successivo processo è semplice: !l morale si è rialzato enormemente ed il comando rosso ha ordinato di proseguirequella resistenza, alla quale aveva prima rinunciato e che gli è stata, per cosi dire, imposta dai propri! gregari ». (4) -Vedi D. 464.
444

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLE AMBASCIATE A RIO DE JANEIRO, SANTIAGO, TOKIO E VARSAVIA, E ALLE LEGAZIONI AD ATENE, AVANA, BELGRADO, BERNA, BUDAPEST, LA PAZ, LIMA, LISBONA, MONTEVIDEO, PANAMA, QUITO, TIRANA E VIENNA

T. 5078/C. R. Roma, 19 novembre 1936, ore 19,36.

(Solo per Vienna) Suo telegramma n. 258 0).

(Solo per Lisbona) Suo telegramma n. 180 (2).

(Per tutti) V. S. nel comunicare a codesto governo l'avvenuto riconoscimento da parte nostra del governo di Franco vorrà esercitare ogni possibile influenza per ottenere che analoga decisione venga presa costà.

(Per tutti meno Vienna, Budapest, Tirana) L'assoluta mancanza di ognì garanzia a tutela degli interessi e della vita stessa dei cittadini stranieri nelle zone tuttora in possesso dei rossi, la constatata assenza di un governo responsabile ed efficiente e la carenza delle rappresentanze diplomatiche spagnuole all'estero, l'abbandono della capitale da parte del presidente Azafia e dello pseudo governo di Largo Caballero sono fatti che giustificano ampiamente la misura del ritiro di rappresentanze diplomatiche già accreditate presso l'antico governo spagnuolo.

D'altra parte, l'ingerenza così luminosamente dimostrata dell'U.R.S.S. nella guerra civile spagnuola basta da sola a pro•·are quali effetti disastrosi possa produrre la propaganda bolscevica nel mondo. Ciò dovrebbe indurre le forze dell'ordine ad assumere un salutare atteggiamento di difesa che per non essere soltanto passivo si potrebbe ora concretare nel riconoscimento del governo di Franco, mirante appunto a liberare il territorio della Patria dalla ingerenza straniera del bolscevismo.

Telegrafi risultati suoi passi ( 3).

Magistrati rispondeva con T. 11434/529 R. del 20 novembre, ore 19,40, che il governotedesco aveva assicurato di provvedere senz'altro perché i governi indicati fossero sollecitati anche da parte del rappresentante germanico.

(l) -T. 11364/258 R., ore 1,45. Riferiva che il segretario di Stato austriaco aveva espresso il desiderio che Franco effettuasse qualche mossa che offrisse al governo austriaco la possibilità di dare una risposta equivalente ad un riconoscimento. Un'annotazione a penna sul documento dice: «Comunicato a Magaz che ne farà oggetto di un telegramma a Franco. 20.1l.XV ». (2) -T. 11362/180 R. del 18 novembre, ore 20,15. Il ministro Mameli comunicava che il ministro di Germania, il quale era stato incaricato di sollecitare il governo portoghese a riconoscere quanto prima il governo di Burgos, aveva ricevuto una risposta chiaramente dilatoria. Sia Mameli, che il suo collega tedesco, erano dell'opinione che da parte portoghesesi desiderasse attendere la caduta di Madrid per meglio giustificare il riconoscimento di fronte alla Gran Bretagna. (3) -Con T. 5079/343 R. del 19 novembre, ore 24, veniva cosi telegrafato all'ambasciata a Berlino: «Prego comunicare a codesto governo, per eventuale azione concorde, che in data odierna sono state impartite istruzioni alle RR. Rappresentanze più sotto indicate di esercitare ogni possibile influenza per ottenere che governi presso cui sono accreditate addivenganoalla decisione di riconoscere il governo del generale Franco: Varsavia, Santiago, Rio Janeiro, Tokio, Vienna, Budapest, Lisbona, Belgrado, Berna, Atene, Quito, La Paz, Montevideo, Lima, Avana, Panama >>.
445

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11385/250 R. Atene, 19 novembre 1936, ore 20,30 (per. ore 22,25).

Divisione navale qui venuta per accompagnare Salme Reali greci ha egregiamente assolto suo compito suscitando eco assai profonda in sentimento nazionale ogni classe popolo. Riferisco con rapporto separato commenti stampa unanime nell'esprimere riconoscenza greca.

Corte e governo mi hanno ripetutamente chiesto di rendermi interprete presso V. E. della loro profonda riconoscenza. S. M. il Re Giorgio ha direttamente telegrafato nostro Sovrano ed il presidente al Duce. Sua Maestà ha ricevuto in speciale udienza ammiraglio e comandanti nostre navi e non potendo, per lutto di Corte, recarsi personalmente a bordo, ha inviato principe ereditario ringraziare ammiraglio sul «Trento » dove si sono recati allo stesso scopo presidente del Consiglio e ministro della Marina.

Nostre navi che ripartono questa sera e nostri marinai hanno prodotto grande impressione in ogni classe cittadini. Credo mio dovere segnalare all'E. V. maniera oltremodo degna e ammirevole in ogni dettaglio con la quale ammiraglio Paladini e ufficiali hanno adempiuto loro missione.

446

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11399/679 R. Parigi, 19 novembre 1936, ore 21,45 (per. ore 2 del 20).

Avvenimenti politici interni ed esterni degli ultimi giorni hanno ancora aumentato inquietudine dei circoli politici francesi che si era già manifestata dopo visita di V. E. in Germania. Mancanza di informazioni esatte da Vienna, Budapest, Belgrado, Praga e Bucarest dopo visite di V. E. in Austria ed Ungheria diede stura ad ogni specie di congetture della stampa. Quanto al Quai d'Orsay, esso teme isolamento della Francia. Questo sentimento si è manifestato anche in occasione notizie pubblicate circa riavvicinamento italainglese. Se infatti questa amicizia franco-inglese viene qui magnificata in ogni occasione, produce non buona impressione che Inghilterra si mostri disposta a trattare questioni Mediterraneo coll'Italia sola senza fare minimo accenno alla Francia.

Riconoscimento del governo di Franco da parte dell'Italia e Germania, giunto prima del previsto, ha prodotto grande impressione, tanto più che coincise con notizie relative ad intesa antibolscevica tra Berlino e Tokio a cui aderirebbe l'Italia. Stampa francese di stamane ha pubblicato che governo sta prendendo provvedimenti adeguati nel Mediterraneo.

R. addetto navale mi riferisce conversazione avuta stamane al ministero della Marina dove capo del secondo ufficio non celò preoccupazione causatagli da prolungarsi del conflitto e dal riconoscimento governo di Franco per possibili complicazioni che possono nascere nei riguardi dell'U.R.S.S. Egli interpretò riconoscimento come aiuto morale sollecitato da Franco che nei giorni scorsi si trovò in situazione veramente difficile ed accordato da Roma e Berlino per cercare di fermare azione sovietica in favore governativi.

Situazione Franco viene considerata alquanto migliorata ma sempre difficile: l) per non avvenuta sollevazione falangisti di Madrid; 2) per scarsità truppe falangiste che dinanzi Madrid subirono gravi perdite e che devono anche tenere in rispetto buona parte della popolazione delle regioni occupate dai Nazionali che rimangono tranquille soltanto sotto minaccia della forza; 3) per forti contingenti di armi e materiali sovietici già messi in opera. (Ricognizioni citati reparti di aviazione sovietica, tanks entrati in funzione ed arrivati nei porti governativi, navi di ritorno porti russi carichi di armi e rifornimenti).

Stato Maggiore Marina segue attentamente avvenimenti per capire se data netta posizione assunta dall'Italia e dalla Germania, U.R.S.S. insisterà nel dare palesemente aiuti a Madrid a rischio di suscitare conflagrazione europea. Capo del II ufficio Marina rilevò, ancorché in forma cortese, forte numero di bastimenti italiani sempre presenti nelle acque spagnuole e presenza di numerose truppe italiane a Maiorca. Accennò pure all'opera compiuta in questa isola dal conte Rossi ed alla « posizione di prim'ordine » assunta dal comandante Margottini. Annunziò infine che ammiraglio Abrial, comandante in capo della II Squadra, ha chiesto ed ottenuto di sostituire nei primi giorni di dicembre ammiraglio Decoux che comanda attualmente la divisione navale francese sulle coste spagnuole, per poter così rendersi conto della situazione.

Addetto militare mi dice di aver negli ultimi giorni rilevato grandissima cortesia da parte dei circoli militari francesi verso di lui ed ufficiali italiani in missione scuola di guerra e nello stesso tempo grande sgomento per succedersi incalzante di avvenimenti politici ed aumento manifestazioni popolari che non giovano certo al prestigio della Francia. Non pochi ufficiali accennarono perfino necessità finirla con Gabinetto dimostratosi troppo ligio alla volontà dei comunisti cosicché la Francia non poté assumere di fronte avvenimenti spagnuoli posizione decisa in fav ore dei nazionali.

Dalle molte conversazioni avute da me con uomini politici e giornalisti, ho pure rilevato senso di sgomento ma ho al tempo stesso tratto impressione che posizione di Blum si è rafforzata per una ragione negativa, perché nessuno vorrebbe prendere la sua successione in un momento di tanta delicatezza, dato che dovrebbe risolvere il grosso problema connesso con situazione in Spagna. Finché rimane al potere Blum, politica di neutralità assoluta almeno ufficialmente può essere continuata. Essa non è certo tale da soddisfare il sentimento della « nazione » ma garantisce Francia da complicazioni internazionali e questo è l'essenziale. Qualunque governo che succedesse a Blum, a meno che fosse comunista, dovrebbe fare politica più favorevole ai nazionali spagnuoli col pericolo che Mosca ordini sollevamento comunisti francesi e minacci quindi di guerra civile deprecata da tutti. D'altra parte bisogna tenere presente che suicidio Salengro (l) pone problema di ricoprire ministero dell'Interno. Qualora anziché procedere semplice sostituzione con uno dei ministri senza Portafoglio si dovesse fare rimpasto ministeriale, ciò costituirebbe ragioni di debolezza per il ministero, dato che in Francia i ministeri rifatti non durano mai.

447

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 11459/535 R. Berlino, 19 novembre 1936 (per: il 21).

La decisione del governo germanico di procedere senza indugio al riconoscimento del governo di Burgos, è stata presa nel consiglio tenutosi a Berlino nel pomeriggio del 17 sotto la presidenza del Cancelliere Hitler ed al quale hanno preso parte il ministro degli Affari Esteri von Neurath, il ministro della Guerra von Blomberg, l'ammiraglio Raeder e il generale Goering.

Come l'E. V. avrà appreso dall'ambasciatore von Hassell (2), la ragione principale della immediata decisione è stata la comunicazione pervenuta dal generale Franco, via Lisbona, circa la sua intenzione di continuare, dopo l'occupazione totale di Madrid, la sua marcia su Barcellona (3). In tali condizioni, secondo il giudizio del governo del Reich, il prolungare una situazione di equivoco, lasciando al governo di Burgos le caratteristiche della illegalità avrebbe potuto portare conseguenze gravissime in un avvenire molto prossimo. Occorre anche notare che, in questi ultimi giorni, probabilmente per le forti resistenze incontrate dai nazionali a Madrid, si erano diffuse anche in Germania delle voci pessimistiche sulle condizioni delle truppe di Franco, voci delle quali si erano fatti immediatamente eco alcuni circoli giornalistici stranieri di Berlino. I dirigenti del Reich hanno quindi voluto anche tagliare corto, procedendo senz'altro al riconoscimento, alle dicerie che pretendevano essere imminente un indietreggiamento della Germania.

Il ministro von Neurath, nel dare notizia nella stessa sera del 17 della decisione del consiglio a S. E. l'ambasciatore Attolico ed a me, che ci eravamo recati a visitarlo, ha tenuto a dare alla sua comunicazione ed alla conversazione un certo tono antibritannico, aggiungendo che oramai ogni settimana il governo tedesco stava preparando un « piattino » ai colleghi di Londra. Solamente questa volta l'avvenimento veniva annunciato a metà della settimana. «Peccato ~ concludeva il ministro ~ perchè l'idea di turbare i week-end britannici non mi dispiace affatto! ».

Nei riguardi della rappresentanza diplomatica tedesca presso il governo di Franco, il ministro degli Affari Esteri del Reich mi ha anche stamane con

fermato che non si può certamente per ora pensare a nominare presso Burgos il signor von Stohrer, che, come è noto, era stato nominato ambasciatore a Madrid poco prima dello scoppio del movimento nazionalista e che non ha mai avuto occasione di presentare le lettere credenziali. Il suo grado appare, infatti, troppo elevato, dovendosi provvedere alla nomina di un incaricato d'affari e non già di un ambasciatore.

(l) -Il ministro degli Interni francese. Roger Salengro, si era suicidato Il 19 novembre. (2) -Vedi p. 472, nota e D. 434. (3) -Di questa comunicazione non si è trovata traccia negli archivi italiani.
448

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 7915/1794. Washington, 19 novembre 1936 (per. il 4 dicembre).

Il signor Blair, vice presidente della National City Bank di New York, è venuto a farmi una visita di cortesia. Premetto che il signor Blair ha avuto sempre un atteggiamento molto simpatico nei nostri riguardi anche durante la campagna itala-etiopica. Nella conversazione gli ho detto di essere seccato per questo continuo insistere dei giornali locali sulla missione che io avrei dal governo di trovare un prestito per l'Italia. Le smentite non servono a nulla perché la stampa continua a battere su questo tasto. Il signor Blair mi ha detto che nei circoli finanziari di New York nessuno piglia sul serio queste notizie, perché si sa benissimo che i banchieri di Wall Street non hanno la possibilità, per il Johnson Act, né d'altronde alcun intenzione, di fare dei prestiti all'Italia come ad altri Paesi europei che domani potrebbero essere implicati in una guerra. D'altra parte, oggi il mercato interno assorbe le disponibilità di danaro americano, il quale trova anche con profitto investimenti in Paesi dell'America del Sud e particolarmente in Argentina. Mentre fino ad ora erano principalmente gli inglesi che si occupavano dell'Argentina, ora c'è un interessamento anche da parte della finanza di altri Stati come annunto l'americana e la francese.

Ho chiesto al signor Blair, sempre in via di conversazione, se egli riteneva che, superato questo momento critico dell'Europa e abolite le restrizioni monetarie, l'America riprenderebbe i suoi finanziamenti a Paesi europei. Il signor Blair mi ha risposto che non ritiene che si riprendano prestiti di carattere più

o meno politico come si era fatto in passato (mi ha citato il prestito Morgan, i prestiti alle città di Roma e Milano). Esempi come quello della Germania sono stati istruttivi e non si vuole ripetere l'esperimento; non esclude però che si riprendano dei finanziamenti in Europa su base esclusivamente economica con partecipazione o sovvenzioni a imprese che godono credito in America.

Nei riguardi dell'Italia egli ritiene che la prima cosa da fare per poter pensare in un secondo tempo a crediti di carattere finanziario, sia di riportare la normalità nei rapporti commerciali. Sarà un'ottima cosa se verranno ora condotte a termine le trattative commerciali e se gli affari potranno riprendere. Per favorire i crediti anche di carattere commerciale, il signor Blair riterrebbe opportuno che la Banca d'Italia desse assicurazione alle banche che vogliono

concedere tali crediti, che al momento della scadenza il governo metterà a

disposizione la divisa necessaria per i pagamenti.

A proposito dell'Etiopia, il signor Blair crede che non sia esclusa una

partecipazione di capitale americano, sempre però quando si tratti di imprese

che godono credito in America. Egli insiste molto, però, sul fatto che bisogna

cominciare col ristabilire la normalità negli affari e nei crediti commerciali.

Mi riservo di fare quanto prima un rapporto di carattere più generale sulle

questioni relative ai crediti con riguardo anche ai crediti commerciali. Ho

creduto però di segnalare separatamente questa conversazione col signor

Blair che mi pare interessante, dato che il Blair è uno degli esponenti più

autorevoli di Wall Street e persona che dà affidamento di obbiettività nei nostri

riguardi. Ritengo del resto che le idee esposte dal signor Blair rispondano alla

opinione della quasi totalità dei banchieri di Wall Street.

Trasmetto il presente rapporto in triplice copia con preghiera di darne

comunicazione al ministero delle Finanze e al sottosegretariato di Stato per

gli Scambi e le Valute (1).

449

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 3959/2117. Vtenna, 19 novembre 1936 (per. il 21).

Ho accennato nei telegramma per corriere n. 0125 del 16 corr. (2) a preoccupazioni che desterebbe nei circoli del governo federale il ricambio della visita di Schmidt a Berlino. È previsto per il gennaio prossimo il viaggio di von Neurath a Vienna. Me lo ha confermato anche von Papen. In quelle giornate sarà non facile mantenere il giusto equilibrio tra le accoglienze cordiali all'ospite e la repressione di eventuali tentativi dei nazisti o nazionali locali di abusare dell'occasione per manifestazioni illegali o comunque imbarazzanti per il governo federale. La personalità di von Neurath è in questo riguardo la meno pericolosa.

A questo proposito il Cancelliere federale mi ha confidato l'altro ieri, -pur confessandomi di non avere alcun elemento per questa sua supposizione -, di temere che all'ultimo momento si tenti a Berlino una sorpresa: un'improvvisa malattia... diplomatica di von Neurath e la di lui sostituzione, per la visita a Vienna già fissata in ogni particolare, con altro membro del Gabinetto germanico: Gtiring, Goebbels o addirittura Frank che nel 1933 provocò a Vienna -i noti incidenti (3) si veda per il Frank il telespresso ministe

riale n. 237224 del 12 corrente) (1). In questo caso, la visita potrebbe dar luogo a così gravi manifestazioni e conflitti, che --così mi disse Schuschnigg -egli si sentirebbe la responsabilità di impedirla o differirla. In questa dannata eventualità, il Cancelliere mi fece comprendere che sperava di poter contare su di un nostro amichevole intervento a Berlino.

Ho fatto rilevare a Schuschnigg che la sua supposizione, come egli stesso aveva ammesso, non era in alcun modo fondata. Egli mi accennò ad altri «colpi di testa » da Berlino, ma credetti di dovergli far osservare che essi appartenevano ad un periodo di sviluppo del nazionalsocialismo in Germania che si doveva ritenere superato. Né potevasi dubitare della volontà ferma del Fuhrer di tener fede agli impegni da lui assunti liberamente nel luglio scorso.

Debbo però confermare che, qualora dovesse verificarsi l'ipotesi affacciata dal Cancelliere, converrebbe prevenire ed impedire la venuta a Vienna, nella presente condizione delle cose interne, di un ministro germanico che, più che il rappresentante ufficiale del governo, apparisse un esponente del partito nazionalsocialista, più o meno compromesso negli incidenti del così vicino passato. Da una tale visita, il normale sviluppo della situazione interna avrebbe un turbamento pericoloso.

Ho chiesto, nella stessa conversazione, al Cancelliere se era prevedibile per l'avvenire prossimo un incontro suo con Hitler e se Schmidt ne avrebbe parlato a Berlino. All'ultima domanda Schuschnigg rispose, in modo preciso, negativamente. E pur non escludendo che a quell'incontro, un giorno o l'altro, si possa e debba venire, mi confermò -come già altre volte in passato -che riteneva per ora prematuro di parlarne. Conveniva attendere i risultati della visita di Schmidt a Berlino, gli accordi ulteriori per la pratica attuazione del gentlemen's agreement dell'll luglio ect in generale, lo sviluppo dei rapporti austro-germanici in un periodo meno breve di quello sinora trascorso dalla così detta normalizzazione (2).

(l) -Annotazione a margine: «Visto dal Duce>>. (2) -Vedi D. 427. (3) -Nel maggio 1933, il ministro Frank, in visita !n Austria, aveva tenuto a Graz un discorso in cui aveva attaccato violentemente il governo austriaco ed incitato la polizia a disobbedire. Frank era stal:o invitato a lasciare immediatamente 11 territorio austriaco.
450

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11409/222 R. Tokio, 20 novembre 1936, ore 5,50 (per. ore 14,25).

Telegramma di V. E. n. 105 (3). Ho fatto iniziare primi contatti. È stata promesso una risposta preliminare nel corso settimana prossima. Si è intanto incidentalmente notato, ma senza insistervi, che alle proposte di Sugimura per un accordo commerciale non è stato finora dato alcun seguito.

451.

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11431/588 R. Washington, 20 novembre 1936, ore 12,18 (per. ore 20,30).

Richiamo attenzione codesto ministero su particolare sensibilità questo Paese nei riguardi di ogni fatto che rinforzi situazione Giappone. Accordo tedesco-giapponese e adesione Giappone alla politica italo-tedesca, vengono interpretati da questa opinione pubblica come raggruppamento di forze in antagonismo con interessi questo Paese. Commenti si basano anche su recente articolo Giornale d'Italia (l) che considera anche Giappone nel sistema Potenze fasciste. Tuttociò, secondo me, ha influito anche su locale reazione molto sfavorevolmente nostro riconoscimento governo Franco.

Prego V. E., ove ne ravvisi opportunità, farmi avere quegli elementi che possano chiarire nostra posizione nei riguardi suddetti.

452.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. RR. 5091/244 R. Roma, 20 novembre 1936, ore 24.

Ho telegrafato alla R. Ambasciata in Tokio quanto segue:

(Riprodurre telegramma per Tokio n. 5055/R/104) (2).

Nel comunicare a codesto governo prima parte telegramma suddetto, V. E. vorrà far comprendere che l'Italia, Potenza ad interessi mondiali, anche in questa occasione non può non ispirare sua azione a principii di un sano realismo e non può quindi continuare ad essere assente da una regione politicamente e commercialmente importante come Manciukuò. Decisione istituire R. consolato generale Mukden corrisponde appunto a tale esigenza. V. E. vorrà inoltre far rilevare che atteggiamento vigile difesa assunto da governo fascista nei riguardi della minaccia bolscevica rende necessario un osservatore vicino alla frontiera orientale sovietica. Ciò naturalmente non significa che R. governo intenda modificare suo atteggiamento di benevolo interessamento verso Cina. La vecchia collaborazione, alla quale l'Italia ha dato tanto apporto accompagnato spesso da non lievi sacrifici e che non ha trovato sempre corrispondenza da parte cinese, sarà mantenuta ed anzi accresciuta ma ci auguriamo che Cina voglia finalmente fare anch'essa qualche passo incontro a noi (3).

(l) -Ritrasmetteva quanto aveva riferito il 1° ottobre il console generale a Monaco di Baviera, Pittalis, circa le cordiali manifestazioni di cui era stato fatto oggetto 11 ministro Frank durante il suo passaggio attraverso l'Austria. (2) -Il presente documento reca il visto d! Mussolini. (3) -Vedi p. 465, nota 1.

(l) Si riferisce all'articolo di Virginio Gayda Un accordo tra Germania e Giappone per un fronte comune antibolscevico pubblicato su Il Giornale d'Italia del 18 novembre. Vi si affermava che la solidarietà tra Roma, Berlino e Tokio era stata imposta dalla minaccia del comunismo che nel congresso del Comintern dell"anno precedente aveva dichiarato « ~uerra al fascismo e per esso, con una netta individuazione dei nomi, alla Germania. al Giappone e all'Italia ».

(2) -Vedi p. 484. nota 2. (3) -Per il seguito, si veda il D. 509.
453

IL GENERALE ROATTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 553. [Salamanca], 20 novembre 1936 (per. il 21) (1).

Commendatore Mariani comunica che segretario Nicolas Franco prega appena possibile sia inviata Salamanca autorevole persona competente materia sindacale corporativa per esaminare attuale situazione spagnola e gettare basi organizzazione corporativa. Detta persona sarà ospite governo Franco (2).

454

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11453/227 R. Tokio, 21 novembre 1936, ore 5,20' (per. ore 10).

Telegramma di V. E. n. 104 (3).

Vice ministro è rimasto molto compiaciuto per le parole di V. E. e me ne ha ringraziato, pur con confuciano riserbo ·che però è frutto di educazione e non di indifferenza. Egli mi ha accennato che Sugimura continuerà i colloqui e discuterà sulla questione degli interessi economici giapponesi in Etiopia.

Ho già inviato la nota a questo ambasciatore del Manciukuò e ne ho avvertito vice ministro. Telegraferò appena ricevuto la risposta.

455

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11493/325 R. Shanghai, 21 novembrA 1936, ore 12,35 (per. ore 23).

Notizie che provengono da ogni parte e che confermano, malgrado blanda smentita ufficiale, il fronte comune tedesco-giapponese contro pericolo comunista, tengono sospesa opinione pubblica cinese giacché, pur essendo chiaro a tutti che Germania sinceramente non intende dare alla sua intesa col Giappone alcun carattere capace di diminuire sua amicizia con Cina e suoi interessi in Cina, tuttavia non sfugge ad alcuno che intesa anticomunista, destinata paralizzare Russia in Europa, materialmente si ripercuote in Estremo Oriente e che avrà come sicuro effetto quello di dare mano più libera al Giappone nella sua pressione sulla Cina.

Al suggerimento che Chiang Kai-shek, avendo combattuto per tre anni

contro rossi, non dovrebbe avere difficoltà unirsi fronte anticomunista e che

anzi non gli resta da fare altro che questo per stabilizzare suoi rapporti con

Giappone, risponde qualche giornale dicendo che se governo di Nanchino è ben

!ungi dall'essere rosso, sta di fatto che esso è anche ben !ungi dall'essere bian

co facendo intendere che esso non vuole darsi mani e piedi legati al Giappone

e che vuole anzi più che mai giuocare sul peso della Russia come minaccia

contro Giappone.

Comunicato Tokio.

(l) -Mancano le ore di partenza e di arrivo. Il telegramma fu comunicato tramite !l Servizio Informazioni Militare con numero di protocollo s. 1464. (2) -Il documento porta l'annotazione: <<Atti d'ordine del Capo di Gabinetto». (3) -Vedi p, 484, nota 2.
456

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11455/218 R. Mosca, 21 novembre 1936, ore 13,50 (per. ore 15).

Ambienti sovietici si mostrano furibondi per l'accordo giapponese-tedesco per lotta contro il comunismo. Dando notizia della vivace protesta fatta 19 corrente a Tokio dall'ambasciatore dell'U.R S.S., giornali pubblicano violenti commenti di evidente ispirazione ufficiale affermando che sotto tale accordo si nasconde vera e propria alleanza militare con intento aggressivo.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RR. 4784/1632. Berlino, 21 novembre 1936 (1).

Mi riferisco ai miei telegrammi n. 541 del 2 (2) e n. 544 del 21 corrente (3).

Il segretario di Stato austriaco per gli Affari Esteri, Guido Schmidt, è giunto a Berlino, a seguito di invito del governo del Reich fattogli pervenire a mezzo del rappresentante diplomatico tedesco a Vienna, giovedì 19 novembre, nelle prime ore del mattino.

Egli, che era accompagnato, oltreché dall'ambasciatore von Papen, dal capo della sezione economica del Ballhaus, ministro dott. Wildner e dal capo recentemente nominato, della sezione centro-europea del ministero stesso, ministro Hoffinger, è stato accolto alla stazione dal ministro degli Affari Esteri del Reich, barone von Neurath, dal segretario di Stato alla presidenza del Reich, dott. Meissner, dal segretario di Stato Dieckhoff, dal capo del Protocollo, von Biilow

Schwante, e da un gruppo di alti funzionari della Wilhelmstrasse, oltreché dal

R. incaricato d'affari d'Italia e dal ministro di Ungheria, generale Sztojay. Non era presente alcun rappresentante delle organizzazioni nazionalsocialiste.

Alla stazione non apparve neanche, con viva sorpresa dei convenuti, il ministro d'Austria a Berlino, Tauschitz. Più tardi ed in via riservata mi è stato fatto conoscere che egli aveva, nelle primissime ore del mattino, ricevuto un telegramma a firma Schmidt, datato da Lipsia, con il quale lo si invitava a recarsi alla stazione di Lichterfelde, nei sobborghi di Berlino, per salire nel vagone del Segretario di Stato. Ora viceversa il tle no non fece alcuna sosta a Lichterfelde ed il telegramma risultò in seguito del tutto apocrifo: scherzo forse di qualche rifugiato politico austriaco per vendicarsi del rappresentante di Vienna e Berlino! Ora le autorità tedesche indagano per conoscerne l'autore...

La visita berlinese è stata limitata a soli due giorni, durante i quali, come manifestazioni di governo, hanno avuto luogo un grande pranzo ufficiale nel palazzo presidenziale offerto dal minist~o degli Affari Esteri, von Neurath e una colazione offerta dal ministro presidente di Prussia, generale Goring, e seguita da una lunga visita all'accademia aeronautica di Gatow ed al campo di aviazione di Doberitz, sede della squadriglia da caccia << Manfred von Richthofen ». La legazione d'Austria, dal canto suo, ha offerto un ricevimento la sera del 20, al quale sono intervenuti numerosi funzionari della Wilhelmstrasse con il ministro von Neurath e tutti i capi delle missioni diplomatiche accreditati a Berlino.

Le conversazioni austro-tedesche si sono iniziate con una visita al Cancelliere del Reich, Adolfo Hitler, visita che, presentata dapprima come un semplice atto di cortesia nei confronti del capo dello Stato tedesco, ha assunto invece un'importanza notevolissima per tutto l'andamento dei colloqui, essendo durata circa due ore ed avendo preso ad un certo punto l'aspetto di una vera conferenza alla quale hanno preso parte, oltre il Cancelliere e il signor Schmidt, il ministro degli Affari Esteri von Neurath. l'ambasciatore von Papen e il segretario di Stato Meissner.

Il signor Schmidt, nel dirmi, nella stessa sera del 19, le sue impressioni su questa lunga conversazione, mostrava di esserne profondamente soddisfatto, avendo egli trovato nel Cancelliere una viva comprensione ed una lnsospettata cordialità. Hitler infatti, nell'accoglierlo quale « conterraneo », tenne ad evitare, nel suo atteggiamento e nelle sue parole, qualsiasi espressione di risentimento o di minaccia, ponendo invece in risalto, in una lunga dissertazione, tutta l'importanza, nelle attuali contingenze europee, del collegamento austrotedesco in funzione anti-bolscevica. E volle mostrarsi inoltre inspirato a concezioni ponderate e pacifiche nei confronti delle questioni europee, suscitando nel suo interlocutore, secondo quanto ha tenuto a dichiararmi lo stesso Schmidt, la sensazione di essere un uomo di Stato dotato di altissime qualità.

Dopo la visita al Cancelliere, le conversazioni vennero continuate nella Wilhelmstrasse per condurre, nella serata del 20, alla firma di un processo verbale preventivamente già compilato, nelle sue linee generali, e discusso a Vienna e a Berlino, nel quale sono contenuti in riassunto gli accordi raggiunti nella capitale tedesca. Tale processo verbale, destinato a rimanere segreto per non far sorgere, a detta dello Schmidt, nuove e gravi apprensioni, specialmente in Francia, circa una nuova forma eli Anschluss, comprende vari punti che stimo opportuno elencare qui appresso:

l) Dichiarazione anticomunista, nella quale, a slmiglianza di quanto venne già fatto durante la visita di V. E. a Berlino e nella riunione di Vienna dei tre Paesi dei protocolli di Roma, si pone in rilievo la necessità, da parte della Germania e dell'Austria, di fronteggiare il pericolo bolscevico.

2) Dichiarazione relativa alla situazione del Bacino Danubiano, secondo la quale vengono riconosciuti all'Austria il diritto e l'opportunità di agire nel qua-. dro dei Protocolli di Roma e si stabilisce la necessità di una preventiva consultazione austro-tedesca qualora l'Austria dovesse agire al di fuori di quella cornice.

3) Dichiarazione relativa all'opportunità che si intensifichino e si regolamentino gli scambi culturali tra la Germania e l'Austria, con particolare riguardo alle pubblicazioni, ai libri, alle cattedre universitarie, agli istituti di cultura. Notevole in proposito la circostanza che in tale dichiarazione si è ritenuto bene non toccare il campo degli scambi studenteschi, essendo questo molto delicato nei confronti della propaganda politica.

4) Dichiarazione relativa all'opportunità che mano a mano vengano eliminati gli ostacoli che ancora esistono per la libera circolazione, in ciascuno dei due Paesi, dei giornali pubblicati nell'altro. A tale proposito il governo austriaco si è impegnato ad autorizzare fin da ora la circolazione in Austria di altri due organi tedeschi, ambedue però di relativa importanza politica: la Berliner Zeitung am Mittag e la KOlnische Zeitung. Per ora non si è fatto parola di permettere la libera circolazione nel territorio del Bund di qualche organo del Partito nazionalsocialista.

E) Dichiarazione relativa all'opportunità di addivenire a nuove regolamentazioni nel campo dei rapporti economici e turistici fra i due Paesi. A tale proposito, dato l'imminenza della stagione invernale turistica in Austria, il governo tedesco si è impegnato ad autorizzare la emissione di lettere di credito, a favore di turisti tedeschi desiderosi di recarsi nelle montagne austriache, per un totale massimo di 50.000 scellini al giorno: Le trattative di carattere commerciale avranno inizio a Vienna il 7 dicembre.

6) Dichiarazione relativa all'opportunità che i due governi prendano di comune accordo le misure necessarie per facilitare la fine dell'emigrazione politica austriaca nel territorio del Reich. A tale proposito, e secondo quanto mi ha detto lo stesso Schmidt, aggiungo che i tedeschi all'inizio delle conversazioni si erano mostrati alquanto esigenti, pretendendo che l'Austria, con una qualche misura di amnistia, permettesse l'immediato ritorno in Patria della maggior parte dei rifugiati. Ma la resistenza austriaca era stata fortissima. Dopo una qualche discussione si è cosi raggiunto un accordo per il quale il governo di Vienna provvederà a studiare con benevolenza la situazione di un primo gruppo di 5 o 600 individui tra i più lievemente indiziati, perché essi possano raggiungere le loro case prima di Natale. In avvenire, tale studio sarà continuato allo scopo di facilitare il rimpatrio delle varie migliaia di fuorusciti tuttora residenti in Germania. Il governo austriaco però ha preteso che ciascuno dei rifugiati stessi facesse ad esso pervenire una richiesta intesa ad ottenere la revisione della propria situazione giudiziaria.

Di questo processo verbale non si fa evidentemente menzione, per le ragioni alle quali ho sopra accennato, nel comunicato ufficiale pubblicato nelle ultime ore della sera del 20. Circa la compilazione del comunicato stesso mi è stato riferito, da fonte qualche volta bene informata, (ma il dott. Schmidt non me ne ha fatto alcun cenno) che gli austriaci avrebbero a più riprese insistito perché vi fosse chiaramente menzionata la parola << indipendenza dell'Austria~. Ma, dopo non brevi discussioni, la richiesta sarebbe stata fatta cadere da parte tedesca. Aggiungo però che non ho fino a questo momento alcuna conferma di una tale controversia.

Con la firma di tali processi verbali la visita del signor Guido Schniidì' si è conclusa con risultati certamente positivi dovuti alla circostanza che, nel complesso, una volta rotto l'incantesimo che durava da oltre tre anni, dell'assoluta rottura di relazioni personali tra gli uomini di Stato dei due Paesi, l'atmosfera nella quale essa è stata preparata e si è poi svolta a Berlino, è andata mano a mano migliorando. Appare interessante constatare in proposito come fino all'ultimo momento e cioè fino a mercoledì 18 novembre, data della partenza dello Schmidt da Vienna, governo e stampa del Reich abbiano assolutamente taciuto sull'eventualità della visita stessa. Solamente martedì sera infatti la stampa ha avuto disposizione di salutare l'ospite: e ciò è stato fatto, occorre riconoscerlo, senza grandi clamori, ma in forma corretta e cordiale. Lo stesso VOlkischer Beobachter, organo massimo del partito nazionalsocialista, in un suo breve editoriale ritenne opportuno di esprimere la speranza e la persuasione che la soluzione dei problemi esistenti tra i due Stati tedeschi sarebbe stata trovata in uno spirito di sincera cordialità e con soddisfazione reciproca, con la coscienza del comune destino germanico imposto dalla comunanza del sangue. La Borsen Zeitung, a sua volta, organo notoriamente inspirato dalla Wilhelmstrasse, prediceva che i colloqui di Berlino avrebbero prodotto rapidamente buoni frutti perché i negoziatori sarebbero stati sostenuti nei loro sforzi dall'intera Nazione tedesca al di qual e al di là della frontiera. E la cattolica Germania, dopo aver ricordato che le relazioni fra Berlino e Vienna e fra Berlino e Roma erano state sottoposte ad un'ampia chiarificazione, ricordava che le dichiarazioni del conte Ciano relative agli effetti benefici della collaborazione itala-tedesca nei confronti dell'Austria (l) e il discorso del Duce a Milano ·erano chiari indizi che il terreno era stato opportunamente liberato e reso adatto ad un'opera di ricostruzione comune nel campo politico ed in quello economico. Ed infine l'ufficiosissima Diplomatisch-Politische Korrespondenz, in un numero dedicato alla visita del segretario di Stato d'Austria, affermava che essa rappresentava un simbolo del felice mutamento dei rapporti austro-tedeschi avvenuto dopo 1'11 luglio, mutamento il quale ha permesso alla Germania ed all'Austria di affermare la loro solidarietà germanica e di porre le loro forze,

d'accordo con l'Italia e con l'Ungheria, a disposizione dell'opera di ricostruzione europea.

Naturalmente, dal punto di vista tedesco, la atmosfera della visita veniva ricercata particolarmente nella comunanza della razza e del sangue tra i due Stati tedeschi, in ciò riprendendo il concetto contenuto nell'accordo dell'H luglio. E di tale significato si faceva eco lo stesso ministro degli Affari Esteri von Neurath nel brindisi, breve del resto e forse fin troppo conciso, da lui pronunziato nel banchetto ufficiale del palazzo presidenziale ed il cui testo, insieme con la risposta di Schmidt, è stato trasmesso a mezzo del Deutsches Nachrichten Bureau.

Da parte austriaca, dinanzi all'aumentare del tono e della cordialità, favorita e sviluppata particolarmente dagli ambienti della Wilhelmstrasse e della cosidetta ala conservatrice del regime nazista, si è manifestato un senso di viva soddisfazione.

Particolarmente significativo e importante è stato in proposito l'atteggiamento assunto dal generale Goring, il quale ha voluto monopolizzare per sé, per quasi un'intera giornata, gli ospiti austriaci, letteralmente colmandoli di cortesie. E alla colazione da lui offerta, durante la quale egli ha fatto suonare da un'orchestra la famosa Radetzki-Marsch e le più note musiche viennesi, ha voluto salutarli con un discorso del quale non è stato pubblicato alcun testo perché ritenuto forse troppo caloroso e pieno di ricordi.

Il solo punto oscuro è stato, ripeto qui le parole stesse dettemi dal signor Schmidt, l'atteggiamento di alcuni elementi della cosidetta « vecchia guardia » del partito nazionalsocialista. Il dott. Goebbels non si è mostrato ad alcuno dei festeggiamenti e non ha avuto alcun contatto personale con gli ospiti austriaci. E Alfred Rosenberg ha tenuto lo stesso contegno. Viceversa il ministro Hans Frank, che avrebbe avuto ragioni di personale risentimento, a causa del famoso incidente occorsogli nel 1933 a Vienna allorché per intimazione del Governo austriaco dovette riprendere senza indugio la via del ritorno verso la Germania, ha tenuto ad essere presente al pranzo offerto dal barone von Neurath.

Quanto ai rapporti con l'Organizzazione dei tedeschi all'estero, è interessante notare che, per merito sopratutto di von Papen, essi hanno avuto, durante il soggiorno berlinese, nuovi sviluppi dovuti ad una certa cordialità creatasi personalmente tra il Gauleiter Bohle e il dott. Schmidt, il quale ha anche visitato, nella mattina del 21, la sede di Berlino dell'organizzazione stessa. Si è anche parlato, in proposito, della possibilità di creare in Germania delle sezioni del Vaterltindische Front. Quanto ai tedeschi cittadini del Reich residenti nei confini dello Stato austriaco, la loro situazione e la loro attività son già state, come è noto, recentemente regolamentate ed autorizzate.

In conclusione, quindi, se può riassumersi in breve linea la visita austriaca a Berlino può dirsi che essa opportunamente inquadrandosi in quel ciclo di contatti personali tra gli uomini di Stato dei Paesi gravitanti sull'Asse BerlinoRoma, e che hanno trovato la loro espressione più alta e significativa nelle visite fatte dall'E. V. a Berlino, Vienna e Budapest, ha costituito la pratica affermazione di una rinnovata situazione di normalità tra due Stati che interessano particolarmente l'Italia.

ba parte dell'Italia. quindi, che con l'approvaz.ione dell'accordo dell'H luglio ha veramente aperto la strada alla pacificazione austro-tedesca, pur mantenendo l'Austria (come ha del resto molto opportunamente e bene affermato lo stesso dott. Schmidt nell'intervista da lui concessa all'Agenzia Stefani) nel quadro preciso dell'ossatura costituita dai Protocolli di Roma, la nuova fase dei rapporti austro-tedeschi può essere considerata con tranquillità se non addirittura con compiacimento. Naturalmente occorrerà non perdere alcuna occasione per trattare, da parte nostra, i due Stati tedeschi su un piede di piena parità morale, anche se essi appaiano e siano tanto diversi nella potenza e nella capacità. E ciò per evitare eccessivi slittamenti austriaci nei confronti del grande Reich germanico.

Si parla ora di una prossima visita del barone von Neurath a Vienna che dovrebbe avvenire nel prossimo gennaio. Il dott. Schmidt è ripartito alle 12 di stamane per Vienna a ì:Jorclo dell'apparecchio personale del generale Goring, che il ministro dell'Aria c:e! Reich ha voiuto mettere a sua completa disposizione (1).

(l) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (2) -T. 11440/541 R. del 20 novembre, ore 1,10. Riferiva sul contenuto dell'accordo segreto sottoscritto da von Neurath e da Schmidt, argomento trattato con maggiore ampiezza in questo telespresso. (3) -T. rr. 11472/544 R. del 21 novembre, ore 14,21. Magistrati comunicava che il ministro degli Esteri tedesco gli aveva dato lettura integrale dei verbali relativi ai colloqui con Schmidt e prcannunciava il presente telespresso.

(l) Ciano si era espresso in questo senso nelle dichiarazioni alla stampa rilasciate il 25 ottobre precedente al momento di partire c\a Monaco (vedi p. 324, nota 4).

458

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. ASSOLUTAMENTE RISERVATO 4406/609. Zagabria, 21 novembre 1936.

(per. il 23).

Faccio seguito al mio telespresso <<molto riservato» del 12 corr. n. 4262/595 (2).

In seguito alle tante voci corse circa il contenuto e la portata dei colloqui del principe Paolo col dott. Macek, parlando l'altro giorno con persona molto seria di questo ambiente croato io lasciai andare la frase che, anche con la miglior buona volontà, mi trovavo in un certo imbarazzo nel dover informare i miei superiori circa la reale situazione tra croati e serbi e circa l'importanza che, ai fini degli interessi italiani, potevano avere le mosse ed i colloqui del dott. Macek in questi ultimi mesi. Questo mio collega di Ungheria mi aveva anche dichiarato che una persona molto intima del dott. Macek gli aveva fatto sapere certe notizie intorno alle intenzioni del dott. Macek, che lo lasciavano un poco perplesso nel suo giudizio sulla attuale situazione da queste parti.

La persona alla quale io avevo detto la frase sopra riportata deve averla riferita al dott. Macek, il quale mi fece poco dopo sapere come egli avesse desiderato farmi alcune dichiarazioni che egli sarebbe stato ben contento se io avessi riferite testualmente ai miei superiori. Egli infatti intendeva seguire, come era successo nel passato, una linea di condotta che, essendo utile ai suoi croati, fosse anche simpatica per il governo italiano. Mandai pertanto al dott.

(21 N<m rim•vnutn.

51?.

Macek la persona di mia assoluta fiducia che già altre due o tre volte si era recata da lui per simile incarico ed ora trascrivo di seguito, tradotte quasi del tutto parola per parola, le dichiarazioni fatte dal dott. Macek, e che egli ha espressamente raccomandato siano possibilmente fatte conoscere a S. E. il capo del governo.

« Tutte le notizie che pullulano in Jugoslavia ed anche fuori di essa al riguardo di un mio accomodamento coi serbi sono fantasie prive di ogni fondamento. A me sono note le varie versioni del genere e io non le voglio smentire né rettificare perché con tale incertezza cresce la nervosità dei serbi e ciò va a nostro favore. Finora ho potuto già raggiungere che le opposizioni serbe riunite riconoscano i nostri diritti storici, cioè il Regno della Croazia, Slavonia, Dalmazia; esse riconoscono ugualmente la esistenza di croati nella Bosnia ed Erzegovina. Il governo di Belgrado è ben più disposto; tuttavia siamo molto lontano dal metterei d'accordo.

Data la politica di revisionismo del governo italiano, noi siamo tranquilli, perché tale linea di massima ci porterà alla libertà. Ma fino a quel momento ancora per noi imprecisabile, mi sono deciso di sistemare una tappa. Ho perciò riconosciuto i confini e la dinastia, essendo per noi croati più facile di collaborare ad una politica italiana di revisionismo in istato di maggiore libertà di azione, mentre sotto la attuale dittatura di parvenza liberale ciò è quasi impossibile. Ma anche in questa tappa io tengo fermo e rimango sul mio vecchio punto di vista. annullamento del regime d'Alessandro, libere elezioni per la costituente, ritorno all'anno 1918 e noi padroni del nostro suolo, sia pure entro gli attuali confini statali e con la attuale dinastia, dal momento che non sta in me, per ora, di modificare questi due elementi.

Le mie recenti udienze dal principe Paolo, tanto discreditate e vilipese, non avevano altro che un carattere puramente informativo. Il principe, che in ogni occasione ascolta sulla situazione croata ma dalla bocca dell'ambiente belgradese, desiderava di conoscere dalla mia bocca, a quattro occhi e del tutto francamente, come io veda la questione croata. Omettendo, -è naturale, -l'affare della tappa, ripetei ciò che ho tante volte detto e che è anche più sopra riprodotto: riconosco i confini e la dinastia, chiedo il ritorno all'anno 1918, la soppressione del regime alessandrino, le libere elezioni, la Costituente e la nostra indipendenza (autonomia) sul nostro suolo.

Dunque nessun accordo! Il recente discorso del Duce a Milano, che noi prendiamo molto sul serio, ha indirettamente confermato la mia linea di condotta.

A me è ben noto che tutte queste nuove premure dei serbi per conseguire

l'accordo, mirano soltanto ad ottenere un grande prestito ingleSe (tre-InniardÌ

di sterline). Ma l'Inghilterra vuole anzitutto una Croazia soddisfatta corresponsabile col governo, che parteciperebbe a garantire il prestito, rispettivamente il reale impiego del denaro. In un governo di conciliazione i croati dovrebbero avere, perlomeno, uno dei portafogli più importanti, o quello della Guerra o degli Esteri. Solo in tal caso il prestito diverrebbe nuovamente probabile. Non ho mancato di ripetere anche recentemente a Seaton Watson che l'Inghilterra non può fare il conto sulla partecipazione dei croati a qualsiasi guerra, spalla a spalla coi serbi.

37 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

Va da sè che noi croati preferiamo di fare una politica con l'Italia che con l'Inghilterra; quella è nostra vicina, è forte, e lo scambio di merci con essa si completa a meraviglia. La tragedia della politica di Belgrado è di avere sempre alleati lontani: o la Russia, o la Francia o l'Inghilterra; ebbene, e con quale risultato?

I comunisti sempre più baldanzosi, non recano a noi molto danno. Ogni tanto le nostre file si purgano di qualcuno di loro. Le recenti elezioni comunali hanno dimostrato che non è neppure necessaria la compatta affluenza del popolo alle urne per confermare il mio partito. Non nego però che dobbiamo essere molto vigili. Il comunismo si nutre della dittatura. Con ciò non alludo all'Italia, perché ivi non regna la dittatura ma una provvida e mirabile socializzazione di ogni ramo della vita della Nazione, che non trova pari al mondo.

I nostri governanti hanno ben compreso che il capoverso a loro riguardo del discorso di Milano non era altro che una frase di convenienza, perché sanno che ogni avvicinamento italo-serbo andrebbe a danno dell'amicizia dell'Italia con la Bulgaria, con l'Ungheria, con l'Albania e probabilmente anche con quella dell'Austria. Io, per tale motivo, giudico la recente campagna di stampa del Piccolo di Trieste, come diretta a conseguire soltanto migliorie commerciali fra i due Stati e nulla più.

Riconosco e confermo che ho rotto ogni relazione coi frankiani, perché essi mirano a colpire il mio partito sempre alle spalle.

Non conosco il testo preciso delle parole dell'ing. Kosutic, in occasione della udienza presso il capo del governo italiano. Mi è soltanto noto che il Duce avrebbe richiesto a Kosutic di parlare col dott. Pavelic. Kosutic si è rifiutato ed io ho poi approvato tale rifiuto.

Per me il dott. Pavelic effettivamente non rappresenta più la opposiz10ne croata all'estero e con lui non ho più alcuna relazione.

Anche sotto l'Austria i frankiani facevano sempre una politica odiosa. I frankiani non hanno alcun programma di massima, ma mirano soltanto a fare del male e a creare intrighi in ogni evoluzione politica. Hanno avuto una scissura anche nel loro esiguo numero di aderenti: attualmente c'è una parte frankiana con tendenza filo-italiana col dott. Pavelic e consorti. Poi c'è quella nazista col dott. Bue e col Rev. Don Segvic di Zagabria. Questi nel loro servilismo verso Berlino, hanno trovato che nelle vene dei croati scorre sangue celtico, perchè sanno che il cavallo di battaglia di Hitler è la purità del sangue, ciò che per me è una cosa ridicola. Infine, i frankiani hanno una terza linea, quella di Vienna col generale Sarkotic, colonnello Percevic ed altri.

Tengo a smentire la voce sparsa dai frankiani che il partito dei contadini croati non sia amico della politica italiana. Ciò non è vero. Date però le attuali nostre condizioni dittatoriali, seppure raddolcite, non trovo opportuno, né savio di esporre troppo il partito perché con lo scoprire le carte non faremmo che rendere ancora più dura la vita della Nazione Croata. Questa saprà in tempo debito incanalarsi nella azione opportuna e necessaria e contribuire alla riscossa » (l) .

(l) Questo docunH:>nto ha il vi~:;to eli Mnsc:;olini. (l) -Il documento ha il visto di Mussolinl.

459

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. -POSTA R. 6641/1936. Belgrado, 22 novembre 1936 (per. il 26).

Ho preso occasione del colloquio nel quale ho comunicato a Stojadinovic -mio telegramma per corriere n. 0105 (l) -l'avvenuto riconoscimento da parte nostra del governo del generale Franco, per ringraziare il presidente del Consiglio dell'attenzione -che qui mi si dice eccezionale -usata a V. E., di ritorno da Budapest, facendone precedere il treno, sul tratto jugoslavo, da una macchina-staffetta. Stojadinovic mi ha detto che egli era stato particolarmente sensibile al fatto che l'E. V. avesse, sia pur rapidamente, voluto traversare il territorio jugoslavo. Mi ha, poi, aggiunto che era stato completamente soddisfatto e tranquillizzato dalle dichiarazioni, direttamente confermate dall'E. V. al rappresentante diplomatico a Budapest, e da questi telegrafategli, circa la portata del discorso di Milano nei riguardi del revisionismo ungherese, per quanto concerne la Jugoslavia. In effetti, la stampa jugoslava si era astenuta dall'unirsi, sopratutto sul tono, al coro di quella piccola-intesista in materia di revisionismo ungherese. Egli considerava la cosa unicamente sul terreno pratico dei diretti interessi jugoslavi, e, malgrado le vivissime pressioni che gli sono state fatte da Parigi, da Praga e da Bucarest per un'azione comune antirevisionista, si è mantenuto su tale linea di condotta che egli ha confermata, del resto, nel discorso recentemente pronunciato a Bitolj, nel quale ha espressamente parlato di difesa delle frontiere jugoslave, evitando qualsiasi accenno a solidarietà con altri difensori.

A proposito di stampa, ho creduto opportuno, ad ogni buon fine, segnalargli l'impressione non favorevole prodotta dal fatto che le recelìti pubblicazioni dei giornali italiani, a commento del discorso del Duce, sopra il futuro delle relazioni itala-jugoslave, fossero state qualificate da qualche giornale jugoslavo come una «campagna », qualifica che era del tutto fuori delle intenzioni degli autori di tali pubblicazioni, come, e sopratutto, dall'impostazione della questione così nettamente fissata nel discorso di Milano.

Stojadinovic ha argomentato sulla effettiva portata della parola «campagna», concludendo che, dato il momento e le pressioni suaccennate, dovevamo, in linea generale, riconoscere che la stampa jugoslava si era, nei nostri confronti, portata bene. Nei riguardi della questione principale, Stojadinovic, pur confermandomi le sue favorevoli e fiduciose disposizioni, ha continuato a mantenersi sulle generali, accennandomi alla necessità di continuare a creare ambiente. Confermo, quindi, l'impressione, da me accennata nel mio telespresso n. 6581/1906 del 19 corrente (2) che pur esistendo, effettivamente, favorevoli disposizioni e convenienze, si voglia indugiare a parlare in concreto, in attesa di conoscere quali finiranno per essere le nostre definitive posizioni nei riguardi di Londra, ove il principe Paolo continua le sue conversazioni (3).

(l) -Con T. per corriere 11501/0105 R. del 21 novembre, Indelll riferiva di avere effettuato presso Stojadinovic il passo prescrittogli (vedi D. 444) per sollecitare il riconoscimento del governo di Burgos da parte della Jugoslavia. Stojadinovic aveva assicurato che il rappresentante jugoslavo a Madrid sarebbe entrato in rapporto di fatto con il governo del generale Franco al momento dell'ingresso delle truppe nazionali nella città. (2) -Non pubblicato. (3) -Questo documento ha il visto di Mussollnl.
460

IL GENERALE ROATTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 569-570-571. [Salamanca], 23 novembre 1936, ore 16 (l).

Riferimento suo telegramma a mano n. 5015 R. del 15 corr. (2).

A seguito telegramma 516 (3), Franco comunica seguente risposta all'enunciato patto avvocato Maspons Anglasell: l) movimento nazionale non tende a centralizzazione amministrativa, bensì a decentramento in ambito Stato forte. In dichiarazione governo Burgos primo ottobre propositi per relazioni furono chiaramente determinati; 2) Stato spagnolo può concepire rappresentanti antichi partiti catalani solo come esponenti di un settore popolo catalano desideroso giungere a una pace non disgiunta da unità patria, escludendo idea secessione; 3) Stato spagnolo conscio suo dovere tende ogni mezzo felicità Paese facendo scomparire sentimenti odiosi e rancore fra spagnoli, non adotterà nessuna soluzwne dei problemi regionali che sia umiliante per popolo catalano; 4) In dichiarazione primo ottobre è espresso principio personalità e particolare interesse regionale; 5) Salvo accordi economici dei quali si avvantaggiò paese basco sono compresi singoli punti programma nuovo Stato; 6) Proposito del movimento nazionale sarebbe stato giungere formazione incruenta nuovo Stato. Marasma del Paese distribuzione armi a irresponsabili e asservimento uomini politici a stranieri hanno scatenato invece dura guerra civile che, malgrado proposito prima detto, sarà combattuta con massima decisione fino raggiungimento scopo prefisso. Si accetta ogni corrente che venga a governo Burgos senza infirmare suo programma e senza tendere a soluzioni che renderebbero sterili passi sinora compiuti; 7) Migliaia catalani di tutte classi sociali partecipano già movimento nazionale. Adesione nuovi settori popolo catalano abbrevierebbe lotta agevolando realizzazione programma nuovo Stato (4).

461

L'INCARICATO D'AFFARI A BERNA, MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11522-11523/156-157 R. Berna, 23 novembre 1936, ore 18,50 (per. ore 0,05 del 24). Mio telegramma n. 153 (5).

Ho veduto questa mattina l'on. Motta al quale ho ripf:tuto le comunicazioni di cui al telegramma di V. E. n. 5078 (6). Ho specialmente messo in luce il pensiero del R. governo secondo cui, nell'interesse generale Europa è necessario che,

di fronte alle prove ingerenza bolscevica in Spagna, ogni governo amante dell'ordine e della pace assuma le proprie responsabilità solidarizzandosi con coloro che combattono per libertà loro Patria.

L'on. Motta mi ha risposto che ormai non c'è più alcun dubbio che il «cosidetto governo regolare» (sono sue parole) sia nelle mani dei bolscevichi. Atteggiamento Svizzera nei riguardi dell'U.R.S.S. e del comunismo in generale era noto. La Svizzera, ha continuato Motta, con adozione misure embargo e non intervento verso entrambe le parti ha, sin dal primo momento, implicitamente riconosciuto la qualifica di belligeranti alle truppe di Franco, non considerandole quindi come insorti. Egli mi ha confermato le ragioni che non consigliano oggi alla Svizzera il riconoscimento del governo di Burgos e cioè i gravi interessi economici giustificabili finanziariamente e la presenza di numerosi cittadini svizzeri nelle zone tuttora in possesso dei rossi e, sopratutto, in Catalogna. Finchè Franco non si renderà padrone della situazione, la Svizzera non potrà mutare proprio atteggiamento per non esporre concittadini e beni a violente rappresaglie.

Motta mi ha detto oggi che passo italo-tedesco era da tempo prevedibile e quindi il suo annunzio non l'ha sorpreso. Egli aveva da parecchi giorni avuto attendibili informazioni. In occasione del viaggio di V.E. a Berlino ed a Berchtesgaden, i governi italiano e tedesco avevano concordato loro imminente azione nei riguardi della Spagna. Personalmente egli l'approva pienamente. La Svizzera però, egli mi ha detto, piccolo Paese ed eminentemente neutrale, non poteva, in questa circostanza assumere un atteggiamento decisivo come potevano farlo le grandi Potenze. Ciò nondimeno la Svizzera avrebbe riconosciuto il governo di Burgos appena possibile. Motta ha concluso dicendo di sperare molto che il prevedibile riconoscimento di molti Stati sudamericani avrebbe favorevolmente rischiarato la situazione.

Motta mi ha informato, infine, che stamane aveva appreso per telefono dall'incaricato d'affari Svizzero a Madrid che il governo regolare aveva rifiutato la sua proposta di una zona neutra per la popolazione civile (mio telegramma

n. 152) (1), formulando scusa che era impossibile scegliere un quartiere.

Invio per corriere testo nota verbale inviata a questo governo circa riconoscimento italiano.

462.

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11529/194 R. Varsavia, 23 novembre 1936, ore 22 (per. ore 2,40 del 24).

Mio telegramma n. 191 (2).

Ho comunicato a Beck l'avvenuto riconoscimento da parte nostra del governo di Franco. Mi sono dilungato ad esporgli le ragioni che militavano in favore

di un pronto riconoscimento da parte di tutti i Paesi di ordine tanto più se anticomunisti come la Polonia. Gli ho detto come a noi stesse a cuore e come avremmo visto con soddisfazione anche la Polonia prendere una decisione.

Beck mi ha ascoltato attentamente. Ha detto poi che tutte le simpatie del governo polacco erano naturalmente per i nazionali. La Polonia però doveva procedere con una certa cautela tenendo anche presenti le considerazioni d'ordine generale. La propria situazione rispetto alla Spagna era poi ben diversa dalla nostra. Ad ogni modo egli contava di riconoscere il governo di Franco per gradi. Aveva intanto dato disposizioni che l'incaricato d'affari polacco rimanesse a Madrid e non appena possibile prendesse contatto con le autorità nazionali. Si proponeva, poi, di telegrafare al proprio ministro a Saint Jean de Luz di raggiungere Madrid non appena si stabilissero le comunicazioni con la capitale. Egli ha osservato che così ogni rapporto coi rossi sarebbe venuto a cessare, mentre automaticamente verrebbero stabilite relazioni normali di fatto col generale Franco. Contava poi di avvalersi della prima occasione favorevole per riconoscerlo anche di diritto.

Ho detto a Beck che speravo che ciò non tarderà molto e l'ho pregato ad ogni modo di tenermi informato. Riferirò ulteriori scambi possibili. Ritengo d'altra parte che un passo analogo al mio da parte di questo nunzio non potrebbe che giovare.

(l) -Questo telegramma fu comunicato con numero di protocollo S/1543 tramite il Servizio Informazioni Militare ove era giunto alle ore 24. (2) -Vedi D. 417. (3) -Non rinvenuto. (4) -Il 26 novembre, Roatta era incaricato di comunicare a Franco che, essendo rientrato a Roma il console Bossi, non vi erano più possibilità di contatti con l'avvocato Maspons Anglasell(De Peppo al ministero della guerra-S.l.M., telegramma 20503/515 R. segreto del 26 novembre, ore 17). (5) -T. 11448/153 R. del 20 novembre, ore 22,40. Riferiva di avere compiuto il passo prescrittogli dal telegramma circolare del 19 novembre. (6) -Vedi D. 444. (l) -T. 11380/152 R. del 19 novembre, ore 20,25. Riferiva che il governo svizzero aveva pregato il Comitato internazionale della Croce Rossa di proporre ai due belligeranti la creazione a Madrid di una zona neutra dove la popolazione civile potesse trovare rifugio. (2) -T. 11429/191 R. del 20 novembre, ore 19,27. L'Ambasciatore Arane riferiva di aver chiesto udienza a Beck per comunicargli il riconoscimento del governo di Franco da partedell'Italia.
463

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH

T. 5127/488 R. Roma, 23 novembre 1936, ore 24.

Suo telegramma 588 (l).

V. E. potrà dare a codesto governo netta e formale assicurazione che, sia nelle intese itala-tedesche, sia in eventuali intese itala-giapponesi nulla vi è

-o vi sarà che possa essere interpretato in senso antagonistico agli interessi degli Stati Uniti d'America. La collaborazione itala-tedesca in senso antibolscevico, e l'eventuale identità di vedute del governo di Tokio, mirano a porre un freno alla attività della Terza Internazionale che minaccia pericolosamente la civiltà occidentale, come gli avvenimenti di Spagna chiaramente dimostrano. È anche con questo intento che i governi italiano e tedesco hanno deciso di riconoscere il governo del generale Franco: il possesso da parte di questo ultimo di tre quarti del territorio spagnuolo, la mancanza di legittimità del Gabinetto Largo Caballero, l'abbandono di Madrid da parte del presidente della Repubblica e del governo rosso (2), la carenza di autorità responsabili nelle zone in possesso dei rossi, autorità quasi ovunque soverchiate da elementi anarchici, la mancanza di ogni sicurezza per la vita ed i beni degli stranieri sono tutti argomenti che giustificano ampiamente decisione adottate dal R. governo.
(l) -Vedi D. 451. (2) -Il governo si era trasferito a Valencia il 7 novembre.
464

IL GENERALE ROATTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 547. [Salamanca], 23 novembre 1936 (per. il 24) (1).

Suo telegramma a mano n. 5077 R. del 19 c.m. (2).

Generale Franco assicura V. E. che operazioni saranno continuate «con tutta l'energia possibile», tanto per conquista Madrid, quanto successivamente. Su Madrid, oltre undici battaglioni già annunziati, saranno impiegati altri diciotto battaglioni provenienti Marocco che saranno in linea fra una diecina di giQrni. Attacco nella direzione sinora seguita viene scartato e con battaglioni suddetti si opererà per la destra scopo tagliare comunicazioni a sud capitale. Personalmente ritengo che operazioni Madrid saranno effettivamente proseguite decisamente ma esprimo dubbi su susseguente rapida ripresa operazioni. Questo perché truppe abbisognano grande riorganizzazione e perché esse sono tuttora generalmente orientate, insieme a loro ufficiali, a considerare occupazione Madrid come punto di arrivo completamente risolutivo e non come punto successiva partenza. Naturalmente missione, insieme o senza germanica, reagisce continuamente contro tale stato di animo sia presso Stati Maggiori, sia presso truppe di linea.

465

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11568/0131 R. Vienna, 23 novembre 1936 (per. il 25).

Mio telegramma n. 262 del 21 corrente (3).

Più che dei risultati pratici, del resto molto modesti e sui quali sarà il caso di ritornare, è da tener conto del significato politico del convegno di Berlino. Esso è risultato una piena e calorosa conferma dell'accordo austro-germanico dell'l! luglio e della più leale sua applicazione. In particolare, le manifestazioni e dichiarazioni del Fiihrer, di cui si esageravano le ripugnanze all'accordo, costituiscono un riconoscimento non solo delle ragioni fondamentali di esso a favore dell'indipendenza statale dell'Austria, ma ancora della stessa azione politica del Cancelliere Schuschnigg (comunicato sul colloquio Hitler-Schmidt). La posizione personale del Cancelliere e la sua politica ne dovrebbero risultare rafforzate, anche nel campo dei « nazionali» austriaci.

In secondo luogo, ha massima importanza che non solo Hitler e von Neurath, ma anche Goering abbia aderito, senza difficoltà, alla più lenta e limitata

attuazione delle clausole politiche dell'accordo (questione degli emigranti, riammissione di giornali ecc.). È stato questo un insuccesso di von Papen e del suo zelo di fronte al Partito cuil non è gradito. Berlino ha mostrato con ciò piena comprensione delle necessità ed opportunità fatte valere dal governo federale per un'azione graduale che non dia luogo a turbamenti interni, politici ed economici. Non si è quindi verificato neanche il tentativo, che qui era oggetto di preoccupazioni alla vigilia del viaggio di Schmidt, di una condiscendenza e d'un appoggio di Berlino alle impazienze dei nazionali austriaci.

In terzo luogo, non è stata, nè chiesta, nè consentita da Schmidt alcuna concessione nei riguardi del partito nazionalsocialista. Esso nell'accordo dell'll luglio era espressamente vietato in Austria. Tale resta ad ogni effetto, così come è vietato in Austria ogni altro partito. Perciò Zernatto potè riaffermare l'altro ieri in un discorso, molto commentato, l'esclusivo privilegio del Fronte Patriottico quale organismo politico unico, smentendo l'esistenza di codicilli e la fondatezza di interpretazioni in contrario all'accordo austro-germanico. Goering ha espressamente autorizzato Schmidt a non tener conto degli atteggiamenti di organi e giornali del partito nazionalsocialista e di rivolgersi direttamente a lui ogni qualvolta siano creati da questa parte imbarazzi all'opera del governo federale.

Nella stessa linea dell'indipendenza da ogni intromissione del Partito come tale va interpretato anche il fatto che, d'accordo con von Neurath e Goering, Schmidt non ebbe alcun contatto con gli esponenti direttivi del partito e si limitò a fare una visita a Bohle, capo dell'organizzazione dei tedeschi all'estero, che era stato alcune settimane or sono a Vienna. «Tedeschi all'estero» sono quindi a tutti gli effetti, anche di partito, i cittadini germanici abitanti in Austria.

Riferisco separatamente sui commenti dei giornali e confermo che il testo del promemoria firmato a Berlino --« breve promemoria » Gediichtnisschriff e non protocollo lo chiama anche un comunicato berlinese del 21 corrente corrisponde al riassunto datone nel mio telegramma n. 262.

(l) -Il telegramma fu comunicato tramite il Servizio Informazioni Militari con numero di protocollo S/1522. Manca l'indicazione dell'ora di partenza e di arrivo. (2) -Vedi D. 443. (3) -T. 11491/262 R. del 22 novembre. Riferiva su un colloquio avuto con il ministro degliesteri austriaco, Schmidt, subito dopo il ritorno di quest'ultimo dal suo viaggio in Germania (dove si era recato il giorno 19) e sul contenuto dei documenti sottoscritti da Schmidt in quell'occasione (in proposito si veda quanto riferiva l'incaricato d'affari a Berlino, Magistrati, D. 457).
466

REGOLAMENTO PROVVISORIO DI INTERSCAMBIO COMMERCIALE TRA LA SPAGNA E L'ITALIA (l)

Salamanca, 23 novembre 1936.

I sottoscritti, rappresentanti dei governi italiano e spagnolo, col vivo desiderio di incanalare gli intercambi commerciali tra i due Paesi, e mentre si

Su l'azione svolta allora dall'Italia nel campo dei rapporti commerciali con il governo di Burgos vi è il seguente appunto in data 3 dicembre, non firmato:

«L'azione svolta per riallacciare al più presto possibile le relazioni commerciali con la Spagna nazionalista al fine di conservare quanto più si potesse l'influenza economica dell'Italia in !spagna mettendo nello stesso tempo salde basi al futuro sviluppo di più intense correnti di traffico fra i due Paesi, può riassumersi nel seguenti punti:

l) Baleari. Si fece subito sentire il bisogno di organizzare regolari rifornimenti di Maiorea ed Ibiza. Essendo limitate le possibilità di pagamento a Maiorca ci si è preoccupati

arrivi alla conclusione di un accordo commerciale, hanno deciso di regolamentarli in un modo provvisorio, in base alle seguenti disposizioni:

l) Tutte le transazioni commerciali mutue verranno sottomesse al regime di autorizzazioni previe di esportazione e di importazione, obbligandosi entrambi i governi a concedere le une e le altre colla massima ampiezza compatibile colle necessità di ognuno dei governi stessi, rimanendo inoltre bene inteso che su richiesta di una delle Parti contraenti, l'altra darà la preferenza possibile ai prodotti che specialmente le interessino.

2) Nel comune desiderio di dare sviluppo alle relazioni commerciali e

mentre il governo spagnolo non conosca con esattezza la totale disponibilità

di esportazione di quei prodotti che interessano specialmente all'Italia, le comu

nicherà colla periodicità possibile i quantitativi degli stessi che può mettere a

sua disposizione.

3) Rimane inteso che la liquidazione dell'intercambio si stabilisce sulla

base di un conto di compensazione.

A tale scopo gli importatori italiani liquideranno i loro debiti provenienti

da compere fatte in Spagna, mediante versamenti in lire in un conto che

l'Istituto Nazionale dei Cambi con l'Estero in Roma aprirà a nome del Banco di

Spagna o dell'organismo che il governo spagnolo incarichi di questa gestione.

Le operazioni che si siano convenute in altra divisa che non sia la lira si convertiranno al cambio vigente in Italia il giorno del versamento.

Il Banco di Spagna in Burgos, o l'organismo che il governo spagnolo incarichi di questa gestione, disporrà su detto conto per pagare le importazioni provenienti dall'Italia che si liquideranno al cambio vigente in Spagna per la divisa nella quale la operazione sia stata concertata.

I due governi raccomanderanno agli importatori e agli esportatori dei due Paesi di effettuare le loro operazioni commerciali preferibilmente espresse in lire italiane.

specialmente di fare in modo che la riattivazione dei traffici tra le Isole ed il Continente

si compisse escludendo ogni esagerato lucro. Di questo compito fu dato l'incarico all'Ente

Nazionale Fascista per la Cooperazione ed al suo organismo economico l'Ente Centrale Approvvigionamenti delle Cooperative di Consumo (E.C.A.). La Banca del Lavoro ha finanziato l'impresa dietro garanzia del R. Governo.

2) Linea marittima. Si prospettò immediatamente la necessità di collegare le Baleari con l'Italia per mezzo di una linea marittima. La Società Tripcovich fu incaricata di questo servizio e lo disimpegnò con due piroscafi «Guido Brunner » e «Tre Marie >>, rivelatisi poi non sufficienti allo scopo. Dopo accordi con la Marina Mercantile è stata incaricata la Società Tirrenia di organizzare un servizio quindicinale col piroscafo «Città di Bengasi>>. Tanto la linea Tripcovich come quella Tirrenia sono state prolungate fino a Siviglia con percorso quindicinale. Le tariffe della linea marittima sono state stabilite con criteri politici e la spesa calcolata approssimativamente in 100.000 lire al mese è sostenuta dal Tesoro Italiano.

3) Linea aerea. Si provvide alla creazione di una linea aerea Roma-Pollenza-Palma, settimanale, e dal 1° dicembre la linea stessa è stata prolungata fino a Cadice con solo scalo a Melilla e da settimanale è divenuta bisettimanale.

4) Accordo commerciale. Le trattative segrete per giungere ad un accordo commerciale, non essendo a quel momento ancora dall'Italia riconosciuto il governo di Burgos, si sono svolte per mezzo del signor Boldori, Agente della Fiat che conosceva a fondo cose e persone della Spagna avendovi a lungo risieduto per motivi dei suoi affari. Un accordo commerciale provvisorio è stato firmato il 23 Novembre u.s. ed è basato su un conto di compensazione in lire italiane con un saldo a favore della Spagna del 30% al massimo, necessario ad ammortizzare il debito spagnuolo per forniture precedenti di carattere speciale (All. 1°).

5) Altre attività. Si è dato corso a domande del rappresentante ufficioso in Italia per l'esportazione in !spagna di merci necessarie all'esercito ed alle popolazioni dei territori liberati; si sono importate larghe quantità di minerali di ferro e di rame per il Monopolio Metalli nonché forti partite di olio di oliva per il raffinamento in Italia, ecc. ecc. Per la linea aerea fu espresso dai tedeschi il desiderio che si addivenisse ad un allacciamento con il servizio aereo germanico. La richiesta ebbe favorevole accoglienza, ma i tedeschi non hanno piùripreso la loro iniziativa ».

Parlando dell'Etiopia, Hertzog ha dovuto riconoscere che quel Paese non poteva che guadagnare sotto l'amministrazione italiana ma in quanto al riconoscimento dell'Impero ha lasciato comprendere che occorreva anzitutto che fosse presa una decisione comune a Ginevra. Nessun accenno Hertzog ha fatto alle relazioni itala-britanniche. Durante conversazione Hertzog ha marcatamente mantenuto un tono estremamente cordiale ed ammirativo per l'Italia fascista (1).

(l) Le trattative per un accordo commerciale erano state avviate dalla giunta di Burgos che inizialmente le aveva affidate al suo rappresentante a Roma, marchese Magaz, (T. Pedrazzi 9612/336 R. del 28 settembre) ed e1rano poi proseguite a Salamanca attraverso l'agente generale della Fiat in Spagna, Boldori (Ciano al console a Tangeri, De Rossi, T. 4443/187 R. del 7 ottobre).

470

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 8663/1215. Atene, 24 novembre 1936 (per. il 28).

A conclusione dei precedenti rapporti sulle giornate celebrative di Grecia (2), ho l'onore di prospettare a V. E. i seguenti punti di rilievo dal punto di vista interno e relativamente ai. rapporti di questo Paese con l'Italia.

l. Le manifestazioni hanno dimostrato una ripresa sensibile dei sentimenti monarchici fra la massa popolare, che lascia apparire rinforzata anche in profondità la posizione dell'attuale Sovrano.

2. -La preparazione e lo svolgimento delle manifestazioni stesse, hanno rivelato, nel loro ordine perfetto, una larga presa di contatto de~ governo ditta-: toriale di Metaxas con la gran massa del Paese, attraverso i suoi nuovi metodi e organi di azione politica e sociale. 3. -La partecipazione popolare è stata imponente e il tributo nazionale reso alle Reali vittime delle tragiche avventure degli ultimi anni viene sottolineato negli ambienti politici come segno di crescente distenzione interna. Con le presenti manifestazioni potrebbe considerarsi chiusa una delle pagine più penose della funesta guerriglia civile dei vecchi partiti personali, di cui sono scomparsi gli esponenti più rappresentativi. Resta da liquidare una triste eredità di rancori che non fanno però presa sulle grandi zone medie, nelle quali il nuovo regime di forza cerca anehe il consenso popolare. Il silenzio che si fa sulla scena politica del passato, vuota dei suoi maggiori attori, facilita la polarizzazione istintiva delle masse, stanche ed esauste dei disordini e degli sperperi precedenti, intorno al nuovo esperimento autoritario. 4. -Le solenni onoranze a Re Costantino hanno avuto così anche il significato di una specie di cerimonia espiatoria, che dovrebbe suggellare la fine di un'epoca travagliatissima della Grecia contemporanea e indirizzare più libera1mente le forze sane e attive del Paese a dimenticare il passato e a lavorare per il futuro. 5. -Ho avuto già l'onore di riferire a V. E. (3) sugli apprezzamenti non soltanto ufficiali, ma sopratutto popolari, della partecipazione italiana a queste giornate nazionali greche, e dei solenni tributi resi alla magnanima ospitalità e al cavalleresco gesto del nostro Paese e del suo Duce. Conviene aggiungere

che la nostra rappresentanza navale ha lasciato una impressione quanto mai viva di simpatia e di ammirazione in mezzo al popolo, che è stato in questi giorni non solo quello della capitale, ma anche quello di provincia, venuto in gran numero per l'occasione da tutte le parti della Grecia, e perfino dai più remoti villaggi.

6. La vasta risonanza popolare della partecipazione italiana ha colpito l'attenzione dei rappresentanti stranieri in questo Paese. Anzi, da indiscrezioni di miei colleghi del corpo diplomatico risulterebbe che la legazione britannica non ha accolto senza malumore l'eco delle manifestazioni che segnano indubbiamente una nota di singolare interesse nei rapporti fra Italia e Grecia (1).

(l) -Per il seguito vedi D. 565. (2) -Per il ritorno in patria delle salme di Re Costantino e della Regina Sofia. (3) -Vedi D. 445.
471

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11579/690 R. (2). Parigi, 25 novembre 1936, ore 14,50 (per. ore 19,45).

Trovandomi ieri con Léger per parlargli di vari affari, assistetti ad una conversazione telefonica che egli ebbe con Londra, durante la quale Léger disse a Corbin che dichiarazioni di Eden al Parlamento lunedì scorso (3) avevano prodotto migliore impressione in Francia dove ci si era compiaciuti di constatare che l'Inghilterra aveva convenuto circa necessità di non riconoscere ai partiti spagnoli carattere di belligerante per continuare in tal modo a mantenere di fronte agli avvenimenti spagnoli linea di condotta identica a quella della Francia. Aggiunsegli istruzioni di esprimersi in tal senso al Foreign Office.

Riferendosi quindi a quanto avevo udito, Léger mi parlò lungamente della Spagna. Riassumo punti essenziali: La Francia non ha fino ad ora sentore dell'intenzione sovietica di far uscire navi da guerra dal Mar Nero per scortare eventuali convogli (notizia pubblicata dai giornali di ieri). Léger ha pertanto telegrafato subito ad Ankara per appurare se sia stato dato al governo turco preavviso richiesto. Dubita che U.R.S.S. pensi ad una simile azione la quale sarebbe di natura tale da far decadere ipso facto patto franco-sovietico, il cui substrato è il mantenimento [pace]. Venuta della flotta sovietica nel Mediterraneo metterebbe, infatti, a repentaglio la pace per non dire addirittura che renderebbe inevitabile la guerra.

Léger sviluppò quindi ragioni che indussero Francia ad influire su Inghilterra perché si astenesse dal riconoscere carattere belligerante ai partiti opposti spagnuoli, e ricordò che la Francia dichiarò propria neutralità e propose anche agli altri Stati di adottare stessa linea di condotta, guidata unicamente dal pensiero di salvaguardare la pace. Tale atteggiamento costò molto al governo del Fronte Popolare francese, dato che esso poteva apparire come atto non amichevole per il governo del Fronte Popolare spagnolo il quale, al principio

di agosto, non era ancora [colpito] dall'influenza anarchica o comunista che [si sviluppò] alcune settimane dopo.

[Comitato] per la neutralità di Londra, a causa del carattere amministrativo che si volle dargli, non può [adempiere] opera affidatagli ed espresse dubbi circa opportunità dei duelli oratori che si svolsero e che consistettero [nell'] accusarsi reciprocamente di aiutare i partiti opposti. Verità è che U.R.S.S. da un lato, Italia e Germania dall'altro, sono impegnatissime a fare trionfare le loro ideologie. Materiale da guerra si accumula nei due campi opposti. Minaccia nella forma (l) ha posto in giuoco prestigio dei vari Paesi. Si sono già verificati e si ripetono atti di guerra veri e propri ed uno qualsiasi di essi potrebbe assumere carattere tale da provocare la guerra. Donde necessità per Francia e Inghilterra di mantenere linea di condotta concordata e prudentissima che impedisce diritto di visita, dato che esso costituisce pericolo per la pace. Governo francese era conscio della situazione e stava pensando al mezzo di risolvere tal punto.

A giudizio di Léger, doveva essere scartato assolutamente tanto ricorso alla S.d.N. quanto un tentativo di mediazione fra i partiti spagnoli. II primo sarebbe destinato ad un insuccesso clamoroso e segnerebbe certamente la morte della S.d.N. II secondo giungerebbe troppo tardi quando sono già impegnati i vari prestigi di grandi Stati e di ideologie differenti, cosicché sortirebbe un risultato opposto a quello che si vuole ottenere: accelererebbe cioè la guerra.

Unico mezzo che la può evitare è una sincera spiegazione tra Inghilterra, Francia, Italia, Germania e Russia circa scopi da esse rispettivamente perseguiti nei riguardi della Spagna, all'intento di concordare e di mantenere una neutralità non fittizia, ma sincera, in modo che i partiti spagnoli sbrighino la lotta intrapresa da soli o -meglio ancora -trovino modo di intendersi. Metodi per raggiungere tale spiegazione potrebbero essere vari, ma Léger ritiene preferibile quello ordinario diplomatico.

Ho osservato che dichiarazioni fatte pubblicamente circa affare spagnolo da Kalinin e Stalin da una parte e linea di condotta itala-tedesca esposta nel comunicato di Monaco di Baviera (2), nonché intervista del Duce a Ward Price (3), avevano già chiaramente mostrato quali erano le intenzioni sovietiche, le quali non possono essere ammesse dall'Italia e neppure dalla Germania per motivi superiori ideologici.

Léger ribattè che perseverando in tal senso si sarebbe giunti fatalmente (forse rapidamente) alla guerra generale e la Francia e l'Italia si sarebbero disgraziatamente trovate in campi avversi.

Ho creduto ribattere con doppia energia che respingevo tale sua ipotesi e che non potevo supporre Francia si schierasse dalla parte dei comunisti.

Léger spiegò che se si lascia che continuino a battersi in Spagna da un lato rossi e dall'altro italo-tedeschi, la guerra diventa inevitabile, perché in Francia ed anche in Inghilterra si sa bene quali siano le mire delle Potenze che si sono impegnate in modo così completo nei conflitto spagnolo. Germania aveva posto da anni le mani sopra... (4) spagnoli e vi si era creata ingenti inte

ressi. Se ora inviava in Spagna cannoni e materiale da guerra di ogni specie.

Francia sa benissimo che essa intende farselo pagare, diventando padrona nella

Spagna e minacciando Francia anche dal lato dei Pirenei. Quanto all'Italia, la

sua aspirazione ad ottenere le Baleari è evidente, come è anche evidente asso

luta impossibilità per la Francia di ammetterla.

Ho detto a Léger di essere stupito di questo suo linguaggio, dopo le dichia

razioni categoriche fatte dal Duce a Ward Price e le parole del comunicato di

Monaco di Baviera circa la nessuna aspirazione italiana o tedesca su qualsiasi

parte del territorio spagnolo.

Léger ribatté che egli non si permette di porre in dubbio la parola del

Duce. Si riferiva per altro a quanto mi aveva detto dianzi, vale a dire che,

continuando per la via intrapresa, si va diritti verso la guerra generale e quan

do questa scoppiasse cesserebbero di avere importanza particolare considera

zioni ideologiche, mentre prevarrebbero gli interessi delle varie Nazioni. Oggi si

vedono Stati mossi dal dinamismo nazionalista e da ambizioni imperialistiche

che riescono necessariamente invisi ad altri Stati i quali (come Francia e Inghil

terra) intendono mantenere la pace ad ogni costo e che dovrebbero quindi

opporsi a qualsiasi mutamento dello status quo territoriale.

Léger ha concluso dicendo che aveva voluto parlarmi esplicitamente perché non può fare a meno di considerare situazione pericolosa. Riteneva, pertanto, necessario che ognuno ponderasse bene le responsabilità che avrebbe potuto assumere e studiasse il modo per evitare il peggio. A suo avviso, la pace poteva essere salvaguardata se ci si convincesse della necessità di discutere fra le cinque Potenze soprascritte.

Segue telegramma di commento (1).

(l) -Questo documento reca il visto di Mussolini. (2) -Nel telegramma vi sono diversi punti di incerta decifrazione. (3) -23 novembre. (l) -Not" dell'ufficio cifra: << Slct ». (2) -Vedi p. 324, nota 4. (3) -Vedi p. 353, nota 2. (4) -Nota dell'ufficio cifra: «gruppo indecifrabile».
472

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11584/556 R. Berlino, 25 novembre 1936, ore 19,10 (per. ore 21,45).

Mio telegramma n. 553 (2).

Accordo anticomunista tra la Germania e Giappone è stato effettivamente pubblicato ufficialmente oggi (3) a mezzo comunicato D.N.B., che è stato letto a rappresentanti della stampa estera alle ore 13,30, nella sede ministero Propaganda. Pochi minuti prima erano stati isolatamente convocati presso ministro degli Affari Esteri rappresentanti Francia, Inghilterra, America e Polonia ai quali venne anche data lettura del comunicato. Dieckhoff mi aveva frattanto fatto telefonare per confermare invio opportune istruzioni ad Hassell (4).

{4) Per tal! istruzioni, si veda ibid., vol. VI, D. 54, nota l. Nell'archivio italiano non v! è documentazione del passo compiuto in proposito dall'ambasciatore von Hassell, che peraltro ebbe un colloquio con Mussolin! !l 25 novembre (ibid., D. 55). Anche su questocolloquio non vi è documentazione da parte italiana.

Circostanza che accordo è stato firmato da Ribbentropp ha suscitato qui particolare interesse e curiosità diplomatici giornalisti. Stando alle informazioni, Cancelliere del Reich ha tenuto fare firmare [trattato] stesso da suo diretto ispiratore ed autore per quanto questi copra attualmente carica ambasciatore all'estero.

(l) -Vedi D. 474. (2) -T. 11540/553 R. del 24 novembre, ore 14,08. Comunicava che probabilmente l'annuncio dell'accordo nippo-tedesco sarebbe stato dato entro uno o due giorni. (3) -Per il testo del trattato e del relativo protocollo aggiuntivo resi pubblici, si veda DDT, serie C, vol. VI, D. 57. Il protocollo segreto (ibid., D. 58) non fu comunicato al governo italiano. L'elenco degli accordi sottoscritti in tale occasione è ibid., vol. V, pp. 1059-1060.
473

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11581/1456 R. Londra, 25 novembre 1936, ore 20,09 (per. ore 1 del 26).

Foreign Office mi ha chiesto iersera se avevo difficoltà che fosse data ai giornali ufficiosi di oggi indirettamente notizie dell'assicurazione che quest'ambasciata ha avuto ripetuta occasione di dare al Foreign Office circa isole Baleari. Ciò -ha aggiunto -per tranquillizzare ambienti politici che nella giornata di ieri sono stati di nuovo presi da certo nervosismo alimentato dalla stampa estera la quale cerca di pescare nel torbido preannunziando complicazioni nel Mediterraneo occidentale.

Ho risposto che non avevo alcuna difficoltà, ed ho ricordato che mie assicurazioni sul problema delle isole Baleari altro non erano se non la conferma per tramite ufficiale dipl~matico del Foreign Office delle pubbliche dichiarazioni fatte dal Duce e da V. E. in ripetute occasioni sulla volontà fascista di assoluto rispetto per integrità territoriale e coloniale spagnola. Ho anche ricordato che analoghe assicurazioni erano state date a codesto ambasciatore d'Inghilterra da V. E. personalmente (1).

Con telegramma in chiaro invio riassunto notizie pubblicate stamane principali giornali (2).

474.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. U.U. 11588/692 R. Parigi, 25 novembre 1936, ore 20,20 (per. ore 1 del 26).

Mio telegramma n. 690 (3). Delle cose dettemi da Léger bisogna senza dubbio ritenere le ultime. È infatti certo che la Francia è preoccupata per finalità della politica perseguita in Spa

gna dall'Italia e dalla Germania e che può pertanto nutrire dubbi sopra moventi puramente ideologici addotti. Il resto, sopratutto l'insistenza nel parlare di identità di vedute e di intenti tra Francia e Inghilterra, va accolto con beneficio d'inventario. Francia desidererebbe che tale identità esistesse ma sa che essa è lungi dall'essere perfetta, tanto è vero che essa dovette esercitare le più energiche pressioni su Londra per ottenere che l'Inghilterra, se non volesse rinunziare... (l) accettasse almeno di soprassedere al riconoscimento del carattere di belligerante ad entrambi i partiti spagnuoli.

Se governo del Fronte Popolare pensa come si è espresso meco Léger -e devo dire che mi sell!brò parlasse con l'intento di produrre una forte impressione sopra di me -lo fa perché non può seguire altra linea di condotta, legato come è dal suo passato e dal timore di perdere appoggio dei comunisti, rimanendo privo della necessaria maggioranza parlamentare. Tutto mi fa credere che ci troviamo di fronte ad una manovra diretta da Mosca, che avrebbe ogni interesse a vedere scoppiare guerra in cui Francia e Inghilterra da un lato, combattessero contro Italia e Germania dall'altro perché chi vi guadagnerebbe sarebbe U.R.S.S. Il «Paese reale» francese la pensa però diversamente: malgrado il pericolo comunista, constata che questo non è più impellente dato che i nazionalisti in Spagna hanno avuto notevole successo e desidera che la vittoria di questi ultimi, completa e rapida, allontani dalla Francia ogni pericolo bolscevismo.

Ho riferito a V. E. il pensiero della Marina francese (2). Da un rapporto del

R. addetto militare che trasmetto per corriere oggi (3), Ella vedrà che esercito francese è anche decisamente antibolscevico. Da ogni parte -compresi anche uomini politici-radico-socialisti di tendenza non estremista -mi viene riferito voto della Francia è che la Spagna nazionalista, grazie all'assistenza dell'Italia, abbia presto completa vittoria.

Tutto dipende dall'Inghilterra, non dobbiamo preoccuparci della Francia, che parlerà magari molto e giungerà anche a pronunciare parole assai grosse ma che non agirà mai sola.

Dirò a V. E. che nell'idea avanzata da Léger di intavolare conversazioni fra le cinque grandi Potenze, scorsi unicamente il desiderio di trovare una via d'uscita onorevole da una situazione difficile, perché Francia teme l'isolamento. Del resto, l'annunzio testè dato a Berlino della firma del Trattato tedesco-giapponese ha valore di proclamazione di una crociata anticomunista e dimostra quanto sia fuori di luogo in questo momento la conversazione auspicata da Léger.

Altri sintomi smarrimento francese di volersi salvare dall'isolamento temuto mi sembrano i vari articoli comparsi negli ultimi giorni, tra cui notevole quello di Berenger, che fanno appello alla solidarietà delle democrazie. Essi dimostrano fra l'altro i timori che nutre la Massoneria che teme sfaldamento delle sue forze.

Da questo osservatorio ho l'impressione che, sempre si sia sicuri dell'Inghilterra, quanto più presto si spingeranno le cose in Spagna tanto meglio sarà, perché l'essenziale è di finire nel più breve tempo possibile.

38 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

(l) -In un colloquio del 17 agosto, Ciano aveva dichiarato all'incaricato d"affari britannico, Ingram, che il governo italiano non aveva avviato, né intendeva avviare trattative con il generale Franco per la cessione di territori marocchini (vedi serie ottava, vol. IV, D. 749; nel suo resoconto del colloquio, Ingram riportava che Ciano si era riferito anche alle isole Baleari: vedi BD, vol. XVII, D. 103). Ingram era stato quindi incaricato di comunicare che quelle assicurazioni erano state accolte con soddisfazione dal governo britannico e di sottolineare che quest'ultimo assegnava la massima importanza al mantenimento dello status quo nel Mediterraneo (ibid., D. 159). Ciano, in un colloquio del 12 settembre, aveva ripetuto le sue assicurazioni con riferimento a tutto il Mediterraneo occidentale. Su quest'ultimo colloquio non c'è documentazione nell'archivio italiano ma si veda il resoconto di Ingram ibid., D. 188. (2) -Non pubblicato. (3) -Vedi D. 471. (l) -Nota dell'ufficio cifra: «gruppo Indecifrabile>>. (2) -Vedi D. 446. (3) -Vedi D. 479.
475

IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 600. [Salamanca], 25 novembre 1936, ore 24 (1).

Ho dato lettura e illustrato protocollo (2) al generale Franco. Ci riuniremo nuovamente domani per esame più completo.

476

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11710/079 R. Bruxelles, 25 novembre 1936 (per. il 29).

Mio telegramma n. 214 del 19 corr. ( 3).

Le reazioni di questa opinione pubblica di fronte al riconoscimento, da parte dell'Italia e della Germania, del governo di Burgos, sono continuate vivaci e abbondanti. Anzi, hanno trovato nuovi spunti e nuovi argomenti nella notizia della realizzazione del fronte anticomunista nippo-tedesco, al quale si prevede che l'Italia e le altre Potenze autoritarie finiranno, più o meno presto, e più o meno incondizionatamente, per aderire. Viene generalmente attribuito ai due avvenimenti un rapporto di interdipendenza. Si considera, cioè, il riconoscimento del governo di Burgos come il primo atto concreto dell'intesa anticomunista che sta alla base del parallelismo itala-tedesco e che pertanto, esisteva già -nella realtà -anche prima della redazione dell'istrumento diplomatico nippo-tedesco.

Al riconoscimento del governo di Burgos da parte di Roma e di Berlino -che era da tempo preveduto ma che è stato considerato come un'anticipazione un po' precipitosa-viene generalmente attribuito lo scopo di favorire, sia dal punto di vista morale che da quello pratico, un più diretto e attivo appoggio ai nazionalisti, offrendo loro un'efficace solidarietà sul terreno diplomatico e una non meno preziosa collaborazione sul terreno dell'azione mediante forniture belliche e perfino mediante una partecipazione più o meno mascherata alle operazioni navali richieste dal blocco annunziato da Franco.

Questa convinzione e la pretesa constatazione che il riconoscimento italatedesco del governo di Burgos, e il patto anticomunista, non sarebbero che gli atti precursori di un tragico cozzo fra i blocchi delle due mistiche, fascista e comunista, hanno destato vive inquietudini, condivise anche dai giornali a noi favorevoli, per le nefaste conseguenze che da tale situazione potrebbero derivare per la pace europea. Ciò ha contribuito non solo a far favorevolmente accogliere

e giudicare le ripetute dichiarazioni di Eden e l'atteggiamento assunto dall'Inghilterra, ma anche a guadagnare le simpatie dell'opinione belga alla solidarietà anglo-francese, considerata ormai come un prezioso elemento d'equilibrio e l'unica vera garanzia di pace. È tuttavia da rilevarsi che -salvo che da parte degli organi social-democratici -la responsabilità dell'attuale tensione e quella di eventuali gravi complicazioni viene unanimemente e vivacemente addebitata ai sovietici. È stato, infatti, sintomatico il rilievo in cui la stampa moderata ha posto la frase con cui Eden ha inteso precisare che « altri governi sono assai più da deplorare che quelli d'Italia e di Germania)), interpretandola come una diretta allusione a Mosca (1).

Certi organi democratici e socialisti sfogano il loro malumore in articoli violenti e oltraggiosi in cui denunziano il «criminale )) imperialismo itala-tedesco e attribuiscono a Roma e a Berlino il disegno di farsi compensare i servizi resi a Franco con concessioni territoriali e coloniali direttamente intese a menomare la potenza e il prestigio anglo-francesi nel bacino mediterraneo; tali organi deplorano, inoltre, l'inerzia dimostrata dalla S.d.N., invocandone un intervento tanto più energico in quanto tardivo.

(l) -Anfuso era giunto in missione presso il generale Franco a Salamanca il 24 novembre. Il presente telegramma fu comunicato con numero di protocollo S/1596 tramite 11 Servizio Informazioni Militare dove era pervenuto alle ore 8 del 26 novembre. (2) -Vedi D. 504. (3) -T. 11394/214 R. del 19 novembre, ore 21,25. Riferiva che il riconoscimento del governo di Burgos da parte della Germania e dell'Italia aveva suscitato nell'opinione pubblica belga sorpresa, perché si era creduto che sarebbe avvenuto soltanto dopo la conquista di Madrid da parte degli insorti, e inquietudine, perche si riteneva che ne sarebbe seguito l'Invio di aiuti su larga scala a Franco con il pericolo di gravi complicazioni internazionali.
477

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 11711/080 R. Bruxelles, 25 novembre 1936 (per. il 29).

Telegramma per corriere n. 5098/C.R. del 21 nov. (2).

Il Reich ha fatto qui intendere già da parecchio tempo la sua disposizione ad addivenire ad un patto bilaterale col Belgio. Mentre un ex ministro del secondo Gabinetto van Zeeland mi ha confidato che cinque o sei mesi fa il signor von Ribbentrop intrattenne personalmente e ripetutamente della questione lo stesso van Zeeland, d'altra parte il mio collega di Germania mi ha lasciato spontaneamente comprendere questa aspettativa del suo governo, pur aggiungendo che la situazione non è matura per un siffatto conseguimento. Inoltre mi risulta che un diretto accordo belga-tedesco sarebbe tutt'altro che malvisto da Re Leopoldo. Senonché questa disposizione resterebbe per il momento senza pratiche conseguenze, per i seguenti principali motivi:

l) il desiderio della maggioran:;-;a del Paese di astenersi da ogni passo suscettibile di mettere in pericolo, in attesa ed in previsione di una nuova sistemazione occidentale, il valore dell'accordo di Londra, dell'aprile scorso, consacrante la permanente garanzia franco-inglese (3).

2) la sempre più accentuata posizione anticomunista che va prendendo il Reich e che qui si teme possa produrre per il Belgio una situazione delicata

e l'Italia».

dal duplice punto di vista estero ed interno. Estero, per il fatto che l'atteggiamento anticomunista tedesco, col riuscire sempre più ostico all'Inghilterra, non può non consigliare il Belgio alla maggiore cautela nei riguardi di ogni sua intesa che potesse essere ritenuta da Londra o come intempestiva o come non desiderabile sotto la forma prettamente bilaterale. Interno, per la nota forte opposizione dei socialisti e dei democratici;

3) la sempre più accentuata solidarietà franco-inglese, che da una parte fa apparire il poco fondamento dell'eventualità, qui fatta balenare da Berlino, di un progressivo allentamento dei legami franco-inglesi e che, dall'altra, comincia ad essere nuovamente considerata come un concreto elemento, malgrado tutto, di sicurezza nell'attuale agitata situazione internazionale.

Per quanto poi concerne le impressioni confidate a S. E. Cerruti dall'ambasciatore belga a Parigi circa gli attuali neri umori del Belgio verso la Francia, tengo a segnalare che questa opinione risente sovratutto della ben nota francofoba disposizione generale delle Fiandre, di cui quel diplomatico belga è originario. Non vi è dubbio, e l'ho riferito a più riprese a V. E., che la Francia ha qui perduto molto terreno ma è da chiedersi fino a che punto tale atteggiamento belga non sia in stretto rapporto con l'evolversi della politica generale delle grandi Potenze e sovratutto della posizione della Francia e quindi soggetto a modificazioni anche in senso inverso. Al lume di queste considerazioni vanno anche giudicate le parole pronunciate avantieri alla Camera (mio telegramma n. 218 (l) dal ministro degli Esteri Spaak che il Belgio non può straniarsi dall'amicizia di Londra e di Parigi. Il che viene in definitiva a confermare che la politica belga vive ormai alla giornata, non perdendo però mai di vista il raggiungimento di una neutralità di fatto che, nell'eliminare ogni impegno e quindi ogni reazione internazionale, verrebbe a diminuire per una parte l'eventualità di un'aggressione tedesca e dall'altra il rischio che il Paese sia coinvolto in contese non strettamente dipendenti dalla violazione delle frontiere nazionali. E ciò tanto più che tale stato di cose non infirmerebbe, né alienerebbe al Belgio quel soccorso franco-inglese, e sovratutto inglese, che è ritenuto intrinseco più all'esclusivo interesse delle due grandi nazioni vicine che al giuoco di un qualsiasi patto scritto.

(l) Nella seduta del 19 novembre ai Comuni, Eden aveva replicato al deputato comunista Gallacher che accusava la Germania e l'Italia di violare il non intervento in Spagna: «Per quanto riguarda le violazioni dell'accordo di non intervento, desidero dichiarare nella maniera più categorica che vi sono altri governi i quali sono assai più da biasimare che non la Germania

(2) -Ritrasmetteva il D. 412. (3) -Vedi p. 274. nota 3.
478

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5767/1198. Bruxelles, 25 novembre 1936 (per. il 30).

L'affermazione fatta da Eden a Leamington (2) che gli armamenti britannici sono anche intesi alla difesa del Belgio e della Francia, in caso di non

provocata aggressione, è stata qui accolta con particolare compiacimento. Tale senso di soddisfazione è stato tanto più vivo in quanto si è creduto di poter attribuire all'affermazione di Eden un duplice valore: l) quello di una netta presa di posizione, da tanto tempo qui attesa ed invocata, che consacra l'abbandono della politica isolazionista ed il ritorno dell'Inghilterra alle sue posizioni continentali, vale a dire ad un atteggiamento considerato dai belgi quale una preziosa garanzia di pace; 2) quello· di voler dissipare ogni sospetto di malinteso o di equivoco, che avrebbe potuto nascere in seguito alle voci recentemente sparse di un raffreddamento inglese verso il Belgio, in seguito alla sua recente evoluzione politica, quale accennata nel discorso di Re Leopoldo. il infine da notarsi che anche l'affermazione del perfetto accordo e della solidarietà anglo-francese contribuisce, sia pure indirettamente, a favorire un punto di incontro e di conciliazione delle due opposte correnti d'opinione belghe -quella francofila vallona e quella anglofila fiamminga -per l'adozione dei nuovi orientamenti in materia di politica estera, specialmente in previsione di un nuovo Locarno.

La stampa ha largamente e variamente commentato il discorso di Eden, analizzandolo, tanto nella parte riguardante la questione spagnuola, quanto in quella relativa alla situazione continentale, cioè l'organizzazione dell'Europa occidentale e la realizzazione di un nuovo Locarno. Ma se il compiacimento per l'atteggiamento inglese nei riguardi del Belgio è stato unanime e caloroso, altrettanta unanimità non si è verificata nell'interpretazione delle dichiarazioni di Eden per quanto concerne la politica occidentale. Mentre infatti i nazionalisti ed i conservatori affermano con compiacimento che <<Eden è ancor meno disposto di prima a marciare per la sicurezza collettiva ~ e ch'egli «sembra ispirarsi assai più alla politica degli accordi particolari che a quella Covenant, a quella dell'assistenza regionale che non a quella della sicurezza collettiva~. d'altra parte i democratici ed i socialisti ritengono che le dichiarazioni di Eden hanno in definitiva rafforzato la tesi della sicurezza collettiva. Tuttavia sono notevoli le loro riserve, sopratutto sul punto che l'Inghilterra, giusta le affermazioni dell'Eden, non solo non riconosce un obbligo di aiuto militare automatico ma subordina ogni prestazione militare ad una autonoma decisione da prendersi caso per caso. «Ciò -scrive il Peuple -è forse conforme alla stretta lettera del Covenant ma, a voler troppo distinguere, si rischia di creare zone protette meno di altre dalla sicurezza collettiva. Il pericolo di tale distinzione consiste nella tentazione che essa può offrire a certe Potenze: il che finirebbe col compromettere anche la pace delle regioni vicine~.

Le dichiarazioni di Eden hanno poi fornito un'occasione ai fiamminghi per insistere nel loro noto punto di vista che il Belgio in un nuovo Locarno, non dovrà esser sedotto da offerte di assistenza che fossero subordinate ad un regime di reciprocità. La tesi sostenuta è la solita: l'Inghilterra deve concedere la sua garanzia al Belgio senza che questo sia tenuto a veruna corresponsione, salvo quella del proprio rafforzamento militare.

llbr!o Internazionale turbato dalla ·debolezza militare della Gran Bretagna, aveva dichiarato che le armi sarebbero state usate soltanto per la difesa della stessa Gran Bretagna e de! territori del Commonwealth ed anche per la difesa della Francia e del Belgio, se oggetto d! una aggressione non provocata, in conformità degli impegni esistenti.

(l) -T. 11599/218 R. del 25 novembre, ore 20,26. Riferiva che alla Camera, Spaak aveva ria!fermato la necessità per 11 Belgio di attenersi al principio del non intervento in Spagna,data la profonda divisione manifestatasi nel Paese di fronte agi! avvenimenti spagnoli e l'opportunità di non assumere un atteggiamento diverso da quello della Francia e della Gran Bretagna «che sono delle solide amicizie alle quali 11 Belgio tiene al più alto grado e dalle quali esso non si staccherà ». (2) -In un importante discorso di politica estera pronunciato nel suo collegio di Leamington 11 20 novembre, Eden, dopo aver osservato che il riarmo britannico stava ricostituendo l'equi
479

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. S. 3023/2755. Parigi, 25 novembre 1936 (per. il 28).

Ho l'onore di trasmettere qui unito all'E. V. copia del rapporto n. 1641, inviato direttamente da questo R. addetto militare al R. ministero della Guerra e concernente colloqui avuti con il capo eli. Stato Maggiore dell'esercito, generale Gamelin, e con suoi immediati collaboratori.

ALLEGATO

L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, BARBASETTI, AL MINISTERO DELLA GUERRA

R. s. 1641. Parigi, 24 novembre 1936.

Ho avuto occasione di vedere ieri il generale Gamelin, il suo capo di Gabinetto generale Jeannel, il suo segretario comandante Petibon, e altri alti uffli.clali che lavorano nell'orbita del predetto capo di S. M. generale.

Riferdsco, senza commentarle, le dichiarazioni degne di rilievo fattemi durante i colloqui.

I

Dichiarazioni del generale Gamelin.

lo) Egli spera e ha fiducia, anzi certezza, che gli avvenimenti politici interni e esternd, i quali hanno creato delle nubi nei rapporti franco-italiani, si chiariranno, riprendendo una piega favorevole all'amicizia fra i due Paesi, quale è dettata -oltre che dal vero sentimento della forte maggioranza dei francesi -anche dal comune ·interesse.

2°) Ha deprecato che il nome tascisme impiegato in Francia per esprimere tutto ciò che non è Front Populaire abbia creato un equivoco, facendo ritenere che ogni espressione contraria quì usata contro il tascisme e la campagna qui fatta contro di

esso dovessero riferirsi all'Italia. Si tratta invece di questioni di ideologie e di tendenze di carattere interno, le quali disgraziatamente hanno finito per dila~e nel campo della

politica estera.

3°) Egli stesso, quando ebbe conoscenza che a Dire Daua e ad Addis-Abeba continuavano a rimanere presidi dipendenti dal ministero delle colonie, sollecitò il governo per il loro ritiro.

4°) Nonostante le vic,issitudlni interne, l'esercito francese lavora sul serio per compiere un poderoso sforzo (ritengo che il generale intendesse alludere ai noti programmi d'armamento e di motorizzazione, di aumento di effettivi e di personale di carriera, di fortificazioni). Su questo punto il generale Gamelin ha particolarmente insistito, pur senza entrare in dettagli.

II

Dichiarazioni degli immediati o mediati collaboratori del generale Gamelin.

1°) La situazione interna francese va di mano in mano migliorando. D'altra parte, Si vuole evitare un conflitto interno nel quale dovesse anche intervenire l'esercito. Non è consono al carattere della Francia un governo strettamente autoritario ma occorre, però, un governo energico, saldo, con linea di condotta ben determinata e deciso a mantenerla.

2o) La situazione in !spagna è assai delicata per le sue ripercussioni esterne. Si desidera la vittoria dei nazionalisti ma non è conveniente aiutarli apert,amente; la Francia deve seguire in proposito una stretta neutralità verso i due campi. E' deprecabile

che siano stati forniti aiuti degni di nota in fatto di armamenti aerei (ciò, dunque, mi è stato ammesso); quanto ai materiali terrestri, si tratta di piccola cosa, di casse di munizioni, di piccoli lotti, clandestinamente forniti da detentori o emissari civili e sfuggiti alla sorveglianza doganale; contrabbando è stato fatto anche a favore dei nazionalisti. Una linea di guardie mobili è stata posta alla frontiera dei Pirenei; ordini severli sono stati dati per impedire il contrabbando. Ne farebbero fede le inchieste e gli arresti eseguiti per l'affare delle granate a mano e del v.agone di polvere.

La Fmncia ha agito diversamente dalla Germania, che ha inviato anche piloti d'aeroplani, ufficiali in servizio attivo; interi reparti e tutta l'artiglier.ia pesante dei nazionalisti sarebbero inoltre comandati da ufficiali tedeschi in servizio.

3°) Il patto franco-russo, stipula.to da Lavai, sottoposto a suo tempo al benestare

anche dell'Italia, ora giuoca meno che mai. L'ingerenza -allora non preveduta -dei

tentacoLi russi nelle cose interne di Francia, ne ha sospeso l'applicazione nei riguardi

militari. All'addetto militare russo sarebbe stato dichiarato che non si intraprendereb. blero conversazioni militari fino a quando sul suolo di Francia ci saranno dei comunistd. 4°) La situazione internazionale è tesa. Desta soprattutJto preoccupazione l'attività germanica. La Fvancia, iin ogni modo, non dichiarerà giamma;i per prima la guerra, ma si rafforza sempre più per sostenerla. Si nutre molta fiducia nell'azione degli Stati Uniti. La riunione delle tre democrazie francese, inglese, americ.ana, sarebbe elemento tranquillante di pace mondiale. (Noto la correla2li.one di queste dichiarazioni con l'articolo -che unisco alla presente pubblicato sull'lntransigeant, del senatore Bérenger, presidente della commissione degli affari esteri al Senato. Le predette dichiarazioni possono anche far supporre che esista

o si voglia iniziare un lavorio diplomatico anche con gli Stati Uniti). 5°) Anche l'entourage del genemle depreca l'equivoco sull'espressione tascisme, per quanto dichiari che dovrebbe essere ragione di superbia italiana la diffusione oramai mondiale d'un principio, di un sistema e di un vocabolo creati dall'Italia. Vi è il timore che le ideologie interne, dilagate nel campo internazionale, minaccino di assumere carat

tere analogo a quello delle lotte di carattere religioso, che hanno insanguinato in passato i campi d'Europa.

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IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. u. 11627/166 R. Tirana, 26 novembre 1936, ore 19,45 (per. ore 24).

Telegramma di V. E. n. 5078 del 20 novembre scorso (1).

Consiglio dei ministri appositamente riunitosi stamane, ha deciso ricono

scere governo Franco. Il primo ai.utante di campo del Re è venuto a comuni

carmi notizia, pregandomi di fare conoscere a V. E. che il Re nella sua devo

zione al Duce teneva a compiere per primo, dopo l'Italia e la Germania, questo

gesto come segno di particolare deferenza verso V. E. e come modesto contri

buto alla politica estera di ardimento e giustizia condotta dal fascismo.

Trasmetterò in giornata testo del telegramma che sarà inviato al generale

Franco. Debbo aggiungere che il Re non ha dimostrato alcuna contrarietà ad

accedere al desiderio espressogli.

Telegramma per il generale Franco sarebbe partito anche prima se il presidente del Consiglio dei Ministri non fosse stato fino a ieri in viaggio di nozze. Presso alcuni membri del governo e presso il ministero degli Affari Esteri si sono manifestate tuttavia vive preoccupazioni da due punti di vista: l) la situazione dell'Albania di fronte alla S.d.N. ove siede delegato dell'ex governo spagnuolo; 2) il timore che il precedente possa essere sfruttato a danno del regime attuale ove qualche moto insurrezionale dovesse scoppiare in Albania.

Questo governo si rimette a V. E. circa rilievo in cui Ella desideri porre l'atto del governo albanese (1).

(l) Vedi D. 444.

481

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11626/1465 R. Londra, 26 novembre 1936, ore 20,30 (per. ore 4,35 del 27).

Ho avuto ieri lungo colloquio con Eden.

Eden mi ha pregato ringraziare il Duce e V. E. per la comunicazione da me fatta a Vansittart il 17 corrente (2) e mi ha domandato quali erano istruzioni che portavo da Roma circa proseguimento conversazioni.

In base direttive datemi da V. E. (3), mi sono mantenuto sulle generali !imitandomi a confermare da parte di V. E. volontà e intenzione di addivenire ad un chiarimento definitivo dei rapporti itala-inglesi ma nello stesso tempo senza manifestare alcuna fretta o indicare alcuna data per la conclusione del gentlemen's agreement. Circa contenuto di quest'ultimo, ho confermato a Eden che l'Italia, secondo la linea dal Duce tracciata nelle sue pubbliche dichiarazioni, preferiva una formulazione chiara e semplice senza entrare nell'esame delle questioni particolari navali o mediterranee. Ho soggiunto che V. E. stava studiando per conto suo formula più adatta ma che V. E. riterrebbe utile conoscere intanto formula che il governo britannico intenderebbe proporre.

Eden mi ha risposto che un punto importante preliminare doveva considerarsi ormai acquisito e cioè che i due governi sono d'accordo di concludere un gentlemen's agreement da rendersi pubblico, il quale definisca e chiarisca in termini reciproci posizione nel Mediterraneo. Per quanto riguarda contenuto delle due dichiarazioni da scambiarsi tra i due governi (gentlemen's agreement) Eden ha detto che la parola del Duce nella sua intervista al Daily Mail (4) costituiva di per se stessa formulazione più che felice. Egli ad ogni modo avrebbe studiato e rimesso quanto prima a V. E. un progetto di base sul quale V. E. potrà suggerire eventuali modifiche.

Il 28 novembre, Ciano telegrafava a Jacomon!: «PregoLa esprimere mio vivo compiacimentocodesto governo per riconoscimento governo generale Franco. Circa preoccupazioni espresse, occorre appena che !o osservi che situazione albanese !n seno Società Nazioni non può affatto risentire del fatto che !n Consiglio o !n Assemblea sieda un delegato della Spagna che per la Albania (come del resto per l'Italia) non rappresenta la Spagna stessa. Quanto poi al timore che Il precedente possa essere sfruttato a danno del regime attuale !n Albania, è evidente che, data la diversità delle circostanze, tale timore non ha ragione di essere » (T. 5179/142 R. del 28 novembre, ore 23,30).

Eden a questo punto mi ha informato a titolo confidenziale che egli aveva dovuto superare nella settimana scorsa difficoltà notevoli per vincere insistenti obiezioni che il governo francese ha fatto ripetutamente e sta ancora facendo allo scopo dissuadere governo britannico dal concludere un accordo bilaterale itala-inglese circa Mediterraneo senza partecipazione francese.

Sempre in base alle istruzioni di V. E., ho detto ad Eden che in attesa maturi momento pròpizio per conclusione gentlemen's agreement governo fascista avrebbe mantenuto nella stampa e nelle manifestazioni politiche in genere quella atmosfera di favorevole distensione che si è recentemente verificata nelle relazioni itala-inglesi.

Eden mi ha risposto che il governo britannico sta facendo e avrebbe fatto ogni sforzo, e a riprova di ciò mi ha pregato di prendere atto dell'azione svolta in questi giorni dal governo inglese, sia nella stampa come in Parlamento, per frenare campagna antifascista e perché ondata di nervosismo determinatasi in Inghilterra in seguito alla preoccupante situazione spagnuola, alla tensione russo-tedesca e alla intesa tedesco-nipponica non turbasse, come non ha infatti turbato, nuova atmosfera nei rapporti itala-inglesi.

Ho creduto opportuno a questo punto far presente che miglioramento concreto ed effettivo dei rapporti itala-inglesi dipende da un elemento sostanziale e cioè dall'attitudine che in definitiva governo britannico avrebbe preso nei riguardi problema sovranità italiana sull'Etiopia. Neppure governo italiano intende creare una connessione formale fra questo problema e quello del Mediterraneo ma d'altra parte è fuori dubbio che l'uno influisce sull'altro e che le due soluzioni debbano procedere, sebbene indipendentemente certamente parallele. Non è colpa certo dell'Italia se essa si trova oggi costretta a misurare la lealtà delle amicizie dalle diverse attitudini ehe gli Stati assumono nei riguardi nostra sovranità in Etiopia.

Conversazione si è molto dilungata su questo punto. Eden ml ha ripetuto tutte le considerazioni già fatte nel nostro precedente colloquio (mio telegramma 1419 14 corr.) (1), essere cioè impossibile per il governo britannico, per ragioni di politica interna, abbinare le due questioni. Io sarò tanto più forte -egli ha continuato -in Parlamento e nel Paese a sostenere accorCio con l'Italia, quanto più potrò dimostrare alla Camera dei Comuni che tale accordo non è frutto di mercanteggiamento sulla questione riconoscimento. Ciò avrà luogo tanto più facilmente quanto più questa linea sarà mantenuta e quanto più decisione britannica apparirà come conseguenza naturale delle nuove relazioni itala-inglesi. Esperienza di questo scorso mese sta a dimostrare che questa linea è quella buona, ed io continuo a respingere le quotidiane pressioni francesi che vorrebbero portarci ad un mercanteggiamento, facendo balenare davanti ai nostri occhi prospettiva dei vantaggi in comune colonial1. che noi potremmo ottenere in questo momento da un negoziato con l'Italla :..

Ho osservato che anche senza abbinare le due questioni rimaneva un problema pratico da risolvere il quale si riconnette a sua volta col problema dell'Italia nella S.d.N. Seguendo direttive di V. E. ho detto che l'entrata dell'Egitto nella S.d.N. poneva il quesito di una prossima convocazione straordtnarta dell'Assemblea e che in questa occasione non avrebbe dovuto essere dl!ftcUe

ripresa in esame della pos1zwne della delegazione etiopica. Esclusione dl auest'ultima da Ginevra avrebbe dovuto indubbiamente facilitare alla Gran Bretagna esame del problema della sovranità italiana in Etioma.

Eden ha riflettuto e mi ha risposto che la cosa non gli sembrava di faclle attuazione, ma che egli accettava volentieri questo suggerimento e ne avrebbe parlato subito ad Avenol, il quale si trova in questi giorni a Londra e col quale è stato in massima fissato che l'Assemblea straordinaria per l'ammissione Egitto abbia luogo in occasione riunione del Consiglio del gennaio prossimo (1).

482.

L'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, MENZINGER, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11631!466 R. Rio de Janeiro, 26 novembre 1936, ore 20,30 (per. ore 1,15 del 27).

Telegramma di V. E. n. 5078 del 20 corr. (2).

Ho comunicato a questo governo riconoscimento governo Burgos da parte del R. governo. Miei passi, poi, per ottenere che questo governo faccia altrettanto e argomenti da me opportunamente sviluppati hanno trovato piena comprensione e terreno favorevole date note tendenze questi ambienti e intenzioni governo precedentemente manifestate e da me segnalate. Tanto che mi è stato assicurato che anche indipendentemente da altri Stati americani, che però sono stati presentiti, Brasile ha intenzione riconoscere presto governo Franco. Ma attende presa Madrid, ciò anche per tutelare «posizione morale e fisica » suo ambasciatore Madrid. Analoga risposta Rio de Janeiro avrebbe dato a Berlino.

Questo ambasciatore di Germania mi ha detto intanto di aver ricevuto ordine di appoggiare miei passi: ma agirà più concretamente dopo la presa di Madrid.

Data imminenza apertura conferenza Buenos Aires, ritengo che il governo brasiliano per indursi a definitiva decisione riconoscimento attenderà anche di prendere contatti con altri Stati americani.

(l) Questo documento porta Il visto di Mussolin!.

(2) -Vedi p. 464, nota 2. (3) -Grand! s! era recato a Roma Il 17 novembre per la partecipazione alla riunione del Gran Consiglio del Fascismo del giorno successivo. Le Istruzioni gli dovettero essere date a voce in quella occasione. (4) -Vedi p. 453, nota 2.

(l) Vedi D. 415.

483

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11608/240 R. Tokio, 26 novembre 1936, ore 23,50 (per. ore 12,45 del 27).

Quale che sia contenuto e valore accordo nippo-tedesco, esso segna certamente un mutamento fondamentale nella politica giapponese. Al periodo di

collaborazione rappresentato dal tratto.to anglo-nipponico (l) era qui seguito quello dell'isolamento. Giappone uscito da Ginevra dichiarava essere Potenza sistematrice Estremo Oriente e non volersi immischiare nella politica occidentale temendo di essere preso negli ingranaggi pericolosi di lotte che non lo concernevano. Con attuale accordo per quanto lo si voglia fare apparire genericamente ristretto e non rivolto contro alcuno Stato, per quanto forse si continueranno qui a ripetere le stesse formule di indipendenza e disinteressamento, Giappone entra in realtà in un nuovo periodo di collaborazione. Tale collaborazione potrà anzi ampliarsi se anche altri Stati aderiranno ma ciò lungi attenuarne carattere anti-russo lo rafforzerà. Questo mutamento della politica del Giappone credo debba attribuirsi all'essersi esso sentito in questi ultimi tempi indebolito e pertanto non più in grac~o mantenere le direttive finora seguite: indebolito internamente dopo rivolta del febbraio (2) e esternamente per il rafforzarsi della Russia e anche della Cina. Accordo fortifica fin d'ora moralmente Giappone così in Asia come in Europa e forse lo fortificherà in seguito anche materialmente. Tale accordo è indubbiamente un successo per Hirota. Ma le maggiori difficoltà gli vengono adesso dalla situazione interna e non è detto che l'accordo stesso non sia per dare maggiore animo agli estremisti di destra.

(l) -Lo stesso 25 novembre, Ciano aveva un colloquio con l'ambasciatore Drummond circa il contenuto da dare all'accordo italo-britannico. In quell'occasione, Ciano esprimeva chiaramente il desiderio che le trattative si svolgessero a Roma. In modo -notava l'ambasciatore -da sottrarle a Grandi e da avere poi tutto il mNito di un successo. Di questo colloquio non c'è documentazione negli archivi italiani: si veda !l resoconto !n BD, vol. XVII, D. 415. (2) -Vedi D. 444.
484

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11681/0132 R. Vienna, 26 novembre 1936 (per. il 28).

A proposito dell'accordo anticomunista nippo-germanico, il segretario di Stato agli Esteri, Guido Schmidt, mi ha detto oggi che, durante la sua visita a Berlino, von Neurath gli aveva preannunzi~tto la prossima conclusione del patto. Anche per questo il ministro degli Affari Esteri germanico aveva insistito che nel promemoria sulle conversazioni austro-germaniche fosse al primo posto la collaborazione tra i due governi nella lotta contro il comunismo. Solo malvolentieri von Neurath aveva rinunziato a farne espressa menzione nel comunicato, come Schmidt aveva desiderato per analogia con quanto si era fatto nella conferenza viennese a tre.

Von Neurath gli aveva fatto comprendere che non sarebbe stato lui a firmare con l'ambasciatore del Gi::tppone l'accordo anticomunista. Il Filhrer avrebbe voluto dare una soddisfazione a von Ribbentrop chiamandolo a firmare il patto da lui negoziato di lunga mano. Inoltre si tendeva cosi a spostare dal ministero degli Esteri sul Partito e sul Ftihrer l'iniziativa e la conclusione di

quell'accordo, rispondente all'ideologia generale del nazionalsocialismo. Sl aveva inoltre l'illusione di prevenire così il sospetto che, oltre alla cooperazione anticomunista, l'accordo contenga altri protocolli segreti, di natura politica, territoriale ed economica.

Notizie da Londra fanno credere che ne sarà imbarazzata la posizione di von Ribbentrop in quella capitale. Vi si apprezzerebbe invece la riserva sinora serbata dall'Italia per non turbare le trattative in corso per l'accordo mediterraneo.

(l) -Trattato d! alleanza tra Giappone e Gran Bretagna del 30 gennaio 1902 (testo In MARTENS, Nouveau Recuei! général de Traites, Gottinga-Lipsla. Dietrich, 1876-1908 serle seconda vol. XXX, pp. 650-651). sostituito dal trattato del 12 agosto 1905 (testo ibid., vol. 'xxxv, pp. 402~ 405), a sua volta sostituito dal trattato del 13 luglio 1911 (testo in MARTENS, serie terza, vol. v, pp. 3-4) della durata di dieci anni, non rinnovato alla scaùenza. (2) -Il 26 febbraio 1936 v! era stato, a Tokio, un moto militare capeggiato da giovani ufficiali che reclamavano un rafforzamento dei poteri dell'imperatore e l'instaurazione di un regime autoritario. I rivoltosi avevano ucciso alcuni esponenti politici ed alti funzionari ma tre giorni dopo si erano arresi e molti di essi si erano su!cidati.
485

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11726/0573 R. Londra, 26 novembre 1936 (per. il 30).

Il fatto che il Cancelliere Hitler abbia dato a Ribbentrop, ambasciatore a Londra, l'incarico di firmare per il governo tedesco il patto anticomunista fra Germania e Giappone ha destato nei circoli politici inglesi vivo stupore. Tutti qui si domandano quali possano essere stati i motivi di questa inusitata procedura. Nei circoli conservatori si dice che, sebbene sia presumibile che von Ribbentrop abbia partecipato alla fase iniziale delle trattative che sono sboccate nell'accordo, tale sua partecipazione non può essere stata cosi preminente

o così continua da rendere necessaria la sua andata a Berlino per la firma. Ciò, si aggiunge, tanto più che von Ribbentrop era ormai da varie settimane a Londra e non può quindi avere preso parte alla fase conclusiva delle conversazioni nippo-tedesche. Una voce che si è diffusa anche in ambienti vicini al governo è che la decisione di designare von Ribbcntrop quale firmatario dell'accordo col Giappone sia stata favorita da von Neurath, secondo alcuni per motivi personali e cioè per imbarazzare maggiormente von Ribbentrop nella sua missione a Londra, secondo altri per motivi politici e cioè per sottolineare che il patto nippotedesco è essenzialmente un'iniziativa del partito nazista contro il Comintern e non della Wilhelmstrasse contro il Kremlino.

Un'altra ipotesi che si fa è che Hitler abbia considerato la firma di von Ribbentrop come una specie di garanzia data agli inglesi che, contrariamente a quanto laburisti e liberali sostengono, l'intesa anticomunista non è diretta in alcun modo contro l'Impero britannico, altrimenti non sarebbe stato chiamato a firmarla proprio colui che, oltre ad essere ambasciatore a Londra, si è sempre atteggiato ad esponente di una stretta intesa fra Germania e Inghilterra. Anche coloro che formulano questa ipotesi non la considerano però convincente. Un autorevole deputato conservatore mi ha oggi detto, ad esempio, che «se un giorno gli inglesi giungeranno alla conlusione che l'intesa antibolscevica non li minaccia, ciò avverrà attraverso considerazioni del tutto indipendenti dalla persona che il governo tedesco ha designato per firmare il patto ,,

Nei circoli dell'opposizione le critiche a von Ribbentrop sono aspre ed insistenti. Laburisti e liberali partono dalla premessa che il patto non è solo antirusso ma anche e sopratutto antibritannico per dichiarare che, firmandolo, Von Ribbentrop ha cancellato le ultime illusioni degli inglesi sul suo filo-anglicismo. «Dopo i suoi colloqui con Eden e Baldwin -scrive Ewer nel Daily Herald -von Ribbentrop non poteva nutrire alcun dubbio sull'atteggiamento inglese nei riguardi del patto antibolscevico. Il fatto che egli l'abbia voluto firmare di persona è dunque non solo sorprendente ma anche deplorevole. Può darsi, aggiunge il giornale, che egli si sia illuso che, messa di fronte a due blocchi, l'uno anticomunista e l'altro guidato dai sovietici, la Gran Bretagna avrebbe finito col preferire il primo, distaccandosi dalla Francia. Il risultato sarà invece proprio quello di stringere maggiormente i vincoli fra Londra e Parigi:..

Nel complesso dunque non si può dire che von Ribbentrop, sul cui fortunoso esordio a Londra ho già riferito a V. E. (1), abbia tratto giovamento, ai fini della sua missione in Inghilterra, dalla firma apposta al patto nippo-tedesco. Merita però di essere rilevato che, sopratutto negli ambienti più vicini al governo, il fatto che egli sia stato chiamato a Berlino per firmare, a nome del governo tedesco, un documento di simile importanza è considerato come una conrerma della posizione di particolare prestigio che von Ribbentrop occupa in Germania e della particolare fiducia che Hitler ripone in lui.

486

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11678/332 R. Shanghai, 27 novembre 1936, ore 10 (per. ore 1 del 28).

Comunicato circa conclusione accordo anti-comunista tra la Germania e Giappone ha dato conferma all'ansietà con cui sfere cinesi considerano disposizioni del governo di Tokio. Infatti Giappone appare indubbiamente più libero di premere nelle trattative con Nancl1ino e di svolgere sua azione accaparramento Cina del nord, dopo che le possibili reazioni russe sembrano imbrigliate da intesa anti-comunista. Il fatto che accordo figura diretto contro comunismo come fenomeno sociale non crea illusione che ogni provvedimento politico o militare della Russia non abbia a condurre alla applicazione del patto.

Ambienti anti-giapponesi accentuano necessità di avvicinare Russia e, in ogni caso, intendersi sempre meglio con Inghilterra. In quanto possibilità accettare invito aderire fronte anti-comunista, una dichiarazione ufficiosa del ministero degli Affari Esteri cinese dice che pericolo comunista è per ogni Paese sfasciamento interno a cui si deve far fronte con mezzi propri. Governo cinese ha lottato con successo contro di esso da ridurlo a fenomeno trascurabile.

In sostanza, avvenimento, pur accrescendo preoccupazioni, non sembra orientare Cina verso maggiore arrendevolezza nei riguardi del Giappone, bensi verso ricerca maggiori appoggi nel campo opposto.

Comunicato a Tokio.

487.

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11638/184 lR. Lisbona, 27 novembre 1936, ore 13,20 (per. ore 15,30). Mio telegramma n. 181 (1).

Segretario generale ministero degli Affari Esteri a conclusione conversazioni questi giorni mi ha detto risposta primo ministro Salazar.

Essa è sostanzialmente analoga a quella data al governo tedesco (2}. Egli tiene riaffermare unità di vedute e di principi con governo italiano. Tuttavia, nella sua particolare posizione e quantunque sia suo desiderio seguirlo, governo portoghese non crede per ora poter procedere riconoscimento del governo nazionale spagnolo senza un fatto nuovo.

Infatti basò a suo tempo rottura relazioni diplomatiche (3) su torti e offese specifiche governo Madrid e ritiene sarebbe ora mancanza logica troppo grave procedervi senza alcun fatto nuovo dopo che situazione si è mantenuta immutata per tempo considerevole.

A mia richiesta se per fatto nuovo governo portoghese intende presa Madrid, ha risposto affermativamente. Ad altra domanda quali sono intendimenti del governo nell'ipotesi deprecata caduta città dovesse ancora ritardare ha risposto che governo portoghese esaminerà minutamente la questione allo scopo di seguire governo italiano e tedesco.

Argomenti minutamente svolti spesso non senza imbarazzo di fronte nostra azione confermano grande perplessità incertezza attuale questo governo con il quale contrasta grande maggioranza opinione pubblica. Incertezza è aumentata da ostinata resistenza Madrid e fomentata influenza Inghilterra. Non è probabilmente estranea situazione interna stesso governo nel quale secondo le ultime notizie Salazar intenderebbe compiere rimaneggiamento.

(l) Vedl D. 368.

488

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO (4)

T. S. N. D. 5166 R. (5). Roma, 27 novembre 1936, ore 20,30.

Bisogna fare intendere a Franco che il tempo potrebbe lavorare contro di lui e che occorre quindi fare uno sforzo prima che le solidarietà della III Internazionale abbiano rinforzato in uomini e mezzi la situazione dei governativi di Valencia. Rispondere (6).

(-4) Vedi p. 530, nota l. (G) -La risposta non è stata rinvenuta.
(l) -A seguito delle istruzioni ricevute da Roma (vedi D. 444), il 20 novembre il ministro Mamell aveva effettuato un passo per indurre il governo portoghese a riconoscere il governo di Burgos ma aveva dovuto costatare una scarsa disponibilità in proposito, probabilmente dovuta, secondo il ministro, all'influenza della Gran Bretagna (T. 11444/181 R. del 20 novembre, ore 22J. (2) -Vedi p. 498, nota 2. (3) -La rottura delle relazioni diplomatiche tra il Portogallo e Il governo di Madrid era avvenuto il 23 ottobre. Vedi, in proposito, Il D. 304. (5) -Trasmesso trcunite ii SBrvizio Infonnazioni lvlilitare.
489

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11667/163 R. Sofia, 27 novembre 1936, ore 21 (per. ore 4 del 28).

Ho avuto oggi primo colloquio dopo mio ritorno con presidente del Con

siglio. L'ho subito intrattenuto delle due questioni sulle quali, sebbene in misura

diversa, converge nostra attuale attenzione: il riconoscimento dell'Impero e

quello del governo del generale Franco.

Circa la prima mi ha detto che da tempo cerca di trovare occasione opportuna per rendere pubblica e solenne la manifestazione della solidarietà bulgara alla nostra legittima pretesa, solidarietà che già si è manifestata a diverse riprese (assicurami scritto per accusare ricevuta della comunicazione del decreto di annessione dell'Abissinia ripetendone i diversi punti; accettazione delle lettere patenti dell'agente consolare di Filippopoli fatta a nome Re Imperatore; telegramma di Re Boris al Re d'Italia Imperatore d'Etiopia). Mi ha pregato di dargli tempo di studiare questione che, a quanto egli assicura, sta a cuore anche a Re Boris che lo avrebbe espressamente sollecitato ad evitare che Bulgaria si accodi anche in questa occasione agli altri Paesi.

Circa secondo argomento è stato meno esplicito (1). In ogni modo ha volenterosamente accolto mio suggerimento circa opportunità che lo possa parlare direttamente a Re Boris e mi ha promesso di procurarmi lui stesso udienza (2).

Infine si è mostrato estremamente sensibile all'alto onore che gli è stato fatto col conferimento del Gran Cordone Mauriziano che gli ho personalmente consegnato, e mi ha pregato di fare giungere a S.M. il Re e all'E.V. i sensi della sua profonda riconoscenza.

490

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11668/185 R. Lisbona, 27 novembre 1936, ore 21,05 (per. ore 0,40 del 28).

Mio telegramma n. 184 (3).

Durante udienza oggi accordata on. Pavolini (4) me presente, primo mmistro Salazar parlato lungamente apertamente questione spagnola riaffermando

identità principi e desiderio collaborare col governo italiano ma anche ripetendo ragioni già riferite per le quali egli ritiene dover attendere prima procedere riconoscimento del governo nazionale spagnuolo. Ha soggiunto in via strettamente confidenziale che egli sta personalmente lavorando per indurre gruppo repubbliche dell'America meridionale addivenire riconoscimento in pari tempo ma non ha nascosto sua azione incontra molte difficoltà.

È evidente in questa manovra caratteristica dell'uomo intento creare situazione che gli permetta aver buon gioco pressione inglese. Ha ripetuto con insistenza particolare che situazione interessi Portogallo non è compresa da amici inglesi di Londra -a differenza dei molti residenti Portogallo che comprendono perfettamente -i quali si ostinano sopratutto non rendendosi conto minaccia comunista Ha confermato se dovesse ritardare presa Madrid studierà modo affiancare Italia e Germania.

Si è mostrato molto preoccupato attuale andamento operazioni militari in Spagna.

(l) -Il ministro Sapuppo telegrafava successivamente di avere ricevuto l'impressione che al ministero degli esteri bulgaro si esitasse a riconoscere il governo del generale Franco perché si nutrivano dubbi circa l'esito finale della lotta in Spagna (T. per corriere 11948/069 R. del 6 dicembre). (2) -Con T. 12046/167 R. del 10 dicembre, ore 14,30, il ministro Sapuppo riferiva di essere stato ricevuto il giorno precedente da Re Boris, il quale, circa il riconoscimento dell'Imperoitaliano, gli aveva dichiarato che la Bulgaria doveva attendere che prima una uguale decisione fosse stata presa dagli Stati europei «non appartenenti al gruppo a noi apertamente legato ». secondo quella «saggia e prudente politica di attesa>> che gli era stata suggerita tempo primadallo stesso Mussollnl. (3) -Vedi D. 487. (4) -Pavolini si recò a Lisbona dal 26 novembre al 1° dicembre 1936 per tenere alcune conferenze all'Istituto italiano di Cultura e all'Istituto di Scienze economiche e finanziarle.
491

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI

T. s. 5167/347 R. Roma, 27 novembre 1936, ore 22.

Prego V. E. riferirmi telegraficamente su seguenti argomenti: l) Quali notizie abbiano costà circa attuale situazione spagnola; 2) quali siano al riguardo le impressioni e le previsioni del governo germanico; 3) quali i propositi di azione in favore di Franco.

Una rapida vittoria è necessaria: il tempo comincia a lavorare contro di noi (1).

492

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 11632/243 R. Tokio, 27 novembre 1936, ore 22 (per. ore 11 del 28).

Ho ragione di credere che nel patto nipponico-tedesco non ci siano impegni strettamente militari. Malgrado che esso voglia apparire soltanto anticomunista e non diretto contro il governo sovietico o qualsiasi altro, malgrado infine commenti moderati e restrittivi della stampa giapponese, patto oltre essere attualmente anti-russo è anche, sia pure soltanto potenzialmente, anti-inglese. Di ciò e del rafforzamento che dal patto traggono qui, anche se indirettamente, militari e nazionalisti, sono preoccupati e malcontenti i partiti parlamentari, nonostante qualche dichiarazione abbastanza favorevole fatta a mezzo contatti con la stampa da qualcuno dei loro rappresentanti.

493.

IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UU. PERSONALE 621 (1). Salamanca, 27 novembre 1936, ore 23,30 (2).

Generale Franco firmerà domani 28 protocollo (3) nel suo testo integrale. Chiede soltanto a V. E. se nulla osta acchè egli possa dare notizia del contenuto dell'accordo al governo del Reich attraverso questo rappresentante diplomatico tedesco. Al momento della firma si riserva anche di rimettermi una nota esprimente tale sua richiesta. Gli ho detto che avrei chiesto istruzioni a V. E. e che, comunque, in caso di mia partenza, la risposta di V. E. gli sarà data attraverso De Ciutiis. Ho aggiunto che, qualora R. governo avesse aderito alla sua richiesta ritenevo elle avrebbe gradito elle comunicazione avvenisse contemporaneamente a Salamanca ed a Roma ( 4).

(l) Per. la risposta. sl veùa l! D. 499.

494

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11731/0340 R. Parigi, 27 novembre 1936 (per. il 30).

Telegramma per corriere di V. E. n. 4986/C. del 12 corrente (5).

Ho voluto tastare il terreno al Quai d'Orsay per accertare quanto sapesse il governo francese circa l'appoggio concesso dall'Inghilterra al governo separatista basco.

Léger mi ha risposto elle l'interesse inglese sulla regione basca spagnuola è comprensibile dato elle è colà che vive il maggior numero di sudditi britannici, i quali vi hanno pure interessi considerevoli. Léger escluse però che vi sia qualsiasi intenzione britannica di aiutare il movimento nazionalista basco che, come quello catalano e per le stesse ragioni, è inviso alla Francia.

495

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11861/0572 R. Londra, 27 novembre 1936 (per. il 4 dicembre).

Ho incontrato oggi nuovamente Eden e gli ho chiesto le sue personali impressioni sull'accordo germano-nipponico. Eden mi ha risposto senz'altro che

J9 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

la sua impressione e quella dei suoi colleghi del Gabinetto era stato ed è francamente cattiva, assai più cattiva di quanto non appaia dai commenti e dagli articoli pubblicati in questi due giorni dalla stampa britannica alla quale è stata fatta presente l'opportunità di non suscitare polemiche e di mantenersi calma e moderata. Mi risulta, infatti, dai miei informatori fiduciari presso le varie redazioni dei giornali londinesi che l'ufficio stampa del Foreign Office è subito intervenuto, sin da mercoledì pomeriggio, non appena cioè è giunta a Londra la notizia della firma dell'accordo germano-nipponico, perché i giornali si astenessero da commenti e da critiche aspre nei riguardi, sia della Germania, sia del Giappone.

Eden mi ha domandato se erano esatte le voci secondo le quali l'Italia si preparerebbe ad aderire all'accordo. Ho risposto che non lo sapevo ma ritenevo esatte le notizie secondo le quali fra i governi di Roma e di Tokio si stava esaminando la posizione reciproca rispetto all'Impero italiano d'Etiopia e all'Impero del Manciukuò.

Dai contatti avuti nella giornata di ieri e oggi con esponenti delle diverse tendenze politiche, sono in grado di confermare che, ad eccezione dei gruppi apertamente anti-bolscevici, l'opinione pubblica britannica nella grande maggioranza ha accolto la notizia della firma dell'accordo nippo-tedesco con palese disappunto. La parola d'ordine che il governo ha fatto correre fra le file della maggioranza conservatrice fa sì che questo disappunto da parte britannica venga quasi dovunque espresso con studiata moderazione, moderazione che è in netto contrasto con la velenosa diatriba pubblicata nel Times del 18 novembre sotto il titolo «Three's company » (1). Nessun uomo politico con cui ho avuto occasione di intrattenermi in questi giorni, riesce tuttavia a nascondere un senso di malessere e di preoccupazione per la temuta esistenza di un protocollo militare segreto fra Germania e Giappone, di cui l'accordo anticomunista non sarebbe che il pretesto.

Come ho già avuto occasione di telegrafare (2), nella giornata di avantieri e di ieri gli ambienti della maggioranza parlamentare e anche gli ambienti finanziari della City mostravano segni di nervosismo. La giornata di oggi è stata più calma, e il governo ha fatto di tutto per contribuire a questa distensione. Tuttavia un senso di malessere permane, e ciò non è tanto dovuto alle incognite di carattere generale di fronte alle quali può trovarsi l'incerta attitudine britannica in seguito alla cristallizzazione progressiva di un blocco anti-russo, quanto alle ripercussioni che l'accordo nippo-tedesco potrebbe avere, in determinate circostanze, sugli interessi imperiali della Gran Bretagna.

Negli ambienti liberali e laburisti la campagna contro l'accordo anti-comunista nippo-tedesco è vivissima. Tale campagna si sviluppa parallelamente all'azione che stanno svolgendo in tal senso gli agenti francesi e russi, i quali cercano di rappresentare l'accordo di Berlino come una minaccia ed una sfida aperta alle democrazie francese, inglese e sovietica (!), e la conseguente necessità per la Gran Bretagna di schierarsi a fianco della Francia e della Russia.

Circa questo ultimo punto tuttavia, nonostante il malessere e la reazione ostile provocati in Inghilterra dall'accordo nippo-tedesco, l'Inghilterra non mostra, almeno sinora, segno di considerare con simpatia tale campagna di propaganda franco-sovietica. Al contrario è visibile un senso di evidente diffidenza da parte di questa opinione pubblica la quale mostra sempre più di sottolineare con crescente favore le dichiarazioni fatte venerdì u.s. a Leamington da Eden (1), e di intendere queste dichiarazioni nel senso che l'Inghilterra accetta l'alleanza difensiva con la Francia e col Belgio per la difesa delle frontiere e della integrità territoriale comune contro un eventuale attacco della Germania ma non prende alcun impegno per quanto riguarda conflitti che potessero scoppiare in altro punto del Continente europeo riservandosi di decidere caso per caso secondo quelle che saranno giudicate le necessità imperiali britanniche.

(l) -Questo telegramma fu comunicato con numero d! protocollo S/1639 tramite n Servizio Informazioni Militare dove era giunto alle 9,40 del 28 novembre. (2) -Vedi p. 530, nota l. (3) -Vedi D. 504. (4) -Il documento reca l'annotazione: «visto dal Duce». Con T. 14620 P. R. del 28 novembre, Ciano rispondeva: «Nulla osta. Mi riservo darne notizia anche a questo ambasciatore di Germania ». (5) -Ritrasmetteva n D. 372. (l) -Nell'articolo si sosteneva che Germania e Giappone gabellavano per solidarietà dottrinale il sempJice interesse a scambiarsi armamenti e materie prime. Quanto all'Italia, il suo atteggiamento filo-nipponico esprimeva la cinica collusione in atto tra l'aggressore in Africa e quello in Asia. (2) -Con T. 11601/1463 R. del 26 novembre, non pubblicato.
496

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11733/0574 R. Londra, 27 novembre 1936 (per. il 30).

Ho avuto occasione di accennare verbalmente a V. E. le molteplici reazioni sollevate dai propositi matrimoniali di S. M. Re Edoardo VIII con la nota Mrs. Simpson, americana divorziata da un cittadino britannico. Senza dare completamente credito a tutto ciò che hanno pubblicato al riguardo certi giornali stranieri e sopratutto la stampa gialla americana, pure è necessario riconoscere che la questione dei progetti matrimoniali del Sovrano è uscita ormai dalla sfera dei rapporti personali e familiari. Sono divenute di pubblica ragione non solo le opposizioni della Famiglia reale, ma anche le caute pressioni del governo, che ha fatto presente al Re la sua disapprovazione nel caso Sua Maestà insistesse a voler condurre ad effetto i suoi progetti attuali.

Edoardo VIII non ha mai nascosto, nei suoi privati discorsi, i sentimenti di disprezzo che egli prova verso il presente governo (da lui definito «governo di femmine ») e verso la decadenza sempre più impotente del regime democratico. Calcolando su una reazione delle masse popolari britanniche contro le ultime degenerazioni democratiche del parlamentarismo, Re Edoardo aspira, intimamente, ad essere il centro di questo movimento di masse -e sopratutto di masse povere -contro la democrazia e lo stesso laburismo. L'opposizione del governo ai suoi progetti matrimoniali ha contribuito ad acuire questo stato d'animo e a creare fra la persona del Sovrano e il governo del signor Baldwin un palese antagonismo politico.

Già poco dopo la sua assunzione al trono -il 5 marzo u.s. -S. M. Re Edoardo VIII, essendosi recato a Clydeside (Glasgow) per visitare il transatlantico Queen Mary, si era affrettato, subito dopo, ad improvvisare una visita ai quartieri più poveri di Glasgow, dove non aveva esitato a pronunciare parole di una certa severità nei riguardi del governo che spendeva enormi somme nella

costruzione di un transatlantico di lusso, mentre vi erano intere zone dell'Inghilterra in cui dominava il flagello del pauperismo.

La visita recente del Sovrano nelle zone del Galles più provate dalla disoccupazione e dalla miseria (in parte -e lo riconosce lo stesso Daily Telegraph nel suo articolo di fondo del 25 corrente -quale effetto delle sanzioni imposte contro l'Italia) ha dato luogo ad una ripresa di interpretazioni giornalistiche intese a contrapporre il Sovrano al governo. << Quanto spesso avviene -scrive un giornale locale e sotto il titolo «Un contrasto » -che un ministro si rechi coraggiosamente sul posto per vedere e misurare un problema attraverso il suo indipendente giudizio, facendo seguire tale giudizio con un'azione immediata?... Certo coloro -(e qui l'allusione a Baldwin è evidente) che hanno recentemente confessato che non ardivano dire al popolo la verità, si renderanno conto dell'abisso che separa la loro condotta e i loro metodi da quelli del Re nel Galles ».

Il governo si è subito risentito e preoccupato di questa contrapposizione che costituisce un fatto nuovo e singolare nella storia costituzionale inglese ed ha fatto pubblicare nel Times del 24 novembre un articolo di fondo, di tono pure inconsueto, sotto il titolo «Il Re e i suoi Ministri». L'articolo parla delle distressed areas nel Galles e dopo avere ricordato i ripetuti interessamenti del governo a favore di quella popolazione, scrive: «È giusto plaudire al contributo del Re ad un risveglio della coscienza nazionale di fronte al problema della popolazione gallese ed alla necessità di esaminare i mezzi per fronteggiarlo. Ma sarebbe estremamente dannoso e contrario allo spirito della Costituzione, di contrapporre la ben nota simpatia del Re per la popolazione bisognosa, alle misure prese finora dal governo. Ciò implicitamente creerebbe un distacco fra il Monarca ed i suoi ministri. I ministri del Re sono i consiglieri di Sua Maestà e il mettere in contrasto il suo interessamento personale e rappresentativo per il benessere di una parte del suo popolo con i provvedimenti amministrativi dei suoi consiglieri è costituzionalmente un pericoloso procedimento che minaccerebbe, ove fosse continuato, di immischiare il trono nella politica... Gli articoli di certi giornali sono un colpo diretto alle radici della monarchia poiché se il Monarca, per fini di argomentazione e polemica politica, viene ad essere dissociato da alcune azioni dei suoi ministri, allora conseguentemente egli deve sopportare una più diretta responsabilità per tutto il resto. La posizione costituzionale del Re è al di sopra e al di fuori della politica dei partiti, e coloro che amano l'istituzione della monarchia si sforzeranno sempre di mantenerla tale».

Il giorno seguente, 25 novembre, anche il Daily Telegraph ha ripreso lo

stesso tema in un suo articolo di fondo intitolato «Un pessimo servizio al

Re». «Grave danno verrà cagionato alla causa delle popolazioni bisognose e

alla posizione della monarchia -scrive il giornale -se si continuerà in certi

ambienti a tentare di rappresentare la visita del Re nel South Wales come

uno schiaffo alla politica ministeriale »... E dopo avere dichiarato di condi

videre i giudizi del Times, il Daily Telegraph conclude: «Coloro che vorrebbero

trasformare in una frusta contro i ministri i sentimenti di bontà e umanità

che il Re ha dimostrato, non recano alcun sollievo alle zone depauperate, ma

rendono un pessimo servizio a Sua Maestà ».

Comunque possa ulteriormente svilupparsi questa situazione rimane degno di rilievo il fatto che sono proprio i giornali del partito conservatore -come il Times e il Daily Telegraph -che, col pretesto della « costituzionalità pura », e di un «buon servizio da rendersi alla Corona», hanno di fatto richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica britannica su di un dissidio che era rimasto finora sopito nella cerchia di poche persone che ne erano a conoscenza; dissidio, che per la sua singolarità, e la sua potenziale gravità, non può se non accentuare il senso di turbamento che si riscontra oggi nell'atmosfera politica inglese.

(l) Vedi p. 532, nota l.

497

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 4866/1648. Berlino, 27 novembre 1936 (per. il 30).

Mi riferisco ai miei telegrammi n. 553 del 24 novembre u.s. e n. 556 del 25 novembre u.s. (l).

Ieri sera il Fuhrer e Cancelliere del Reich ha offerto, nella sede della Cancelleria, un pranzo in onore dell'ambasciatore del Giappone a Berlino, visconte Mushakoji. Ad esso, oltre i funzionari dell'ambasciata imperiale, hanno preso parte il generale Gi:iring, il ministro degli Affari Esteri von Neurath, l'ambasciatore von Ribbentrop ed altre personalità del mondo politico tedesco. E stamane l'ambasciatore è ripartito da Berlino per raggiungere nuovamente, dopo la brevissima parentesi, la sua sede di Londra.

Con tale celebrazione nippo-tedesca e con il declinare e lo spegnersi dei commenti della stampa, l'accordo anti-comunista fra i due Paesi passa ad essere un fatto compiuto che, mentre perdura il nervosismo da esso suscitato oltre frontiera, lascia indubbiamente nei suoi stipulatori un senso di viva soddisfazione.

Con ogni probabilità la firma dell'accordo, che è stato condotto a termine, come è noto, dopo non brevi conversazioni e trattative, è stata affrettata da due circostanze: il dilagare delle cosidette rivelazioni, di origine particolarmente britannica e provenienti dall'Estremo Oriente circa il suo contenuto, e la nuova tensione creatasi nei rapporti russo-tedeschi, nelle ultime settimane, e culminata con la condanna a morte (seguita però ben presto dalla concessione della grazia) dell'ing. Stickling, arrestato dalle Autorità sovietiche a Novosibirsk.

Fino a dieci giorni fa infatti, e cioè fino al momento della pubblicazione a Londra di voci allarmistiche e particolarmente del perfido articolo del Times del 18 u.s. (2) un completo silenzio regnava a Berlino sulla possibilità di una imminente conclusione delle trattative nippo-tedesche, per quanto da più parti venisse confermato che esse andavano avviandosi, adagio adagio, verso risultati concreti.

I tedeschi hanno evidentemente, e secondo il loro metodo classico, approfittato degli arresti di Russia (l) per eseguire il loro consueto violento tiro di preparazione che preannuncia sempre il «colpo di scena~. E, sempre anche secondo le linee diplomatiche classiche della diplomazia del Terzo Reich, hanno, nei confronti dell'agitata opinione pubblica britannica, lanciato pochissimi giorni fa 1a Londra e per la bocca dello stesso von Ribbentrop, il « contentino ~ della adesione germanica alle clausole per la umanizzazione della guerra sottomarina, campo particolarmente sensibile per i cuori d'Oltremanica (2).

Nelle ultimissime ore precedenti alla firma dell'accordo, la stampa tedesca, e particolarmente l'ufficiosissima Diplomatisch-Politische Korrespondenz hanno fatto poi chiarissimi accenni all'imminenza di una completa e degna risposta tedesca alla provocazione sovietica. Con tutto ciò a Berlino, alla mattina del 25 allorché si è diffusa la voce negli ambienti diplomatici e giornalistici che, tra le 12 e le 14, il governo del Reich avrebbe fatto un'importante comunicazione ad alcuni rappresentanti diplomatici stranieri ed ai corrispondenti esteri, si sono fatte moltissime supposizioni, molte delle quali ben lontane da una imminente stipulazione dell'accordo nippo-germanico. Molti hanno creduto piuttosto, e di tali voci si è fatto anche eco lo stesso corrispondente berlinese del Times, ad una dichiarazione preannunciante la rottura dei rapporti diplomatici tra il Reich e l'U.R.S.S.

Tutto ciò ha dimostrato come, nel complesso, l'accordo stesso sia stato per molti, nella sua forma definitiva, una sorpresa non piccola: e ciò spiega anche come, sempre in quegli ambienti diplomatici e giornalistici stranieri, esso abbia prodotto quel senso di diffidenza, di sospetto e di malcelata contrarietà che si è rovesciato, come abbiamo potuto leggere in questi giorni, in moltissimi organi della opinione pubblica straniera. Agli americani, come ho avuto occasione di accennare nel mio telegramma n. 559 del 27 (3), la cosa evidentemente non poteva piacere dato che l'accordo viene a dare al Giappone una nuova funzione politica mondiale a loro particolarmente sgradita. E agli inglesi questo ponte ideale, gettato attraverso tutto il continente asiatico, tra Berlino e Tokio, proprio mentre essi speravano nuovamente in una rinnovata affermazione della corrente filo-britannica del lontano Impero, non è troppo piaciuto facendoli rimanere anch'essi con la bocca piuttosto amara. E, naturalmente, un tale stato d'animo è reso, per alcuni tra loro, ancora più esacerbato per il fatto che l'accordo porta la firma del signor Joachim von Ribbentrop, ambasciatore del Reich presso la Corte di San Giacomo.

Occorre dire che questa circostanza ha effettivamente suscitato anche a Berlino molto interesse e curiosità, perché effettivamente in un primo momento sembra un po' fuori dell'ordinario il fatto che un accordo firmato nella capitale

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del Reich dove risiedono Cancelliere e ministro per gli Affari Esteri, porti il sigillo di una persona che, almeno formalmente, dovrebbe svolgere la propria attività fuori delle frontiere perché accreditata, quale ambasciatore presso un grande Stato straniero. Ma nella realtà tale sorpresa non esiste per quanti conoscono la complessa figura diplomatica e la funzione specifica del signor von Ribbentrop. Questi infatti, considerato il tipo diplomatico «nuovo )) del Reich hitleriano, ha sempre, in certo modo, monopolizzato per sè nel quadro internazionale la politica anti-comunista dell'odierna Germania e del suo FUhrer. Note sono state recentemente anche per le conseguenze clamorose, le sue dichiarazioni anti-bolsceviche fatte nello stesso territorio britannico, al momento di assumere la carica di ambasciatore a Londra (1). Non appariva quindi verosimile che un accordo squisitamente anti-comunista e del quale effettivamente von Ribbentrop era stato l'ispiratore e l'autore (praticamente le trattative sono state condotte, nell'ultimo periodo, tra il rappresentante berlinese dello stesso Ribbentrop, signor von Raumer, semplicemente «assistito )) dal direttore degli Affari Politici transoceanici della Wilhelmstrasse, ministro von Erdmannsdorf, e l'addetto militare giapponese a Berlino, generale Oshima) venisse poi affidato, per onore della firma al ministro degli Affari Esteri, barone von Neurath che rappresenta invece la tendenza «classica )) della diplomazia germanica.

Occorre però dire in proposito che, nel complesso, anche la prudente Wilhelmstrasse, come del resto, in generale, tutti gli ambienti del mondo politico e militare germanico, sono rimasti soddisfatti della stipulazione dell'accordo. Bisogna infatti sempre tener presente, allorchè si tratta della Germania, la circostanza che, sulla psicologia del tedesco del dopoguerra pesa ancora, quale una grave condanna, un senso schiacciante di «isolamento)): troppe volte infatti la Germania si è dovuta, negli ultimi tempi, per rifarsi una situazione nel mondo, gettarsi da sola nella politica dei colpi di testa. Qualsiasi «agganciamento )), che porti a collegamenti e ad intese nel quadro politico mondiale, non può non essere qui ben visto ed approvato. L'attuale accordo quindi, stipulato con una grande Potenza, anche se di origine non ariana, che fu già spiacevole avversaria nella conflagrazione mondiale, segna una tappa importante in una strada compresa in una cornice molto più vasta che non quella dell'Europa occidentale. È interessante notare come una identica sensaziòne, a leggere almeno taluni commenti di stampa provenienti da Tokio, sembrano aver provato gli ambienti militari giapponesi che appaiono particolarmente soddisfatti di questo inizio dei rapporti diretti e continui con la Germania di Hitler e di von Blomberg.

Ora naturalmente tutti attendono anche qui di vedere gli sviluppi dell'accordo. E interesse vivissimo è sopratutto destato dall'articolo nel quale si precisa come la Germania ed il Giappone intendano provocare l'adesione di terzi Paesi, minacciati dal pericolo comunista. Importante in proposito è apparsa naturalmente, nei nostri riguardi, la dichiarazione di von Ribbentrop, che, nel dividere fin da ora idealmente il campo del mondo in settori per la difesa anti-comunista, ha assegnato alla Germania il settore centro-europeo, all'Italia di Benito Mussolini quello dell'Europa Meridionale e al Giappone l'Estremo Oriente. Il dott. Goebbels invece, nel suo commento pronunciato alla radio di

Berlino nella stessa sera del 25, non si è addentrato nel campo politico internazionale, limitandosi ad esaltare, attraverso l'accordo nippo-tedesco, la funzione della Germania destinata a gettare l'allarme all'Europa contro la peste bolscevica: Europa che un giorno secondo la parte {l) del ministro della Propaganda del Reich dovrà esserle grata per una tale sua decisa e violenta reazione contro lo spirito della III Internazionale.

Trasmetto qui unito il testo in lingua tedesca dell'accordo in questione, firmato a Berlino alle ore 12 del 25 novembre (2).

(l) -Vedi p. 549, nota 2 e D. 472. (2) -Vedi p. 546, nota l.

(l) A Mosca, era stata annunciata la scoperta di un complotto nel quale risultavano coinvolti alcuni sudditi tedeschi che erano stati arrestati. L'ambasciatore Rosso, nel darne notizia, esprimeva l'opinione che il governo sovietico intendesse inscenare un processo politico sensazionale per denunciare delle presunte attività fasciste in U.R.S.S. pilotate dall'esterno (T. 11351/214 R. del 18 novembre, ore 17,10).

(2) -Il 6 novembre, era stato sottoscritto da Francia, Giappone, Italia, Gran Bretagna,Dominions britannici e Stati Uniti un «processo verbale>> per la messa in esecuzione del!a Parte IV (guerra sottomarina) del Trnttato navale di Londra del 22 aprile 1930. II governo (3) -T. 11641/559 R. del 27 novembre, ore 13,37. Riferiva che gli ambienti diplomatici di Berlino erano rimasti «sorpresi e sconcertati>> dall'annuncio dell'accordo nippo-tedesco e che particolare malcontento mostrava l'ambasciata degli Stati Uniti.

(l) Vedi D. 368.

498

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 11679/245 R. Tokio, 28 novembre 1936, ore 11,45 (per. ore 16,40).

Ove sia vera notizia di questi giornali secondo cui trattative per accordo commerciale circa Etiopia e Manciukuò sarebbero in corso, permettomi far presente necessità massima chiarezza e precisione nelle stipulazioni ad evitare domani cavillose interpretazioni, restrittive applicazioni e conseguenti disillusioni e malcontento con danno delle reciproche buone relazioni. Cosiddetto porto aperto in Manciuria è stato finora tale soltanto per i giapponesi, i quali non solo hanno frapposto ogni ostacolo allo stabilimento di nuove ditte straniere ma sono anche andati gradualmente eliminando quelle colà esistenti e la stessa Germania non è rimasta finora soddisfatta del modo col quale è stata data esecuzione dal Manciukuò al suo accordo commerciale (3).

499

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. N. D. 11693/561 ·R. Berlino, 28 novembre 1936, ore 18,40 (per. ore 20,30).

Telegramma di V. E. n. 347 (4).

Questo ministro degli Affari Esteri, pur constatando lentezza operazioni Franco, non mostrasi pessimista. Ritiene però anche esso che il tempo lavora nel complesso contro di noi. E pensa che, pur mantenendo conflitto nel quadro strettamente spagnuolo, occorre pensare a continuare nella via fino ad oggi seguita sostenendo nettamente Franco. Quanto alla parte pratica, cioè nuovi mezzi ritenuti migliori per raggiungimento scopo, sarà necessario parlarne direttamente lunedì o martedì con generale Goering non appena egli sia qui tornato da Goslar. Telegraferò (5).

(l) -Sic. (2) -Non si pubblica. (Vedi p. 327, nota 3). Il documento ha il visto di Mussollnl. (3) -Accordo per regolare il commercio tra Germania e Manciukuò del 30 aprile 1936 (testo in MARTENS, vol. XXXVI, pp. 350-353). (4) -Vedi D. 491. (5) -Questo documento ha il visto di Mussolini. Per il seguito si veda il D. 531.
500

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11702/703 R. Parigi, 28 novembre 1936, ore 20,30 (per. ore 24).

Riassumo impressioni espostemi da Léger circa trattato tedesco-nipponico. di difesa contro Comintern:

l. -Nonostante varie supposizioni, trattato non contiene verosimilmente più di quanto è stato pubblicato.

2. --Esso fu voluto dalla Germania e dal militarismo giapponese che incontrarono forti opposizioni da parte diplomazia nipponica, la quale vide che svantaggi sarebbero stati maggiori dei vantaggi e che continuerebbe nutrire apprensioni. 3. --Aspirazioni di fare accedere al trattato Cina per conglobarla nella azione giapponese di opposizione al comunismo in Estremo Oriente non avrà successo perché governo cinese si guarderà bene dal lasciarsi attrarre in un tranello che potrebbe avere conseguenze gravi per propria indipendenza. Cina continuerà ad opporsi alla minaccia comunista con tutti i mezzi propri e senza legarsi al Giappone. 4. --Reazioni in Inghilterra e Stati Uniti sono state profonde e cresceranno in futuro non perché questi due Paesi siano favorevoli al comunismo o lo temano meno della Germania e Giappone ma perché non approvano metodi seguiti che Léger definì brutali per giustificazione data alla stipulazione del trattato e privi di tatto per l'appello rivolto ad altri Stati di aderire. 5. --Commentò ironicamente decisione di fare firmare trattato da von Ribbentrop osservando che posizione di quest'ultimo, divenuto in tal modo capo della propaganda internazionale germanica, sarà più che mai facile d'ora in poi a Londra.
501

IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 627 (1). Salamanca, 28 novembre 1936, ore 21 (2).

Generale Franco ha firmato oggi protocollo (3). Mi ha rimesso la nota (4) con la quale manifesta il suo desiderio, date strette relazioni esistenti con Germania, informare governo del Reich del protocollo, sia per ragioni di lealtà, sia anche per evitare che al protocollo si attribuisca portata diversa di quella che ha. Generale Franco si rimette, comunque, alla decisione del R. governo al riguardo (5).

(l) -Questo telegramma fu comunicato con numero di protocollo S/1660 tramite il Servizio Informazioni Militare dove era giunto alle ore 0,55 del 29. (2) -Vedi p. 530, nota l. (3) -Vedi D. 504. (4) -Non pubblicato. Il suo contenuto è qui riportato. (5) -Il documento reca l'indicazione: «Visto dal Duce».
502

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL DOTTOR DUBBIOSI A SANAA

T. s. 5178/176 R. Roma, 28 novembre 1936, ore 24.

Suoi telespressi 1502 e 1576 (1).

Mi riferisco a direttive impartitele con telespresso 207086 del 6 marzo 1935 (2) che confermo. È cioè nostro interesse mantenere integrità politica e territoriale nonché indipendenza dello Yemen e pertanto non fare nulla che possa favorirne lo smembramento. Nelle attuali circostanze appare anche conveniente non turbare nostri buoni rapporti con l'Imam e sua famiglia. In questo senso approvo azione svolta da V. S. per riconciliare Ragheb Bey con il Seif el Islam Ahmed (3).

Convengo tuttavia con V. S. che è opportuno non dare sensazione all'emiro el Gheso che noi lo trascuriamo. E pertanto V. S. potrà aderire al desiderio da lui manifestato di incontrarlo, sempre che ciò avvenga in modo da non destare sospetti a Sanaa e dando quindi ad incontro carattere occasionale, per esempio motivando viaggio con ispezione ambulatori Hodeida e Taiz. Ciò conviene non solo per secondare per ogni evenienza suo attuale atteggiamento nei nostri riguardi ma anche per impedire che egli abbia a cadere completamente sotto l'influenza britannica.

Proposta dell'emiro di tenere ad Assab eventuali depositi armi e munizioni può essere da noi favorevolmente considerata. Ma se noi siamo disposti in tal modo a venir incontro ai suoi desideri intendiamo d'altra parte che egli ci dia qualche prova dei suoi sentimenti a nostro riguardo. V. S. ha riferito che emiro ha tra l'altro rimesso in efficienza le strade che portano da Taez alla frontiera, ciò che non può che facilitare gli scambi con Aden a danno di Moka e quindi di Assah. La costruzione di una buona strada tra Taiz e Moka, mentre sarebbe molto opportuna per consentirci di mantenere con l'emiro pitì rapide e sicure comunicazioni, costituirebbe d'altra parte ai nostri occhi una prova del suo orientamento nei nostri riguardi, in quanto servirebbe ad avviare verso Moka i traffici dell'interno oggi convergenti su Aden.

«In via subordinata e per l'eventualità che, aprendosi la successione dell'Imam, lo Yemen meridionale dovesse staccarsi da quello settentrionale, e tanto più in quanto tale eventualità appare probabile, conviene però a noi, come osserva V. S., cercare di mantenere con l'Emiro di Taiz i migliori rapporti al fine di Impedire che egli abbia a cadere completamente sotto l'influenza britannica. Tuttavia anche in tale eventualità non sarebbe da perdersidi vista l'opportunità per noi di mantenere i più stretti contatti anche col Governo di Sanaa per controbilanciare l'azione inglese a Taiz (azione favorita dalla vicinanza con Aden) e per conservare nella peggiore ipotesi almeno nello Yemen settentrionale una posizione di privilegio.

In tali condizioni questo R. Ministero prega la s. V. di voler esaminare e riferire in qualmodo si potrebbe da parte nostra presentare eventualmente all'Emiro di Taiz gli appoggi anche materiali da lUi richiesti senza che l'Imam e la sua famiglia, contro cui in definitiva tali appoggi verrebbero diretti se ne avvedano e senza per conseguenza compromettere le nostre relazioni con l'Imam stesso ».

Dal punto di vista commerciale V. S. può dichiarare che è nostro intendimento potenziare al massimo porto di Assab e nostri traffici con lo Yemen e siamo disposti interessare S.A.N.E. perché rivalorizzi la sua agenzia di Moka. Ma occorre che l'Emiro faccia da parte sua quanto è necessario perché Moka adempia alla sua funzione di porto e di centro commerciale in relazione con Assab costruendo la strada per Taiz.

V. S. infine osserva nei suoi rapporti che situazione nel bassopiano yemenita diventa di interesse sempre maggiore e rileva necessità di avere in quel settore una conveniente preparazione ambientale. Se per tale scopo, che V. S. è naturalmente autorizzata a perseguire, V. S. ha bisogno di mezzi finanziari, faccia precise proposte al riguardo (l).

(l) -Telespressi 1502 del 6 settembre (pervenuto il 14 novembre) e 1576 del 30 settembre (pervenuto il 17 novembre). Vi si sottolineava l'onnortunità di mantenere dei contatti con l'emiro di Taiz, il quale chiedeva l'appoggio dell'Italia in previsione delle lotte per la suè'cessione che, presumibilmente, si sarebbero sviluppate nello Yemen al momento della morte dell'Imam. (2) -Dopo aver chiarito, in termini analoghi a quelli ripetuti nel presente telegramma che era interesse dell'Italia conservare l'Indipendenza e l'integrità territoriale dello Yemen ed evitare di inimicarsi il principe ereditarlo Sef el Islam Ahmed, vi si aggiungeva:

(3) Su l'azione svolta in questo senso, il dott. Dubbiosi aveva riferito con telespresso 1650 del 5 novembre, pervenuto il 17 novembre, non pubblicato.

503

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 11724/0344 R. Parigi, 28 novembre 1936 (per: il 30).

Durante una conversazione avuta stamane con il signor Léger, questi mi disse di aver appreso dalle notizie dei giornali l'occupazione, da parte delle truppe italiane, della regione e della località di Gore. Si trattava di una operazione assai notevole tanto dal punto di vista militare che da quello politico, in vista dell'importanza che si era voluto attribuire a Gore durante l'assemblea della S.d.N. del settembre scorso. Egli quindi mi esprimeva il suo compiacimento per l'occupazione medesima.

Gli ho espresso i miei personali ringraziamenti per le cortesi sue parole e gli ho chiesto se dovessi intenderle nel senso che il governo francese stesse considerando se si potesse valere di tale occupazione italiana per trarne le conseguenze nei riguardi del riconoscimento della nostra sovranità sull'Etiopia, che non ha proprio più nessuna ragione di continuare a figurare fra gli Stati membri della S.d.N.

Il signor Léger mi rispose che la politica societaria della Francia non le consentiva di prendere decisioni singole in una materia che interessava tutti i membri della S.d.N. e che doveva quindi essere risolta in modo uniforme per tutti. Il suo compiacimento per la nostra occupazione di Gore doveva quindi interpretarsi nel senso che egli riteneva superata in tal modo una difficoltà che non era stata prevista quando si riunì l'Assemblea nell'autunno scorso e che diede origine ad una deliberazione che il governo francese deplorò e deplora, quella cioè di ammettere i delegati abissini.

Premettendo che si proponeva parlarmi in via non ufficiale ma personale ed amichevole, il signor Léger ricordò quanto mi aveva detto alla metà di ottobre, cioè che il disgraziatissimo incidente sorto a proposito della redazione delle credenziali dell'ambasciatore conte de Saint Quentin non avrebbe dovuto impe

dire a lui ed a me di condurre innanzi le varie questioni interessanti l'Italia e la Francia con lo spirito più conciliante e col desiderio sincero di mantenere i reciproci rapporti in una atmosfera fiduciosa. Io gli avevo parlato a più riprese dell'opportunità di richiamare il signor Bodard da Addis Abeba. Egli conveniva meco che la partenza in congedo dell'ex ministro di Francia in Etiopia sarebbe stata conveniente sia per l'effetto che avrebbe prodotto sull'elemento indigeno, che per la ripercussione favorevole che avrebbe avuto in Italia. Sinora gli sforzi da lui compiuti nel senso suddetto non avevano potuto essere coronati da successo perché il governo era stato sordo dinnanzi alle sue insistenze. Ieri, però, aveva ottenuto dal ministro Delbos l'autorizzazione di comunicarmi che il signor Bodard può essere autorizzato a partire in congedo e che, una volta giunto in Francia, gli potrà essere data una altra destinazione. Doveva però aggiungere che il governo francese, pur avendo preso questa decisione di massima superando la pregiudiziale che gli aveva sinora impedito di adottarla, era costretto a soprassedere a darvi seguito per un riguardo verso la propria opinione pubblica. In altri termini, il governo francese si augurava che da parte del governo fascista fosse compiuto nei suoi riguardi qualche gesto amichevole che gli permettesse di corrispondervi coll'impartire al signor Bodard l'istruzione di partire in congedo. L'opinione pubblica francese, salutando con gioia qualunque gesto amichevole dell'Italia, avrebbe certo applaudito anche alla partenza da Addis Abeba dell'ex ministro di Francia.

Ho detto al signor Léger che gli sarei stato molto grato se egli avesse potuto indicarmi in quale campo l'Italia avrebbe dovuto compiere un gesto amichevole verso la Francia, perché io, a prima vista, non ne scorgevo alcuno. Léger rispose che egli pure si rompeva la testa da un paio di giorni per trovare qualcosa che gli permettesse di dar corso al provvedimento che era riuscito con tanta fatica a far approvare dal suo governo. Mi pregava ad ogni modo di riflettere alla cosa e di prendere atto di quanto mi aveva detto.

Quasi come giustificazione della riserva con cui il governo francese aveva voluto accompagnare l'autorizzazione a richiamare il signor Bodard, Léger ricordò il caso delle credenziali del conte de Saint Quentin sostenendo che non solo le sfere ufficiali ma anche i circoli politici francesi si erano sentiti offesi per la differenza di trattamento fatta agli Stati Uniti d'America ed alla Francia. La recente presentazione delle credenziali da parte dell'ambasciatore Phillips aveva ravvivato tale rammarico. Se il governo francese aveva preso la decisione di non parlare più ufficialmente al governo italiano del caso di cui si tratta, ostandovi la sua dignità, egli aveva creduto accennarne in via personale perché la situazione creatasi era deplorevole e nessuno se ne rendeva conto meglio di lui.

Mi sono astenuto dal dire a Léger che l'errore maggiore era stato quello di richiamare in questo momento il conte de Chambrun, perché ciò non avrebbe risolto nulla ed avrebbe potuto apparire come un appunto personale mosso a lui.

Ripeto, per V. E., che non vedo in quale campo politico o economico il

R. governo possa presentemente compiere un gesto da sfruttarsi di fronte all'opinione pubblica francese nel senso desiderato da Léger. Ne vedo uno nel campo culturale. Definito infatti l'acquisto da parte del governo francese dell'Hotel de Doudeauville, per cederlo in uso al governo fascista come sede della propria ambasciata in Parigi, si potrebbe annunciare al governo francese la decisione presa dal governo fascista di creare in questa capitale un «Istituto d'Italia> avente scopi culturali analoghi a quelli della «Villa Medici» e dell'Istituto delle Iscrizioni ospitato al Palazzo Farnese e di adibire a tale scopo il palazzo di proprietà demaniale in cui ebbe sinora sede la R. ambasciata. Menziono quanto precede unicamente per mostrare che ho escogitato ogni mezzo per venire incontro al desiderio espressomi dal signor Léger. V. E. è solo giudice circa l'opportunità di tener conto di quanto mi disse il segretario generale del Quai d'Orsay.

(l) Il 29 dicembre Ciano telegrafava che era stato chiesto al ministero delle Colonie di creare un deposito di armi ad Assab (T. 5614/195 R. del 29 dicembre, ore 24).

504

PROTOCOLLO SEGRETO ITALO-SPAGNOLO (l)

Il Governo Fascista ed il Governo Nazionale Spagnolo, solidali nella lotta comune contro il comunismo che minaccia in questo momento più che mai la pace e la sicurezza dell'Europa e animati dal proposito di rafforzare e sviluppare le proprie relazioni e di concorrere con tutte le loro forze alla stabilità sociale e politica delle Nazioni europee, hanno proceduto, a mezzo dei rispettivi rappresentanti a Roma e a Burgos, ad un esame accurato delle questioni che interessano i due Paesi e sono giunti, di comune accordo, alle conclusioni seguenti:

l) Il Governo Fascista continuerà ad accordare al Governo Nazionale Spagnolo il proprio appoggio e la propria assistenza pel mantenimento dell'indipedenza e dell'integrità spagnola, metropolitana e coloniale, e pel ristabilimento dell'ordine sociale e politico interno. Gli organi tecnici dei due Paesi continueranno a tenersi all'uopo in rapporto.

2) Il Governo Fascista ed il Governo Nazionale Spagnolo, persuasi dell'utilità per i rispettivi Paesi e per l'ordine sociale e politico dell'Europa, di una stretta collaborazione fra loro, si terranno in rapporto e si concerteranno su tutti i problemi riguardanti i due Paesi, e in particolare sui problemi del Mediterraneo Occidentale, per i quali essi concorderanno la loro azione e si daranno mutuo appoggio per la efficace tutela dei loro rispettivi interessi.

3) Ciascuno dei due Governi si obbliga a non partecipare in qualsiasi modo ad aggruppamenti o intese di Potenze che possano essere diretti contro l'altra Parte, né ad aderire direttamente o indirettamente a misure di ordine militare, economico e finanziario di qualsiasi genere dirette contro l'altra. In particolare essi si obbligano a non permettere la utilizzazione dei loro rispettivi territori, porti ed acque territoriali per operazioni dirette contro uno di essi

-o per preparare tali operazioni o permettere il passaggio di rifornimenti o di truppe di una terza Potenza. A tal'uopo i due Governi si impegnano a considerare come nulli gli impegni che essi avessero in precedenza assunto, in contraddizione con le stipulazioni del presente Protocollo e a sospendere qualsiasi principio di esecuzione che tali impegni avessero avuto.

4) Il Governo Fascista e il Governo Nazionale Spagnolo convengono che l'art. 16 del Patto della S.d.N., quale esso è attualmente formulato e quale è stato di recente interpretato e applicato, contiene dei gravi pericoli per la pace e debba essere o abolito o radicalmente mutato. In ogni caso, e fin da questo momento, qualora uno dei due Paesi si trovasse impegnato in un conflitto con una o più altre Potenze o che contro di esso fossero adottate misure collettive di ordine militare, economico e finanziario, l'altro Paese si obbliga a mantenere verso di esso un atteggiamento di neutralità benevola e ad assicurargli tutti i rifornimenti di cui esso avesse bisogno, nonché tutte le facilitazioni per l'uso dei porti, delle linee aeree, delle ferrovie e delle strade di transito e per il traffico di rimbalzo.

5) A questo scopo i due Governi riconoscono l'utilità di stabilire fin dal tempo di pace le modalità per l'utilizzazione delle loro risorse economiche -e in particolare delle loro materie prime -e per l'uso dei mezzi di trasporto. Gli organi tecnici dei due Paesi prenderanno al più presto gli accordi all'uopo necessari.

6) Il Governo Fascista e il Governo Nazionale Spagnolo riconoscono la possibilità e la convenienza pei rispettivi Paesi di intensificare quanto più possibile i rapporti economici di ogni genere esistenti fra di loro e le rispettive comunicazioni marittime ed aeree. All'uopo essi si assicurano reciprocamente, dati i loro particolari legami di amicizia, ogni possibile trattamento di favore alle merci, alla bandiera mercantile e alle aviazioni civili rispettive.

I due Governi rivedranno al più presto in questo senso gli accordi esistenti fra i due Paesi in materia di commercio e di navigazione marittima ed aerea. In fede di che viene firmato il presente Protocollo. Salamanca, 28 novembre 1936

FRANCO-CIANO

505.

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, DE PEPPO, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON HASSELL

APPUNTO. Roma, 28 novembre 1936.

L'ambasciatore di Germania ha letto con vivo interesse e con particolare attenzione il progetto di protocollo segreto itala-spagnolo (1). Me ne ha chiesto copia. Gli ho risposto che si trattava per ora di un «progetto» che Franco poteva anche non accettare integralmente e comunque discutere. Mi ha chiesto come la Germania poteva inserirsi nel protocollo. Gli ho risposto che al Governo del Reich sarebbe stato agevole, basandosi sul nostro precedente, concludere analogo accordo.

È entrato poi nel merito e del progetto e della questione spagnuola. Circa il primo ha trovato che l'articolo 4 (uso dei porti, linee aeree, ferrovie ecc.) era molto più che una benevola neutralità e che eguale interesse aveva la Ger

mania di concludere accordi con la Spagna per le materie prime e i traffici commerciali (articoli 5 e 6).

Circa la seconda non mi ha nascosto le sue preoccupazioni, sia per il raggiungimento dello scopo prefissoci (vittoria dei nazionalisti), sia per il futuro assetto politico della Spagna dopo che con l'aiuto straniero di marocchini, di italiani e di tedeschi, Franco, che non è neppure del tutto d'accordo con i suoi attuali collaboratori (falange, ecc.), si troverà a dover governare un Paese esausto e sempre in istato di latente rivolta.

(l) -Il testo di questo documento pubblicato in L'Europa verso la catastrofe (pp. 120-121) presenta numerose differenze di forma.

(l) Vedi D. 504.

506

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3610/983. Roma, 28 novembre 1936 (per. il 30).

Il cardinale segretario di Stato ha intrattenuto lungamente il Reggente Horthy e il ministro degli Esteri ungherese. nella visita di ieri (1), sulle relazioni della Santa Sede con il Reich.

A questo proposito il cardinale Pacelli mi ha detto che l'incontro del Fiihrer con il cardinale Faulhaber (2) è avvenuto ad iniziativa di quest'ultimo. Il segretario di Stato mi ha dato lettura di alcuni brani del rapporto ricevuto da Monaco. Dal medesimo risulta che la questione dei processi ha perduto molto della sua acutezza, non così quella per le scuole tenute da religiosi in Baviera. Il cardinale Faulhaber riferisce che il Fiihrer gli ha dichiarato di avere dato lui stesso l'ordine di sospendere i processi e di essersi reso conto, in molti casi, della buona fede dei religiosi incriminati. Al contrario, per le scuole il Fiihrer, dopo avere ascoltato attentamente con visibile interesse il lungo esposto dell'arcivescovo di Monaco, «non ha preso posizione». Il silenzio di Hitler è considerato dal cardinale segretario di Stato di poco buon augurio. Si aggiunga che una riunione che doveva avere luogo a Berlino, nei primi giorni dell'ottobre s., con la partecipazione di tre vescovi ha subito dei successivi rinvii e pare che oggi non se ne parli più.

Il reggente ha promesso di intervenire a Berlino per spingere quel governo ad assumere un atteggiamento più conciliante nei riguardi della Santa Sede. Il ministro degli Esteri ungherese, intervenuto nella conversazione, avrebbe manifestato un certo ottimismo. Egli ha precisato che Berlino si è sempre mostrato inflessibile su tre punti soltanto: ebrei, Asburgo e comunismo. Gli uomini di stato ungheresi avrebbero ammesso che, nella presente delicata situazione internazionale, una normalizzazione delle relazioni fra la Santa Sede e il Reich, è sommamente desiderabile.

Il cardinale Pacelli non ha avuto occasione di scambiare, con il presidente del Consiglio ungherese, più che delle frasi di cortesia. Il signor Daranyi ha assistito, in silenzio, al colloquio politico.

(l) -L'ammiraglio Horthy si era recato in visita ufficiale in Italia dal 24 al 28 novembre accompagnato dal presidente del Consiglio Daranyi e dal ministro degli ester!, De Kanya. Sui colloqui avutisi in quell'occasione non è stata trovata documentazione negli archivi italiani. (2) -Vedi D. 406.
507

IL CONSOLE A BRATISLAVA, LO FARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 3957/275. Bratislava, 28 novembre 1936 (per. il 3 dicembre).

Le battute polemiche ungaro-germaniche in tema di revisionismo magiaro (l) hanno vivamente interessato gli ambienti slovacchi, specie i governativi, che vi hanno dato sproporzionato rilievo in connessione con la campagna antirevisionistica intensificatasi in tutta la Slovacchia dopo il discorso del Duce a Milano ed ora in occasione della visita ufficiale del Reggente Horthy a Roma.

Contribuisce a dare importanza al cosidetto «dissenso ungaro-germanico '>, oltre alla speciale sensibilità di questo centro di confluenza di razze, il fatto che anche qui l'influenza nazista va complicando i rapporti fra la grossa e piuttosto compatta minoranza ungherese e la piccola e frastagliata minoranza tedesca, che fino a poco meno di un anno fa era abituata a muoversi nella sfera di azione di quella. Da quando i tedeschi della Slovacchia, subendo la forza di attrazione della Sudentendeutsche Partei, si organizzano nella Karpathendeutsche Partei, si è aperta una serie di frizioni che, se sono di scarso interesse pratico, non sono meno indizio di nuove tendenze d'ordine generale. Sta di fatto che -meno che nel distretto di Zips dove il partito tedesco collabora ancora attivamente con i cristiano-sociali ungheresi e Henlein si adopera ora ad imporre la Karpathendeutsche Partei --la propaganda razzista è quasi riuscita, superando le resistenze dei tedeschi delle vecchie generazioni, a dare un'organizzazione autonoma e totalitaria alle minoranze tedesche della Slovacchia. È recentissimo una speeie di <<ultimatum 1>, posto dai dirigenti della

K.D.P. ai dirigenti del partito unito ungherese, di lasciare al loro destino razzista le poche migliaia di adepti di nazionalità tedesca (nei partiti cristianosociale e nazionale, da poco fusi nel partito unito magiaro, hanno sempre figurato sezioni tedesche e slovacche).

Ciò non significa naturalmente che è rotta la solidarietà delle due minoranze nei confronti di Praga, ma piuttosto che queste sono ora portate a muoversi in due antitetiche sfere ideologiche e forse anche -come si potrebbe indurre da certe caute civetterie, non so quanto sincere, del partito di Hlinka verso «i fratelli che insieme con gli slovacchi conobbero i rigori della schiavitù magiara '> -in due opposti modi di vedere gli sperati sviluppi della questione slovacca. Insomma le recenti battute polemiche ungaro-germaniche trovano in Slovacchia qualche interessante riscontro pratico che qui, forse meglio che altrove, rivela il contrasto fra la concezione ungherese della nazione intesa come unità storico-geografica e quella razzista della Germania hitleriana. È certo comunque che l'attività di Henlein nella regione dei Carpazi provoca già disappunto e contrarietà in questi ambienti ungheresi, finora fiduciosi nell'armonizzazione delle politiche di Berlino e Budapest nei confronti della Cecoslovacchia.

(l) Vedi i DD. 442, 468 e 627.

508

IL CONSOLE A DUBLINO, LODI FÈ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11829/41 R. Dublino, 29 novembre 1936 (per. il 3 dicembre).

Ieri in seguito a mozione presentata al parlamento dall'opposizione, è stata discussa l'opportunità del riconoscimento da parte dello Stato Libero del governo del generale Franco. La mozione è stata rigettata con 65 voti contro 44. Fra gli argomenti che sono stati portati innanzi dal governo per rigettare la proposta viene rilevato particolarmente quello che il Vaticano non si è ancora deciso a detto riconoscimento e che di conseguenza questo governo benché si inspiri ai principii della morale religiosa cattolica, non ha ragione di anticipare ciò che il Pontefice non ha creduto ancora di fare.

Nei commenti di tutti i giornali viene detto però che pressioni al riguardo sono state esercitate presso il Vaticano. Poiché può sembrare si alluda al governo di Roma piuttosto che ad altri, mi permetto attirare l'attenzione di

V. E. per opportuni passi affinché non abbia a persistere tale impressione in un Paese come questo in cui insieme al profondo sentimento religioso sta l'amore per l'assoluta indipendenza morale del Pontefice.

L'opposizione ha agito sopratutto allo scopo di porre in imbarazzo il governo tenuto conto dell'influenza raggiunta dal «Fronte Cristiano» di recente formazione e guadagnarsi le simpatie del medesimo.

De Valera nel suo discorso, esulando da ogni questione di carattere filosofico-religioso, si è attenuto soltanto a considerazioni di ordine politico. Ciò non pertanto, per comprensibile discrezione verso la Germania, non ha usato di un argomento ripetutamente fattomi valere da questo segretario generale degli Esteri per negare il carattere religioso della tragedia spagnola su cui il « Fronte Cristiano » ed il clero insistono portando seco loro tutto il Paese. A parere del segretario generale, il riconoscimento da parte della Germania deve chiarire agli irlandesi la questione. Se infatti uno Stato di così scarsi riguardi verso la Chiesa quale si è dimostrato il Reich ha riconosciuto Franco non può averlo fatto che per ragioni politiche. Di conseguenza, conclude, la guerra che si combatte in Spagna non è religiosa ma bensì politica e quindi di fronte ad essa soltanto considerazioni politiche devono valere.

Senonché sembra ormai tardi per sradicare dall'animo degli irlandesi, opportunamente lavorati, tale convin"~?;ione. Infatti se O' Duffy non è riuscito a far accettare da Franco la sua legiop.e irlandese, ha però provocato, con l'esempio della sua partenza per la Spagna, quella di molti altri che vanno a battersi soltanto per la Fede. In questa prima settimana sono stati centocinquanta. Il governo non rifiuta di dar loro un passaparto individuale che viene rilasciato per il Portogallo, dove essi infatti sbarcano.

Comunicato a Londra.

40 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

509

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11765/334 R. Shanghai, 30 novembre 1936, ore 16 (per. ore 21).

Ho fatto a questo ministro degli Affari Esteri comunicazione di cui al telegramma di V. E. 244 (1). Pur essendo consapevole delle maggiori difficoltà che potranno derivarne alla mia missione in Cina, ho compiuto questo passo con piena comprensione della mirabile chiarezza della politica adottata da governo fascista e con sicurezza che per effetto di essa Italia arrivi ad affermarsi in Estremo Oriente non solo sopra una linea logica ma an~he sopra posizioni concrete di portata mondiale. Ho tenuto ad accentuare nella mia comunicazione intendimento del governo fascista mantenere e sviluppare politica amicizia verso la Cina nella speranza di una migliore comprensione da parte cinese e di offrire l'opportunità tangibile di un passo che dimostri tale comprensione.

Ministro degli Affari Esteri, assistito da vice ministro politico, dopo aver preso atto dell'intendimento di V. E. di sviluppare collaborazione e pur contestando brevemente che Cina non abbia sufficientemente corrisposto, mi ha chiesto esplicitamente se nomina nostro console Mukden comportasse riconoscimento Manciukuò.

Ho risposto che termini della comunicazione prescrittami da V. E. non contenevano riferimento alcuno al riconoscimento e che istituzione nostro consolato in città diversa dalla capitale e mancato invio di qualsiasi rappresentante con carattere diplomatico, confermavano che non vi era riconoscimento formale. Mi furono poste allora infinite sottigliezze tra riconoscimento de jure e de facto e mi fu chiesto se nostro console a Mukden avrebbe avuto patenti dirette al governo del Manciukuò.

Per chiarire questi punti e per calmare inquietudini del pubblico e della stampa (2) che vengono anche fuorviati da notizie incomplete e premature, ministro degli Affari Esteri mi ha pregato di chiedere a V. E. se può emanare comunicato per dire che intesa tra l'Italia e il Giappone non implicano alcun riconoscimento del nuovo regime in Manciuria.

Prego V. E. telegrafarmi istruzioni al riguardo (3).

(f) -Vedi D. 452.
(2) -Il ministro Lojacono aveva già riferito su le reazioni provocate nelle sfere cinesi dall'accordo tedesco-nipponico che, rendendo più difficili le reazioni dell'U.R.S.S., si riteneva avrebbe consentito maggiore libertà al Giappone nella sua penetrazione In Cina. Tuttociò, secondo il ministro Lojacono, avrebbe spinto l dirigenti cinesi a ricercare una più stretta Intesa con l'Unione Sovietica e con la Gran Bretagna, anziché indurli ad una maggiore arrendevolezza di fronte a Toklo (T. 11678/332 R. del 27 novembre). (3) -Per la risposta si veda il D. 579.
510

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11769/247 R. Tokio, 30 novembre 1936, ore 23,55 (per. ore 9,30 del 1° dicembre).

Viene fatto di domandarsi se non potremmo ora o in un prossimo futuro riprendere con la Germania quei tentativi di conciliazione fra Tokio e Nanchino che credo essa abbia fatti anche anteriormente al suo accordo col Giappone. Suppongo che Tokio sarebbe soddisfatto di un modus vivendi il quale, ponendo fine al seguito di incidenti, gli consentirebbe di dedicarsi tranquillamente a mettere in valore le provincie cinesi del nord e calmare in certo modo alquanto le sue preoccupazioni di avere un giorno a combattere su due fronti. Io non so se non sarebbe possibile intesa nella quale, mentre Giappone s'impegnasse a non estendere ancora le sue conquiste, Cina si obbligasse a fare cessare campagna anti-nipponica. Ove alle parole seguissero fatti, potrebbe darsi che Nanchino si inducesse in seguito ad accettare una collaborazione specialmente se di qualche vantaggio economico, nella quale fosse sicuro di non trovare una amicizia tanto stretta da restarne soffocato. Del resto qualche altra migliore proposta potrebbe forse essere fatta da Lojacono.

Mi sembra che Cina non debba in ogni caso avere un interesse illimitato a legarsi troppo con l'Inghilterra ed anche meno con la Russia per non correre gli stessi pericoli che con Giappone e che possa avere ora maggiore interesse ad intendersi con un Giappone rafforzato dall'amicizia con l'Italia e colla Germania.

Quantunque, malgrado ciò, difficoltà di una intesa non siano, nè poche, nè lievi, presenti colloqui di V. E. con Sugimura potrebbero forse consentire qualche leggero assaggio dal quale non è escluso abbia ad aprirsi una possibilità di conciliazione anche se su altre basi.

In ogni caso bisognerebbe però procedere con molto riserbo. Il Giappone è assai fiero del suo prestigio, specie di fronte Cina, e le difficoltà di fargli accettare un accordo di compromesso si accrescerebbero ove suo conseguimento potesse apparire merito principale di due grandi Potenze europee, sia pure le sole due sue amiche e territorialmente disinteressate. Data però tale nostra favorevole situazione, un tentativo fatto con cautela, se anche non riuscisse, dovrebbe suscitare qui qualche riconoscenza come segno della nostra buona volontà.

511

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI

T. 5194/163 R. Roma, 30 novembre 1936, ore 24.

Risulta che in Grecia vi sono ancora due missioni navali inglesi, una che si occupa dell'organizzazione dei sommergibili e l'altra delle scuole. Come tutti i giornali hanno riportato, il capitano di vascello britannico Lovatt è stato nominato direttore dell'accademia navale ellenica per un biennio. Tutto ciò non è evidentemente conforme allo spirito delle dichiarazioni fatteLe da Metaxas ma significa piuttosto uno stato di asservimento verso l'ammiragliato inglese; e questo non può certo contribuire al rafforzamento della compagine statale greca, nè dei rapporti italo-greci e nemmeno a quella normalizzazione nel Mediterraneo da cui la Grecia ha tutto da guadagnare.

Ne parli con Metaxas. Metta in evidenza che, come risulta anche da queste considerazioni, non siamo affatto mossi da intenti anti-inglesi. Tuttavia la realtà è che il campo degli armamenti offre possibilità d'impiego, oltre che agli inglesi, anche a noi, nell'interesse generale e in quello dei nostri due Paesi (1).

512

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11803/0140 R. Vienna, 30 novembre 1936 (per. il 2 dicembre).

È venuto a vedermi sabato questo ministro degli Stati Uniti d'America per dirmi sopratutto quanto apprezzava l'atteggiamento tenuto dall'Italia di fronte all'accordo nippo-germanico.

Egli era sicuro che, come l'accordo stesso avrebbe suscitato molte preoccupaziol}i e ostilità nel suo Paese, così la riserva dell'Italia avrebbe accresciuto a Washington le simpatie per la nostra linea politica, che non aveva bisogno di gesti per marcare la sua inconciliabilità con il comunismo. La Germania, che va sempre più perdendo terreno in America, avrebbe dovuto ormai rinunziare all'illusione di vantaggi o riguardi economici da parte degli Stati Uniti.

Il signor Messersmith mi ha fatto tutta una lunga esposizione dei punti di contatto e dei disaccordi sostanziali che secondo lui corrono tra fascismo e nazional-socialismo, per concludere con una esaltazione del genio e dell'equilibrio del Duce e col prevedere che la politica estera italiana, al di là delle contingenti ragioni di avvicinamento, non avrebbe seguito il nazismo nelle sue ultime aspirazioni né europee, né estra-europee.

Devo rivelare che il signor Messersmith, il quale è stato più anni a Berlino, è qui noto per la sua avversione a Hitler e al nazional-socialismo.

Il ministro nord-americano mi. ha assicurato che egli aveva sempre -e anche di recente -messo in luce al suo governo la politica italiana verso l'Austria come l'unico effettivo sostegno della indipendenza austriaca e dell'ordine nella Europa Centrale.

(l) II 4 dicembre, il ministro Boscarelll riferiva (con T. 11888/261 R., ore 21,10) di avere compiuto presso Metaxas il passo prescrittogli. Metaxas aveva precisato che negli organismi della Marina ellenica erano al lavoro due ufficiali britannici, non due missioni militari, e si era poi dichiarato disposto a prendere in considerazione un'importante ordinazione di aerei all'industria italiana..

513

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11940/083 R. Bruxelles, 30 novembre 1936 {per. il 7 dicembre).

Malgrado la scarsa simpatia che il comunismo gode nel Belgio, specie in questo periodo, le impressioni qui destate dalla conclusione dell'accordo nippotedesco sono state generalmente sfavorevoli. Salvo poche eccezioni, l'opinione ha reagito manifestando dapprima alquanta incertezza e, in seguito, sentimenti di inquietudine e di sospetto dei quali si è fatta chiara interprete la stampa. Gli organi moderati, infatti, hanno espresso non già un'ostilità aprioristica all'idea di una energica azione anticomunista -della quale, anzi, è nel Belgio sentita e proclamata l'urgente necessità -ma il dubbio che l'iniziativa di Berlino e di Tokio nasconda scopi e intenzioni rispondenti più agli interessi particolari delle due Nazioni e alle loro mire egemoniche che non ad una vera e sincera aspirazione ad una disinteressata difesa dell'ordine nazionale e internazionale contro la minaccia bolscevica. Questa tesi è stata, d'altra parte, adottata e amplificata, in senso ostile ed allarmistico, con la consueta violenza di linguaggio, dagli organi socialisti che hanno denunziato il patto quale «un'alleanza e una cospirazione fascista contro l'Europa », insinuando che esso maschererebbe il proposito di estendere ovunque la dominazione navale e militare nippo-tedesca, attentando agli interessi anglo-francesi in Europa e nell'Estremo Oriente, preparando un'aggressione contro la Cecoslovacchia e cercando di realizzare una ridistribuzione delle colonie olandesi fra i due firmatari. Gli stessi organi conservatori, cattolici e liberali -d'accordo, in ciò, con quelli radicali -hanno espresso il timore che il patto non faccia che aggravare la situazione internazionale poiché, realizzando un blocco di Potenze autoritarie al quale finirà necessariamente per opporsi un blocco di Stati democratici, determinerà nuove complicazioni e tensioni che potrebbero concludersi tragicamente.

La stampa democratica ha affermato a sua volta che il testo pubblicato non costituirebbe che una parte -la più innocua e inconcludente -di un più vasto accordo redatto in previsione di un'azione « esterna »; che un Paese a regime totalitario come la Germania non ha fondate ragioni di temere il contagio comunista e che, di conseguenza, gli scopi del patto -probabilmente doppiato da un protocollo segreto consacrante impegni militari e intese economiche -lungi dall'essere quelli annunciati debbono avere carattere e intenzioni bellicose.

Gli organi della democrazia cristiana, malgrado il loro intransigente anticomunismo, non sono stati meno severi e hanno nettamente affermato che Berlino e Tokio tentano realizzare l'accerchiamento della Russia; il che non esclude che il patto nippo-tedesco intende contemporaneamente fornire una risposta a certo progetto di alleanza anglo-americana-olandese patrocinata dalla Gran Bretagna e diretta contro l'espansione economica e l'influenza politica del Giappone nel Pacifico.

Persino gli organi nazionalisti e rexisti non hanno nascosto la loro diffidenza. Cosicchè gli unici giudizi parzialmente favorevoli, emessi da qualche organo anticattolico, o liberai-nazionalista, si son limitati a un omaggio reso all'abilità dei negoziatori tedeschi che «senza averne l'aria, hanno chiuso Mosca nella trappola che essa aveva preparato per gli altri», e alla denuncia delle mène e dell'ipocrisia dei sovieti ritenuti i primi e veri responsabili della realizzazione del patto stesso.

La stampa ufficiosa ha fatto prova di molto riserbo; è stata, tuttavia, pubblicata da qualche foglio un'informazione, evidentemente ispirata, che affermava che il patto «veniva giudicato negli ambienti diplomatici e politici belgi sospetto e pericoloso a più d'un titolo». Quest'ultimo accenno dev'essere riferito alla grande preoccupazione che ha qui destato la notizia che l'accordo nippotedesco contenesse pure la redistribuzione, fra i due firmatari, delle colonie olandesi. Questa preoccupazione -a me risulta -è condivisa non solo dal governo ma dagli stessi circoli di Corte e la sua ovvia ragione trovasi nel timore che una sorte del genere possa all'improvviso toccare ai possessi africani del Belgio.

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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5849/1226. Bruxelles, 30 novembre 1936 (per. il 9 dicembre).

La visita del Reggente Horthy a Vienna (l) è passata tutt'altro che inosservata nella stampa belga che, a differenza di quanto era avvenuto durante quella precedente a Roma, non si è limitata ai soli resoconti delle cerimonie, ma ha anche largamente commentato, considerando naturalmente l'avvenimento sempre in rapporto con l'azione diplomatica e politica italiana. Ritengo, anzi, opportuno segnalare un commento del quotidiano Le Soir di Bruxelles semi-ufficioso di questo governo per quanto interessa la politica interna ma direttamente ispirato dal Quai d'Orsay per quanto concerne gli avvenimenti internazionali. Esso ha affermato che i colloqui fra Daranyi e Schuschnigg non erano che l'applicazione di un consiglio italiano. Roma non avrebbe fiducia nella fedeltà germanica agli impegni di non ingerenza nella politica interna degli altri Paesi e temerebbe che i proprii interessi ne possano soffrire. D'altra parte, l'Austria e l'Ungheria temono a loro volta che la propaganda tedesca possa procurare loro penose conseguenze: l'Austria, sopratutto, vorrebbe conservare la sua politica attuale di assoluta indipendenza. La questione della restaurazione non sarebbe stata, sempre secondo il Soir, sollevata; sarebbe stato invece esaminato il problema dell'azione anticomunista, pur senza addivenire ad accordi in merito, ritenuti superflui, date le tendenze naturali dei due governi.

In una nota susseguente, il giornale ha rilevato che i colloqui austro-ungheresi dovevano venir considerati come aventi una reale importanza, aggiungendo

che vi erano ragioni per credere che le formule usate nei comunicati emessi nei colloqui stessi traducessero una situazione di fatto abbastanza nuova. Il giornale, pur ammettendo che i rispettivi interessi di Vienna e di Budapest comandassero ai due Stati l'adozione di una politica parallela, negava che gli scopi e le tendenze fossero identici, poiché mentre l'Austria si orienterebbe sempre più verso la Germania, l'Ungheria tenderebbe con eguale decisione verso l'Italia. Neppure nei confronti dell'organizzazione economica danubiana le posizioni dei due Paesi sarebbero le stesse: l'Austria, infatti, cercherebbe un accordo commerciale con la Piccola Intesa e sopratutto con la Cecoslovacchia, mentre l'Ungheria esigerebbe, prima di ogni altra cosa e come condizione aprioristica, un soddisfacente regolamento della questione territoriale. Il contatto fra De Kanya e Schmidt sarebbe stato, sempre secondo il Soir, molto utile, giacché i due uomini erano oramai in grado di sapere quanto l'Ungheria potesse ragionevolmente attendersi dall'Italia e quanto la Germania fosse in grado di offrire all'Austria.

Il giornale aggiungeva: «L'anticomunismo è in realtà l'unico cemento del nuovo gruppo di potenze; ma bisogna notare che, tanto l'Austria, quanto l'Ungheria non hanno aderito che con molte riserve al fronte itala-tedesco. D'altra parte, i negoziati itala-ungheresi non sembrano aver fatto molto progredire la questione revisionistica, mentre il problema danubiano non deve aver trovato nei colloqui austro-tedeschi di Berlino una soluzione. Vienna e Budapest dovranno finire per riconoscere che la parte di brillanti secondi è difficile e ingrata ».

(l) DI ritorno dal suo viaggio !n ItaUa, il reggente Horthy aveva sostato il 29 e !l 30 novembre a Vienna in visita ufficiale.

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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5859/1231. Bruxelles, 30 novembre 1936 (per. il 9 dicembre).

La circostanza che Eden, a pochi giorni di distanza dal suo discorso di Leamington (mio telespresso n. 1198 del 25 novembre) (1), abbia creduto di rinnovare, cogliendo occasione della visita a Londra del primo ministro belga, l'assicurazione che l'Inghilterra è decisa a prendere la difesa del Belgio in caso di aggressione non provocata (2), è stata qui accolta con vive manifestazioni di compiacimento.

In generale i commenti si sono mantenuti sulla falsariga di quelli seguiti al discorso di Leamington ma con esagerate amplificazioni. Intanto, le nuove dichiarazioni di Eden consigliano le seguenti considerazioni:

1) La circostanza che Eden si sia deciso a ripetere, in meno di dieci giorni, una dichiarazione che è in antitesi con l'abituale riserva britannica, appare sopratutto dovuta a preoccupazioni di Londra, sia nei confronti della situazione internazionale, che nei confronti della situazione interna belga.

Circa le preoccupazioni d'ordine internazionale, è sintomatica l'insistenza con cui van Zeeland, non .appena di ritorno da Londra, sia andato ripetendo che la situazione europea è assai tesa e che da molti anni essa non ha mai dato luogo, come oggi, ad inquietudini ed a cosi vivi timori; com'è sintomatico che l'organo personale dello stesso van Zeeland si sia sforzato di togliere alla dichiarazione dell'Eden relativa al Belgio ogni sospetto di punta contro la Germania, sostenendo che Eden avrebbe voluto soltanto evitare, mediante la sua pubblica dichiarazione, l'errore in cui era caduto Grey nel 1914 col fare mistero delle reali disposizioni britanniche ed indurre così tempestivamente Berlino ad unire i propri sforzi a quelli delle altre nazioni per collaborare alla restaurazione della pace.

Circa le preoccupazioni di ordine interno, appare evidente il desiderio dell'Eden di rialzare le compromesse fortune politiche del suo amico belga, specie di fronte alla levata di scudi dell'opposizione (mio telegramma per corriere n. 081 del 27 novembre) (1), e nell'imminenza dell'importante votazione della nuova legge militare belga. Inoltre, certi accenni contenuti nel discorso londinese dell'Eden circa «le affinità ideologiche anglo-belghe» e le aspirazioni generali dei due Paesi tanto diverse da quelle da altri riposte «nella voce del cannone», lasciano il dubbio che il ministro inglese, com'è stato qui rilevato da alcuni giornali conservatori, abbia voluto in certo modo, col partecipargli direttamente le disposizioni britanniche verso il Belgio, premiare il van Zeeland per l'atteggiamento di così stretta solidarietà sanzionista tenuto durante il conflitto italaabissino, sottraendo così il van Zeeland alle vivaci critiche di quegli elementi belgi, che vanno sempre più rimproverandogli di aver con troppa leggerezza sostenuta a Ginevra, nei riguardi dell'Italia, la nota politica estremista del « jusqu'au bout ».

2) Il fatto che Eden abbia ripetuto la sua dichiarazione, mentre ancora durano gli echi e le interpretazioni del discorso di Re Leopoldo, conferma l'ipotesi ch'egli abbia pienamente e previamente approvato, se non ispirato (mio telegramma per corriere n. 064 del 15 ottobre (2), il nuovo orientamento di neutralità di fatto del Belgio e che abbia voluto altresì dare una smentita a tutte quelle correnti d'opinione che hanno ravvisato, nel discorso reale, un deciso avviamento del Belgio verso la Germania o verso la costellazione degli Stati autoritari.

Ad ogni modo l'idea qui prevalente è che l'Inghilterra vuol ben essere, senza chiedere alcuna reciprocità, la garante dell'indipendenza belga ma di un Belgio che, a mezzo di un'armata neutralità scrupolosamente osservata, si mantenga immune da ogni diretto impegno suscettibile di produrre, da una parte la reazione del Reich e l'accentuarsi del rischio di un'invasione tedesca e, dall'altra, di condurre il Paese in conflitti non strettamente dipendenti da quanto previsto· nel vecchio Locarno. Conseguentemente si è convinti che Londra non mancherà di influire sul governo francese affinché questo vinca le sue esitanze e rinunzi ad ogni prestazione di garanzia da parte del Belgio, uniformandosi così alle decisioni britanniche.

516.

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11793/335 R. Nanchino, 1° dicembre 1936, ore 7 (per. ore 21,30).

Questo ministro degli Affari Esteri che è stato mio ospite a pranzo nella sede di questa ambasciata a Nanchino per mantenere sensazione tranquillità dopo nostro precedente colloquio (l) mi ha detto avrebbe desiderato qualche elemento da V. E. sulla posizione dell'Italia nel fronte anticomunista e precisamente: l) Se governo italiano avesse già raggiunto una intesa con Germania circa azione anti-comunista prima della conclusione dell'accordo tedesco-giapponese; 2) se Italia abbia aderito o intenda aderire a quest'ultimo accordo. Evidentemente questi dati occorrono a governo cinese per valutare sua posizione nel quadro della politica mondiale e forse trame conseguenze pei suoi atteggiamenti verso Giappone.

Resto in attesa istruzioni di V. E. (2) possibilmente insieme a quelle che mi sono permesso chiedere con telegramma 334 di ieri (3).

(l) -Vedi p. 532, nota 2. (2) -Il 27 novembre, ad una cena In onore del presidente del consiglio belga, van Zeeland, In visita a Londra, Eden aveva dichiarato che l'indipendenza e l'integrità del Belgio costituivano un interesse vitale per la Gran Bretagna e che il Belgio poteva contare su l'aiuto della Gran Bretagna se fosse stato vittima di una aggressione non provocata. (l) -T. per corriere 11712/081 R. Riferiva circa l'organizzazione in corso, in Belgio, di un raggruppamento parlamentare di destra. (2) -Vedi D. 219.
517

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI

T. 5210/627 (Londra) 351 (Berlino) R. Roma, 1° dicembre 1936, ore 21,30.

(Solo per Berlino) Ho telegrafato Londra quanto segue: (Per tutti) Per lo schema di controllo aereo dichiaro ch'esso è ancora allo studio da parte del governo fascista.

V. E. è autorizzata a comunicare che nulla osta da parte nostra alla comunicazione alle due parti in conflitto in Spagna della formula per il progetto di controllo dei porti e dei punti di accesso in territorio spagnuolo. Potrà consentirsi da parte nostra alla comunicazione di detta formula anche se non è possibile ottenere dagli altri governi partecipanti l'accettazione del progetto di controllo .aereo, purché V. E. faccia prendere formalmente atto da Comitato che il R. Governo considera i due progetti come indissolubilmente connessi. Come è specificato nella formula resta inteso che il controllo potrà essere attuato soltanto previo consenso delle due parti e che ciascun controllo dovrà essere nominato (4) in seguito a voto unanime in sessione plenaria del Comitato.

Prima di fare comunicazioni nel senso suindicato V. E. vorrà accertarsi che rappresentante tedesco adotterà analoga linea di condotta. Se così non fosse telegrafi o rinvii comunicazioni.

(l) -Vedi D. 509. (2) -Con T. 5230/253 R. del 4 dicembre, ore 12,30, Ciano rispondeva: «Alla prima domanda può rispondere affermativamente. Alla seconda può rispondere che R. Governo non ha ancora considerato opportunità aderire accordo anticomunista nippo-germanico ». (3) -Vedi D. 509. (4) -Sic.
518

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11783/1474 R. Londra, 1° dicembre 1936, ore 21,30 (per. ore 3 del 2).

Stamane ho veduto a lungo Vansittart il quale mi ha intrattenuto circa istruzioni (l) che saranno inviate a Drummond domani stesso di conferire con

V. E. per sottoporre uno schema di gentlemen's agreement che il governo britannico pensa potrebbe costituire base per un ulteriore scambio di vedute fra i due governi. Formula ha carattere generico ed è basata sul discorso del Duce di Milano, sulle dichiarazioni del Duce al Daily Mail (2), nonché sulle dichiarazioni fatte da Eden (3), Halifax (4) e Baldwin (5).

Rivedrò stasera Vansittart per eontinuare conversazioni, dopo che egli avrà di nuovo conferito con Eden e Baldwin. Mi riservo telegrafare domani mattina (6).

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11790/1477 R. Londra, 1° dicembre 1936, ore 23,10 (per. ore 6 del 2).

Ho chiesto a Vansittart di comunicarmi esatta posizione del governo britannico in relazione richiesta convocazione Consiglio della S.d.N. avanzata dal preteso governo di Valencia (7).

Vansittart mi ha dichiarato che il governo britannico aveva fatto possibile onde evitare tale convocazione dalla quale governo britannico è persuaso non possano venire che delle nuove e spiacevoli complicazioni, e questo è stato generale parere espresso e comunicato a Londra dal governo francese. Senonché, segretariato di Ginevra ha fatto presente che era legalmente impossibile rispondere negativamente richiesta del Vayo, e così governo britannico, seppure assai a malincuore, ha aderito all'invito proponendo tuttavia che riunione abbia luogo a Parigi anziché a Ginevra e ciò espressamente per evitar~ che una discussione così delicata possa essere influenzata in senso sfavorevole da un ambiente pericoloso come quello di Ginevra. Senonché, governo francese ha dichiarato che non (di non) gradiva riunione del Consiglio a Parigi e così riunione avrà luogo a Ginevra. Vansittart continua dicendo che tanto governo britannico quanto governo francese sono fermamente decisi contenere discus

sione nei limiti strettamente indispensabili ed impedire comunque che essa dege neri in una polemica incresciosa. A parte tutto non farebbe che compromettere sorti già pericolanti S.d.N. In questo senso governo britannico si è espresso nei termini più chiari con questo ambasciatore di Spagna e altrettanto risulta a Vansittart essere stato fatto dal governo francese col governo di Valencia.

Circa eventuali conclusioni della sessione, Vansittart prevede che non ve ne sarà alcuna. Con tutta probabilità Consiglio dichiarerà propria incompetenza discutere sulla questione di cui rinvierà esame all'organo internazionale appositamente competente e cioè Comitato di non intervento.

Ho detto a Vansittart che facevo le più ampie riserve sull'asserita legale convocazione Consiglio nelle attuali circostanze ed ho domandato che cosa vi fosse di vero nelle voci di una pretesa mediazione franco-inglese nella guerra civile spagnola.

Vansittart mi ha risposto che non vi era nulla di vero ma che senza dubbio riunione del Consiglio avrebbe permesso raccogliere qualche utile elemento per rendersi conto se un'ipotesi di tale genere potesse avere oggi qualche probabilità di essere considerata realizzabile.

(l) -Vedi BD, vol. XVII, D. 426. (2) -Vedi p. 453, nota 2. (3) -Vedi p. 403, nota 2. (4) -Vedi p. 407, nota 4. (5) -Vedi D. 386. (6) -Vedi D. 524. (7) -Il Governo di Valencia aveva chiesto 11 27 novembre la convocazione straordinaria del Consiglio della S.d.N. per esaminare la condotta della Germania e dell'Italia di fronte alla guerra civile spagnola al sensi dell'art. 11 del Covenant.
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IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE IN SPAGNA, ROATTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO (l)

T. 660-661-662-663. [Salamanca], 1° dicembre 1936 (per. il 2) (2).

Esaminata con generale germanico situazione ci siamo trovati accordo su punti seguenti:

l) Intervenire in note progettate azioni Madrid con massa aviazione che bombardi senza riguardo, con bombe grosse, caseggiati da attaccare o aventi azione su terreno attacco, in modo renderli intenibili. Impiegare punti decisivi tutti i reparti esercito italiano e germanici qui esistenti, ritirando carri armati ed attuali equipaggi spagnoli. Dirigere naturalmente loro impiego.

Il) Il più efficace sistema per impedire valorizzazione milizie rosse da parte rossa è quello di troncare sul mare affluenza personale e materiale sovietici (3). Se essa cessasse, l'effetto morale sui rossi sarebbe enorme, anche nel caso (che generali germanici credono reale) che elementi russi esistenti in Madrid siano già molto più forti di quanto sinora appare.

III) Se questo, per una ragione ·qualsiasi non si può ottenere, è da prendere in seria considerazione eventualità intervento grandi unità italiane e ger

maniche. A questo riguardo generale assicura che Ftihrer è pienamente disposto tale invio. Stato maggiore sarebbe invece titubante non volendo sguarnire territorio nazionale. Sarebbe altresì scarsa la disponibilità di navi. Credo che la spedizione presa in considerazione, come eventuale futuro, sia quella di una divisione con forte quantità artiglieria di medio calibro e servizi molti, abbondanti. Invio singoli reparti fanteria già completamente scartato, da parte tedesca, perché non muterebbero sensibilmente efficienza forze bianchi.

Successivamente ho prospettato Franco il punto cui sopra ed egli è d'accordo. Perciò disposto approntamento reparti italiani che saranno 2 compagnie carri, una batteria 65, una sezione anticarro 47 e nuclei radio con personale esclusivamente italiano. Reparti germanici saranno 2 e probabilmente 3 compagnie carri, alcune sezioni anticarro 37 e batterie contraerei e nuclei radio. Naturalmente interverrà massa aviazione itala-germanica (1).

(l) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (2) -Manca l'ora di partenza e di arrivo. Il telegramma fu comunicato tramite il Servizio Informazioni Militare con numero di protocollo S/1719. (3) -Su questo concetto il generale Roatta aveva già insistito in precedenza, specie in una sua relazione del 22 novembre che così concludeva: «Ma ho già detto anche più volte, e lo ripeto ora, che non credo alla possibilità (occupata la capitale) di una rapida e potente ripresa delle operazioni; e ciò per ragioni d'ordine materiale e morale, anch'esse già prospettate.Per rendere possibile tale ripresa, per impedire la stabilizzazione del fronte dinnanzi a Madrid (nel caso, che occorre avere il coraggio di considerare, che gli attacchi in preparazione non riescano), occorre stroncare rapidamente, decisamente ed a tondo l'elemento principale della resistenza morale, e conseguentemente materiale, del rossi. Questo elemento è l'appoggio russo. È esso che ha permesso agli avversari, a fine ottobre, la nota, per quanto sfortunata, reazione controffensiva -è esso che ha cambiato l'atteggiamento dell'aviazione rossa -è esso quello
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11857/0580 R. Londra, 1° dicembre 1936 (per. il 4).

Ho avuto ieri sera occasione di rivedere Eden.

Eden mi ha domandato se avevo notizie sull'accoglienza che V. E. aveva fatto alle note britanniche in data del 4 novembre (2) e del 19 novembre (3) circa nuova Locarno.

Ho risposto che non avevo ancora notizie, dato che V. E. stava esaminando il contenuto di tali note, e che V. E. avrebbe fatto conoscere il pensiero del governo fascista non appena tale esame fosse compiuto.

Eden ha continuato dicendo che le notizie preliminari avute da Berlino e da Parigi indicavano che tanto il governo tedesco quanto quello francese mostravano questa volta una certa volontà di andare incontro, per quanto possibile, ai punti svolti nella nota britannica, il che dava motivo ad una ragionevole speranza di poter vincere le difficoltà, sinora giudicate pressocché insuperabili, per un accordo fra le quattro Potenze occidentali.

che permetterebbe domani, caduta la capitale, la prosecuzione della resistenza -è esso, infine, quello èhe potrebbe rendere possibili grandi atti controffensivi, slnora impossibili, ed in questo momento ancora, poco probabili. Se questo appoggio fosse stroncato, i rossi cadrebbero in un marasma ancora maggiore di quello precedente all'inizio di esso, «realizzerebbero » di essere ormai isolati, comprenderebbero di avere irrimediabilmente perduto la partita, ed abbasserebbero le armi. E se non le abbassassero, sarebbero ugualmente facilmente sopraffatti.

-Se detto appoggio non viene stroncato, non per questo saranno le truppe di Franco in pericolo. Manterranno ugualmente le loro posizioni, e potranno, dopo una riorganizzazionc invernale, riprendere (siamo realisti, verso la primavera) operazioni offensive. Ma, evidentemente, non è questo ciò che vogliamo. Perciò dobbiamo, a mio avviso, stroncare l'appoggio russo, agendo sulle vie alle quali esso è indissolubilmente legato, ossia sul traffico marittimo, e sui porti rossi>>. Il testo della relazione è pubblicato !n RoviGHI e STEFANI, pp. 105-115.

Ho domandato ad Eden se questo suo improvviso ottimismo era fondato su dati di fatto nuovi oppure soltanto su impressioni di carattere generico. Riteneva Eden, in sostanza, che l'ostacolo principale rappresentato dall'irriconciliabilità del patto franco-sovietico con qualsiasi sistema di garanzia fra le Potenze occidentali potesse essere superato? Se questo Eden era indotto a pensare, come mai egli aveva nelle dichiarazioni di Leamington di venerdì u.s. (l) esposto con tanta cruda nettezza la posizione britannica di fronte alle diverse ipotesi di conflitti in Europa come se ormai il governo britannico considerasse praticamente irraggiungibile un accordo fra le quattro Potenze occidentali?

Eden ha replicato dicendo che il suo ottimismo non era se non relativo e comunque assai moderato non essendo basato su alcun fatto specifico ma soltanto su impressioni generiche riportate dagli ambasciatori britannici a Berlino e a Parigi. «D'altra parte -Eden ha continuato -voi stesso che avete partecipato come delegato italiano alla conferenza di Locarno del 1925 ricordate che ad un certo punto il trattato ormai concluso stava naufragando di fronte all'asserita impossibilità di conciliare il sistema di assistenza e di garanzia stabilito tra Francia, Belgio, Germania, Inghilterra e Italia coi patti di alleanza esistenti tra la Francia e la Polonia e tra la Francia e la Cecoslovacchia. Con un po' di buona volontà da ambo le parti il punto di conciliazione fu tuttavia trovato. Perché non potrebbe oggi, in circostanze analoghe verificarsi altrettanto? Circa le mie dichiarazioni di Leamington debbo confessarvi che prima di farle io ero molto perplesso sull'accoglienza che ad esse avrebbe riservato l'opinione pubblica britannica. Invece sono stato io stesso gradevolmente sorpreso nel constatare che tutta l'Inghilterra, senza distinzione di correnti politiche, ha accettato la mia definizione degli impegni dell'Inghilterra di fronte alle varie ipotesi di conflitti in Europa, senza opposizioni o critiche di sorta. Soltanto un anno fa dichiarazioni come quelle da me pronunciate a Leamingtoli avrebbero suscitato un putiferio di giudizi e di opinioni contrastanti. L'opinione pubblica inglese sta rapidamente evolvendosi e rassegnandosi a considerare la realtà internazionale quale essa è, anche se sgradevole e non tale quale noi inglesi vorremmo che fosse.

Ho osservato a Eden che le sue dichiarazioni di Leamington contengono per la prima volta un riferimento pubblico preciso all'alleanza con la Francia e col Belgio fuori del quadro della S.d.N. o di qualsiasi sistema di sicurezza collettiva.

Eden ha risposto che ciò è perfettamente vero. La Lega delle Nazioni e la sicurezza collettiva continuano a costituire la base della politica estera britannica. Ma è venuta l'ora per la Gran Bretagna di considerare anche l'alternati~a del fallimento della politica societaria della sicurezza collettiva. Questo sopratutto io ho cercato di far comprendere al popolo inglese con le mie dichiarazioni di Leamington. Il popolo inglese ha mostrato questa volta di comprendere. Perfino l'arcivescovo di Canterbury è arrivato al punto di ammettere, domenica scorsa pubblicamente, che la predicazione pacifista può essere contro gli interessi stessi della pace. Per la prima volta egli non ha fatto menzione della S.d.N. ».

Alcune delle considerazioni fattemi da Eden corrispondono effettivamente all'attuale situazione della politica interna britannica. Le dichiarazioni di Leamington sono infatti, a più di una settimana di distanza, tuttora oggetto di favorevoli commenti da parte dei vari partiti politici indistintamente. Esse sono considerate come una specie di « documento » fondamentale di quella che è, alla data di oggi, la posizione internazionale della Gran Bretagna agli effetti di una guerra che da un momento all'altro potrebbe scoppiare in Europa. I conservatori applaudono Eden per aver egli avuto il coraggio finalmente di uscire dall'ambiguo e pericoloso frasario ginevrino e dichiarare nettamente che l'Inghilterra si considera legata alla Francia e al Belgio in un sistema d'alleanza militare difensiva, fuori dalla procedura ginevrina dell'art. 16 del Covenant e indipendentemente dalle dubbie sorti delle trattative in corso per un nuovo accordo a quattro fra le Potenze firmatarie di Locarno. I conservatori sono inoltre soddisfatti perché Eden ha rigettato qualsiasi interpretazione estensiva degli obblighi derivanti dall'art. 16 e dichiarato che la Gran Bretagna non accetta alcun principio di « autonomismo » ginevrino, riservandosi invece di giudicare, in base ai propri interessi imperiali, la convenienza o meno di partecipare a conflitti che siano estranei al problema dell'integrità delle frontiere nord-occidentali. Con ciò Eden ha indubbiamente interpretato quella che è in questo momento la maggioranza dei sentimenti del popolo britannico il quale resiste a mettersi sulla strada in cui vorrebbero portarlo il Foreign Office e i laburisti, i quali ambedue -sia pure per ragioni opposte -premono perché l'Inghilterra non respinga le offerte della Russia e consideri fin d'ora la possibilità di entrare nel sistema franco-sovietico dell'accerchiamento militare della Germania.

(l) -Un'annotazione sul documento indica che fu inviato alla segreteria particolare di Mussolini. (2) -Vedi p. 394, nota l. (3) -La nota ere. stata consegnata lo stesso 19 novembre all'incaricato d'affari a Londra, Crolla, che l'aveva subito trasmessa a Roma per corriere (T. 11386/1428 R. del 19 novembre. ore 21,02). Per il testo vedi BD, vol. XVII, I>. 389.

(l) Vedi p. 532, nota 2.

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L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO·

TELESPR. 3077/1199. Varsavia, 1° dicembre 1936 (per. il 9).

Per ultimo, mio telegramma n. 196 del 28 novembre u.s. (1).

La visita del ministro degli Affari Esteri romeno a Varsavia si è conclusa, dopo due giornate trascorse tra i soliti numerosi ricevimenti ufficiali, nella atmosfera di marcata cordialità in cui essa si era iniziata. Ne fanno prova, fra altro, i termini particolarmente calorosi in cui è stato redatto il comunicato finale, affermante che i ministri degli Esteri romeno e polacco, nel constatare la perfetta concordanza nelle vedute dei due governi si sono dichiarati convinti della necessità di mantenere «con vigilanza», nell'attuale situazione, il più intimo contatto. «Essi hanno segnatamente constatato -dichiara il comunicato -che l'alleanza paiono-romena si è sempre manifestata corrispondente intieramente al sentimento profondo delle due nazioni ed agli

scopi per i quali essa fu conclusa, e che essa costituisce uno degli elementi costruttivi ed efficaci della stabilizzazione delle relazioni internazionali e della sicurezza in Europa. I due ministri hanno affermato la loro comune decisione di mantenere intatti in tutte le circostanze i principi stabiliti nel trattato di garanzia polono-romeno allo scopo di conservare la piena efficacia ai vantaggi risultanti da questa alleanza, in qualsiasi nuova organizzazione dell'Europa, per i due Paesi. A tale effetto, i ministri si sono dichiarati pronti a sviluppare l'alleanza rumeno-polacca in tutti i campi della vita pratica e ad adattare gli interessi dei due popoli alle necessità imperiose della situazione attuale. Essi si sono in special modo concordati circa le prossime visite a Varsavia del ministro dell'Istruzione Pubblica di Romania, del Capo di Stato Maggiore dell'Armata romena e del governatore della Banca Nazionale di Romania. Animati dallo spirito di una fiduciosa mutua amicizia, i ministri hanno firmato una convenzione di collaborazione culturale, due protocolli sulla collaborazione delle organizzazioni incaricate dell'educazione della gioventù ed hanno scambiato gli strumenti di ratifica della convenzione relativa alla delimitazione delle frontiere polono-romene ».

A questo ampio comunicato ufficiale si sono intonati i numerosi commenti della stampa polacca in generale. L'ufficioso Kurjer Poranny ha sottolineato l'importanza del brano del comunicato stesso constatante la necessità di mantenere uno stretto contatto fra i due Paesi. In tale affermazione l'organo governativo ha voluto vedere l'annuncio di una effettiva collaborazione nel campo politico ed in quello militare.

L'ufficiosa agenzia Polska Informacja Polityczna, notoriamente inspirata da questo ministero degli Affari Esteri, ha messo in riiievo lo spirito di piena fiducia che ha caratterizzato le conversazioni di Varsavia, grazie al quale «si è riusciti a fissare il compito comune che in questa parte dell'Europa incombe ai due Stati i cui territori si estendono come un tratto di unione dal Mar Baltico al Mar Nero». La stessa agenzia ha sottolineato che Beck ed Antonescu hanno dimostrato la stessa comprensione per l'importanza che deve rappresentare l'alleanza difensiva esistente fra Polonia e Romania. La nota della Polska Intormacja Polityczna ha concluso osservando che il comunicato ufficiale, pubblicato alla fine della visita del signor Antonescu, «definisce con intiera precisione il piano strettamente bilaterale delle conversazioni polono-romene ».

Su quest'ultimo punto si insiste in questi ambienti politici, evidentemente allo scopo di sottolineare come queste manifestazioni tendenti a marcare un rinsaldamento dell'alleanza tra Varsavia e Bucarest non modifichino in alcun modo i punti di vista della Polonia nei riguardi della Piccola Intesa, che essa continua a considerare quale un'organizzazione politica con la quale Varsavia non ha alcuna comunità, né di concetti, né di interessi. A questo proposito, si ripete che se i rapporti con la Jugoslavia sono «platonici », quelli con la Cecoslovacchia non presentano alcuna probabilità di miglioramento.

È intanto annunziata per questi giorni la visita del governatore della Banca di Romania al presidente della Banca di Polonia e si prevede -a quanto informa l'ufficioso Kurjer Poranny -un allargamento degli scambi

commerciali fra i due Paesi « che sinora non corrispondevano agli interessi politici e militari delle due parti». «Si tratterà in special modo -rileva l'organo ufficioso -di sfruttare più intensamente le vie di comunicazione che uniscono Gdynia con la Romania ed i porti di Costanza e di Galatz ».

Indubbiamente l'atmosfera in cui si è svolta la visita del ministro Antonescu è indice chiaro di un effettivo miglioramento nelle relazioni fra Varsavia e Bucarest. Non si nasconde in questi circoli politici e giornalistici come tali risultati dipendano direttamente in gran parte dal ritiro dalla scena politica, che qui si augura duraturo, del signor Titulescu.

Nulla di speciale è da osservare in merito all'accordo culturale concluso in questa occasione. Esso non si differenzia notevolmente dai soliti analoghi accordi, considerando le possibilità di scambi intellettuali tra i due Paesi, dello sviluppo di reciproche visite di professori e studenti delle università polacche e romene, della diffusione dei libri polacchi e dei libri romeni rispettivamente in Romania e Polonia, ecc. Unica variante è data dai protocolli annessi, relativi alla collaborazione delle organizzazioni incaricate dell'educazione della gioventù. Mi riservo di trasmettere a codesto Ministero un esemplare dell'accordo in parola.

Si è parlato in questi circoli diplomatici di nuovi impegni assunti dai due governi per impedire il passaggio di truppe straniere attraverso i rispettivi territori. A dire però di questo sottosegretario di Stato per gli Esteri nulla è stato concordato che esca dal quadro dell attuale alleanza, la quale, come è noto, prevede che le due parti contraenti si garantiscono reciprocamente il proprio territorio contro ogni aggressione. Da parte polacca, tale impegno è stato sempre interpretato nel senso di escludere qualsiasi permesso di passaggio da accordarsi, da una delle due parti contraenti, a truppe capaci di diventare nemiche potenziali de:U'altra. Si dice qui a questo proposito che, imperante Titulescu, questa interpretazione non si era mai voluta dare da parte della Romania. Nell'adesione, pertanto, che il signor Antonescu avrebbe ora dato a quella che doveva essere da tempo la comune interpretazione delle clausole dell'alleanza relativa al passaggio di truppe straniere attraverso i territori romeno e polacco si riseontrerebbe ora uno dei risultati effettivi della visita del ministro degli Esteri romeno a Varsavia.

È anche messa molto in rilievo una frase del signor Antonescu in occasione del brindisi da lui pronunziato durante il banchetto offertogli dal signor Beck, secondo la quale « le relazioni amichevoli di Polonia e di Romania con altre nazioni sono da considerarsi come utili dal punto di vista degl'interessi stessi dell'alleanza polono-romena ». In questi ambienti politici si è constatato in tale frase una allusione alle relazioni da una parte tra Romania e Cecoslovacchia e dall'altra tra Polonia ed Ungheria. Su queste ultime, si sa bene che Varsavia non intende assolutamente mutare il suo atteggiamento che è, come è noto, schiettamente filomagiaro.

Si annunzia intanto in questi giorni che il ministro Beck restituirà prossimamente la visita al signor Antonescu. In seguito, probabilmente però non prima della prossima primavera, si prevede il viaggio a Varsavia, in visita ufficiale, del Sovrano di Romania.

(l) Riferimento errato. SI tratta, !n realtà, del T. 11705/197 R. delle ore 21,35. Riferiva brevemente circa i risultati della visita dl. Antonescu a Varsavia.

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L'ADDETTO MILITARE E AERONAUTICO A BUCAREST, DELLA PORTA, AL SERVIZIO INFORMAZIONI MILITARE

R. s. 3455. Bucarest, 1° dicembre 1936 (1).

Missione militare francese da me segnalata, oltre che per partecipare a cerimonia 1° dicembre, è venuta più specialmente per questione di carattere militare, che specifico nel testo e per organizzazione bellica territorio rumeno.

A seguito del mio foglio n. 3426 del 27 novembre u.s. (2). Come ho già comunicato, la missione francese capeggiata dal generale Mittelhauser, è qui giunta il 29 novembre u.s.

Tre circostanze sono degne di rilievo: l) il capo della missione è il generale Mittelhauser, esperto in questioni strategiche; 2) della missione stessa fanno parte ufficiali dell'ufficio informazioni ed operazioni; 3) la missione è giunta a Bucarest subito dopo che è terminata la nota conferenza dei Capi di S. M. dell'intesa balcanica (3).

Queste tre circostanze possono, secondo me, spiegare il vero motivo della venuta di questa missione che, oltre ad essere una nuova dimostrazione di amicizia, in questo particolare momento, verso la protetta Romania, vuole

o può anche significare come la Francia rinvigorisca, in questi ultimi tempi, la sua azione politico-militare verso i Paesi della Piccola Intesa.

La politica francese ha sempre avuto uno scopo, a fondo puramente egoistico-strategico: la sicurezza della Francia. E poiché, secondo la mentalità francese, l'unica che minaccia la sua sicurezza è Berlino, occorre prendere ogni misura perché tale minaccia sia paralizzata. Ecco sorgere la Piccola Intesa che, se ha nella sua essenza fondamentale uno scopo antimagiaro, non impedisce che domani possa averne anche uno antigermanico. Ecco l'alleanza con la Polonia e con la Russia, ecco la minaccia che, secondo la Francia, diventa ogni giorno più grave, dell'invasione tedesca su Danzica, sull'Austria, sulla Cecoslovacchia...

Ma, restringendo il quadro d'esame alla Piccola Intesa, gli scopi che l'azione della politica militare francese persegue sono, secondo il mio parere, i seguenti:

l) Allargamento del significato politico-militare della Piccola Intesa. È noto, infatti, che la Francia ha cercato, cerca e cercherà di cambiare la Piccola Intesa, nata a scopo difensivo contro un'eventuale aggressione ungherese, in un patto di mutua assistenza fra gli Stati membri della Piccola Intesa stessa, patto che possa giuocare domani contro un'aggressione tedesca. È noto, infatti, che tale tentativo è stato già fatto e probabilmente continuerà ad esserlo anche in avvenire. E, ritengo, una volta si fosse arrivato a concludere un tale patto, la Francia stessa non sarà aliena di apporvi la sua stessa firma.

41 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

2) Ottenere dalla Piccola Intesa e, se possibile, dall'Intesa Balcanica, una disponibilità di forze militari da poter dirigere a suo vantaggio.

È opinione dello Stato Maggiore francese che la Piccola Intesa (a fortiori quindi, Piccola Intesa e Intesa Balcanica unite) sia un organismo militare troppo potente per combattere un piccolo e ancora disarmato Stato come è l'Ungheria. (Lo stesso ragionamento vale per la Bulgaria nel quadro dell'Intesa Balcanica). Se i tre Stati insieme hanno una popolazione di 60 milioni di abitanti e un esercito di quasi 6 milioni di uomini, debbono, secondo il pensiero dello Stato Maggiore francese, avere, in caso di una guerra contro l'Ungheria, un'eccedenza di forze tale da poter distogliere da quel teatro d'operazioni un considerevole numero di forze che possono, invece, essere impiegate a beneficio della Francia, in direzione più redditizia e contro un avversario più pericoloso.

3) Provvedere all'organizzazione bellica del territorio. Chi è, nel quadro della Piccola Intesa, la più minacciata dalla Germania? La Cecoslovacchia, la quale, occorre aggiungere che, dal punto di vista organizzazione bellica, viene a trovarsi, in caso di conflitto, in una posizione disastrosa. È infatti noto che le industrie belliche cecoslovacche si trovano tutte in Boemia, in quella parte, cioè, che è la più minacciata. La Francia, allora, ritiene di dover retrocedere tali industrie, così necessarie durante un conflitto: e mentre prima si riteneva misura sufficiente retrocederle nel territorio stesso della repubblica, oggi, di fronte all'aumentata efficienza bellica tedesca, si pensa di situarle in posizioni ancora più arretrate e più sicure, quali, per es.: la Romania. Ed ecco che noi assistiamo, nel quadro della Piccola Intesa e dell'Intesa Balcanica, a frequenti riunioni di commissioni o comitati, i quali studiano o progettano lavori sui trasporti, sui collegamenti, sulle industrie, sulle materie prime necessarie agli armamenti, sui generi di consumo, ecc.

Durante un ricevimento offerto da questa Legazione di Francia in onore della missione militare, il generale Mittelhauser diceva, me presente, a questo addetto militare polacco: «Siamo venuti per studiare le questioni relative alle fabbriche belliche. Occorre preoccuparsi della situazione dell'industria cecoslovacca troppo esposta. È un lavoro che richiede tempo e denaro: ma è un lavoro che deve essere affrontato... ».

(l) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (2) -Non rintracciato. (3) -Del 6-7 novembre, a Bucarest.
524

L'AMBASCIATOR.E A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11828-11825/1481-1482 R. Londra, 2 dicembre 1936, ore 18,45 (per. ore 2,20 del 3). Seguito mio telegramma n. 1474 (1).

Vansittart mi ha dato iersera confidenziale comunicazione del testo che Drummond avrà istruzione sottoporre a V. E. come base di partenza per ela

borazione formula di gentlemen's agreement che egli sarà incaricato discutere con V. E. Invio a parte traduzione letterale del testo datomi da Vansittart (1).

Vansittart, nell'illustrarmi istruzioni per Drummond su questo, ha tenuto a ripetermi che il progetto è stato basato sulle dichiarazioni pubbliche del Duce e del primo ministro e segretario di Stato britannico. Governo britannico non considera tale progetto come un testo letterale che il gentlemen's agreement (ossia scambio dichiarazioni inglesi e italiane) dovrebbe assumere, ma solo come una indicazione e punto di partenza per utili discussioni. Vansittart mi ha pregato a tale proposito di dire particolarmente a V. E. che il governo britannico sarà lieto di esaminare tutte quelle modificazioni o aggiunte che

V. E. crederà proporre, oltre beninteso opportune aggiunte di una parte preliminare e finale che affermi amicizia, collaborazione, i buoni rapporti fra due Paesi, ecc.

Vansittart mi ha chiesto se avevo osservazioni da fare. Mi sono limitato a rispondere che avrei trasmesso a V. E. quanto egli mi ha detto. A titolo puramente personale ho osservato a Vansittart che la parola status qua è una parola che ha sempre portato cattiva fortuna, e che forse in suo luogo sarebbe consigliabile usarne un'altra. Vansittart ha risposto che non vedeva difficoltà.

Abbiamo quindi ripreso in esame l'altra importante questione, e cloè progressiva attitudine governo britannico nei riguardi sovranità italiana in Abissinia. Su questo punto conversazione si è accalorata; io ho ripetuto e insistito su quanto avevo già dichiarato a Eden nel nostro colloquio di mercoledì scorso (mio telegramma 1465) (2). Vansittart mi ha a sua volta ripetuto quanto già detto da Eden mercoledì e nei precedenti colloqui sulla opportunità di una eventuale trasformazione in ufficio consolare della legazione in Etiopia (secondo Vansittart è un riconoscimento di fatto della legislazione italiana in Etiopia) che non figura formalmente connesso con l'accordo italainglese pel Mediterraneo.

Ho fatto presente a mia volta che ove la conclusione del gentlemen's agreement lasciasse in sospeso questo importante provvedimento da parte del governo britannico, ciò rischierebbe creare in Italia uno stato d'animo di dubbio sulle effettive intenzioni britanniche e conseguentemente andrebbe perduto complesso dei frutti che i due governi si ripromettono ottenere dalla conclusione dell'accordo.

Vansittart si è reso conto della giustezza di questa considerazione ed ha riconosciuto che fra le due questioni vi è una innegabile connessione politica anche se può apparire desiderabile non dare a questo fatto un formale risalto. Secondo Vansittart si potrebbe risolvere praticamente il problema giungendo preventivo accordo riservato che fissa una data ad esempio prima del Natale la conclusione del gentlemen's agreement e per i primi dell'anno venturo il provvedimento di trasformazione della legazione in Addis Abeba in ufficio consolare. Mi sono limitato a rispondere che avrei riferito a V. E.

Trascrivo qui appresso traduzione letterale formula gentlemen's agreement comunicata da Vansittart e che trasmetto per corriere nel testo originale inglese.

«Libertà ingresso e transito attraverso Mediterraneo è un interesse vitale della Commonwealth delle Nazioni britanniche; non consideriamo che i nostri interessi britannici nel Mediterraneo siano in alcun modo divergenti da quelli dell'Italia, ma al contrario complementari. Desideriamo che questa situazione sia in pratica mantenuta per l'avvenire quale fu per il passato.

Dato che non abbiamo desiderio alcuno di minacciare o attaccare interessi dell'Italia o quelli di qualsiasi altra Potenza mediterranea, siamo convinti che per Gran Bretagna e Italia è possibile continuare a mantenere i propri vitali interessi nel Mediterraneo non solo senza entrare in conflitto fra loro o con qualsiasi altra Potenza medìterranea, bensì con reciproco vantaggio. In pari tempo i due governi dichiarerebbero che desiderano vedere rispettato attuale status qua nel Mediterraneo~.

(l) Vedi D. 518.

(l) -Pubblicata qui di seguito. (2) -Vedi D. 481.
525

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 11826/222 R. Bruxelles, 2 dicembre 1936, ore 21,40 (per. ore 0,30 del 3).

Sulla visita di van Zeeland a Londra riferisco per corriere (1). Tengo però fin da ora a segnalare, giusta informazioni di buona fonte, un sondaggio che avrebbe fatto colà primo ministro belga. Questi avrebbe prospettato attuale situazione del Belgio, che da una parte si trova legato al regime provvisorio (comportante la prestazione di garanzie reciproche) stabilito a Londra nel marzo u.s. (2), e che, dall'altra, tiene ad attuare sua nuova politica di autonomia, col conseguente svincolo da ogni impegno di reciprocità. Van Zeeland avrebbe accennato quindi eventualità mettere fine predetto protocollo provvisorio, tanto più che impegni franco-inglesi vanno impostati su via diretta. Da parte sua, Eden, non avrebbe escluso che osservazioni van Zeeland possano venire prese in considerazione e che accordo provvisorio, almeno per quanto riguarda Belgio, possa prendere fine.

526

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, DE CIUTIIS

T. s. 5219/300 R. Roma, 2 dicembre 1936, ore 22,25.

Nella seduta del 2 corrente Comitato non intervento Londra è probabile approvi l'immediato invio alle due parti in conflitto in Spagna di una formula per invitarle ad accettare che numerosi delegati del Comitato stesso siano

autorizzati a controllare nei principali punti d'accesso, per terra e per mare, del territorio spagnolo se l'accordo per il non intervento viene osservato. I suddetti delegati dovrebbero godere delle immunità diplomatiche, avere libera comunicazione tra loro e col Comitato di non intervento e godere da parte delle autorità locali di ogni facilitazione per compiere la loro missione. Applicazione di tale progetto mastodontico e farraginoso (tratterebbesi di inviare in Spagna circa 1.600 delegati) implicherebbe, come ovvio, grave limitazione di sovranità e costituirebbe notevole intralcio in relazione necessità che si presentano.

Quanto precede perché Ella possa informarne generale Franco. Gli potrà poi opportunamente far sapere come cosa d'altronde evidente che, giungendogli suddetta richiesta del Comitato, apparirebbe opportuno che egli prendesse tempo a rispondere in attesa che si chiarisca atteggiamento che sarà adottato al riguardo dalla Giunta di Valenza. Se risposta di quest'ultima sarà negativa, proposta cadrà da se. In caso contrario converrà governo spagnolo procrastini sua decisione, richiedendo ad esempio a Comitato Londra precisazioni e chiarimenti, ed in definitiva rifiuti suo assenso (1).

(l) -Vedi D. 515. (2) -Vedi p. 274, nota 3.
527

L'ADDETTO MILITARE A BERLINO, MARRAS, AL MINISTRO DELLA GUERRA (2)

T. 1536. Berlino, 2 dicembre 1936 (3).

Rifer. telegrammi 1534 (4) e 1535 (5) in data 1 corrente.

Incaricato affari Magistrati ha avuto ieri mattina colloquio con Goering per conoscere suo apprezzamento situazione Spagna. Goering espressa opinione che lentezza operazioni è pregiudizio nazionalisti e perciò non è favorevole interessi itala-tedeschi. Ha aggiunto che potrebbe venire preso in considerazione invio diecimila volontari tedeschi tratti da SS e diecimila volontari italiani tratti da camicie nere, tutti in uniforme spagnola ma sotto comandanti itala-tedeschi o quanto meno con stati maggiori itala-tedeschi.

Per mia parte da conversazione ieri con Canaris avuta invece conferma precedente apprezzamento espressomi da Blomberg (6) che giudica situazione con fiducia e fa assegnamento su effetti intensa azione aerea e navale.

!l passo prescrittogl! presso Franco che aveva convenuto d! seguire la l!nea d! condotta ind!catagl!.

Successivamente, mattinata stessa, Magistrati avuta informazione da Roma che domenica prossima deve tenersi riunione nostre autorità militari presieduta probabilmente dal Duce, nella quale sarebbe desiderato intervento rappresentanti militari tedeschi che parlino italiano. Magistrati, che aveva già fissato altro colloquio con Goering, mi ha incaricato informare Canaris della riunione. Questi mi ha espresso subito desiderio intervenirvi come capo rappresentanti militari ma si è dimostrato preoccupato che Goering prendesse in mano la questione e inviasse soltanto ufficiali aviazione. Ne ha perciò parlato con generale Keitel e questi, col quale ho poi conferito, mi ha informato che nomina rappresentanti militari è competenza maresciallo Blomberg il quale ha deciso inviare Roma Canaris, come capo delegazione, con altri due ufficiali non ancora precisati.

Magistrati avuto stamane secondo previsto colloquio con Goering il quale ha dato conferma invio detta delegazione e ha informato che sono stati inviati Spagna seimila uomini per organizzazione contraerea. Ha anche informato che situazione Spagna è stata esaminata in Consiglio ministri ieri.

Goering è favorevole intervento larvato itala-tedesco su più vasta scala, dal quale con ottimismo rispondente suo tempera-mento entusiastico si ripromette pronti successi. Blomberg ed ambienti esercito e marina giudicano invece che convenga agire con prudenza per non provocare complicazioni, avvenendo le quali Germania si troverebbe addosso tutto esercito russo. Hitler ritiene che anziché proseguire con Russia gara invio rinforzi in Spagna estendendo campo operazioni e aumentando perdite, converrebbe ostacolare movimenti russi alle origini, ad esempio, mediante azione diplomatica tendente vietare passaggio Mediterraneo navi sovietiche con armi e munizioni. Egli pensa che tale azione da svolgere in sede da studiare (Comitato non intervento, governo inglese?) dovrebbe essere svolta da Italia appoggiandosi suoi riconosciuti interessi mediterranei, mentre intervento Germania in questo senso rinforzerebbe prevenzioni che si hanno in questo momento circa realtà intenzioni pacifiche tedesche.

Personalmente ritengo che Stato Maggiore tedesco e con esso Hitler vo

gliano attualmente evitare grosse complicazioni che coglierebbero forze armate

tedesche in fase incompiuto sviluppo.

In sostanza, da parte tedesca sussiste contrasto tendenze tra Goering e

Stato Maggiore forze armate (e con questo Hitler), mentre d'altra parte po

trebbe manifestarsi desiderio non lasciarsi sopravanzare da Italia nei riguardi

futura influenza su Spagna nazionalista.

Per quanto forse già noto, comuni.co che direzione di quanto riguarda invio (l)

materiali personale in Spagna è qui devoluta a generale aviazione Wilberg e che

comando elementi tedeschi (esercito, marina, aviazione) in Spagna è tenuto da

generale aviazione Sperrle.

Canaris, che è partito ieri per Vienna, rientrerà Berlino venerdì e partirà

sabato in volo per Roma sotto nominativo noto. Desidera abboccamento con

generale Roatta, che probabilmente parteciperà alla riunione. Comunicherò nomi altri ufficiali appena noti. Prospetto opportunità che io sia tenuto corrente decisioni della riunione per necessario orientamento nei contatti con questo Stato Maggiore.

(l) Con T. 11869/14 R. del 4 dicembre, ore 22, de C!utlls comunicava di avere effettuato

(2) -Ed. in RoVIGHI e STEFANI, pp. 143-144. (3) -Manca l'ora d! partenza e d! arrivo. (4) -Comunicava che l'amm!ragl!o Canar!s era stato designato come rappresentante tedesco alla riunione di eu! al D. 546. . (5) -Il T. 1535 del 1° dicembre era del seguente tenore: «Canaris ritiene situazwne spagnola non preoccupante per noi e imprudente ampl!are notevolmente attuale for'!'a intervento itala-tedesco. Goering (con il quale Magistrati ha conferito stamane) gmdlCasituazione spagnola non favorevole e conveniente accelerare operazioni nazionalisti. Ha anche accennato possibil!tà invio Spagna 10.000 volontari tedeschi tratti da Sturmstajfeln e 10.000 camicie nere volontarie. Canar!s tornerà Berlino venerdì prossimo e giungerà volo Roma sabato prossimo sotto falso nome Nonweiler ». . . (6) -In un colloquio avvenuto il 19 novembre, von Blomberg aveva d1eh1arato a Marras di considerare poco credibili le notizie d! stampa circa l'invio di un corpo di spedizione sovietico in Spagna, che avrebbe richiesto l'impiego di decine di navi, e d! r!tene:e. sulla base anche di quanto comunicato dall'addetto mil!tare tedesco a Mosca. Koestrmg, che Stalin e i suo! collaboratori più vicini fossero contrari all'impiego in Spagna di materiale e d! personale scelti (Marras al ministero della Guerra, T. 1470 del 19 novembre in Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito). Un timbro sul documento indica che fu inviato alla segreteria particolare d! Mussol!ni.

(l) Nota dell'ufficio cifra: « gruppi di Incerta decifrazione ».

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IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11902/044 R. Budapest, 2 dicembre 1936 (per. il 5).

Mio telegramma n. 135 in data odierna (1).

Onorami qui appresso riassumere a V. E. quanto riferito da Daranyi e da Kanya al loro ritorno a Budapest. Premesso che le accoglienze di Vienna al Reggente ed agli uomini di Stato ungheresi sono state assai cortesi e cordiali ma, «in corrispondenza del resto con l'indole della popolazione », sensibilmente meno calorose di quelle di Roma e di Napoli, il presidente Darànyi osserva che

--contrariamente a quanto rilevato dai giornali ungheresi _-l'argomento della giustizia per l'Ungheria è stato toccato nelle conversazioni di Vienna né più né meno di tutti gli altri riguardanti la politica dei due Paesi. Miklas vi ha fatto cenno nel suo discorso ed egli stesso, Daranyi lo avrebbe sottolineato nelle sue dichiarazioni alla radio; ma non può dire, in verità, che abbia avuto particolare risalto nei colloqui. Gli austriaci si sono invece interessati specialmente agli argomenti delle relazioni itala-germaniche, itala-austriache ed austrogermaniche.

Circa queste ultime, Daranyi ha potuto constatare che Schmidt si mostra molto soddisfatto dei risultati della sua visita in Germania (2); non sa però fino a che punto considerazioni di ordine personale influiscano in senso ottimistico sull'apprezzamento del segretario di Stato austriaco... Più obiettivo, Schuschnigg gli ha detto che si sente tranquillo circa l'atteggiamento dei circoli ufficiali del Reich ma assai meno circa i propositi delle altre cinque o sei « Stellen » che nella Germania nazionalsocialista fanno tuttora della politica estera.

Papen si è adoperato con particolare insistenza presso di lui e presso Kanya per sviscerare contenuto e portata delle conversazioni itala-ungheresi di Roma. Il suo linguaggio ha lasciato in loro l'impressione che egli vagheggi più che mai la formazione del blocco dei quattro Stati autoritari: non però -si affretta a precisare -in senso formale, quanto piuttosto in senso «atmosferico».

Il ministro di Cecoslovacchia a Vienna, da parte sua, gli ha portato un personale saluto di Hodza, che egli conosce dall'epoca della Monarchia, ed il

messaggio che «Hodza ha fiducia possa ormai addivenirsi ad un miglioramento dei rapporti economici ungaro-cecoslovacchi, dal quale deriverebbe naturalmente, in un secondo tempo, il miglioramento dei rapporti politici tra i due Paesi:..

Ha risposto al ministro che non vedeva, in massima, difficoltà al miglioramento delle relazioni commerciali, non soltanto perché se ne sente la necessità da ambo le parti ma anche per il fatto che tali scambi sono per loro natura di semplice sistemazione, consistendo in sostanza nel baratto di legname con maiali. L'attuale stato di cose -ho voluto con l'occasione rammentargli -è del resto conseguenza della denunzia, effettuata dalla Cecoslovacchia nel 1929, del buon trattato esistente; denunzia dopo la quale era naturale l'Ungheria non si facesse più parte diligente. Ma quanto ai rapporti politici doveva dirgli che non condivideva il pensiero di Hodza circa la automaticità del loro miglioramento in conseguenza dell'eventuale miglioramento delle relazioni economiche: per addivenirvi occorreva invece -gli ha confermato -l'adempimento di condizioni preliminari politiche (non specificate).

Kanya mi dice essergli stata data a Vienna visione del protocollo firmato in occasione della visita di Schmidt a Berlino. Tale protocollo, che riguarda lo sviluppo delle relazioni economiche, turistiche e culturali tra la Germania e l'Austria non contiene a suo giudizio nulla di particolarmente rilevante. Quanto alle relazioni politiche tra questi due Paesi, ha la sensazione che potranno essere migliorate e sviluppate anche maggiormente ove Schuschnigg continui a reggersi, come egli del resto ritiene. Gli risulta che nei colloqui avuti a Berlino Schmidt abbia accennato anche alla questione della restaurazione: a tali accenni sarebbe però stata subito opposta da parte germanica una netta fin de non recevoir.

Il ministro di Polonia a Vienna avrebbe avvicinato Kanya per chiedergli se fosse esatto che «l'Italia cerca di attirare a sé la Cecoslovacchia ». Egli avrebbe risposto di doverlo escludere dopo quanto aveva poco prima udito a Roma.

Kanya passa infine all'argomento del revisionismo, per negare che esso

abbia formato oggetto delle conversazioni ungaro-austriache; le notizie pub

blicate al riguardo nella stampa ungherese -dichiara -sono false e dan

nose. (E' interessante osservare che tali notizie sono state fornite a questi

giornali, durante l'incontro, da un elaborato telegramma ufficioso dell'agenzia

Telegrafica Ungherese da Vienna). n Reggente, mi confida, avrebbe voluto pro

nunziare a Vienna un discorso contenente accenni apertamente revisionistici

ma egli, Kanya, è riuscito ad impedirlo. Ha agito in questo senso -conclude

perché è sempre del parere che «di revisione non si debba parlare, poiché una

revisione pacifica non è possibile: alla revisione -come sappiamo -si può

giungere soltanto attraverso una guerra». L'Ungheria deve perciò limitarsi

a pensarci e a prepararsi militarmente per il giorno in cui potrà riprendere in

parte o in tutto, con le armi, i territori che le sono stati strappati. Allarmando

gli Stati della Piccola Intesa si ottiene soltanto il risultato di peggiorare la

situazione delle minoranze irredente, come provano gli attuali avvenimenti di

Transilvania.

(l) -T. 11818/135 R. del 2 dicembre, ore 21,35. Riferiva i commenti estremamente positivi degli ambienti politici ungheresi su la visita dell'ammiraglio Horthy in Italia. (2) -Vedi D. 457.
529

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2805/682. Bucarest, 2 dicembre 1936 (per. il 7).

Mi riferisco al telespresso di questa R. legazione n. 645 del 18 novembre

u. s. (1). Ha fatto ritorno a Bucarest il ministro degli Esteri signor Antonescu reduce dal suo viaggio ufficiale a Varsavia.

Dalle prime impressioni raccolte non sembra che il viaggio abbia portato a risultati di rilevante importanza. Il ministro degli Esteri romeno avrebbe chiesto che la Polonia aderisse al trattato del Trianon (che la Polonia non ha mai voluto firmare). A tale domanda si sarebbe opposto un cortese ma fermo rifiuto.

Altra démarche fallita del signor Antonescu sarebbe stato il tentativo di mediazione fra Polonia e Cecoslovacchia. Egli avrebbe compiuto questo tentativo nonostante si fosse cercato di fargli comprendere già a Bucarest che esso non era gradito.

L'incaricato d'affari di Polonia mi ha detto che aveva avuto la delicata attenzione di rimettere al ministro Antonescu all'atto della sua partenza, come «amena lettura di viaggio » varie pubblicazioni a carattere spiccatamente anticeco. Ma il latino che l'Antonescu non ha voluto capire a Bucarest gli sarebbe stato chiaramente spiegato a Varsavia da Beck.

Una delle poche cose che il ministro romeno è riuscito a combinare è il viaggio del capo di Stato Maggiore romeno a Varsavia. Questi infatti partirà fra breve per la capitale polacca. Sembra però che lo Stato Maggiore polacco non si prepari a fagli vedere molte cose data la diffidenza di Varsavia verso l'alleata. Esso non è infatti disposto a confidare nessun importante segreto di carattere militare allo Stato Maggiore di questo Paese legato da un trattato di alleanza alla Cecoslovacchia ed i cui rapporti con i Soviet, pur non avendo progredito in questi ultimi tempi, non sono tuttavia gran che allentati.

Accanto alla parte negativa del ministro degli Esteri romeno, deve tuttavia essere messo in evidenza che la visita del signor Antonescu ha in gran parte spezzato il ghiaccio che si era formato fra i due Paesi e che quindi i rapporti romeno-polacchi potranno, se le circostanze generali di politica internazionale dovessero in avvenire consentirlo, riprendere un tono più caldo senza più l'ostacolo dei gravi malintesi che l'azione del signor Titulescu aveva creato.

(l) Con telespresso 2683/645, l'incaricato d'affari, Ottaviani, aveva riferito risultargll che, in occasione del suo prossimo viaggio a Varsavia, Antonescu avrebbe cercato di agire come mediatore per migliorare i rapporti tra Polonia e Cecoslovacchia ma che il governo polacco non sembrava gradire questa iniziativa e in ogni caso non sarebbe stato disposto a riconsiderare il suo atteggiamento verso Praga se quest'ultima non avesse rinunciato al trattato di alleanza con l'U.R.S.S.

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IL MINISTRO A L'AJA, TALIANJ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2205/575. L'Aja, 2 dicembre 1936 (per. il 7).

Dopo avere, come sempre, ruminato e poi digerito i commenti del Temps, del Times e del Daily Telegraph, questa stampa esamina finalmente il recente accordo anticomunista tedesco-nipponico in relazione sopratutto agli interessi coloniali olandesi e cioè alla sicurezza dei possedimenti dell'Insulindia.

L'Algemeen Handelsblad di Amsterdam osserva che un patto contro la teorica e la propaganda comunista non può che restare, in pratica, inoperante. Per proteggersi dall'azione comunista, si dice, sarebbe più che sufficiente un accordo per una linea di condotta uniforme tra le polizie dei vari Stati. Se poi l'accordo tedesco-giapponese dovesse mirare a difendere l'integrità territoriale dei singoli Paesi, la Società delle Nazioni sembrerebbe più che sufficiente, qualora le si desse un carattere universale ed i mezzi opportuni per imporre il rispetto dell'ordine costituito. Tale accordo, si conclude, tende piuttosto, sotto la speciosa ragione di difesa contro il comunismo, a minacciare indirettamente l'integrità territoriale di terzi, nel caso il dominio olandese delle Indie Olandesi. La politica della porta aperta seguita dall'Olanda nelle sue colonie, i vantaggi economico-commerciali concessi a tutti, non possono non favorire ugualmente il Giappone e la Germania, tanto più che, tra le comunità straniere esistenti nelle Indie Olandesi, quelle di nazionalità tedesca e giapponese sono numericamente le più forti (6.867 tedeschi e 7.125 giapponesi, in confronto di 1.414 inglesi e di 543 americani). Se ne deduce allora che la libertà economica vigente nelle Indie Olandesi costituisce in sé la migliore difesa del dominio olandese in quelle regioni, per cui dovrebbe essere interesse internazionale conservare le Indie Olandesi nel loro assetto p::-esente.

Il Nieuwe Rotterdamsche Courant esprime a un dipresso le stesse considerazioni e conclusioni, osservando che un accordo di ripartizione delle sfere di influenza nelle Indie Olandesi, dove abitano più di 50 milioni di indigeni, è sempre possibile nel senso che la Germania, come territori di sfruttamento industriale e commerciale, potrebbe riservarsi Sumatra e Giava ed il Giappone, come territori di popolamento e di coltura, Borneo, Celebes e la Nuova Guinea.

Che il governo di Tokio abbia di recente dimostrato di interessarsi del vastissimo territorio tutt'ora incolto di quella estrema colonia olandese, la Nuova Guinea, è ben noto per la domanda di concessione avanzata dal sindacata Nanvo-Kohatsu-Kaisha diretto dal signor Saito. Tale sindacato si proponeva di bonificare un esteso territorio dell'isola, la cui popolazione è inferiore ad un abitante per Km. quadrato, per coltivarvi il cotone con l'immigrazione di ben quattromila famiglie giapponesi specializzate in tale coltura. Il governo delle Indie Olandesi, per evitare con un rifiuto l'accusa di detenere territori incolti ove la popolazione di altri Paesi potesse trovare mezzi di vita, o, con una accettazione pura e semplice della richiesta giapponese, riconoscere indirettamente la manomissione di un suo territorio coloniale, opportunamente costituì in patria una grande società per azioni «per lo sviluppo dell'agricoltura e dello sfruttamento forestale della Nuova Guinea » con capitali forniti in gran parte dalle grandi compagnie di petrolio quali la Royal Dutch e la Bataatsche Petroleum Mij.

Dato quanto precede e tenuto presente che l'interesse politico qui prevalente è la conservazione integrale con ogni mezzo e a ogni costo dei propri domini nel Pacifico, ogni eventuale turbamento in tale sensibile settore è per i Paesi Bassi preoccupazione non lieve, in ispecie per le accentuate tendenze espansionistiche del Giappone nel nord della Cina e nei mari del Sud. Questa opinione pubblica, disapprovando dunque il recente gesto del Reich, è portata facilmente ad ammettere che se il Giappone e la Germania si accordano per una linea di condotta in comune· contro il comunismo, in realtà il loro espansionismo mira da una parte a concretarsi in funzione antirussa sul territorio sovietico e dall'altra, per il Giappone, anche ai danni delle Indie Olandesi. Da qui reazioni facili a spiegarsi in questa opinione pubblica e insieme l'estrema prudenza dei suoi atteggiamenti, perché cosciente della speciale situazione di un piccolo Paese, quale l'Olanda, scarsamente protetto e obbligato, per forza di cose, a una politica di riflesso nell'orbita della maggiore potenza coloniale nell'Oceano Indiano, l'Inghilterra.

Al Paese, che da lui aspettava chiare parole rassicuranti, questo ministro degli Affari Esteri non ha saputo dire ieri, parlando alla Seconda Camera, che parole vaghe e al tempo stesso involute. Premesso che i Paesi Bassi non aderiranno all'accordo anticomunista nippo-tedesco, come non hanno mai aderito ad alcun «trattato politico», il signor de Graeff ha ammesso di non saper nulla di più di quel che hanno pubblicato i giornali circa una clausola segreta dell'accordo suddetto che contemplerebbe una divisione in zona d'influenza giapponesi e tedesche dell'arcipelago neerlandese. Sarebbe corso alle informazioni. «Nello strano mondo di oggi -ha aggiunto il ministro degli Esteri -tutto è possibile, però, a parte le smentite di Tokio, la notizia mi pare assolutamente fantastica».

Come accennavo più sopra, le dichiarazioni del signor de Graeff non hanno dissipato il malessere che è in tutti. Mentre egli parlava io ripetevo a me stesso quanto pur recentemente egli mi confidava (vedi mio telespresso n. 1596 del 14 agosto u.s.) (l) circa la sua inguaribile diffidenza verso il Giappone, che non attenderebbe, nella sua convinzione, che il momento favorevole per porre in atto uno dei tanti disegni sui possedimenti olandesi del Pacifico. Nessun dubbio che, malgrado le sue belle parole, il signor de Graeff abbia veduto nel trattato tedesco-giapponese un nuovo motivo alla sua preoccupazione e una conferma alle sue nere previsioni.

Primo risultato pertanto del nuovo elemento che si insinua nella politica del Pacifico è un ritorno di devozione per la Gran Bretagna e per i suoi atteggiamenti e anche per la Lega ginevrina, malgrado che se ne sia qui più volte dichiarato e constatato il fallimento.

(l) Non pubbl!cato.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. S. 4902/1653. Berlino, 2 dicembre 1936 (per. il 7).

Mi riferisco al telegramma dell'E. V. n. 347 del 28 novembre u.s. (1). Come ho avuto occasione di accennare all'E. V. con il mio telegramma

n. 561 del 28 novembre u.s. (2) ho desiderato prendere diretto contatto con il generale Hermann Goring il quale, per la sua qualità di ministro dell'Aeronautica del Reich e sopratutto per essere l'elemento di maggiore importanza nelle relazioni tra Forze Armate e partito nazionalsocialista, appare qui senza dubbio quale la persona maggiormente al corrente di tutte le notizie relative alla situazione spagnuola oltre che l'autorità più adatta per premere, con il peso del suo prestigio personale, nei confronti di una qualsivoglia decisione.

Ho trovato il ministro Goring non soddisfatto dell'andamento generale della guerra civile di Spagna. La lunga attesa dei nazionalisti prima di procedere alla marcia su Madrid ha fatto sì che le milizie rosse potessero premunirsi ed organizzarsi in una forma più efficace che non per il passato. Di modo che, allorché le truppe del generale Franco hanno compiuto la marcia Toledo-Madrid, hanno incontrato, alla soglia della capitale, la più accanita delle rèsistenze alla quale è venuta ora ad aggiungersi l'inclemenza della stagione. Egli appare molto incredulo inoltre sulle qualità militari, quali organizzatori e combattenti, dei capi nazionalisti, i quali, in definitiva, hanno fatto fino ad oggi lo sforzo maggiore servendosi unicamente di truppe marocchine, della Legione straniera, di tre o quattro reggimenti di cavalleria e degli aiuti stranieri.

Mentre i dirigenti rossi sono riusciti, magari attraverso la violenza e la brutalità, a condurre sotto le armi tutti gli uomini validi dai 20 ai 50 anni, le autorità di Franco continuano ad insistere sul concetto del « volontarismo » con scarsissimi risultati. Di quei volontari, poi, ben pochi sembrano disposti ad andare ad occupare le trincee di Madrid, preferendo rimanere spesso a discutere nei caffè delle città più tranquille. A ciò è venuta ad aggiungersi la circostanza che indubbiamente, nelle ultime settimane, lo sforzo organizzatore che fa capo ad elementi sovietici, si è intensificato provocando anche qualche ripresa di iniziativa da parte delle milizie rosse, quali ad esempio gli episodi del tentativo su Talavera e la punta verso Burgos: episodi che non devono essere esagerati per importanza ma che dimostrano la volontà di voler tastare il terreno per vedere se non sia possibile, un bel giorno, minacciare qualche punto vitale del retrofronte delle truppe nazionaliste. In tali condizioni, pur senza essere pessimisti, occorre riconoscere che la situazione potrebbe farsi seria e che il tempo comincia a lavorare contro di noi. Data quindi l'assoluta persuasione da parte tedesca che in Spagna si sta giocando una partita di grandissima importanza, particolarmente nel campo del prestigio, tra le forze che hanno interesse a salvare la civiltà europea e quelle

della rivoluzione distruttrice, occorre pensare seriamente ai mezzi migliori per ottenere una vittoria, rapida per quanto possibile. Il generale Goring si è già posto questo problema e, a suo modo di vedere, occorrerebbe svolgere un duplice piano:

l) intensificare la minaccia contro i rifornimenti marittimi dei rossi, perseverando nei continui bombardamenti aerei delle basi mediterranee e, particolarmente, affondando, per via subacquea, qualche importante piroscafo sovietico carico di materiale. Occorre dire in proposito, ha dichiarato il generale, che in questo campo un sottomarino può fare più danni che non trenta apparecchi da bombardamento. E sono sicuro, ha aggiunto, che, dopo i primi esempi, ben pochi capitani marittimi si azzarderanno a continuare a navigare con le loro navi commerciali nella zona pericolosa. Ma, evidentemente, tale azione sottomarina non può essere svolta oggi che dall'Italia, dato che la Germania non potrebbe inviare, per la lontananza, sommergibili di piccola crociera e, per quanto riguarda quelli di grande crociera, essi sono di tipo troppo nuovo e caratteristico per non essere immediatamente riconosciuti quali appartenenti alla Marina da guerra del Reich. Viceversa, come anche la recente esperienza già insegna, dalle basi della Sardegna e delle Baleari l'Italia può benissimo continuare a far scivolare nelle acque spagnuole i mezzi necessari per troncare, con l'invio di qualche «anonimo» siluro, l'attività marittima sovietica.

2) Cominciare senz'altro a studiare la possibilità, in ogni particolare e dettaglio, dell'invio di uomini in Spagna. Tutto fa ritenere infatti che non sia sufficiente rinforzare solamente in materiali o in reparti di elementi tecnici le file di Franco. Data la vastità e il frastagliamento del fronte tenuto dai nazionalisti, la composizione di un nucleo di forze fresche e bene organizzate potrebbe costituire un elemento di primaria importanza per fare gravitare la bilancia. Secondo il generale GOring questo corpo potrebbe essere composto di diecimila camicie nere e diecimila uomini delle formazioni SS. Questi ultimi sono già pronti in Germania e potrebbero essere rinforzati, oltre che con artiglieria, con un battaglione scelto dello stesso reggimento della sua guardia del corpo « Hermann Goring Regiment ». Condizione però essenziale per lo sviluppo delle operazioni da parte di questo piccolo corpo di spedizione volontario dovrebbe essere la creazione in Spagna di uno Stato Maggiore italatedesco, per togliere di fatto ai generali nazionalisti, che non sembrano essere maestri di strategia, la responsabilità delle operazioni. Questo corpo di volontari dovrebbe essere provvisto naturalmente di sufficiente artiglieria, di armi meccanizzate, etc. I volontari itala-tedeschi dovrebbero sbarcare nei porti della Spagna meridionale controllati dai nazionalisti ed essere avviati, poco a poco, verso il Nord per poter risolvere la situazione di Madrid: situazione che indubbiamente pesa oramai su tutta la campagna di Spagna e che deve essere risolta, a qualunque costo, anche per ragioni di prestigio.

Il generale Goring, a conclusione di questa sua prima conversazione, mi ha assicurato che nel pomeriggio egli avrebbe portato la questione in seno al Consiglio dei ministri che sotto la presidenza del Ftihrer si sarebbe riunito nel pomeriggio e mi ha pregato di ritornare da lui nel mattino seguente.

Rientrato all'ambasciata e dopo aver ricevuto comunicazione telefonica dall'E. V. circa la riunione che avrà luogo a Roma, domenica prossima, nei riguardi degli affari di Spagna (1), ho appreso dal nostro R. addetto militare, col. Marras, che aveva nel frattempo avuto una conversazione sull'argomento coll'ammiraglio Canaris, come il maresciallo von Blomberg desiderasse vedermi.

Stamane ho avuto così, nella sede del ministero della Guerra, uno scambio di idee con il capo delle forze armate del Reich. Questi, dopo avermi assicurato che alla riunione di Roma sarà presente lo stesso ammiraglio Canaris, accompagnato da altri ufficiali conoscitori della lingua italiana, mi ha esposto alcune sue idee sulla partecipazione della Germania alla crisi in Spagna. Secondo il maresciallo, per molti motivi, dato l'attuale periodo di preparazione delle forze armate tedesche, non conviene al Reich far precipitare apertamente una crisi che potrebbe condurre direttamente ad un conflitto armato russotedesco. Viceversa, data la necessità per la Germania come per l'Italia che i rossi siano nettamente sconfitti in terra di Spagna, conviene studiare i mezzi migliori perché l'intervento avvenga di fatto ma velato e salvando le forme internazionali.

L'ho rassicurato, aggiungendo che evidentemente un intervento itala-tedesco in Spagna non avverrebbe con l'invio di reggimenti regolari, muniti di musiche e di bandiere, ma di formazioni di volontari cosidetti irregolari, opportunamente inquadrati e guidati. Il maresciallo ha allora approvato~ aggiungendo che avrebbe atteso con grande interesse la relazione dell'ammiraglio Canaris sulla riunione di Roma.

Sono ritornato subito dopo dal generale Goring al quale ho fatto leggere innanzitutto i numerosi telegrammi apparsi ieri sera sulla stampa straniera circa l'avvenuto sbarco in Spagna di formazioni tedesche per un totale di oltre cinquemila uomini. Il generale Goring ha letto con sorriso di soddisfazione tali notizie e mi ha detto che già da ieri sera egli aveva avuto sentore della loro pubblicazione oltre frontiera. Mi ha detto poi che, data la situazione, di esse non si doveva tenere alcun conto eccessivo. In realtà oltre cinquemila uomini appartenenti a reparti di artiglieria antiaerea, munita però anche di proiettili a granata per le operazioni di terra, con scorta di sezioni mitragliatrici, erano giunti su 8 piroscafi nelle acque di Spagna ed avevano iniziato le operazioni di sbarco. Tali elementi che dovevano rimanere alle dipendenze del generale Sperrle, che ha la direzione dl tutte le forze e di tutti i mezzi tedeschi impiegati in Spagna, avrebbero già costituito un immediato valido aiuto.

Mi ha poi aggiunto che, come mi avevano annunziato, la situazione in Spagna era stata oggetto di discussione in seno al Consiglio dei ministri di ieri. Il FUhrer e Cancelliere ritiene che, oltreché pensare agli aiuti materiali, sarebbe molto opportuno stroncare alle origini gli aiuti che i rossi ricevono dalla Russia sovietica. In tale campo, data la circostanza che la Germania non vuole mostrarsi attratta dal problema del Mediterraneo e dell'Africa settentrionale, dove non ha interessi diretti e dove un suo aperto intervento potrebbe provocare dannose reazioni franco-inglesi, l'Italia, con il pieno diritto che le è

dato dalla sua situazione di grande Potenza mediterranea, dovrebbe, in una forma qualunque, dare l'« alto là:\) all'U.R.S.S., proclamando che questa Potenza, non affacciandosi al Mediterraneo, non ha alcun diritto di farlo solcare dalle sue navi piene di armi e di armati, sconvolgendo ogni equilibrio, e creando focolai di agitazione bolscevica. Tale «alto là» italiano sarebbe naturalmente immediatamente sostenuto con ogni mezzo dalla Germania. Tale idea è condivisa dallo stesso Goring che si augura quindi una nostra netta azione mediterranea anti-russa. Ciò non vuole dire però che i tedeschi convinti della assoluta necessità, come è stato riaffermato ancora ieri nello scambio di idee tra i ministri responsabili, del successo del governo di Franco in Spagna, non facciano frattanto ulteriori sforzi militari, d'accordo con l'Italia, per il conseguimento dello scopo desiderato.

A conclusione della seconda conversazione il presidente prussiano mi ha fatto un nuovo sfogo contro l'incapacità del generale Franco il quale tra l'altro non ha ancora lanciatò alcun programma, limitando la sua concezione politica ad una semplice negativa: distruzione del bolscevismo, senza dire però quali principi di carattere politico, sociale ed economico informino la sua azione dt governo. Passando infine dalla situazione spagnuola a quella generale, il generale mi ha esposto poi varie idee che stimo opportuno riassumere in separato rapporto (1).

(l) -Vedi D. 491, che è del 27 novembre. (2) -Vedi D. 499.

(l) Vedi D. 546.

532

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RR. 4903/1654. Berlino, 2 dicembre 1936 (per. il 7).

Come ho avuto occasione di accennare alla fine del mio rapporto n. 4902/ 1653 (2) il generale Hermann Goring, dopo aver esposto le sue idee sulla situazione di Spagna, da me riferite con il rapporto stesso, ha esteso il suo campo di osservazione ai principali problemi internazionali della Germania.

Egli si è innanzi tutto dimostrato oltremodo soddisfatto del raggiungimento dell'accordo anticomunista con il Giappone. E, dando pieno sviluppo alla esuberanza del suo temperamento, mi ha molto vivacemente affermato che la Germania non deve militarmente avere oramai grosse preoccupazioni nei riguardi dell'U.R.S.S. « E' inutile -ha aggiunto -che i russi facciano oggi i rodomonti parlando di armamenti navali e terrestri». Quanto alla flotta sovietica, essa è un simulacro che, per quanto riguarda il Baltico, può essere molto facilmente tenuto a bada da poche unità tedesche mentre una semplice divisione di incrociatori italiani può senza difficoltà distruggere gli elementi che hanno la loro base nel Mar Nero. Ed è inutile che i russi parlino di nuovi programmi navali con costruzioni di navi di trentamila tonnellate perché essi non saranno mai capaci di fabbricarne nei loro cantieri. Sono più sinceri quei loro

dirigenti che hanno oggi paura di giocare la carta contro Germania, Italia e Giappone. Quanto all'Inghilterra, essa evidentemente si prepara affrettatamente a raggiungere il grado massimo dei propri armamenti, in previsione di una futura crisi europea e mondiale. Le nostre notizie, ha aggiunto Goring, fanno ritenere che in Inghilterra ancora oggi non si è perdonato all'Italia il successo in Abissinia. Il governo è contro di voi << al cento per cento » mentre l'opinione pubblica è divisa e non sono pochi quelli che oramai vorrebbero riconoscere il vostro fatto compiuto. Ma dovete stare molto attenti. E' vero che nel 1941 gli armamenti navali dell'Italia e della Germania saranno così avanzati da far riflettere molto profondamente in Inghilterra circa la convenienza di opporsi ad una eventuale coalizione dei nostri Paesi. La nostra flotta sarà allora formidabile (e ha battuto i pugni sul tavolo) con le sue corazzate da trentacinquemila e da ventiseimila tonnellate !

Ho appreso però in questi giorni, ha aggiunto, una notizia non buona secondo la quale voi italiani avreste fatto nelle ultime settimane delle grosse ordinazioni belliche in Cecoslovacchia (1). Perché? Tutti sappiamo che la Cecoslovacchia è una succursale della Russia sovietica. Perché darle dei soldi e favorire lo sviluppo di quelle fabbriche d'armi? Non potrebbe l'industria tedesca maggiormente servirvi? Se risultasse che nelle eventuali ordinazioni in Germania, vi fossero ritardi nelle consegne o deficienze nelle costruzioni, potrei provvedere personalmente io stesso perché tali inconvenienti cessino immediatamente.

Con la Russia e con i suoi satelliti non dobbiamo avere nulla a che fare. Io penso in proposito, e qui ha ripreso l'idea di una nostra dichiarazione antisovietica accennata nel mio rapporto precedente, che Germania ed Italia dovrebbero apertamente dichiarare oggi, dopo il riconoscimento del governo di E'ranco, che i due Paesi non permetterebbero mai la creazione in Spagna di uno Stato a dottrina sovietica. La Russia, per ragione della sua impotenza militare, dovrebbe chinare la testa con conseguente sfasciamento delle forze rivoluzionarie che si irradiano oggi da Barcellona e da Valenza. (Questa idea della dichiarazione antisovietica deve essere stata evidentemente discussa nel Consiglio dei ministri di ieri. Ne ho conferma dal senatore Puricelli il quale, nella sua odierna visita al Cancelliere Hitler, l'ha intesa ripetere dalla bocca stessa del Capo dello Stato tedesco quasi con le stesse parole con le quali è stata a me commentata dal generale Goring).

Un tale avvertimento -ha concluso Goring -sarebbe utile per tutti e stroncherebbe l'invio di materiali bellici ai rossi, 1 quali li ricevono anche da Paesi considerati antibolscevichi. Vedere per esempio la Polonia (questa dichiarazione di Goring mi sembra di una certa importanza): l'ambasciatore viene a dirci che il suo governo non fa che prendere misure antibolsceviche ma in realtà noi sappiamo che anche via Polonia l'U.R.S.S. invia soccorsi in Spagna. Naturalmente questi partono con indirizzo diverso, ma finiscono sempre nei porti rossi di Spagna (2).

(l) -Vedi D. 532. Il documento ha il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 531. (l) -Sul margine del documento vi è, a fianco di questa frase un punto interrogativo. (2) -Il documento ha il visto di Mussollnl.
533

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11837-11834/252-253 R. Tokio, 3 dicembre 1936, ore 9 (per. ore 15,15).

Quasi tutti i giornali si limitano stamane a mettere in rilievo tipografico in prima pagina e con fotografie di V. E., Sugimura ed altri, comunicato . di questo ministero degli Affari Esteri (l) ed il commento Agenzia Domei. In questo, tra l'altro si afferma che il presente accordo, pur non avendo carattere politico (2), è tale da migliorare comprensione politica tra Giappone e Italia, che insieme con l'accordo germanico indica avere Giappone abbandonato politica isolamento e che è prevedibile i due accordi inducano le altre Potenze a riconoscere Manciukuò ed Etiopia.

Nichi-Nichi afferma in un editoriale che l'accordo ha carattere puramente economico e che Giappone desideroso pace non vuole intervenire affari Europa.

Jiji si esprime press'a poco nello stesso modo.

Asahi pubblica messaggio di V. E. Partiti politici nelle interviste ai giornali si manifestano malcontenti. Militari si mostrano molto soddisfatti per l'accordo. Ufficiale Stato Mag• giore mi ha detto che tale accordo dovrà essere soltanto un inizio. Continuano contatti di cui al mio telegramma n. 222 (3) sui quali riferirò concretamente appena possibile (4).

534

IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO (5). Roma, 3 dicembre 1936.

Senza inferire nelle considerazioni di carattere militare che sono state rese note dal generale Roatta, mi limito a riprodurre alcune osservazioni generali sull'attuale situazione in Spagna.

(-4) Per il seguito si veda il D. 570.

42-Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

Anche a causa del sopravvenire della cattiva stagione che ha rallentato il ritmo delle operazioni, si accentua sempre di più l'impressione che i nuclei dell'esercito nazionale spagnolo non sviluppino quell'attività che viene richiesta dal larghissimo fronte e dalle vaste possibilità offerte ai rossi di compiere delle diversioni pericolose come quella recentemente effettuata in direzione di Burgos. L'episodio di Talavera è del resto significativo. A 200 chilometri da Madrid, sede di importantissimi comandi, centro vitale delle retrovie, la città, nonostante che il comandante militare fosse stato avvisato appena due giorni prima delle intenzioni del nemico, è stata attaccata da una colonna rossa di oltre 1.800 uomini e salvata, come noto all'E. V., soltanto dal tempestivissimo intervento della aviazione italiana.

In questo mio secondo viaggio in !spagna mi sono fermato a Valladolid, Burgos, San Sebastiano, Vitoria e Salamanca. Ciò che mi ha colpito è la folla di armati nelle più varie uniformi costellate di santini che si abbandona alla lenta ed accidiosa passeggiata spagnola o bivacca nei caffè. Discretamente equipaggiati questi uomini potrebbero benissimo essere impiegati al fronte.

Viceversa i contingenti che si incontrano nell'immediata vicinanza delle retrovie sono scarni ed inferiori, come composizione, a quello che ci si attende considerando l'importanza dello sforzo in cui è impegnata la Nazione spagnola. A Siviglia ed a Salamanca ho visto sfilare alcuni reparti germanici. Gli uomini erano vestiti, in maniera uniforme, alla foggia sportiva, ma con caratteristiche inequivocabilmente militari e germaniche. La folla delle piazze spagnole salutava questi reparti, il cui incedere offre un così singolare contrasto con quello dei reparti indigeni, con un entusiasmo molto relativo. Circa la presenza dei tedeschi in !spagna, circolano varie versioni sul grado di popolarità da essi raggiunto. Si ritiene generalmente che i tedeschi siano riusciti ad ottenere dei forti vantaggi economici tenuto presente il loro numero e la loro invadenza. La mia impressione è, invece, che i tedeschi messi sopratutto a paragone con gli italiani, più cauti e più modesti questi sebbene più espansivi, non siano riusciti a rendersi padroni di quel complesso di diffidenza e di irriflessiva amabilità che è l'anima spagnola.

Il generale Franco che ho visto alcune volte, non mi è parso così sereno e sicuro come ai primi giorni del mese scorso quando il suo Stato Maggiore aveva calcolato di potere rendersi facilmente padrone di Madrid. Gli ho fatto presente, giusta le istruzioni dell'Eccellenza Vostra, come lo sforzo nazionale spagnolo debba esser teso a non perder tempo ed a concentrarsi in maniera vigorosa per non dar la possibilità alla Terza Internazionale di creare un fronte più omogeneo. Franco mi è parso che "'lon comprendesse completamente il suggerimento. Egli fa grande assegnamento sugli aiuti che gli vengono dall'Italia e dalla Germania, ma come crede ciecamente nella bontà del materiale tedesco ed italiano, così è altrettanto convinto della capacità offensiva delle sue fanterie. Gli interessa, perciò, di più l'aiuto di mezzi tecnici. Non si rende conto della svogliatezza spagnola, che rende addirittura idrofobi i tedeschi, e considera il soldato spagnolo come il solo al mondo.

I nostri richiami lo toccano perciò sino ad un certo punto in quanto egli vede la guerra civile con le movenze tipicamente spagnole e non come una grossa questione in cui Italia e Germania si sono impegnate più che per fare piacere alla Spagna, per strozzare il marxismo. Circa l'atteso nostro aiuto, come credo sia di avviso il generale Roatta, sarebbe opportuno che i nostri contingenti venissero inquadrati in una sola colonna avente carattere unico e che possa perciò chiamarsi la «Colonna Italiana ». In una guerra come quella che conducono adesso gli spagnoli, la colonna italiana avrebbe il vantaggio di essere direttamente agli ordini del Quartier Generale di Franco e perciò sotto il controllo del generale Roatta, e di evitare, altresì, quei contatti coi reparti spagnoli che sono privi di omogeneità ed inoltre di servizi logistici e sanitari. La colonna dovrebbe perciò essere logisticamente completa e costituire una magnifica arma di offesa nella lotta anti-marxista sicché la sua azione possa risultare sotto tutti gli aspetti il più possibile indipendente.

E' sicuro che il potenziamento da parte dell'Italia e della Germania della azione intrapresa da Franco e il preciso impegno preso dalle due Potenze di aver ragione del marxismo in !spagna finiranno per decidere della lotta, in modo favorevole per i nazionali. E' necessario, però, tener conto di questo sopravvenire della rilassatezza spagnola in una forma tipicamente etnica di ripiegamento che non può affatto definirsi viltà, ma che naturalmente contrasta con la urgente necessità che la lotta antimarxista si risolva al più presto vittoriosamente. Con questo non si vuol dire che si notino dei sensi di· disgregamento fra i nazionali spagnoli. Anzi, l'entusiasmo per Franco e la popolarità per il suo movimento sembrava aumentare. I nazionali dànno l'impressione di essersi fatalmente abituati a questo tipo di guerriglia coloniale nella quale vantano il piccolo successo giornaliero e la buona fucilazione di comunisti ma non riescono a raccogliere quel «successo » totale che solo deriva da un'azione guerresca, ordinata in grande stile ed eseguita con un forte impiego di uomini. Per dare vita a questa moltitudine spagnola che è passata dal servaggio di una educazione di tipo feudale ad un movimento nazionale nel quale si percepiscono solo ora le figure degli uomini, ma non se ne identificano le idee, bisogna che Italia e Germania oltre che concedere mezzi, invitino Franco ed il suo Stato Maggiore a mutare completamente tattica sostituendo alla guerriglia comunale ed al plotone di esecuzione una organizzazione di guerra moderna per la-quale, se è necessario, occorrerà dare anche generali.

Franco, il quale, come ho già detto in un precedente appunto (2), è il più malleabile e comprensivo dei capi del movimento spagnolo, sembra disposto ad accettare consigli, purché dati con grazia. Occorrerà che gli uni e gli altri gli vengano dati con tale grazia ma con sollecitudine e fermamente se non si vuole che dato il sopravvenire dell'inverno la lotta attorno a Madrid e la futura azione su Barcellona non si trascinino oltre misura (3).

(l) -Un comunicato ufficiale diramato il 2 dicembre aveva reso noto che il governonipponlCo aveva deciso di trasformare in consolato generale la legazione ad Addis Abeba ed aveva chiesto il relativo exequatur al governo di S. M. il Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia.Nel ricevere tale comunicazione, il conte Ciano aveva assicurato all'ambasciatore del Giappone che gli interessi nipponici in Etiopia «sarebbero stati oggetto di particolare interessamento da parte delle autorità italiane in Etiopia ». (2) -Due giorni prima, l'ambasciatore Auriti aveva telegrafato che, secondo quanto pubblicava il Nichi Nichi, al ministero degll Esteri giapponese vi era malcontento per 11 fatto che da parte italiana si tendeva a dare carattere polltico all'accordo con il Giappone.L'ambasciatore, pur non essendo in grado di confermare la notizia, aveva consigliato che i giornali italiani «mettessero la sordina» al loro commenti sull'argomento, tenuto conto anche del tono riservato assunto da tutta la stampa giapponese a tale proposito (T. 11772/248 R. del 1° dicembre. ore 6,40). (3) -Vedi D. 450. (5) -Questa relazione, sotto forma di appunto, fu redatta da Anfuso al suo ritorno dalla seconda missione effettuata presso Franco dal 24 al 28 novembre. (l) -Vedi D. 438. (2) -Questo documento ha il visto di Mussol!ni.
535

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1670/1101. Praga, 3 dicembre 1936 (per. il 7).

La seconda e più decisa offerta di amicizia dell'Italia alla Jugoslavia, annunziata con discorso di Milano accanto alla riaffermzione revisionista pro Ungheria, ha turbato profondamente l'opinione pubblica di questo Paese che vi ha intravvisto una minaccia contro la compagine della Piccola Intesa e le sue finalità antirevisionistiche e in definitiva contro l'esistenza stessa della Cecoslovacchia.

I dirigenti si sono sforzati di calmare le generali apprensioni, articolando compiacimenti per i possibili migliori rapporti fra Roma e Belgrado dichiarati utili a tutta la Piccola Intesa ma pur nel far buon viso a cattivo giuoco la preoccupazione di questi organi responsabili permane evidente. Il ministro degli Affari Esteri ha affermato non essere affatto giustificata l'interpretazione secondo cui l'Italia cercherebbe di guadagnare la Jugoslavia separatamente dandole magari l'assicurazione che sarebbe risparmiata da una eventuale revisione. È una interpretazione molto forzata -ha detto Krofta -perché tutti sanno, e i nostri amici romeni e jugoslavi meglio degli altri, che qualsiasi revisione fatta a spese di uno di noi si risolverebbe prima o poi a danno degli altri. Le frontiere della Romania e della Jugoslavia non sarebbero sacre per una Ungheria che fosse stata rafforzata con territori tolti alla Cecoslovacchia.

La verità è che un possibile differente orientamento della Jugoslavia, la quale da tempo crea dubbi nei suoi alleati con predilezioni politiche non grate, né a Praga, né altrove, mette, come ho detto, in imbarazzo queste sfere politiche che si sforzano di opporsi correndo ai ripari.

Ho riferito a V. E. (mio telegramma per corriere n. 038 del 18 novembre u.s.) (l) il quesito postomi da Benes a riguardo del revisionismo nei confronti della Jugoslavia e ciò evidentemente più che per chiarire piuttosto per intralciare possibili intese fra Roma e Belgrado. Intanto, tutto un intenso lavorio è messo su per tenere a freno la Jugoslavia e mantenerla in una media linea di condotta che dovrebbe portarla ad un miglioramento di rapporti con l'Italia allontanandola dalla Germania, senza però che ciò significhi infeudamento all'Italia e quindi sovvertimento delle attuali posizioni nell'Europa centrale. Si vedrebbe, insomma, volentieri ripristinarsi, mutatis mutandis, la situazione del '24, al tempo cioè del patto di amicizia fra l'Italia e la Jugoslavia (2), con efficienza circoscritta dai dettami di Parigi e dagli intrighi della Piccola Intesa.

Mentre a Bucarest si svolge la manifestazione parlamentare della Piccola Intesa contro la revisione, una delegazione jugoslava è giunta in questi giorni

a Praga per rendere omaggio ai presidenti Masaryk e Benes e riaffermare la

fratellanza ceco-jugoslava in occasione della festa nazionale jugoslava presa

qui a pretesto per vere esplosioni di' espansività verso gli alleati fratelli slavi:

ricevimenti e discorsi a getto continuo. Benes dopo aver riaffermata la neces

sità di una intima collaborazione fra la Cecoslovacchia e la Jugoslavia ha

detto che i due Paesi devono mostrare al mondo che gli Stati slavi risorti

hanno saputo rendersi degni di far parte della grande famiglia delle nazioni,

che sono animati dall'ambizione di gareggiare in tutti i campi dell'attività

umana con gli altri popoli e che con le loro concezioni politiche e la loro

fedeltà alla Piccola Intesa lavorano per la pace, per la società europea, per

gli ideali della Società delle Nazioni. Gli stessi concetti sono stati ripetuti

dal presidente del Consiglio Hodza e quindi dal ministro degli Affari Esteri, il

quale ha sottolineato la necessità di tener conto, proprio in questo momento,

dell'importanza della collaborazione ceco-jugoslava. «La situazione è seria -ha

detto Krofta -e tanto più indispensabile è quindi la nostra unità. Nei mo

menti decisivi noi ci troveremo sempre gli uni accanto agli altri. Tale unità

non potrà essere influenzata da nessuna propaganda e da nessuna agitazione

degli avversari. Insieme alla Romania noi costituiamo con voi una intesa com

patta, rappresentante una barriera insuperabile contro tutti gli avversari della pace e dell'ordine giuridico attuale nell'Europa centrale ».

Reiterate dichiarazioni di risposta sono state fatte da questo ministro di Jugoslavia, signor Protic, che ha presenziato diverse manifestazioni di solidarietà effettuatesi in provincia (Brno, Moravska Ostrava, Pilsen) ed ha avuto poi qui occasione di affermare che «ogni tentativo diretto a distruggere l'unità della politica internazionale della Piccola Intesa è predestinato a fallire. La fermezza dei tre Stati nel difendere i comuni interessi politici, militari ed economici è più salda che mai ».

Il revisionismo non si attuerà senza guerra, la Piccola Intesa non si sfascerà pacificamente, anche se non mancano e non mancheranno deviazioni, né sembra di qui che la Jugoslavia, pur accettando per suoi vitali interessi l'amicizia dell'Italia, possa voler per ora staccarsi dal proprio sistema di alleanze che se ad un certo punto le potrebbero essere superflue di fronte ad addomesticate rivendicazioni magiare non le sembreranno mai tali di fronte ' al sottinteso e sempre paventato irredentismo italiano.

(l) -Vedi D. 436. (2) -Patto di amicizia e di collaborazione cordiale e Protocollo addizionale tra Italia e Regno serbo, croato, sloveno del 27 gennaio 1924 (Trattatt e convenzioni, vol. XXXI, pp. 48-50).
536

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11881/191 R. Lisbona, 4 dicembre 1936, ore 14,10. (per. ore 17,40).

Segretario generale ministero degli Affari Esteri in lunga conversazione avuta iersera mi ha detto circa progetto franco-britannico mediazione Spagna (l) di non aver ancora notizia ufficiale ma di ritenere che esso possa

probabilmente riuscire se mira semplicemente umanizzazione sistemi conflitto. Se mira invece far cessare le ostilità, non vede su quali basi possa reggersi. Stesso concetto quasi con identiche parole mi è stato espresso da questo ambasciatore di Inghilterra.

Circa riunioni Ginevra (1), mi ha detto che Portogallo, non facendo più parte del Consiglio della Società delle Nazioni, si limiterà invio delegazione Comitato riforma Patto tenendosi tuttavia pronto partecipare discussioni Consiglio S.d.N. qualora fosse direttamente chiamato in causa.

Avendo colto occasione insistere riconoscimento del governo nazionale domandando se il Portogallo non ritenga necessario assumere posizione netta e inequivocabile, rispose che particolare posizione del Portogallo esige ancora attesa ma non escluse dalle stesse discussioni Ginevra possano sorgere elementi che diano modo al suo governo procedere nella via desiderata. Non dubito fosse sincero ma è evidente che questo governo veramente attende vittoriosa ripresa truppe governo nazionale.

Anche attraverso parole segretario generale per quanto caute, traspariva profonda angosciosa ansietà da cui questo Paese è colpito di fronte situazione spagnuola. Attraversa veri momenti di acuta depressione nella quale azione inglese ha tanto migliore giuoco.

È da segnalare che in molti ambienti anche i più favorevoli ai nazionali si giudica con crescente severità scarsa combattività dei seguaci del generale Franco. Particolarmente si deplora vi siano troppi uomini validi territori occupati e troppi armati nelle retrovie mentre generale Franco non ha in linea uomini sufficienti. Stesso ministro di Germania mi ha detto avere constatato ciò personalmente durante il recente viaggio Vigo.

Segnalo infine che nazionalisti spagnuoli parlano qui, in territori anche

troppo attentamente controllati da chi vi ha interesse, con deplorevole legge

rezza dell'aiuto nostro e tedesco. Ritengo sia particolarmente importante otte

nere si smetta diffondere certi particolari esatti o inesatti circa nostri aiutì

navali ed aerei.

(l) Vedi D. 544.

537

IL CAPO DELLA MISSIONE AERONAUTICA IN CINA, SCARONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DELL'AERONAUTICA, MUSSOLINI

T. PERSONALE 149. Shanghai, 4 dicembre 1936 (per. il 6).

In riferimento ai miei telegrammi n. 146, 147 e 148 (2). Sulla base della prova di fiducia fornitami dal Generalissimo, e delle dichiarazioni aperte, franche ed estremamente cordiali fattemi dalla signora, e più ancora per l'autorità conferitami nel rendermi ugualmente responsabile a lei e capo commissione nella completa riorganizzazione dell'aeronautica cinese che si ini

zia ogg1 m base alle mie proposte, posso assicurare V. E. che situazione relativa alla missione aeronautica si è risolta a completo nostro favore. Dopo 16 mesi di lotta aspra, dura e talvolta anche umiliante (1), ho l'orgoglio di potere assicurare che consegna datami da V. E. all'atto della mia partenza per la Cina, quella cioè di ripristinare situazione morale e economica nostra impresa aeronautica in Cina è stata portata a termine (2).

(l) -Vedi p. 570, nota 7. (2) -Non rinvenuti.
538

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 11944/087 R. Bruxelles, 4 dicembre 1936 (per. il 7).

A due giorni d'intervallo, il primo ministro van Zeeland alla Camera, in sede di discussione del progetto di legge militare (mio rapporto n. 5843/1223 del 3 corrente) (3) e il ministro Spaak al Senato, in sede di discussione del bilancio degli Esteri (mio rapporto del 3 corrente n. 5839/1219) (3) hanno trovato modo di fare, specialmente il primo, delle dichiarazioni che sono una definitiva precisazione della nuova politica belga quale annunciata dal discorso reale del 14 ottobre.

Dall'insieme dei due discorsi risultano seguenti punti fermi: l) Riconoscimento del fallimento, o almeno insufficienza, dei principi della S.d.N. e delle formule della sicurezza e della assistenza collettive. 2) Per quanto fedele al Patto, il Belgio considera: a) che il Covenant, per essere efficiente, deve essere universale e che quindi è indispensabile il ritorno a Ginevra dell'Italia e della Germania; b) che gli obblighi societari che incombono al Belgio debbono essere delimitati e precisati e che pertanto, finché queste precisioni non siano state definite, il Belgio non può che riservarsi di interpretare il Patto e specialmente l'art. 16, in modo autonomo e nella pienezza della propria sovranità nazionale. Tale dichiarazione è stata fatta personalmente dal primo ministro. 3) Per quanto provvisoriamente fedele a Locarno ed agli accordi di Londra che transitoriamente lo sostituiscono (4), il Belgio non intende accordare alcuna garanzia alla Francia ed alla Germania, ma essere al massimo garantito. 4) Il Belgio cercherà di crearsi una forza e organizzazione militare sufficienti per scoraggiare i vicini da una invasione.

(l) -Vedi serie otta\·a. vol. III, D. 543. (2) -Ciano esprimeva al generale Scaroni la sua «viva soddisfazione » per i risultati raggiunti (T. 5279/260 R. del 9 dicembre, ore 24) ed incaricava l'ambasciatore Lojacono di ringraziare la signora Chlang Ka!-shek per l'appoggio dato alla missione aeronautica Italiana, «premessa d! una più stretta collaborazione !taio-cinese» (T. 5278/261 R., stessa data e ora). (3) -Non pubblicato. (4) -Vedi p. 274, nota 3.
539

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5853/1228. Bruxelles, 4 dicembre 1936 (per. il 9).

Telegramma per corriere n. 083 del 30 novembre u.s. Cl).

La risposta data avant'ieri da Eden ai Comuni che la garanzia britannica al Belgio si limita all'Europa e non si estende all'Impero coloniale belga, è stata qui riprodotta da pochi giornali con scarsissimo rilievo, e, finora, nessun commento. È certamente da mettere in relazione con le vive crescenti preoccupazioni belghe da quando è stata sollevata più apertamente dalla Germania la questione delle colonie, che gli Imperi coloniali delle Potenze minori

(vedi Belgio, Olanda) possano ad un certo momento essere oggetto di scambio e di compensazione tra grandi Potenze.

Certo, l'attuale dichiarazione di Eden a pochi giorni di distanza dalle ripetute garanzie britanniche sulla indipendenza e integrità del Belgio e le conseguenze di una loro violazione (2) è estremamente significativa. Tutto questo va anche considerato con riferimento ai sospetti che ha fatto sorgere il recente accordo germano giapponese di un possibile suo contenuto concernente specialmente le colonie olandesi.

540

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2392/1137. Ankara, 4 dicembre 1936 (per. il 16).

L'accordo fra Germania e Giappone è qui considerato con preoccupa

zione per i germi di guerra che si ritiene contenga in sé. Aras si è anzi

espresso molto pessimisticamente al riguardo affermando che l'accordo in

questione segna fatalmente la guerra a breve scadenza. Egli ha aggiunto

quindi che la Turchia è contraria alla politica dei blocchi e che essa, come

si oppone all'accerchiamento tedesco, altrettanto ed a più forte ragione si

oppone all'accerchiamento russo.

La stampa, nei suoi commenti non troppo numerosi e non troppo bril

lanti, ricalca questi concetti ampliandoli alquanto ed accennando alle intese

collaterali fra l'Italia e la Germania e l'Italia ed il Giappone che costituiscono

una specie di Santa Alleanza nella parola d'ordine della lotta contro il comu

nismo allo scopo di soddisfare però appetiti imperialisti centro-europei, asia

tici e coloniali. Un quotidiano completa, a suo modo di vedere, il blocco ag

giungendovi la Spagna ed il Portogallo fascisti nonché l'Austria e l'Ungheria

revisioniste. Come rimedio a questi temuti mali si oppone la solidarietà dei

Paesi all'infuori del blocco ed il rafforzamento della Società delle Nazioni.

541.

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11904/256 R. Tokio, 5 dicembre 1936, ore 5,05 (per. ore 12,45).

Quanto ha detto questo ministro degli Affari Esteri all'ambasciatore del Belgio (mio telegramma n. 250) (l) e quanto ha pubblicato agenzia Domei (mio telegramma n. 252) (2) potrebbe forse in tutto o in parte spiegare perché ministro degli Affari Esteri mi fece comprendere a ottobre (3) che considerava prematuro un nostro eventuale riconoscimento del Manciukuò. Potrebbe cioè darsi si speri qui che le Potenze obbligate un giorno a riconoscere Etiopia credano di non poterlo fare senza aver prima riconosciuto Manciukuò e potrebbe darsi si tema anche che un nostro precedente riconoscimento renda poi più difficile quello degli altri Stati. Un timore simile è stato ad ogni modo già manifestato ai giornali da un deputato.

542.

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11916/336 R. Shanghai, 5 dicembre 1936, ore 12 (per. ore 5,30 del 6).

Da sicure informazioni che ho avuto da personalità giapponese risulta che intransigenza Cina nei negoziati con Giappone è !ungi dall'essere così recisa come governo cinese ha voluto ultimamente far credere. In questo settore particolare del fronte comune antibolscevico, trattative avevano quasi raggiunto completa adesione cinese. Allorché si concretarono termini accordo tedescogiapponese, governo cinese entrò in una fase di esitazioni, sfuggendo ulteriori contatti, di guisa che intorno trattative si è creata una zona di silenzio, dopo stadio avanzato dei negoziati.

Mio informatore, che è il signor Suma, console generale Giappone a Nanchino e che esercita funzioni notevoli nei negoziati, spiega questo silenzio con supposizione che governo cinese veda nel testo dell'accordo tedesco-giapponese pericolo che azione anti-comunista possa prendere forma di una penetrazione di armate giapponesi nelle provincie cinesi. Governo giapponese si sforzerebbe di dare ogni possibile assicurazione contro tale interpretazione.

Altra supposizione è che governo cinese, cui consuetudine è sempre quella di evitare bruschi colpi, tema che rivelando sua adesione al fronte anti-comunista dopo aperta presa di posizione tedesco-giapponese e dopo chiarito atteggiamento dell'azione anti-comunista del governo fascista ed avvicinamento itala-giapponese, possa apparire come troppo aperto giuoco di saldatura di un

accordo anti-russo e provocare reazioni contro Cina da parte delle altre Potenze che ancora rappresentano un certo appoggio per la Cina.

Mio informatore ha aggiunto che ambasciata del Giappone crede sempre di poter raggiungere intesa con Cina ed ha messo in rilievo chiaroveggenza della politica del governo fascista che in tale caso non solo eviterebbe di dover menomare amicizia con Cina per amore del Giappone o viceversa ma addizionerebbe vantaggi dell'una e dell'altra una volta resi compatibili.

Ritengo queste informazioni molto interessanti, perché rivelano una situazione che effettivamente può riuscire vantaggiosa e spiegano interesse di questo ministro degli Affari Esteri ai quesiti di cui al mio telegramma n. 335 di ieri (l) circa partecipazione nostra al fronte anti-comunista ed al patto tedesco-giapponese.

(l) -Vedi D. 513. (2) -Vedi p. 532, nota 2 e D. 515. (l) -Il diplomatico belga aveva riferito ad Auriti che il ministro degli esteri giapponese considerava cosa ingiusta che gl1 Stati europei potessero riconoscere la conquista itallana dell'Etiopia e non riconoscere Invece il Manciukuò (T. 11791/250 R. del 2 dicembre, ore 3). (2) -Vedi D. 533. (3) -Vedi D. 165.
543

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 13781/1532. Budapest, 5 dicembre 1936 (per. il 9).

l. Notizie da buona fonte pervenute a questo ministero Esteri farebbero ritenere prossima la conclusione di « un qualche atto o patto di amicizia bulgarojugoslavo ». L'interpretazione qui data a tali generiche notizie -che sembrano aver suscitato, come naturale, alquanta preoccupazione -è che, in conseguenza della sua precaria posizione interna, il signor Kiosseivanov «senta attualmente particolare necessità della benevolenza dell'estero e in primo luogo di Belgrado».

2. Secondo confidenzialmente riferito, pure in questo ministero Esteri, il console d'Ungheria a Zagabria continuerebbe ad essere «ottimista» circa la intransigenza dei croati di fronte a Belgrado: sarebbe in ispecie del parere che ove Macek, contrariamente ad ogni aspettativa, finisse col cedere alle pressioni del principe reggente, il Partito contadino croato lo rinnegherebbe. Tale avviso non sarebbe peraltro condiviso dalal legazione d'Ungheria a Belgrado (2).

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 5250-5251/354-355 R. Roma, 6 dicembre 1936, ore 18.

Questo ambasciatore di Gran Bretagna ha presentato stasera una nota verbale (3), nella quale si propone in sostanza:

a) che le sei Potenze interessate dichiarino concordemente la loro assoIuta decisione di rinunziare d'ora innanzi ad ogni azione diretta o indiretta che possa comunque condurre ad un intervento straniero nel conflitto in Spagna;

b) che le sei Potenze annunzino in pari tempo la loro intenzione di dare ai loro rappresentanti nel Comitato Iondinese istruzioni di considerare immediate misure per stabilire un controllo effettivo dei materiali da guerra destinati alla Spagna;

c) allo scopo di tentare di normalizzare la situazione interna spagnuola, i governi interessati dovrebbero unirsi in uno sforzo per porre termine al conflitto armato in Spagna mediante l'offerta di mediazione con l'obiettivo di dare modo alla Spagna di dare espressione alla sua volontà nazionale. Se tale proposta fosse accettata in principio, i sei governi si consulterebbero ulteriormente circa la forma che dovrebbe assumere la loro azione mediatrice.

Nel consegnare detta nota l'ambasciatore di Gran Bretagna ha avvertito che essa è presentata d'accordo col governo francese; ha chiesto risposta urgente; ha fatto presente che i governi britannico e francese non intendono dar pubblicità al suo contenuto finché, dalle risposte ottenute, non si saranno assicurati che le loro proposte hanno avuto piena considerazione.

Analogo passo è stato compiuto stasera da questo incaricato d'affari di Francia. Intendiamo, come naturale concordare assolutamente la nostra risposta con codesto governo. A nostro avviso la risposta potrebbe seguire le linee seguenti:

a) Il governo fascista ha fin dall'inizio sostenuto la necessità che l'obbligo di non intervento per essere efficace, doveva essere il più possibile completo e comprendere quindi, oltre al divieto d'importazione di materiali bellici in Spagna, anche l'impegno di impedire l'invio di volontari e di agitatori politici e di inibire sottoscrizioni pubbliche e qualsiasi forma di propaganda pro o contro una delle parti in conflitto. Il governo italiano rimane in questo ordine di idee. Come ha già avuto occasione di dichiarare anche recentemente in seno al Comitato di non intervento, esso non ha neanche oggi difficoltà se tutti gli altri Stati partecipanti al Comitato concordino, ad assumere gli impegni conseguenti, purché essi siano accettati contemporaneamente nella loro totalità.

b) Il governo fascista ha già aderito in massima, subordinatamente alla accettazione delle due parti in conflitto, al progetto formulato dal Comitato per il controllo dei porti e vie d'accesso sul territorio spagnuolo. Si attende la risposta delle due parti. Per quanto poi si riferisce all'altro progetto di controllo aereo sui territori dei governi interessati, esso forma tuttora oggetto di esame.

Tale esame sarà, nella misura del possibile, sollecitato. c) II governo fascista non esclude la possibilità che, ai fini di abbreviare il conflitto, le sei Potenze maggiormente interessate esaminino di comune accordo i mezzi atti a facilitare utili contatti fra le parti belligeranti. Non può tuttavia non osservare, circa la proposta di mediazione al fine di accertare quale sia la volontà del popolo spagnuolo, che sembra ormai difficile, dato il decorso degli avvenimenti in !spagna, non ammettere che tale espressione di volontà

non si sia già sufficientemente manifestata a favore di una delle due parti in conflitto e precisamente di quella che rappresenta il governo nazionale, che ha saputo progressivamente attraverso una lunga lotta assicurarsi ormai il consenso della stragrande maggioranza delle popolazioni e il possesso dei tre quarti del territorio nazionale.

Tenga presente e faccia rilevare costì che nella formulazione del punto di vista italiano si è avuto di mira la convenienza di guadagnare tempo perché intanto le operazioni del generale Franco possano procedere. Si è pure tenuto presente che un atteggiamento non rigido e dilatorio può giovare a creare difficoltà agli iniziatori della convocazione del Consiglio della S.d.N. di fronte agli altri membri del Consiglio stesso, mentre una attitudine diversa potrebbe fare il giuoco dei partigiani dei rossi, giuoco che è evidentemente quello di investire Ginevra della questione. Ma in ultima analisi crediamo che anche questo nuovo passo franco-britannico sia destinato a sortire ben scarsi risultati pratici. II che naturalmente non ci dispiace. Per la risposta ai francesi ed agli inglesi, nessuna fretta (l).

(1) -Vedi D. 516, che è del 1° dicembre. (2) -Questo documento porta il visto di Mussolini. (3) -Non è stata rintracciata documentazione relativa alla presentazione del\~ nota verbale da parte dell'ambasciatore di Gran Bretagna e dell'incaricato d'affari francese. In proposito si veda 11 resoconto di Drummond In BD, vol. XVII, D. 442 e quello di Bionde! in DDF, vol. IV, D. 104. Per 11 testo della nota, si veda ibid., D. 94, allegato.
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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 4031/1619. Mosca, 6 dicembre 1936 (per. il 14).

Ho Ietto sul Giornale d'Italia del 1° dicembre, giunto qui stamane, un interessante articolo di Virginio Gayda, intitolato «Ecco la verità », nel quale si parla del congresso dei Soviet dell'U.R.S.S. Mentre ho apprezzato in generale la giustezza dei rilievi e la forza logica delle considerazioni svolte dall'eminente nostro giornalista, non ho potuto far a meno di constatare come egli cada in un errore di valutazione e di prospettiva quando crede di poter stabilire una netta antitesi fra la politica di Litvinov e quella di Vorosilov, attribuendo al primo la tendenza ad identificare l'azione del governo sovietico con quello della Terza Internazionale, mentre il secondo rappresenterebbe la concezione prettamente nazionale della politica sovietica.

A mio avviso, simile contrasto non esiste. Ritengo anzi che le tendenze personali tanto del Commissario del popolo per gli Affari Esteri quanto del Commissario per la Guerra siano identiche. Da quanto credo di aver capito nei due mesi di permanenza in questa sede, l'attitudine di entrambi è stata ispirata fino a questi ultimi tempi -e continua probabilmente ad essere ispirata -da una visione realistica degli interessi dell'U.R.S.S., visione realistica che spinge entrambi i due uomini di governo a resistere alle pressioni degli elementi internazionalisti più accesi e più dottrinari della Comintern. Non si può certo negare che Litvinov abbia assunto, nelle sue più recenti manifestazioni oratorie, un

(T. -5~09/93 R. dell'll dicembre, ore 14,45). Mamel! effettuò 11 passo prescrittogli !l 14 dicembre (T. -12189/199 R. del 14 dicembre, ore 20,05) ma il governo portoghese aveva già consegnato la sua risposta tre giorni prima (si veda DP, vol. III, D. 669).

tono molto aggressivo contro la politica dei Paesi compresi sotto la denominazione generica di «fascisti:.. Conviene però ammettere che ciò si può spiegare abbastanza logicamente con la situazione internazionale creata dagli avvenimenti spagnuoli, nonché con ovvie ragioni di politica interna e di partito. Ritengo comunque che un atteggiamento analogo sarebbe stato preso anche dal commissario per la Guerra, qualora Vorosilov fosse stato chiamato egli pure a prendere la parola davanti al Congresso ed a parlare della situazione internazionale. E questa mia presunzione è indubbiamente avvalorata, a parte talune considerazioni generali che esporrò più appresso, da un episodio abbastanza significativo verificatosi alla fine del discorso di Litvinov davanti alla Assemblea sovietica (1), quando fu appunto il VoroSilov che per il primo si avvicinò all'oratore ed in modo molto enfatico gli strinse ripetutamente la mano con l'intenzione evidente di manifestare in pieno pubblico la sua completa adesione alle idee esposte dal commissario per gli Affari Esteri.

Non avrei forse creduto necessario di rettificare questo punto dell'articolo di Gayda -che posso facilmente spiegarmi del resto con ragioni di tattica polemica -se lo stesso presupposto di un contrasto Litvinov-Voroscilov non fosse stato avanzato ugualmente in una recente segnalazione, fatta a questo

R. addetto militare dal R. ministero della Guerra, di notizie che si dicono fornite da fonte fiduciaria bene informata; il che mi fa temere che talune interpretazioni errate possano falsare la visione esatta della situazione politica dell'U.R.S.S. A mio giudizio, la situazione si presenta oggi come segue: Esistono tuttora negli ambienti comunisti le due correnti che fanno capo a due persone, anzi a due nomi: Stalin e Trotzki. La prima rappresenta la concezione realistica e nazionale della rivoluzione russa, la seconda quella dottrinaria ed internazionale; l'una guidata da criteri pratici ed opportunistici, la altra da principi teorici intransigenti. Fra queste due correnti il dissidio è sempre profondo, acuto e forse insanabile. Ne sono prova da una parte le feroci persecuzioni di Stalin contro il trotzkismo, dall'altra gli attacchi violenti contro lo «stalinismo » che si possono leggere ad esempio nel recentissimo volume di Trotzki intitolato: «La révolution trahie » (tradotto dal russo da Victor Serge ed edito da Grasset, Parigi).

Questo dissidio, sorto colla scomparsa di Lenin, aveva già avuto delle ripercussioni nei rapporti fra il comunismo internazionale ed il governo di Mosca, giacché aveva creato lo stesso contrasto di idee e di direttive in seno alla Comintern. Gli avvenimenti spagnuoli hanno però avuto come effetto di sopire almeno apparentemente e provvisoriamente, il contrasto esistente. Di fronte alla lotta ingaggiata fra fascismo e comunismo, Stalin non poteva rimanere neutrale. Forse con una certa riluttanza (giacché egli non può non preoccuparsi dei pericoli che possono derivare al suo programma di politica interna da eventuali conflitti armati che troverebbero l'U.R.S.S. in uno stadio di preparazione militare tuttora molto incompleta), egli ha dovuto prendere la difesa

del comunismo internazionale ed assumere un atteggiamento più battagliero di quanto egli non credesse utile agli interessi del comunismo russo. Lo stesso atteggiamento venne assunto, beninteso, dai suoi luogotenenti: Kalinin, Molotov, Litvinov ecc.

Questa è stata per Stalin, ripeto, una necessità tattica, dettata principalmente da ragioni di politica interna e di partito. Se questa mossa tattica sia

o meno destinata a diventare una direttiva permanente dell'U.R.S.S., credo che nessuno possa prevederlo oggi con sicurezza -neppure lo stesso Stalin giacché la futura politica estera sovietica sarà probabilmente determinata dallo sviluppo degli avvenimenti in corso e dalla situazione internazionale che ne potrà derivare. Io ho però la netta impressione che nel momento attuale lo sforzo principale del regime staliniano non sia tanto quello di rafforzare il fronte comunista internazionale (come vorrebbe Trotzki), quanto quello di provocare una coalizione antifascista fra governi cosidetti democratici, inserendo l'U.R.S.S. in un sistema di difesa anglo-francese.

Questa è la convinzione che mi sono formata, durante la giostra oratoria dl esaltazione comunista svoltasi in occasione dell'approvazione della nuova costituzione, specialmente sul discorso dello stesso Litvinov, nel quale l'E. V. non avrà mancato di rilevare, sotto le frasi violente e provocatorie all'indirizzo del fascismo, l'insistente affermazione dello « spirito democratico » che animerebbe la politica sovietica, accompagnata da una indiretta offerta di collaborazione rivolta ai governi che si posano a campioni della democrazia europea. Ora, è ovvio che questa offerta di collaborazione fatta a governi borghesi implica la necessità di rinunciare (con quanta sincerità e fino a quando, è un'altra questione) a quel programma di rivoluzione mondiale che continua invece ad essere l'appannaggio della corrente cosidetta trotzkista.

In questa condizione di cose, sarebbe errore il credere che esistano contrasti sostanziali di vedute fra i diversi elementi dell'attuale governo dell'U.R.S.S. fra Litvinov e Vorosilov, fra Molotov e Kaganovic, ecc. Il Congresso, che ha chiuso ieri i suoi lavori approvando all'unanimità la cosidetta «Costituzione staliniana » ha mostrato che oggi il governo è Stalin e Stalin è il governo. Gli altri personaggi non sono che i portaparola, gli esecutori del programma di Stalin.

Non escludo che nel Paese esista del malcontento, che vi siano dei critici

e degli avversari del regime: non credo però si possa parlare di una opposi

zione vera e propria, capace di agire. L'opposizione esiste se mai all'estero,

fra gli elementi dottrinari del comunismo più integrale, i quali approfittano

degli avvenimenti spagnuoli per spingere Mosca a prendere risolutamente la

direzione di un movimento rivoluzionario mondiale. A queste pressioni Mosca

ha dovuto cedere in parte, almeno nelle manifestazioni verbali di queste

ultime settimane. Io ritengo però che Stalin non intenda lasciarsi prendere

la mano e che, a meno di esservi costretto da avvenimenti esteriori, egli non

abbandonerà la politica realista che antepone gli interessi dell'U.R.S.S. a quelli

della III Internazionale; e sono ugualmente persuaso che, nonostante qual

siasi apparenza, Litvinov continuerà ad essere un agente abile e convinto di

questa politica.

(l) L'll dicembre, le linee essenziali della risposta che da parte italiana sl intendeva dare alla nota franco-britannica furono comunicate anche al ministro a Lisbona, Mamell, con l'lncarlco d! informarne li governo portoghese e lasciando al suo giudizio se e !n quale misura convenisse chiedere al governo portoghese d! assumere un atteggiamento analogo

(l) Del 28 novembre. Lltvinov, che aveva usato una straordinaria violenza di linguaggio, aveva concentrato 1 suo! attacchi sulla Germania e su l'accordo nippo-tedesco; circa l'Italia, aveva detto che Mussolini, dopo essere rimasto fedele per molti anni al principio che «il fascismo non è merce di esportazione» aveva po! cambiato rotta per aderire al fronte aggressivo contro l'Unione Sovietica; risultava anzi da fonte sicura che tempo addietro l'Italia aveva offerto a Toklo di concludere un accordo analogo a quello nlppo-tedesco.

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RIUNIONE DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, I SOTTOSEGRETARI DI STATO PER LA GUERRA, PARIANI, PER LA MARINA, CAVAGNARI, E PER L'AERONAUTICA, VALLE, IL CAPO DEL SERVIZIO INFORMAZIONI MILITARE, ROATTA, E IL CAPO DEL SERVIZIO INFORMAZIONI TEDESCO, CANARIS

VERBALE. Roma, 6 dicembre 1936.

Il 6 dicembre 1936 il Duce ha convocato a Palazzo Venezia le LL.EE. il ministro degli Affari Esteri, i sottosegretari di Stato per la Guerra, la Marina e l'Aeronautica e il capo del Servizio Informazioni militare, per esaminare la situazione che è risultata dai recenti avvenimenti spagnoli e per stabilire la misura e la latitudine di un ulteriore contributo itala-tedesco alle operazioni militari che conduce il generale Franco contro i rossi. Era presente l'ammiraglio Canaris, capo del Servizio I tedesco.

Il Duce espone gli scopi della riunione dicendo che ancora prima del riconoscimento ufficiale del governo nazionale spagnolo da parte della Germania e dell'Italia era palese la necessità di aiutare Franco nell'azione intrapresa contro il comunismo. Oggi -dice il Duce -è evidente che siamo impegnati più che in passato. Prima di prendere in esame ciò che l'Italia e la Germania dovranno fare, Egli desidera sapere come sia considerata la situazione spagnola a Berlino.

Rispondendo al quesito del Duce, l'ammiraglio Canaris fa un breve quadro della situazione come è vista dagli ambienti ufficiali tedeschi. L'ammiraglio osserva che, prescindendo dalle difficoltà già note relative alle difficoltà incontrate per la presa di Madrid ed anche calcolando che la capitale potrà essere conquistata al più presto dai Nazionali, non ritiene che Franco riuscirà a diventare facilmente padrone della situazione. È evidente che la resistenza dei rossi spagnoli è galvanizzata dall'U.R.S.S. e dalla Terza Internazionale e che senza il materiale bolscevico niente di positivo potrebbe essere attuato dai rossi. Al governo tedesco risulta che le spedizioni da parte dei sovieti continuano. Però i bolscevici non hanno forma compatta e non si può pensare che essi possano arrivare a mettere insieme un organismo militare tale da svolgere un'azione offensiva in grande stile o prendere l'iniziativa di operazioni. Anche dal punto di vista dell'aiuto tecnico, i sovieti sono costretti ad accumulare riserve di materiale non senza una certa difficoltà. Senza attenuare la portata dell'aiuto sovietico alla Spagna rossa, l'ammiraglio Canaris ritiene che non bisogna affatto sopravvalutarlo dal punto di vista della efficenza degli uomini, mentre occorre fare delle discriminanti circa quanto viene riferito relativamente all'invio di materiali. A proposito della situazione all'interno della Spagna nazionalista, l'ammiraglio Canaris afferma che il generale Franco è completamente padrone della situazione e che si devono perciò smentire tutte le voci corse circa pretesi dissensi nel seno della compagnia nazionale e circa una diminuzione della popolarità del Generalissimo.

Il Duce ritiene che i sovieti non manderanno delle grandi unità militari. È naturalmente da prevedere che l'U.R.S.S. intensificherà l'invio di materiale bellico. Per essere, in ogni modo pronti ad ogni eventualità, il capo del governo stima necessario: l) che l'Italia e la Germania, nella contingenza spagnola, preparino delle grandi unità militari, senza però inviarle subito; 2) che degli elementi militari, tanto italiani che tedeschi, vengano inviati alla spicciolata in Spagna e inquadrati nella Legione Straniera o negli altri corpi spagnoli, a seconda delle varie esigenze tecniche e militari della Spagna nazionalista; 3) che venga, rispettivamente, allestita una divisione in Italia e in Germania e che si disponga del suo invio in Spagna soltanto quando sarà precisamente accertato che l'U.R.S.S. avrà fatto invio nella zona rossa di contingenti militari; 4) che le grandi riserve di uomini di cui, a quanto gli risulta, dispone il generale Franco, vengano istruite da ufficiali germanici e italiani e integrate sopratutto da ufficiali delle varie specialità (artiglieria, genio, aviazione ecc.); 5) che uno Stato Maggiore italo-germanico diriga e coordini le operazioni accanto allo Stato Maggiore spagnolo; 6) che si attui, con ogni mezzo, la distruzione dei centri vitali dell'avversario. In questo mo.: mento -dice il Duce -noi dobbiamo effettuare una vera «corsa al mare». È mia convinzione che la soluzione della situazione spagnola si potrà ottenere dal mare. Il giorno cioè in cui avremo bloccato i porti rossi del Mediterraneo, il governo di Valenza si renderà conto che la partita è perduta. Bisogna tener conto che, tanto in Italia che in Germania, occorrono due mesi per l'istruzione delle grandi unità. In questo periodo sopratutto bisognerà rendere impossibile ogni traffico nel Mediterraneo in direzione della Spagna, adoperando nella maniera più effettiva aviazione e sottomarini. Per obbedire al principio della divisione del lavoro tra Italia e Germania e per l'evidente facilità che ha l'Italia di servirsi dell'arma sottomarina nel Mediterraneo, il Duce ritiene che la Germania possa essere dispensata dall'inviare sottomarini sulle coste spagnole; evidentemente se il governo tedesco volesse concorrere nell'azione sottomarina, è liberissimo di farlo ma il Duce è d'avviso che è più opportuno e più utile che i sottomarini vengano impiegati dall'Italia. Egli è disposto a portare il numero dei sottomarini operanti nelle acque spagnole da due a otto, in maniera di arrivare a impedire il traffico di armi presso i porti rossi silurando tutti i bastimenti che sono nelle acque territoriali spagnole. Anche per l'impiego dell'aviazione il Duce ritiene che occorrerà dividersi il lavoro fra Italia e Germania. L'Italia rinforzerà i suoi contingenti di aeroplani da caccia e da protezione mentre la Germania aumenterà i suoi aeroplani da bombardamento. Si potrà così ottenere che Cartagena, Alicante, Valenza, Barcellona e tutti gli altri centri della Spagna rossa siano sottoposti a dei bombardamenti continui in attesa che dalle due parti siano preparati i contingenti militari di cui si è discorso.

L'ammiraglio Canaris concorda nelle direttive esposte dal Duce. Egli ritiene che l'invio di una divisione da parte della Germania presenta difficoltà di vario genere; in primo luogo perché esso richiede una massa imponente di trasporti (almeno 60 piroscafi), ed inoltre perché è evidente che un tale invio

attirerebbe l'attenzione delle Potenze navali europee e sopratutto dell'Inghilterra che, attraverso le sue basi e specialmente da Gibilterra, ha modo di svolgere un efficace controllo.

L'ammiraglio Canaris non si nasconde che esistono anche delle difficoltà per l'inquadramento degli ufficiali italo-germanici nell'esercito nazionale spagnolo e nei vari Comandi. Egll pensa che sarà opportuno, per arrivare ad inquadrare l'esercito nazionale spagnolo, fare grande opera di persuasione presso Franco per vincere la resistenza di carattere locale e avere ragione delle caratteristiche abitudini spagnole. L'ammiraglio confida per questo nell'azione e sull'influenza che vorranno personalmente spiegare il Duce e il Fuhrer sul generale Franco. È d'accordo con il Duce circa l'impiego dell'aviazione. Conviene che i caccia tedeschi sono meno veloci degli italiani e che, dal punto di vista dell'efficacia dell'azione bellica, la Germania potrà assolvere i compiti dell'aviazione da bombardamento opportunamente rinforzandola. Sinora dice l'ammiraglio Canaris-abbiamo inviato 40 apparecchi Junkers da bombardamento. È in corso l'invio di 4.800 uomini delle varie specialità aeree al comando del generale Sperrle. L'invio non è ancora ultimato e le nostre installazioni non sono complete per attuare una radicale azione di bombardamento. Devo aggiungere che il generale Franco oppone spesso delle resistenze per quanto si riferisce ai bombardamenti aerei delle città spagnole, scrupolo comprensibile se si riflette alle caratteristiche di quella guerra civile ed al timore che egli ha di veder scemare la sua popolarità. L'ammiraglio Canaris ritiene tuttavia che, dati gli accordi presenti con l'aviazione italiana e lo sviluppo che si sta dando all'aviazione da bombardamento tedesca, si dovrebbe presto arrivare a mettere in atto il piano proposto dal Duce.

Circa lo Stato Maggiore italo-germanico, l'ammiraglio Canaris ritiene che il generale di aeronautica Sperrle, il quale comandava la zona aerea di Monaco, l'attuale incaricato d'affari tedesco in Spagna generale Faupel, che ha ottimi precedenti militari, nonché altri ufficiali tedeschi potranno, d'intesa con gli ufficiali italiani, lavorare, secondo le suggestioni del Duce, ad imprimere allo Stato Maggiore spagnolo quel ritmo di attività che Germania e Italia desiderano venga dato alle operazioni dei nazionali e che è del resto urgentemente richiesto dalla situazione. Circa l'impiego dell'arma sottomarina l'ammiraglio Canaris stima necessario che i sottomarini vengano aumentati ed è d'accordo col Duce nel ritenere che il compito del blocco venga devoluto all'Italia.

Il Duce domanda a S. E. il sottosegretario di Stato alla Marina quali sono le possibilità di attacco da parte dei sottomarini alle navi dirette ai porti spagnoli rossi del Mediterraneo.

L'ammiraglio Cavagnari fa una esposizione dell'attività dei sottomarini nelle acque spagnole e delle difficoltà che incontrano le nostre unità ad identificare ed avvicinare i piroscafi. A conferma di quanto egli espone viene ascoltata una relazione verbale del comandante del sottomarino Torricelli, il quale rende conto delle difficoltà dei siluramenti nelle acque territoriali spagnole e degli ostacoli della identificazione dei navigli.

43 -Documenti diplomatici -Serie VliT -Vol. V

t/ammiraglio Cavagnari ritiene che neile acque territoriali spagnole, anche facendo un bando, i siluramenti sono effettivamente difficili, mentre, in caso di equivoco, potrebbero sorgere gravi complicazioni internazionali.

Il Duce, pur rendendosi conto delle difficoltà esposte dall'ammiraglio Cavagnari, dispone che venga aumentata la pressione dei sottomarini sulle coste spagnole.

Viene successivamente esaminata dal sottosegretario alla Marina anche la possibilità di armare dei piroscafi che battano le coste spagnole, facciano alzare bandiera ai piroscafi in navigazione, seguano e segnalino ai sommergibili la rotta dei piroscafi in navigazione.

Il Duce conclude che il compito dell'azione sottomarina nel Mediterraneo sarà affidato agli italiani, mentre eventualmente e possibilmente la marina tedesca potrà agire nell'Atlantico. Egli prospetta l'eventualità di aumentare i sottomarini da due a otto e stabilisce poi che, qualora non sia immediatamente possibile, per ragioni di distanza, di rifornimenti, etc., portarli da due ad otto, essi vengano aumentati da quattro a sei.

S. E. Ciano insiste sulla necessità d'intensificazione dell'azione sottomarina, proponendo che per lo meno venga distaccato un sottomarino per ogni porto spagnolo.

L'ammiraglio Canaris prospetta l'opportunità che vengano anche inquadrati nella Marina spagnola degli elementi italiani e tedeschi come ufficiali e sottufficiali.

Viene infine concordato, dietro indicazione del Duce, che la marina italiana e tedesca si tengano in contatto, attraverso opportune riunioni per stabilire i dettagli circa l'azione da svolgere.

S. E. il sottosegretario all'aeronautica espone quanto è stato fatto dalla aviazione italiana in Spagna. Dà il numero degli apparecchi abbattuti --finora 115 -e ritiene anche egli opportuno che da parte italiana si curi l'allestimento e l'invio dei caccia. Il Duce gli precisa gli ordini in proposito e gli dà incarico di intensificare l'allestimento e l'invio dei C.R. 32 e R.O. 37. Avendo il generale Valle specificato che sono in partenza attualmente altri dieci apparecchi, il Duce gli dà ordine di allestirne altri dieci per l'invio.

Il Generale Valle, continuando nella sua esposizione, stima che non torna conto preparare un corso di istruttori per gli aviatori spagnoli poichè finora essi non hanno dato buona prova. Egli è di avviso che per il momento convenga lasciare l'organizzazione aviatoria soltanto all'iniziativa itala-tedesca. Aggiunge che i campi spagnoli sono cattivi e che molti incidenti dipendono dall'attrezzamento dei campi che deve essere particolarmente curato dal personale italatedesco.

Il Duce, riassumendo l'esame della situazione aviatoria, stabilisce che l'aviazione da caccia e da protezione sarà specialmente assegnata all'Italia, mentre quella da bombardamento, debitamente rinforzata, verrà in massima parte devoluta ai tedeschi. Sarà inoltre stabilita una divisione di lavoro per quello che si riferisce al bombardamento dei porti. Quanto all'attività aviatoria sulle isole, essa sarà assegnata agli italiani.

Vengono ìnoltre dìscusse alcune questioni di dettaglio: a) creazione di un servizio di informazioni per le operazioni in corso essendosi i servizi spagnoli dimostrati inefficaci; b) esame dell'efficacia dei sommergibili rossi; c) azione di sabotaggio nei porti rossi, attuata da elementi germanici; d) eventualità di invio di navi italiane in crociera nelle acque spagnole.

Alla fine della riunione il Duce riepiloga la discussione, fissa i punti che dovranno essere portati a conoscenza del governo tedesco e stabilisce che dell'oggetto della riunione venga dettagliatamente informato il FUhrer, Cancelliere del Reich e il capo della Reichswehr, generale von Blomberg (1).

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11958/1495 R. Londra, 7 dicembre 1936, ore 20 (per. ore 1,20 dell'B).

Vansittart, di cui sono stato ieri domenica ospite nella sua villa di campagna, mi ha chiesto se avevo notizie circa impressioni di V. E. del colloquio di mercoledì e giovedì (miei telespressi 1474 e 1481-1482 (2). Ho risposto che non potevo averne anche perché evidentemente V. E. prima di pronunciarsi attendeva di conoscere quello che Drummond gli avrebbe ufficialmente comunicato (3).

Vansittart mi ha espresso sua viva speranza che il gentlemen's agreement possa essere definito e concluso al più presto. Ho replicato in modo generico che io pure lo speravo sinceramente, ed ho ricondotto nuovamente la conversazione sulla questione trasformazione in consolato generale della ex-legazione d'Inghilterra Addis Abeba.

Ho premesso che parlavo a titolo puramente personale non avendo su questo punto particolari istruzioni di V. E. «Poiché governo britannico -ho soggiunto -non si è espresso a che accordo e provvedimento di trasformazione ex legazione in consolato abbiano luogo in date diverse, e poiché voi, Vansittart, mi avete confidenzialmente assicurato che il governo britannico intende attuare provvedimento non più tardi di una o due settimane dalla data conclusione dell'accordo, perché non considera opportunità di adottare procedimento inverso, e cioè attuare in un primo tempo trasformazione legazione e poscia annunziare in un secondo tempo conclusione del gentlemen's agreement? In questo modo si

eviterebbero inconvenienti di cui governo britannico si preoccupa, e parimenti si determinerebbe una più logica progressione in quelle che sono considerate le tappe necessarie nel chiarimento di rapporti italo-inglesi.

Ne è seguita una lunga discussione alla fine della quale Vansittart mi ha dichiarato che, pur non potendo assumere impegni pr,ecisi, riconosceva giustezza delle mie considerazioni e non escludeva che questo procedimento potesse essere adottato invece del primo da lui suggerito giovedì scorso.

Ho risposto a Vansittart che prendevo atto di queste sue conclusioni e che, giunto a questo punto, era necessario attendere di conoscere risultati del colloquio tra V.E. e Drummond, e quale era pensiero di V.E. sul seguito da darsi all'intera questione (l).

(l) -Per i provvedimenti immediati di esecuzione di quanto stabilito nel corso di questa riunione presi da parte italiana, si veda RoVIGHI e STEFANI, pp. 147-149. Lo stesso 7 dicembre. Mussolini affidò al generale Roatta il comando di tutte le forze italiane -terrestri ed aeree -operanti in Spagna (lettera di Mussolini al generale Roatta, ibid., p. 146). (2) -Vedi DD. 518 e 524. (3) -Il 5 dicembre, Ciano aveva avuto un colloquio con Drummond che gli aveva consegnato un progetto di accordo; a sua volta, Ciano aveva consegnato all'ambasciatore britannico un suo progetto «informate e personale ». Negli archivi italiani non è stato ritrovato alcun documento relativo a questo colloquio ma in proposito si veda il resoconto inviato al Foreign Office dall'ambasciatore Drummond in BD., vol. XVII, D. 440 e il testo del progetto di Ciano -tradotto in Inglese -ibid., D. 441.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11860/570 R. Berlino, 7 dicembre 1936, ore 21,16 (per. ore 23,45).

Telegramma di V. E. n. 354 del 6 corr. (2).

Anche qui è stato, sabato, compiuto un passo analogo dagli ambasciatori di Francia e Inghilterra congiuntamente. Nel ricevere la nota, von Neurath ha fatto verbalmente ai due ambasciatori delle osservazioni preliminari proprio nel senso delle «linee» proposte dall'E. V. le quali saranno ora da questo ministero degli affari esteri studiate in concreto, onde concertarne con noi il testo definitivo.

Quanto alla data della risposta, Dieckhoff, cui oggi ho parlato in assenza di von Neurath indisposto, ritiene che aspettare a dopo il Consiglio della S.d.N. (se questo fosse il 14) avrebbe esito difficile (3). D'altra parte mi sembra che la data stessa dovrebbe ormai essere opportunamente coordinata con quella della pubblicazione della nota italo-tedesca (telegramma di V. E. n. 356 (4) cui mi riservo rispondere domani). Qui, peraltro, non meraviglia la notizia che la riunione del Consiglio sia stata spostata dal 10 al 14. Gradirei anzi su questo punto opportune precisazioni. Pregherei anche dirmi quale atteggiamento propongasi di tenere Portogallo.

(l) -Per la risposta si veda il D. 566. (2) -Vedi D. 544. (3) -Sic. (4) -Con T. segreto 5256/356 R. del 7 dicembre, ore 12,30, Ciano aveva comunicato di essere in possesso di un rapporto indirizzato il 25 luglio precedente dal rappresentante spagnolo a Parigi, Fernando de las Rios. al presidente del consiglio, Girai, dal quale risultava con ricchezza di particolari l'invio nei giorni precedenti di aiuti francesi al governo di Madrid. Poiché aveva appreso che lo stesso documento era stato inviato anche al governo di Berlino, Ciano proponeva che la stampa italiana e tedesca lo pubblicassero contemporaneamente il 13 dicembre. Veniva deciso successivamente che la pubblicazione avvenisse il giorno 10 soltanto sulla stampa italiana, mentre quella tedesca avrebbe pubblicato contemporaneamente altro materiale su l'argomento. Il documento fu pubblicato il 10 dicembre su Il Messaggero (T. segreto11884/572 R. dell'8 dicembre, ore 21 da Berlino e T. segreto 5284/359 R. del 10 dicembre, ore 12,30 di Ciano).
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IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 4265/2269. Vienna, 7 dicembre 1936 (per. il 9).

Da ripetute conversazioni avute in queste ultime settimane con il Cancel. liere federale, col segretario di Stato Zernatto e con alcuni dei ministri entrati nel Gabinetto con l'ultimo rimpasto ministeriale, mi risulta che stanno maturandosi, nell'organizzazione del Fronte Patriottico e nel funzionamento dello stesso organismo statale, alcune innovazioni destinate a dare maggiore impulso all'attività politica del regime, a ristabilire un più sano equilibrio tra le varie tendenze concentrate nel Fronte Patriottico e ad avviare l'inquadramento, nel Fronte stesso, dei gruppi « nazionali », almeno dei più moderati, secondo lo spirito degli accordi dell'll luglio. Tali intendimenti rispondono, direttamente

o indirettamente, anche a precise opportunità di politica estera da me più volte segnalate. Onde non ho mancato, nel corso di queste conversazioni confidenziali, d'incoraggiare specialmente il Cancelliere a dare corso senza indugio ai propositi che, se pur in forma non ancora definitiva, egli di sua iniziativa mi è andato confidando.

Il momento si presenta particolarmente favorevole. Regna nel Paese la massima tranquillità. Le stesse agitazioni naziste e comuniste hanno manifestazioni episodiche di scarsa gravità. La posizione del governo e specialmente quella personale del Cancelliere è, come non mai, rafforzata. Vi hanno contribuito, nel quadro internazionale, la visita di V. E. a Vienna, la prima Conferenza a tre dei ministri degli Esteri degli Stati dei Protocolli di Roma, la visita di Horthy e dei ministri ungheresi, la stessa visita di Schmidt a Berlino. Schuschnigg sente di dover approfittare di questa situazione per attuare, con una certa rapidità ed energia, un rafforzamento e insieme un allargamento delle basi del regime, coronando e rendendo veramente operante il concentramento attuato nello scorso ottobre. I punti essenziali della disegnata riforma si possono indicare e motivare come segue:

1

Il Fronte Patriottico è per la sua stessa natura e per le sue stesse origini un'organizzazione di massa, eterogenea, non ancora fusa, non agile, più statica che dinamica. Vi si trovano a disagio gli elementi più giovani e più attivi provenienti dalle formazioni volontarie disciolte, tanto delle Heimwehren quanto delle Sturmschaaren. Fermo restando l'inquadramento generale, occorre formare dentro al Fronte Patriottico, quasi delle squadre di azione politica, di avanguardia, con intenti di attiva propaganda e di controllo sulle masse e sugli organi periferici. Si soddisferà così l'attivismo degli elementi più giovani e combattivi, se già entrati, ormai sfiduciati; si eserciterà una maggiore attrazione su quelli che, dopo lo scioglimento delle formazioni volontarie, se ne stanno ancora in disparte; si impedirà lo slittamento di alcuni gruppi verso gli estremismi, comunista o nazista.

11

Dapprima la progressiva diminuzione di attività e d'influenza nell'Heimatschutz nel corso degli ultimi anni, di poi lo scioglimento dell'Heimatschutz reso inevitabile dagli errori e dall'indolenza dei capi, hanno turbato e distrutto quell'equilibrio di forze politiche su cui era in origine fondato il Fronte Patriottico. Ne è risultato, a poco a poco, un prevalere del clericalismo, che, per' forza di cose, tende al totalitarismo, più nei fatti che nelle parole, producendo disagio e malcontento negli elementi di diversa formazione ideologica e politica.

Fu un errore del Heimatschutz aver aspirato al totalitarismo od essersi atteggiato a tale, e ne derivò la reazione sia a destra che a sinistra. Sarebbe errore consentire ora ad un totalitarismo clericale. Pur avendo la parte cattolica una ben più larga base e costituendo essa forse il più sicuro, naturale presidio contro l'Anschluss, il totalitarismo nero escluderebbe la collaborazione di larghi strati politici, specialmente di intellettuali, di professionisti, di industriali, di operai, che, non avendo più altri rifugi in partiti liberali o socialisti, sarebbero pericolosamente portati ai due estremismi sempre in agguato, nazista e comunista, che, magari senza convinzione, accetterebbero nella speranza di spezzare col loro aiuto il predominio clericale. Conviene pertanto far intendere, nel suo stesso interesse, alla Azione Cattolica, sopravvissuta alla soppressione dei partiti come organo centrale e come organizzazione capillare, di pratica azione politica, le necessità di vita e di sviluppo degli altri gruppi che accettano la stessa base unica del Fronte Patriottico. Si stanno concretando a questo scopo sotto la forma di gruppi d'azione culturale, o professionale, le modalità di assicurare la tutela di questi interessi diversi da quelli dell'Azione Cattolica e di far accettare a quest'ultima, con una abile ma ferma azione, le superiori necessità di autolimitazioni, che consentano un'effettiva collaborazione di tutti entro alla compagine unitaria del Fronte Patriottico.

Il Cancelliere, che pur proviene, ideologicamente e politicamente dalla parte cattolica, è convinto della assoluta necessità di porre un argine alla tendenza totalitaria ed esclusiva dei clericali e di ristabilire l'equilibrio originario tra le varie tendenze. La resistenza conservatrice degli altri non sarà facile a vincere. Ma un Regime che potesse contare soltanto sui clericali e fosse definitivamente abbandonato dagli altri gruppi, non avrebbe, né consistenza, né durata rispetto alle altre correnti, le quali, se non nel comunismo che non presenta quì serio pericolo, si concentrerebbero nel nazismo.

111

Non può essere più a lungo ritardato un inizio di attuazione delle assicurazioni date, in occasione dell'accordo dell'll luglio, per una pacificazione interna dei cosi detti «nazionali». Fece bene il Cancelliere a non precipitare, ad insistere, talvolta forse in forma anche troppo recisa, sulla distinzione fra accordo austro-germanico e politica interna, a porre fuori d'ogni dubbio il definitivo divieto del nazionalsocialismo in Austria. La prova di forza e d'indipendenza ha dato i suoi frutti. Dopo il viaggio di Schmidt a Berlino e le dichiarazioni fatte dallo stesso Ftihrer, i nazisti austriaci si sentono, come mai, abbandonati, traditi, sacrificati -pensano e dicono molti -all'amicizia tra il Reich e l'Italia. L'assenza stessa d'ogni reazione germanica a dichiarazioni contro il nazismo come quelle contenute nel discorso recente di Schuschnigg a Klagenfurt (1), ha avuto il suo effetto nel campo dei «nazionali» austriaci. Conviene approfittare di questo stato d'animo. I gruppi «nazionali », eccettuati gli estremisti del nazismo, sono impazienti e disposti a transigere su condizioni, sino a pochi mesi or sono assolute.

Berlino ha mostrato sinora la maggiore comprensione delle difficoltà interne dell'Austria. Se ne sono avute prove concrete nelle conversazioni di Schmidt con Hitler e Goring e nella stessa confessione, da parte loro, di esigenze più radicali del troppo zelante von Papen. Ma non si deve dimenticare che nel Gentlemen's Agreement dell'll luglio sta ben precisato (Art. IX) non solo l'impegno assunto dal Cancelliere Federale per un'ampia amnistia politica (solo in parte attuata per la parte generale, del tutto sospesa per quella amministrativa), ma anche l'obbligo «a chiamare, nel momento opportuno, ma peraltro prossimo, a collaborare alla responsabilità politica rappresentanti di quella che sinora si chiamò l'Opposizione Nazionale in Austria, allo scopo di promuovere un'effettiva pacificazione ». Pur riservando al Cancelliere la scelta di tali persone, l'accordo austro-germanico precisava che sarebbe stato affidato a quei fiduciari del Cancelliere «il compito di promuovere, secondo un piano stabilito prima con il Cancelliere stesso, la pacificazione interna della Opposizione Nazionale e la partecipazione di questa alla formazione della volontà politica in Austria», che spetta, secondo la legge, al Fronte Patriottico.

All'infuori della nomina di Glaise-Horstenau dapprima a ministro senza portafoglio e poi a ministro per l'Amministrazione Civile (ma senza possibilità di azione politica), nulla si è fatto sinora per dare attuazione a questi impegni. Un inizio deve farsi, sia pure con le necessarie cautele. Non si deve transigere sulla esplicita accettazione dell'indipendenza statale dell'Austria e del programma politico unitario del Fronte Patriottico. Ma i «nazionali » più moderati, più seri e più disposti alla collaborazione si devono ammettere al Fronte Patriottico, come singoli, se non come gruppi, e si devono per tal modo compromettere agli occhi dei loro stessi gregari. Altrimenti questi elementi saranno per forza nuovamente sospinti verso l'illegalismo, giustificando le opposizioni e le violenze dei nazisti estremisti in Germania, sino ad ora trattenuti dall'atteggiamento leale del Fiihrer e del governo. Bisogna evitare che la Germania chieda conto, un giorno o l'altro, della mancata attuazione degli impegni assunti dal Cancelliere nell'accordo dell'll luglio. Ciò potrebbe porre in serio imbarazzo anche noi.

Solo mostrando, al più presto, buon volere, si potrà poi più facilmente graduare la così detta pacificazione dell'Opposizione Nazionale. Occorre evitare il passaggio in massa dei « nazionali » nel Fronte Patriottico. Si potrebbero avere delle sorprese sgradite nella così detta «formazione della volontà politica» at

tribuita al Fronte, a meno che non si operi prima quella trasformazione interna di questo organismo che, secondo quanto si è detto nei capitoli precedenti, ne assicuri il dinamismo e un equilibrio di forze, contro ogni tentativo dei nazionali di far prevalere eventuali piani, se non di « Anschluss », di assimilazione al nazismo che sarebbe l'« Anschluss » per linee interne. Il Cancelliere è ormai convinto anche di questa necessità. Lo sospingono a darvi pratica applicazione gli stessi ministri di provenienza heimwehrista; lo trattengono i clericali che vedono anche in ciò un'automatica limitazione del loro prevalente stato di possesso, politico ed amministrativo.

Dal nostro punto di vista, e con tutte le precauzioni necessarie, credo che si debba confortare il Cancelliere a dar mano, anche in ciò, all'applicazione dell'accordo dell'll luglio, di cui abbiamo promosso la conclusione. Il nostro compito qui non è più così facile come ai tempi dello stato di guerra aperta fra l'Austria e la Germania. Occorre dall'una parte non sminuire le garanzie della indipendenza statale dell'Austria, che è un nostro interesse politico permanente e, secondo me, superiore e indipendente dai nostri rapporti, più o meno stabili, con la Germania. Occorre d'altra parte evitare, nel presente stadio delle nostre relazioni col Reich, ogni ragione di attrito tra Vienna e Berlino, specialmente se il torto sia dalla parte di Vienna. Conviene, infine, controllare gli sviluppi della situazione interna in Austria per modo che la « pacificazione » voluta dall'Accordo austro-germanico non scivoli per forza di cose verso la confusione e non equivalga ad una demolizione progressiva di quelle che sono le distinzioni sostanziali -ideologiche, politiche e sociali -sulle quali si poggia la ragione stessa dell'indipendenza statale austriaca.

IV.

I tre problemi esposti hanno importanza pregiudiziale su altri che possono trovare nella adeguata soluzione dei primi facilitata la propria soluzione. Così è dell'ulteriore sviluppo dell'organizzazione corporativa dello Stato secondo la costituzione del l o maggio 1934; sviluppo interrotto nell'ultimo anno, ma al quale il ritorno recente al governo di Neustadter-Sttirmer, già ministro dell'amministrazione sociale e, come tale, autore di quel programma, potrà dare nuovo impulso.

Così dicasi di un più rapido ed efficiente ordinamento della Milizia del Fronte Patriottico che nella sua forza di attrazione risentirebbe beneficamente le ripercussioni di una trasformazione interna, più dinamica, del Fronte medesimo, di cui ha da essere la guardia politica, pur non cessando di essere una preziosa riserva dell'Esercito.

Così è di alcuni problemi pratici di politica finanziaria e di politica sociale, che le migliorate condizioni del bilancio dello Stato e la stessa abolizione del controllo internazionale consentono di affrontare e risolvere con maggiore larghezza, ad incremento dell'economia generale, dei lavori pubblici, della lotta contro la disoccupazione, di una più rapida attuazione del programma degli armamenti. A questo proposito la nuova composizione del Gabinetto, dopo l'ultimo rimpasto, accresce, col tecnicismo dei singoli ministri, il potere politico direttivo del Cancelliere e lo rende addirittura esclusivo, come ho avuto occasione di segnalare subito dopo quella crisi (mio telegramma n. 241 del 4 novembre scorso) (1).

Così è di una più intensa e fruttifera volgarizzazione dei problemi di politica generale e internazionale, volgarizz!.lzione nella cui necessità insisto da tempo, che mi è stata più volte promessa, ma che non può farsi con efficacia se non sia affidata ad organismi più vivi e più attivi.

Sta al primo posto tra codesti problemi la popolarizzazione dell'amicizia austro-italiana. Essa è ormai penetrata nelle menti anche di gruppi ed uomini che sino a poco fa erano, se non ostili, indifferenti o incerti. Se n'è avuto un segno recentissimo nel discorso del deputato cattolico Funder, così diverso dal linguaggio ·tenuto da lui ancora all'inizio della guerra abissina. Se ne ha la prova nell'atteggiamento che tiene il Borgomastro Schmitz dopo il benefico viaggio a Roma. Il viaggio in Italia dei funzionari del Fronte Patriottico ha fatto di ognuno di essi un convinto apostolo dell'amicizia italiana. Ma molto ancora resta a fare e non può farsi solo da noi. Che in ogni settore dell'opinione pubblica austriaca, superando pregiudizi e mentalità del passato troppo recente, la necessità dell'amicizia tra Austria e Italia sia radicata nella conconsapevole convinzione, non può attenersi che da una attiva propaganda fatta degli stessi austriaci. Anche per questo, occorre che sia posta su nuove basi l'organizzazione del Fronte Patriottico e che alla volontà sicura dei capi risponda un'azione larga nelle masse indifferenti od ancora ostili, nelle quali non sono ancora spenti gli echi di tre lustri di sfrenata crociata antitaliana e antifascista della socialdemocrazia imperante nella capitale e nei maggiori centri dello Stato.

Conto di poter far seguire al più presto a questi cenni generali sui problemi qui esaminati indicazioni più precise sulle modalità e sul tempo delle soluzioni, alle quali ho motivo di ritenere che il Cancelliere Schuschnigg addìverrà ancora prima della fine del mese. E sarà per lui, dopo quelle già date anche nel corso di questo anno, nel maggio e nell'ottobre, un'altra prova di forza e di dominio assoluto della situazione (2).

(l) Il 26 novembre, in un discorso ai funzionari del Fronte Patriottico a Klagenfurt,Schuschnigg aveva indicato il nazismo austriaco come il nemico n. 2 dell'Austria (dopo Il comunismo) ed aveva ribadito la necessità di opporsi a qualsiasi forma di propagandanazionalsocialista nel Paese. Su ciò, Salata aveva riferito con telespresso 4184/2234 del 27 novembre, non pubblicato.

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L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, DE CIUTIIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 12016/29 R. Salamanca, 9 dicembre 1936, ore 1 (per. ore 21).

Incaricato d'affari germanico si è recato ieri da generale Franco al quale a nome suo governo ha fatto presente che rafforzamenti in uomini e materiale da parte dei rossi aumentano giornalmente, che il tempo lavora in favore

di questi ultimi e quindi la necessità di uno sforzo militare per superare una tale situazione (1).

Generale Franco se ne è reso conto ed ha chiaramente accennato alla necessità invio da parte Germania e Italia di unità organiche complete, alludendo ad una divisione per ciascuna Potenza. Incaricato d'affari Germania si è riservato di portare di urgenza tale richiesta al suo governo (2).

(l) -T. 10961/241 R. Non pubblicato. (2) -Questo documento ha il visto di Mussolini.
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IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. U. 12020/265 R. Atene, 9 dicembre 1936, ore 19,25 (per. ore 22,30).

Suo telegramma n. 162 (3). Mi riferisco m1e1 telegrammi per corriere

n. 91 (4) e 95 (3). Tre giorni or sono, valendomi autorizzazione datami da V. E. suggerii in via personale a presidente Metaxas ·di rivolgere al governo italiano domanda di exequatur per nomina di un console greco ad Addis Abeba. Egli mi chiese di !asciarlo riflettere alcuni giorni. Gli replicai che ogni giorno che passava diminuiva valore dell'eventuale atto della Grecia.

Stamane presidente mi ha convocato al ministero degli Affari Esteri e mi ha comunicato che governo greco, aderendo alla mia suggestione, aveva deciso di trasformare la legazione di Grecia in Etiopia in consolato generale e che ministro di Grecia a Roma sarebbe stato oggi stesso incaricato di chiederci l'exequatur per la nomina di un console generale greco ad Addis Abeba (5).

allora in Spagna come inviato de Il Popolo d'Italia, aveva scritto al suo giornale nella qualesi diceva a mo' di conclusione: <<Sono assolutamente sicuro che una guerra incalzante, rapida, farebbe penetrare per tutto le forze nazionali come lame nel burro, fino alla riconquista totale. Ma se si perde tempo, l'aumento continuo degli armamenti sovietici, l'organizzazione sovietica, l'opera dei comandi e dei tecnici e degli Istruttori sovietici, potrebbero finire per portare qualche solidità di ordine e di disciplna nelle caotiche schiere rosse, per dare loro istruzione e inquadramento. Il tempo è un elemento essenziale. Di qua è la qualità, ma di là è la quantità. Se si aspetta che alla quantità si aggiunga la qualità, la lotta potrebbe farsi troppo dura per i nazionali. Non sento il senso dell'urgenza, da questa parte. Non si creano truppe, di cui c'è bisogno, mandando falangisti e requetés ai campi di istruzione, creando scuole militari per formare ufficiali. Si va avanti con l marocchini e con i legionari, quasi esclusivamente. Bastano per ora, basteranno nel prossimo avvenire a vincere se si stringono l tempi, ma basteranno sempre qualora le cose si trascinassero col ritmo attuale? ». Mussolinl ordinò che la lettera fosse inviata al Re, a Ciano, al sottosegretari alla guerra, Marina ed Aeronautica, al capo di Stato Maggiore edlla Milizia e all'ambasciatore Attolico.

L'abolizione della legazione di Grecia << nominalmente esistente in Addis Abeba>> fu notificata al governo italiano dal ministro di Grecia a Roma il 24 dicembre con nota verbale recante la data del giorno precedente (appunto non firmato del 24 dicembre).

(l) L'8 dicembre era stata fatta pervenire a Mussollni una lettera che Lulgl Barzlnl.

(2) -n documento porta !l visto di Mussolini. Per !l seguito si veda !l D. 581. (3) -Il 25 novembre, il ministro Boscarelli, parlando a titolo personale, aveva sollevato con Metaxas il problema del riconoscimento dell'Impero da parte della Grecia, suggerendo che il governo greco rivolgesse all'Italia una domanda di exequatur per la nomina di un console in Etiopia (T. per corriere 11675/95 R. del 25 novembre, perv. giorno 28). Ciano rispondeva !l 29 novembre approvando questa procedura che peraltro il ministro Boscarelli doveva suggerire sempre a titolo personale (T. 5182/162 R. del 29 novembre, ore 18,30). (4) -Vedi D. 324. (5) -Il 14 dicembre, il ministro di Grecia a Roma faceva presente che, di fatto, non c'era mai stata una Legazione di Grecia ad Addis Abeba: il governo ellenico l'aveva istituita al momento dell'incoronazione di Hailé Selassiè senza peraltro farla mai entrare in funzione. Si suggeriva, perciò, che nel comunicato alla stampa non si parlasse di abolizione della Legazione ma si dicesse soltanto che la << Grecia aveva domandato al governo italiano l'istituzione di un R. Consolato Generale di carriera ad Addis Abeba ed aveva richiesto l'exequatur per il funzionamento indicato >>. Nei commenti si sarebbe potuto rilevare che questo era un riconoscimento dell'Impero. Il governo ellenico stava Intanto preparando una legge <<per annullare quella inesistente Legazione >> (appunto Bastianini del 14 dicembre. Il doc. porta il visto di Mussolini).
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12028-12024/1501-1502 R. Londra, 9 dicembre 1936, ore 19,35 (per. ore 1 del 10).

Mio telegramma n. 1499 0). Eden m1 ha pregato iersera passare da lui, desiderando parlarmi della situazione spagnola e dell'iniziativa dei governi britannico e francese di cui alla nota verbale consegnata da Drummond a V.E. venerdì scorso (2). Eden mi ha intrattenuto a lungo su tale argomento illustrando contenuto della nota e la viva ansietà del governo britannico per i pencoli di complicazioni internazionali che secondo Eden minaccerebbero di derivare dal conflitto spagnolo. Eden mi ha pregato di rappresentare a V. E. questo stato di viva preoccupazione sua e del Gabinetto.

In esito alla comunicaziOne fatta da Drumm.ond, Eden mi ha pregato portare a conoscenza di V. E. che, nell'opinione governo britannico, sarebbe preferibile circoscrivere per il momento alle tre Potenze mediterranee più direttamente interessate nella situazione spagnola, e cioè Italia, Francia e Inghilterra, una eventuale opera di mediazione lasciando per il momento da parte Russia e Germania. Le tre Potenze dovrebbero concordare una linea comune di azione e inte,venire presso le due Parti in conflitto nella maniera che un esame approfondito della situazione consigliasse come la più conveniente.

Ho ascoltato lunga esposizione di Eden e mi sono limitato a replicare che, mentre V. E. sta esaminando pro et contra, io non potevo entrare in discussione e che avrei semplicemente trasmesso a V. E. per sua notizia quanto egli mi aveva detto.

Eden mi ha quindi parlato delle trattative in corso fra V. E. e Drummond per la conclusione del genllemen's agreement. Eden mi ha detto che dal resoconto di Drummond sul colloquio avuto con V. E. (3) egli traeva le migliori speranze per una rapida e felice conclusione del negoziato che Eden confida vedere ultimato entro una quindicina di giorni. Eden mi ha pregato a tale proposito chiarire a V. E. un punto sul quale Eden teme che Drummond non abbia esattamente interpretato istruzioni ricevute. Questo punto si riferisce alla posizione della Francia. « Come ho avuto già occasione dichiararvi in precedente colloquio, non è nelle nostre intenzioni -ha continuato Eden

D. -447.

che la Francia entri a far parte dell'accordo il quale deve conservare carattere di un accordo bilaterale itala-inglese. Drummond ha avuto istruzioni spiegare al conte Ciano che, anche per evitare interferenza francese, governo britannico riteneva opportuno che il contenuto del gentlemen's agreement avesse carattere generico e cioè non entrasse nell'esame di questioni particolari mediterranee. Altrimenti sarebbe più difficile mantenere la Francia fuori dell'accordo ».

Ho risposto ad Eden che avrei comunicato ciò a V. E. ma che, per evitare confusione in una trattativa così delicata ed importante, era opportuno che Drummond ricevesse istruzioni di comunicare direttamente a V. E. quanto Eden mi aveva detto. Eden mi ha assicurato che l'avrebbe fatto subito.

(l) -T. 11993/1499 R. del 9 dicembre, ore 0,19. Grandi vi dava notizia di un colloquio con Vansittart nel quale quest'ultimo gli aveva chiarito che il governo britannico si era deciso a prendere l'iniziativa di una mediazione nel conflitto spagnolo dopo gli attacchi che erano stati mossi al governo il 1° dicembre, quando era stata discussa la legge che vietava il trasporto su navi britanniche di armi dirette a porti spagnoli. (2) -Vedi D. 544. (3) -SI riferisce al colloquio avvenuto il 7 dicembre. Su di esso non c'è documentazione nell'archivio itali:mo ma si veda il n·soc<mto dell'ambasciatore Drumrnond in IJD. vol. XVII.
553

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12042/182 R. Bucarest, 9 dicembre 1936, ore 21,35 (per. ore 3 del 10).

Ho avuto in questi giorni varie conversazioni con ministro degli Affari Esteri Antonescu. Anche il Re ha desiderato parlarmi e mi ha invitato a una colazione a due. Su tali colloqui, che ho improntato alle istruzioni,. datemi da V. E. all'atto della mia partenza, ho riferito con rapporto n. 715 (l) partito oggi con corriere di Gabinetto.

Primo risultato visibile di questo contatto sarà costituito dalle dichiarazioni particolarmente deferenti verso gli italiani e Duce che il ministro degli Affari Esteri farà posdomani venerdì dinanzi commissione degli Affari Esteri, dichiarazioni che egli mi ha previamente oggi sottoposto in un testo che dovrebbe essere definitivo e che perciò trasmetto a V. E. col mio telegramma

n. 183 (2). Come V. E. constaterà, non solo ministro Esteri non polemizza sul passato ma afferma la speciale importanza di una sincera intesa con noi. Non manca neppure l'augurio romeno che gli sforzi delle Cancellerie più direttamente interessate alle questioni abissine si risolvano in maniera felice per noi. Questo governo mi ha espresso speranza che la stampa italiana possa mettere in luce simpatica le dichiarazioni ministro Esteri che a mio avviso rappresentano volenteroso passo sulla via di Roma. Ministro degli Affari Esteri si augura che qualche benevolo commento da parte nostra possa incoraggiare

quella atmosfera di distensione che anche il Re, dopo la nostra lunga e franca conversazione, mi ha detto desiderare vivamente.

(l) -Vedi D. 559. (2) -T. 12089/183 R. del 9 dicembre, ore 21,35, non pubblicato.
554

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA E PARIGI E ALLE LEGAZIONI A BELGRADO, BUCAREST, BUDAPEST, PRAGA E VIENNA

T. 5277/C.R. Roma, 9 dicembre 1936, ore 23.

(Pet Parigi, Londra, Berlino, Vienna, Budapest) Ho telegrafato alla R. legazione a Praga, Belgrado e Bucarest quanto segue:

(Per tutti) « Risulta (l) che il governo francese sta intensificando azione per rafforzare i legami tra gli Stati della Piccola Intesa e più particolarmente perché gli Stati della Piccola Intesa concludano tra loro e colla Francia un trattato di mutua assistenza da valere non in determinate eventualità ma in ogni caso. All'iniziativa francese Praga naturalmente ha risposto aderendo pienamente, mentre Belgrado ha assunto un atteggiamento dilatorio e Bucarest ha manifestato dei dubbi. Risulta pure che il governo rumeno ha inviato un proprio incaricato a Belgrado (e precisamente il ministro delle Comunicazioni, Fraanassovici) per prendere contatti; quest'ultimo è ritornato a Bucarest verso la fine di novembre, ma non si conoscono i risultati della sua missione. Risulterebbe tra l'altro che, di ritorno a Bucarest, egli avrebbe conferito lungamente e ripetutamente col Re.

Le notizie di cui sopra sono pervenute a questo ministero in via confidenziale e allo stesso titolo si comunicano alla S. V. con preghiera di voler indagare e riferire » (2).

555

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 12072/0363 R. Parigi, 9 dicembre 1936 (per. 1'11).

Ho veduto oggi il ministro Delbos. Mi aveva pregato di passare da lui desiderando mettermi personalmente al corrente del passo franco-britannico (3). di cui tenne ad attribuirsi la paternità, compiuto a Roma, Berlino, Mosca e Lisbona. Mi spiegò che esso constava di due parti: la prima concerneva il reclutamento e l'invio in Spagna di volontari, che avrebbero dovuto essere assolutamente vietati e sospesi; la seconda, subordinata alla possibilità di realizzare la prima, riguardava la conciliazione fra i partiti belligeranti. Delbos

62l

érede che una simil€' conciliazione, qualora scemassèro realmente gli aiuti da parte degli Stati esteri ai due partiti, non sarebbe così ardua perché entrambi, lasciati soli con le rispettive forze, non potrebbero continuare a lungo a battersi.

Gli ho chiesto quali risposte avesse ricevuto. Rispose che V. E. aveva mostrato un certo scetticismo ma aveva aderito in principio alle proposte suddette. A Berlino, i dubbi manifestati dal barone von Neurath erano stati maggiori ma anche egli non aveva detto di no. A Mosca, Litvinov aveva detto che personalmente concordava intieramente con le idee manifestate da Francia ed Inghilterra ma che avrebbe dovuto interpellare Stalin. Il governo portoghese non aveva ancora risposto ma Delbos ritiene che il contegno di Lisbona dipenderà da quello di Roma e Berlino e che naturalmente cercherà di non urtare le suscettibilità dell'Inghilterra, la quale si rende conto della situazione particolarmente difficile del Portogallo ma non vuole che esso agisca in modo da contrastare gli interessi britannici. Delbos mi disse inoltre che, previa intesa con i Gabinetti suddetti e naturalmente con Londra, sarà pubblicato domattina a Parigi un comunicato circa il passo diplomatico franco-britannico a Roma, Berlino, Mosca e Lisbona, con lo scopo di porre chiaramente in luce che il problema spagnolo è di competenza del Comitato che siede a Londra e non già della Società delle Nazioni, da cui sono assenti per differenti motivi l'Italia e la Germania. Nel confermarmi che a Ginevra si recherà il solo sottosegretario Viénot per rappresentarvi la l<'rancia, Delbos aggiunse che le istruzioni impartitegli consistevano nel « minimizzare » la discussione del problema spagnolo, nell'interesse stesso della S.d.N.

Delbos insistette quindi molto sull'opportunità che vi sarebbe di mostrare al mondo l'esistenza di una solidarietà franco-italiana di fronte all'arduo problema spagnolo, giacché, se le tre grandi Potenze mediterranee fossero concordi a voler salvaguardare i rispettivi interessi nel mare comune ed a porre quindi fine alla lotta fratricida che si sta combattendo in'Spagna, la pace del mondo non correrebbe più alcun rischio. Egli aggiunse che non scordava la concordanza di interessi itala-germanici di fronte al problema spagnol.o ma la Germania non era una Potenza mediterranea e pertanto, al pari dell'U.R.S.S., non aveva interessi immediati in Spagna. Menzionò, a prova che la concordanza degli interessi itala-germanici era soggetta a certe sfumature, che l'Italia non aveva, né aderito all'accordo nippo-germanico contro il Comintern, né stipulato per proprio conto un accordo analogo col Giappone.

Terminato l'argomento Spagna, Delbos ricordò le parole pronunciate venerdì scorso al Parlamento nei riguardi dell'Italia (l) e disse che teneva ad assicurarmi che il governo di Fronte Popolare nutre vivissimo il desiderio di sbarazzare il terreno da tutto ciò che turba le relazioni cordiali tra l'Italia e la Francia. Ancora ieri, il presidente Blum, che per essere il capo dei socialisti francesi è obbligato assai più di lui, che era soltanto radical-socialista, a tenere conto di certe ostilità preconcette dei partiti estremi contro il fascismo, gli aveva espressa la speranza di poter stringere i vincoli di amicizia con l'Italia.

(Il Vedi D. 557.

Ho aliora dichiarato a Delbos che sarebbe forse stato bene che io gli facessi un'esposizione completa di tutti i motivi che avevamo di lagnarci della Francia, perché forse egli ne ignorava o ne aveva scordati alcuni. Egli mi spinse a parlare ed io menzionai quindi:

-l'atteggiamento tenuto da lui stesso a Ginevra nel settembre scorso, quando aveva votato per l'ammissione dei due delegati etiopici all'Assemblea mentre sarebbe stato tanto facile di astenersi;

-l'errore commesso da un francese, il signor Avenol, dando a Roma affidamenti circa la procedura che avrebbe fatta prevalere a Ginevra (1), quando all'atto pratico egli si dimostrò incapace di mantenere le promesse fatte;

-il ritardo inspiegabile con cui erano stati ritirati i contingenti francesi da Addis Abeba e da Dire Daua nella quale ultima località dovevano esservi ancora truppe francesi, e la circostanza che i ritiri stessi avevano seguito quello del piccolo contingente britannico di guardia alla ex-legazione d'Inghilterra in Etiopia;

-la caparbietà posta nel non voler ritirare il ministro Bodard, quando sarebbe stato e sarebbe tuttora facile !asciarlo partire in congedo, trasformare la legazione in consolato generale o consolato, salvo ad attendere qualche tempo a d,esignare il titolare di questo ufficio;

-la questione del visto sui passaporti degli italiani che provenienti dalla Etiopia devono transitare per Gibuti onde rimpatriare. Mentre la questione pareva ad un dato punto risolta, vennero sollevati dubbi proprio da parte di colui che in questo momento dovrebbe cercare di appianare le cose con l'Italia e non di aggravarle, vale a dire dall'ambasciatore conte de Saint Quentin;

-la questione tuttora insoluta ed importantissima della costruzione del nuovo ospedale italiano in Tunisi, in cui avevamo pure trovato la maggiore opposizione da parte del Quai d'Orsay e più specialmente da Saint Quentin;

-la questione della tassa interna di 70 franchi per tonnellata imposta alle ferraglie, articolo importantissimo di importazione per l'Italia, tanto che se non si trova una soluzione soddisfacente vedevo in grande pericolo le future relazioni commerciali itala-francesi;

-infine, ultima come tempo ma d'importanza grandissima, la questione del divieto che sarebbe stato frapposto dal governo francese al Principe di Monaco di accordare l'exequatur alle lettere patenti del console Censi, destinato colà come successore del marchese Chiavari.

Delbos, alquanto impressionato dalla esposizione molto circostanziata fattagli di questi vari problemi, mi disse che non chiedeva di meglio che di pervenire a risolverli e mi ringraziò quindi di avergli parlato cosi apertamente. Si difese per l'atteggiamento tenuto a Ginevra in settembre, dicendo che egli vi si era recato animato, al pari di Eden, delle rp.igliori intenzioni verso l'Italia. Ammise che Avenol aveva errato tenendo a Roma un linguaggio troppo ottimista e non sapendo poi escludere dal Comitato di verifica dei poteri i rappresentanti di Stati che erano particolarmente ostili all'Italia per la sua azione in Etiopia. Disse che egli non avrebbe potuto astenersi dal votare perché la Francia deve sapere assumere le proprie responsabilità e quindi dire si o no.

Dovette dire no perché i Dominions, di cui tutti sanno l'influenza sul governo britannico, assunsero un atteggiamento che non ammetteva altra soluzione per Eden. E la Francia non poteva lasciar sola l'Inghilterra in una votazione politica tanto importante per l'esistenza stessa della S.d.N. Sorvolò sopra la questione del ritiro dei distaccamenti francesi dall'Etiopia e si soffermò invece sopra la questione Bodard, dicendomi che egli non è alieno dal risolverla e di risolverla presto tenendo presente quanto gli avevo detto. Si riservava quindi di studiare la cosa con gli uffici del Quai d'Orsay. Eguali assicurazioni mi diede circa la questione dei passaporti degli italiani che da Addis Abeba vanno a Gibuti. Ignorava la questione dell'ospedale di Tunisi alla quale mostrò di interessarsi, prendendo appunti che mi promise di studiare. Circa la tassa interna di 70 franchi per le ferraglie, di cui aveva sentito parlare vagamente, disse che avrebbe interpellato gli uffici ed eventualmente interessato lo stesso presidente Blum, perché si rendeva conto della sua importanza per gli scambi commerciali fra i due Paesi. Quanto alle patenti di Censi, mostrò di ignorare il provvedimento di cui gli parlavo e se ne stupì perché si trattava di questione non amministrativa ma politica che avrebbe dovuto essere sottoposta alla decisione del ministro degli Affari Esteri. Pertanto si riservò di eseguire indagini e di farmi poi conoscere come stessero le cose.

La conversazione che ho riassunto schematicamente terminò con nuove assicurazioni di buon volere da parte di Delbos, il quale espresse la speranza che l'Assemblea della S.d.N. potesse essere convocata alla metà di gennaio per discutere l'ammissione dell'Egitto alla S.d.N. in modo che contemporaneamente si decidesse pure di cancellare l'Etiopia dalla lista degli Stati membri. Alla mia abbiezione che se qualche Stato minuscolo avesse fatto opposizione la Francia avrebbe nuovamente piegato il capo rassegnandosi a vedere le proprie relazioni con l'Italia compromesse in modo irreparabile, Delbos protestò dicendo che la Francia avrebbe saputo mostrare di sapere quello che voleva perché essa desidera sopra ogni cosa di avere relazioni di fiduciosa amicizia con noi.

(l) -Avevano riferito su l'argomento l'incaricato d'affari a Bucarest, Ottaviani, con telespresso 2765/669 del 25 novembre e, da Vienna, il ministro Salata con T. 11995/147 R: del 7 dicembre. Le notizie raccolte nelle due capitali coincidevano perfettamente e sono riportatenel presente telegramma di Ciano. (2) -Per il seguito si vedano i DD. 564. 576. 582, 635, 646 e 671. (3) -Vedi D. 544.

(l) Vedi D. 26.

556

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4045/1629. Mosca, 9 dicembre 1936 (per. il 15).

Se dopo i primi aspri commenti sovietici al patto anticomunista concluso tra la Germania ed il Giappone sembrava fosse subentrata una tregua, la intemperanza oratoria del Congresso dei Soviet (l) hanno riacceso la campagna di stampa contro l'accordo che, malgrado le affermazioni di Litvinov, ha colto Mosca di sorpresa. I giornali moscoviti non lesinano quindi spazio e parole per stigmatizzare l'accordo che qualificano « congiura di aggressori »

contro la politica pacifica che l'U.R.S.S. svolgerebbe in Europa ed in Oriente. Per avvalorare la propria tesi, la stampa finge comunque di ignorare i problemi di diretto interesse sovietico lesi dalla convenzione nippo-germanica e sviluppa invece gli argomenti che dovrebbero, a suo parere, allarmare l'Inghilterra e gli Stati Uniti, minacciati dalle presunte intenzioni giapponesi in Estremo Oriente e nelle Indie Orientali. Si scrive quindi che l'accordo nippogermanico contribuirà all'educazione di certi uomini politici europei ed americani retrogradi che dubitavano dell'indivisibilità della pace. L'accordo nippogermanico -si dice -con la partecipazione italiana fa crollare il concetto della localizzazione della guerra e rafforza le tendenze per un avvicinamento anglo-franco-americano con l'appoggio sovietico. Accanto a questi commenti si raccolgono con evidente compiacimento le voci di dissensi politici che la conclusione del patto anticomunista avrebbe provocato in Giappone. Si annuncia che la posizione di Hirota è scossa. Nelle dichiarazioni fatte dal ministro Arita alla stampa in merito all'accordo si vedono tardi pentimenti o « puerili sotterfugi ». Si afferma infine che tra il patto anticomunista e l'accordo italo-nipponico (l) vi è un «evidente legame che non può essere negato». L'accenno del ministro Arita all'eventualità della conclusione del patto nipposovietico di non aggressione è considerato « ridicolo »

Questa stampa mette inoltre in relazione l'accordo anticomunista con i piani giapponesi in Cina e dimostra come il pretesto della lotta contro il comunismo deve servire a Tokio per realizzare radicalmente i suoi piani di conquista del Suiyiian. Essa afferma che «l'accordo nippo-italiano per il reciproco riconoscimento delle usurpazioni in Asia ed in Africa è il complemento diretto e naturale degli accordi italo-germanico e nippo-germanico. Anche questo accordo colpisce in primo luogo la Cina perché legalizza l'aggressione e l'occupazione di suo territorio ». La pretesa giapponese -si dice di imporre alla Cina «la lotta in comune contro il comunismo » non è altro che un tentativo di legalizzare l'invio di truppe giapponesi in qualsiasi punto della Cina per dislocarle in permanenza nelle regioni che saranno considerate pericolose nella lotta contro il comunismo. In tal modo la Cina si trasformerebbe in «alleata militare» del Giappone come è avvenuto con la Manciuria. Infine, si esprimono le speranze che l'indignazione contro i giapponesi ed i loro alleati tedeschi aumenti in Cina. Le dichiarazioni fatte dal generale Chiang Kai-shek a Loyang il 29 novembre u.s. circa il patto nippo-germanico sono interpretate come una mossa fatta su suggerimento del governo germanico allo scopo di attenuare l'allarme cinese per il patto anticomunista.

Questi commenti di stampa riflettono lo stato d'animo di questi circoli di fronte alla nuova minaccia giapponese nell'Estremo Oriente. Il patto nippogermanico avrà per risultato immediato un'intensificazione dell'opera di difesa sia militare che politica, che l'U.R.S.S. intraprende da tempo in Mongolia e sul suo litorale del Pacifico. Nell'attesa che quest'azione difensiva raggiunga il grado di potenziamento necessario a prevenire ogni sorpresa, questi dirigenti cercano e cercheranno ancora di non raggiungere nei rapporti col Giappone

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uno stadio di tensione che non lasci alcuna possibilità di vicinato pacifico. Così si spiegano le sfumature notate nell'« indignazione dell'opinione pubblica sovietica » per il patto anticomunista nippo-germanico. Esse rivelano la segreta intenzione di riversare la colpa maggiore sulla Germania «fascista» risparmiando, in certa misura, l'altro contraente.

(l) Vedi p. 505, nota l.

(l) Vedi D. 533.

557

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 8419/2896. Parigi, 9 dicembre 1936 (per. l'11).

II discorso pronunziato dal ministro degli Esteri, Delbos (1), durante il dibattito sulla politica estera testé chiusosi con il voto di fiducia al governo, è un discorso anodino, ma pacato, e, in fondo, franco. Esso dimostra che il problema centrale della politica estera della Francia rimane quello dei rapporti di questo Stato con la Germania.

Già ebbi a dire a V. E. che dare un assetto stabile a tali rapporti, mediante la conclusione di un accordo fra j.. due Paesi, è il sogno ambizioso della maggior parte degli uomini politici francesi che si occupano di politica estera. Infatti essi ben sanno che chi potesse tradurlo in realtà assicurerebbe la propria fortuna politica, avendo soddisfatto l'esigenza fondamentale del Paese e.. cioè la sicurezza dal lato del Reno. Di qui le profferte di intese di Delbos, nonostante la forte politica dei fatti compiuti condotta dalla Germania nei riguardi della Francia. D'altra parte, nel dubbio e nell'attesa, la politica del Gabinetto Blum resta imperniata sui cardini tradizionali dell'Inghilterra e della Russia. Governo e opinione pubblica sono convinti che, se l'esercito inglese non è gran cosa, la cooperazione della flotta britannica è essenziale alla Francia per la difesa delle sue coste atlantiche e mediterranee nonché per garantire le comunicazioni tra la madre-patria e le colonie. In quanto alla Russia, si conta -o ci si illude -che essa rappresenti l'altro lato della tenaglia; comunque non si vede che cosa si possa sostituire a tale altro lato. Ne seguono l'unanimità dei consensi sulla politica di amicizia quanto più stretta possibile con l'Inghilterra e le approvazioni della politica di amicizia con la Russia, date anche da uomini politici non sospetti di filobolscevismo, i quali, convinti della necessità dell'apporto russo, si dànno l'aria di prendere sul serio la fittizia distinzione fra governo e partito in Russia e, per ragioni di politica interna, aggungono che la politica di amicizia franco-russa meglio che dal governo di Fronte Popolare potrebbe essere condotta da un governo ostile al bolscevismo, atto a frenare la propaganda che il Comintern mena attualmente in Francia. Nel pensiero del ministro degli Esteri, dovrebbero integrare il sistema francese nell'Oriente europeo la rinverdita alleanza

con la Polonia e i legami con la Piccola Intesa: Delbos nel suo discorso ha dichiarato che l'una e gli altri sono saldi.

Venendo alla questione spagnola, Delbos ha ribadito la tesi del non-intervento. Questo della Spagna è anche per la Francia il problema del giorno più scottante e per il Gabinetto Blum, in materia di politica estera, il terreno più malsicuro: da un lato gli occorre tener conto delle affinità ideologiche tra due Fronti Popolari e, più ancora, dei pericoli che minacceranno la Francia quando il governo nazionalista si sarà consolidato -influenza che avranno acquistato l'Italia e la Germania al di là dei Pirenei, equilibrio del Mediterraneo Occidentale spostato, comunicazioni con il Nord-Africa meno sicure ma dall'altro gli occorre evitare di fare ogni cosa che possa trascinare la Francia alla guerra. Sicché, nonostante le pressioni comuniste, il Gabinetto si attiene prudentemente al detto imbelle: chi non fa non falla, pur facendo qualche riserva nel senso che ove gli interessi francesi risultassero effettivamente lesi esso intenderebbe difenderli.

Per quel che concerne l'Italia ritengo corrispondente alla verità la volontà dichiarata da Delbos di intendersi con noi, beninteso sempre che ciò fosse possibile senza andar contro apertamente ai presupposti societari francesi. Questa dichiarazione è stata resa necessaria, d'altra parte, anche dalla tendenza dell'opinione pubblica la quale continua ad esserci in notevole parte favorevole mostrando di apprezzare al suo giusto valore il potenziale militare e spirituale rappresentato dall'Italia fascista. Di questo stato d'animo si fece eco in modo particolare il Comitato esecutivo del Partito radicale socialista che riunitosi alcuni giorni prima del dibattito parlamentare sottolineò la necessità di ristabilire cordiali contatti con l'Italia. Non è dubbio che queste disposizioni dei radicali abbiano influito sulle parole del ministro.

Come è naturale, il ministro degli Esteri ha tentato di presentare un bilancio attivo della sua politica: garanzia inglese e, finché dura, anche garanzia belga; aiuti russo e polacco e della Piccola Intesa; ma per chi ben guardi il presunto saldo attivo va diminuito di quanto hanno tolto al prestigio e alla forza della Francia gli atti della Germania, i propositi assenteisti del Belgio, le sconfitte della S.d.N., l'asse Roma-Berlino con i nuclei che potranno gravitare intorno ad esso e, infine, l'accordo tedesco-giapponese.

n discorso di Delbos permette -in conclusione -di constatare ancora una volta che la politica estera francese malgrado gli insuccessi ed i rischi del metodo, continua ad essere inspirata dal criterio che si potrebbe definire della difesa passiva. Pur non ignorandosi le possibilità di conflitto, si ritiene saggia politica di attendere gli avvenimenti piuttosto che di contribuire a determinarli o a modificarli. Nella speranza di poter salvare dal crollo della costruzione di Versailles qualche possibilità ginevrina e, sopratutto, l'amicizia della Inghilterra, la Francia non sembra disposta a seguire strade diverse da quelle sinora battute. Ripiegata su una linea Maginot che non è solamente nelle opere e nel materiale ma anche nella psicologia e nell'imperioso desiderio di pace di questo popolo, la Francia si riserva di passare all'azione solo se i suoi essenziali interessi saranno direttamente e gravemente compromessi. Riscuotendo facili applausi anche sui banchi dell'opposizione, Blum ha dichiarato: «Arriverà forse un giorno nel quale, in presenza di una impresa troppo minacciosa per le condizioni essenziali della pace saremo condotti a dire: Questo, no. È impossibile andar più oltre. Arriverà forse un giorno che noi lo diremo, come lo si deve dire, ma come si ha soltanto il diritto di dirlo, cioè con la calma e con la ferma risoluzione di andare fino alle conseguenze estreme della nostra parola~.

Queste parole, che sembrano risuonare come un atto di energia nell'inerte campo della politica estera francese, traducono in realtà lo stato d'animo del Paese che non è affatto disposto a sostenere una guerra se non ne ravvisa l'assoluta ed immediata ineluttabilità. A tali parole è lecito aggiungere tuttavia una considerazione: sul Reno o nel Mediterraneo la Francia non oserà mai sostenere a lungo una linea di condotta dissimile da quella che l'Inghilterra seguirà o che le consiglierà di seguire (l).

(l) Il 4 dicembre.

558

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 8327/1906. Washington, 9 dicembre 1936 (per. il 23).

In queste prime settimane da quando si è riunita la conferenza di Buenos Aires, alcune idee cominciano a chiarirsi ed alcune posizioni a precisarsi. E' probabilmente più facile seguire l'andamento della conferenza da Buenos Aires che da qui, specialmente per l'assenza del presidente (che arriverà il 14), del segretario di Stato e delle altre personalità dello State Department a cui è affidata più particolarmente la cura dei rapporti fra gli stati americani.

Dalle impressioni che si possono avere qui si dovrebbe conchiudere che fin da ora si delineano difficoltà ad arrivare in questa conferenza a dei risultati veramente importanti. Siamo arrivati già alla crisi su quello che è il punto centrale nella conferenza, cioè il problema della neutralità. Questa questione della neutralità, presa nel senso più largo, interessa non solo i rapporti degli Stati americani fra loro ma anche i rapporti tra gli Stati americani e gli Stati degli altri continenti, particolarmente gli europei. Ci sono dei principi in conflitto e degli interessi; i primi servono a mascherare i secondi.

Il principio nord-americano della neutralità si basa sul disinteresse degli Stati neutrali di fronte a un conflitto, in quanto gli Stati neutrali dovrebbero preoccuparsi soltanto di non essere coinvolti in una guerra e d'impedire l'alimento della guerra stessa rifiutando l'aiuto ai belligeranti, sia in armi, sia in prestiti. Quindi nessuna discriminazione fra aggressore e aggredito. Il principio invece degli Stati che aderiscono a Ginevra è quello della sicurezza collettiva, cioè della solidarietà degli altri Stati con l'aggredito, solidarietà che

può arrivare fino a coinvolgere gli Stati stessi in un conflitto contro l'aggressore.

Com'era da attendersi, campione di questo secondo principio è l'Argentina rappresentata dal suo ministro degli Esteri, Saavedra Lamas. E' evidente che al governo degli Stati Uniti non era sfuggita l'importanza di tale conflitto di principio, per cui nel progetto nord-americano si prevede di lasciare libertà agli Stati che aderiscono a Ginevra di regolarsi secondo gli obblighi derivanti dal Patto. Questo compromesso tuttavia non risolve la questione, ma lascia sussistere notevoli equivoci che non possono non viziare le decisioni che saranno prese dalla conferenza. In rprimo luogo si tratta di due principi di etica internazionale che nel piano ideale non possono essere conciliati; si osserva poi che gli stessi Stati non aderenti a Ginevra hanno conchiuso degli altri trattati -Patto Kellogg-Briand (1), Patto anti-bellico Saavedra Lamas (2) -che entrano nello stesso quadro dell'etica ginevrina e quindi devono trarre le conseguenze da tali loro impegni. Non v'è dubbio che la situazione del governo americano su questo punto è imbarazzante, perché esso da un lato è fermamente deciso a non prendere alcun impegno che possa, sia direttamente che indirettamente, coinvolgere gli Stati Uniti in un conflitto e d'altra parte è difficile che la Confederazione nord-americana possa pretendere alla Zeadership della politica generale americana rinnegando un principio di natura etica che è accettato da una notevole parte delle repubbliche che partecipano alla conferenza. Non c'è alcun dubbio però che gli Stati Uniti rimarranno fermi sul loro principio del no entanglements.

Come si è detto la questione di principio adombra una serie d'interessi che sono vitali per alcuni degli Stati partecipanti alla conferenza.

Da una parte alcuni fra i principali Stati del Sud America non intendono sia nel campo politico che in quello economico, accettare una supremazia degli Stati uniti, ma non vogliono affatto compromettere i loro rapporti con le altre Potenze specialmente con le grandi Potenze europee. Non appare dubbio che anche le grandi Potenze europee, quelle che hanno interessi politici, nazionali, economici negli Stati dell'America del Sud, come l'Italia, debbano vedere con favore una resistenza contro la tendenza a separare l'intero Continente americano, sotto la guida degli Stati Uniti d'America, dal resto del mondo. Un piccolo successo momentaneo contro la Società delle Nazioni, che del resto è già boccheggiante, non può compensare la perdita che ne deriverebbe per la sostituzione dell'influenza americana all'influenza europea nei detti Paesi. È anche probabile che l'Argentina nella sua resistenza sia spalleggiata dalla Gran Bretagna. Ma anche questo elemento non può togliere valore all'interesse prevalente di mantenere la porta aperta negli Stati del SudAmerica, perché di questo beneficiano tutti gli Stati europei.

Gli Stati . Uniti d'altra parte non lesinano adescamenti d'altra natura per propiziarsi il favore dell'Argentina: si tratta di promesse, più o meno

definitive, di facilitazioni di carattere economico (come quella dell'apertura di confini nord-americani per la carne argentina, a cui l'Argentina è oltremodo sensibile). A ciò si aggiunge l'interessamento notevole dei circoli finanziari americani per l'Argentina, la quale ha avuto recentemente la possibilità, unica fra gli Stati sud-americani, di piazzare un prestito sul mercato degli Stati Uniti. Naturalmente quest'attività nord-americana tocca più di qualunque altro Paese l'Inghilterra, che ancora oggi ha i maggiori interessi economici-finanziari in Argentina.

Un altro interesse che si oppone alla politica nord-americana della neutralità è quello degli Stati americani minori, i quali nella non discriminazione tra aggressore e aggredito vedono, piuttosto che un impedimento a future guerre, un incoraggiamento agli Stati più forti e meglio preparati per attaccare gli Stati più piccoli e più deboli. Ciò dà la ragione della proposta presentata dalla Bolivia per una nuova definizione dell'aggressore.

Naturalmente tutto ciò è detto in forma schematica, in quanto le situazioni non sono così nette e precise, ma sono complicate da molteplici elementi e da varie sfumature nella posizione dei singoli Stati. Gli Stati Uniti stessi non hanno interesse a spingere le cose oltre certi limiti e a prendere una posizione netta contro Ginevra e l'Europa in genere. Altri Stati come il Brasile, pur fiancheggiando la politica nord-americana, non intendono diminuire in nulla i loro rapporti con l'Europa.

Si può dire fin da ora che la tendenza del gruppo più spinto panamericano, a cui paiono aderire la Columbia, l'Ecuador ed il Guatemala e che ha avuto come esponente San Domingo con la proposta di una Lega degli Stati americani, è messa fuori combattimento. È molto probabile che anche l'idea di una corte arbitrale americana in sostituzione dell'Aja, alla quale in principio aveva aderito anche il Venezuela, sia ormai sepolta. È morta anche 12, proposta cilena per una riduzione degli armamenti contro la quale gli Stati Uniti hanno mosso come loro pedina il Nicaragua.

Rimangono in lizza, oltre la questione della neutralità, la questione dell'estensione a tutta l'America della Dottrina di Monroe per la quale pare abbastanza caldo il Brasile ma che non ha molte probabilità di essere tradotta in pratica perché riapre la questione dell'intervento a favore dell'aggredito se l'aggressore è uno Stato non americano.

Saranno probabilmente accettate la proposta americana della riunione periodica dei rappresentanti delle 21 repubbliche, ciò che ha un'importanza forse più morale che pratica, e la proposta, pure di Hull, di un accordo che è di portata molto modesta.

Il vero carattere della conferenza sarà dato dalla soluzione del problema della neutralità. È da prevedere che gli Stati Uniti insisteranno sulla loro proposta che rappresenta per loro un duplice interesse: primo, quello di tenere lontano il più possibile l'intero continente americano da eventuali conflitti in Europa; secondo, quello di evitare che nel caso di una guerra contro gli Stati Uniti (leggi ad esempio il Giappone) il nemico possa trovare qualche base di operazione nei Paesi del continente americano.

(l) Questo documento reca il visto di Mussolinl.

(l) -Trattato di Parigi di rinuncia alla guerra come strumento dl politica nazionale del 27 agosto 1928 (MARTENS, vol. XXI, pp. 3-8). (2) -Vedi p. 391, nota 2.
559

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 2906/715. Bucarest, 9 dicembre 1936 (per. il 12).

Non sarebbe stato possibile, al mio ritorno in sede, sfuggire nei primi contatti con questi ambienti politici responsabili alla fase, dirò così, polemica circa il discorso di Milano. Convinto· di questa ineluttabile necessità ho adottato il metodo che mi sembrava più conveniente per superare il più presto possibile questa fase: cioè passare all'attacco. Perciò prima ancora di essere investito, ho investito ricordando non solo tutti i ponti che il Duce aveva gettato alla Romania per il passato -riconoscimento della Bessarabia (1), dichiarazioni del 1926 e 27 al maresciallo Averescu (2), prestito, forniture militari, dichiarazioni del 1928 allo stesso Titulescu (3) -nonché gli atti più recenti della politica mussoliniana. Ho ricordato sopratutto la proposta del Patto a Quattro, avversata da tutta la Piccola IJ}.tesa con Titulescu alla testa, Patto a Quattro che se fosse stato mantenuto in piena efficienza avrebbe impedito tante gravi fratture nella compagine europea ed avrebbe certamente scoraggiato i sovieti dal loro recente tentativo di sovvertire la pace sociale del mondo. Ho finalmente fatto il processo alle occasioni che la Romania ha scientemente perdute durante la crisi abissina ed ho finalmente ricordato lo scomposto atteggiamento di Titulescu nonché la sconcertante votazione di Antonescu a Ginevra che tra il Negus transfuga e traditore del suo popolo, e l'Italia Imperiale, aveva optato per il primo.

Questo linguaggio è stato da me tenuto specialmente con il ministro degli Esteri, signor Antonescu, fin dal primo colloquio che egli ha voluto procurarsi con me non appena ho rimesso piede in Romania, e con il Sovrano che, saputo del mio ritorno, si è subito affrettato ad invitarmi ad una colazione intima, a due. La reazione sia del ministro che del Re è stata debolissima. Antonescu, più toccato nel vivo perché all'ultima commedia di Ginevra aveva partecipato proprio lui, ha tentato di spiegarmi per lungo e per largo come e perché egli aveva dovuto soggiacere al pernicioso ambiente di Ginevra. In compenso, non ha esitato a condannare tutta la politica precedente di Titulescu, il che ho passato agli atti. In quanto al Sovrano, più libero dei suoi movimsmti e delle sue parole, ha riconosciuto, sia gli errori del passato, sia il fatale errore dell'ultima votazione di Ginevra. In tale linea di riconoscimenti e di giustificazioni, sia il Sovrano che ministro non hanno

potuto molto insistere sul discorso di Milano: si sono limitati ad esprimere il loro senso di dolore nel constatare che l'Italia pospone alla gente latina la gente magiara. Ho replicato all'uno e all'altro che i latini di Dacia hanno sanzionato Roma, mentre i magiari di Pannonia si sono schierati accanto a Roma. Visto poi che l'atmosfera generale delle conversazioni si mostrava favorevole, ho osato aggiungere che il discorso di Milano aveva avuto benéfici effetti per la Romania perché aveva mostrato il grande pericolo dell'ora, richiamando Sovrano, governo e popolo ad una politica al di fuori delle formule astratte, ad una politica realistica in cui fosse sopratutto riconosciuto a Roma la funzione che le spettava. Il Re ha accolto queste mia parole con segni di consenso riconoscendo che Roma poteva e doveva, anzi, costituire «le pivot de la paix ».

Il mio colloquio con il Sovrano, a giudicare dalle Sue prime mosse dopo di esso, dovrebbe indurci a ritenere che eserciterà qualche influenza nei rapporti italo-romeni. Nel corso del colloquio lessi al Re la comunicazione diretta dal Duce al maresciallo Averescu il 4 aprile 1927 (v. telegramma ministeriale

n. 1621/165) (l) circa la funzione che l'Italia potrebbe avere per un miglioramento dei rapporti romeno-magiari. Questo ricorso ad una impostazione politica suggerita fin da dieci anni or sono dal capo del governo a questi signori mi è sembrato potesse costituire il miglior metodo per addentellarci alla direttiva politica che V. E. ha voluto impartirmi nel corso dell'udienza accordatami a Roma prima della mia partenza. II Re mi ha assicurato che avrebbe molto riflettuto su quanto ci eravamo detti e che avrebbe ripreso contatto con me. Intanto Egli dava ordine ad Antonescu di sottolineare nelle sue prossime dichiarazioni alla Commissione parlamentare degli Esteri (dichiarazioni che saranno fatte dopodomani 11 dicembre) la opportunità di migliorare l'atmosfera politica fra Italia e Romania.

Il ministro Antonescu, ricevuto l'ordine sovrano, e nel suo entusiasmo di neofita per questo auspicato riavvicinamento, si è procurato nello spazio di due giorni quattro lunghi colloqui con me. Ha voluto che io stesso redigessi una traccia delle dichiarazioni che ci sarebbe gradito egli facesse, traccia che gli ho già fatto pervenire e che nel pomeriggio di oggi, in un quinto colloquio, dovremmo rivedere insieme e mettere a punto.

La partenza del corriere mi impedisce di riferire il seguito di questi contatti (2), cosa che farò per telegramma. Antonescu è in questo momento nello stato d'animo di chi vuoi disegnare una montagna: la quale con tutta probabilità finirà per partorire un topolino sparuto. Nulla infatti mi autorizza ancora ad aver fiducia in questi signori a cui manca fiato sufficiente per affrontare apertamente la situazione. La Romania perirà piuttosto che

mettere la sua prora, arditamente, verso un diverso orizzonte. Comunque la crisi che travaglia questi signori merita di essere seguita con attenzione, e merita sopratutto che nulla sia trascurato per tentare di farli avanzare, poco o molto che sia, verso la direzione che la E. V. si è compiaciuta di indicarmi.

(l) -Si riferisce alla ratifica da parte dell'Italia, il 2 aprile 1927, del Trattato di Parigi del 28 ottobre 1920 con cui Impero britannico, Francia, Italia e Giappone avevano riconosciuto la sovranità della Romania sulla Bessarabia (MARTENS, vol. XII, pp. 849-853). (2) -Nel quadro del riavvicinamento itala-romeno di cui erano stati espressione la firma del trattato di amicizia del 16 settembre 1926 (testo in Trattati e convenzioni, vol. XXXVI, pp. 536-539), la visita in Italia del presidente del consiglio Averescu, il viaggio a Budapest del duca di Spoleto e quello in Bessarabia del generale Badoglio (su tuttociò si veda, riassuntivamente, Il rapporto annuale del ministro Durazzo del 31 gennaio 1927 in serie settima, vol. IV, D. 593, nota l). Ripetute assicurazioni di amicizia erano state poi date a Budapest dal governo italiano in occasione della firma del trattato itala-ungherese del 5 aprile 1927, vedi ibid., vol. V, DD. 98, 109, 121. (3) -Vedi ibid., vol. VI, D. 46. (l) -Riferimento errato. Si tratta del T. 621, 165 del 3 aprile 1927, ibid., vol. V. D. 118. (2) -Si veda, per i risultati il D. 575.
560

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 12037/1149 R. Ginevra, 10 dicembre 1936, ore 13,15.

Il comunicato ufficiale del governo francese relativo ad un tentativo di mediazione da parte delle Potenze interessate nella guerra civile spagnola (l) produce in questi ambienti grande impressione. Il fatto che il passo diplomatico sia stato fatto il 4 dicembre mentre la notizia è stata pubblicata solo alla vigilia della riunione del Consiglio (2), prova che tanto Parigi che Londra hanno voluto influenzare lavori della S.d.N. e togliere loro ogni portata politica.

Naturalmente contro «l'azione parallela » delle grandi Potenze insorge la stampa di sinistra con alla testa il Journal des Nations il quale scrive che l'azione della Francia e dell'Inghilterra «condanna alla sterilità l'opera di pace che impone il Patto per impedire all'aggressore di raggiungere la vittoria». In presenza del tentativo franco-inglese, Ginevra sente più che mai che la riunione odierna è senza scopo e senza utilità dato che il problema spagnolo è trattato direttamente dalle Cancellerie e che la S.d.N. non può svolgere al riguardo nessuna azione concreta (3).

561

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 12053/731 R. Parigi, 10 dicembre 1936, ore 14,05 (per. ore 17,45).

Nel parlarmi delle trattative in corso tra l'Italia e l'Inghilterra per il Mediterraneo, Delbos mi disse ieri che egli si compiaceva delle voci giuntegli le quali facevano prevedere prossima loro felice conclusione. Francia non aveva, infatti, che da rallegrarsi di un accordo riguardante un mare in cui essa aveva tanti interessi al quale non domandava di meglio che di poter accedere. Aggiunse quindi alcune parole alquanto confuse dalle quali compresi tuttavia che egli voleva dire che la Francia si trovava in un certo imbarazzo sapendo che sono in corso negoziati itala-inglesi suddetti senza che .essa ne sia informata e possa avere modo di vagliarne portata.

Mi sono limitato a dire che mi compiacevo anche io del felice andamento dei negoziati in corso dai quali speravo una favorevole ripercussione sui rapporti itala-francesi. Il governo italiano aveva infatti imparato che non vi era gran conto da fare sulle disposizioni amichevoli della Francia, la quale si trincerava costantemente dietro considerazioni societarie per non prendere alcuna decisione indipendente, ed aveva pertanto giudicato più opportuno di parlare con Londra sapendo che, risolte che fossero le divergenze con Inghilterra, Francia finirebbe per seguire esempio inglese. Delbos masticò amaro e tentò invano di giustificarsi.

(l) Vedi D. 544. Il testo del comunicato è in Documenti di politica internazionale, p. 570.

(2) -Per esaminare la situazione spagnola (vedi p. 570, nota 7). r.a discussione ebbe inizio 1'11 dicembre e si concluse il giorno successivo con l'approvazione di una risoluzione in cui si affermava il principio che ogni Stato dovesse astenersi dall'intervenire negli affari interni degli altri Stati, si raccomandava agli Stati membri della S.d.N. che facevano parte del Comitato di non intervento di sostenere l'istituzione di forme di controllo e si esprimeva appoggio all'iniziativa presa dalla Francia e dalla Gran Bretagna per una mediazione (per il testo della risoluzione, si veda Documenti di politica internazionale, pp. 575-576). (3) -Da Mosca, l'ambasciatore Rosso telegrafava lo stesso giorno di avere appreso che gli ambasciatori di Francia e di Gran Bretagna avevano fatto presente a Litvinov il dissenso dei rispettivi governi di fronte alla convocazione del Consiglio della S.d.N. che supponevano di essere stata richiesta dal governo di Valencia su istigazione di Mosca. Litvinov aveva affermato con vivacità di essere estraneo ad una iniziativa che deplorava perché inutile (T. 12069/227 R. del 10 dicembre, ore 22,55).
562

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12062/734 R. Parigi, 10 dicembre 1936, ore 22,10 (per. ore 5 dell'11).

Mio telegramma per corriere n. 0363 (1).

Ho veduto Léger che mi ha detto essersi Delbos ieri, subito dopo colloquio avuto meco (2), recato da Blum per riferirgli al riguardo. Blum gli diede carta bianca per vedere di far tutto il possibile affinché relazioni con l'Italia ritornino ad essere amichevoli e fiduciose. Léger aggiunse che teneva a dirmelo anche per incarico avutone da Delbos. Tanto presidente del Consiglio che ministro degli Affari Esteri si auguravano che azione diplomatica in corso nei riguardi della Spagna (3) consenta di far constatare che vedute delle grandi Potenze sono concordi. Léger ricordò nuovamente meco quanto fosse stato saggio includere nel comunicato di Monaco di Baviera (4) frase relativa alla fedeltà che Italia e Germania serbavano alla politica di neutralità verso Spagna. Rilevò poi che adesione incondizionata di Litvinov alla proposta franco-inglese appariva come un segno importante di resipiscenza

dell'U.R.S.S. Egli riteneva infatti che dopo un paio di mesi di eclissi della politica costantemente patrocinata da Litvinov tendente a collaborare con tutti gli stati borghesi, insuccessi riportati dagli autori della propaganda spinta all'eccesso avessero fatto vedere a Stalin necessità ritorno alla politica precedente. Disse pure (e questo è molto interessante quando si tenga presente il linguaggio tenutomi qualche settimana fa, riferito nel mio telegramma 690) (5) che U.R.S.S. aveva cercato di scindere Europa in due e di mettere Inghilterra e Francia contro Italia e Germania, scatenando quella guerra da cui sovieti avrebbero tratto ogni vantaggio. Saggia politica seguita da Stati occidentali aveva dimostrato a Mosca che suoi calcoli erano errati, donde resipiscenza attuale.

(l) -Vedi D. 555. (2) -Sul colloquio, si veda, oltre al telegramma in riferimento, il D. 561. (3) -Vedi D. 544.

(4) Si tratta delle dichiarazioni rilasciate alla stampa da Ciano al momento d! lasciare Monaco di Baviera il 25 ottobre. Per 11 testo, vedi Documenti di politica internazionale, PP 434-436.

(5) Vedi D. 471.

563

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12067/736 R. Parigi, 10 dicembre 1936, ore 20,05 (per. ore 5 dell'11).

Mio telegramma per corriere n. 363 (1).

Léger mi ha detto che Delbos gli aveva parlato di quanto gli avevo detto riguardo Bodard. Teneva a farmi conoscere che da un rapporto pervenuto al Quai d'Orsay era risultato che V. E., parlando con codesto ministro di Grecia (2) dell'invio di un console greco ad Addis Abeba, avrebbe detto che la richiesta dell'exequatur da parte del governo greco, che si trovava di fronte alla S.d.N. nelle stesse condizioni della Francia, non sarebbe stata interpretata dall'Italia come riconoscimento di diritto dell'Impero italiano di Etiopia. Questione aveva interessato moltissimo Quai d'Orsay, che l'aveva subito sottoposta allo studio dei suoi giuristi. Se infatti fosse possibile chiedere exequatur per un console senza che questo atto fosse interpretato come riconoscimento di diritto della sovranità italiana sull'Etiopia, governo francese penserebbe a sopprimere propria legazione sostituendola con consolato generale.

Risposi a Lége• che se questi provvedimenti fossero stati pubblicati nel giornale ufficiale essi avrebbero significato che la Francia riconosceva nuovo stato di cose in Etiopia.

Egli mi ha risposto che non vi è dubbio che la Francia lo riconosca di fatto e ciò sarebbe appunto documentato dal provvedimento registrato. È il riconoscimento di diritto che non le sembra possibile finché non possa essere deciso dalla S.d.N.

Ho detto allora a Léger di stare attento che non succeda un'altra volta che la Francia dimostri di non essere capace di far politica propria e soltanto di seguire l'Inghilterra. Questa dovrà infatti munire di nuove credenziali ambasciatore a Roma e supponevo avrebbe probabilmente escogitato mezzo per farlo onde evitare inconveniente di non aver ambasciatore a Roma.

Léger rimase impressionato dall'osservazione e mi disse di fornirgli ricetta se ne avevo una.

Risposi che essa avrebbe potuto consistere, ad esempio, secondo il mio parere personale, in una richiesta che Francia avrebbe potuto rivolgere al governo fascista chiedendo di essere ufficialmente informata dell'occupazione da parte nostra della zona di Gore (3) dove, secondo la formula di Ginevra del settembre scorso, avrebbe dovuto risiedere un governo etiopico. Ottenuta tale informazione, Francia avrebbe potuto dire che visto che Italia possedeva oggi sovranità effettiva sopra tutto territorio etiopico, non scorgeva più alcuna ragione di non riconoscerla dando al proprio ambasciatore credenziali indirizzate al Re d'Italia Imperatore di Etiopia. Cosa sarebbe stata con

traria ai principi della S.d.N., ma sarebbe stata logica e come tale applaudita dalla stragrande maggioranza dei francesi.

Léger non disse di no e mi lasciò intendere che la cosa potrebbe essere studiata anche a Londra.

(l) -Vedi D. 555. (2) -Nessun documento è stato rintracciato relativo a questo colloquio ma !n proposito si veda Il D. 551. (3) -Avvenuta !l 26 novembre.
564

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12063/184 R. Bucarest, 10 dicembre 1936, ore 22,30 (per. ore 2 dell'11).

Telegramma di V. E. n. 5277 del 9 corr. (l).

La recente tendenza di questo governo è di non allargare suoi impegni nell'eventualità di un conflitto in Europa centrale. Attualmente Romania non ha trattato mutua assistenza con Cecoslovacchia e Jugoslavia e non è disposta marciare in tale direzione neanche se clausole mutua assistenza fra membri Piccola Intesa fossero avallate e completate dalla collaborazione francese. È esatto che la Francia sta intensificando sue pressioni nel senso sopra accennato, ma esse incontrano a Bucarest resistenza sempre più decisa.

Ministro di Francia in questa capitale, visto che suoi sforzi non hanno fatto avanzare di un passo la questione, ha cercato almeno indurre Antonescu recarsi a Parigi in occasione presente sessione Consiglio S.d.N. Signor Antonescu a corto di argomenti per rifiutare tale visita, si è chiuso in caRa dandosi per ammalato, rinunziando cosi a partecipare ai lavori di Ginevra ove ha spedito sottosegretario di Stato. Sua pretesa malattia non gli ha impedito però di ricevermi ogni giorno per combinare con me le dichiarazioni sull'Italia di cui al mio telegramma n. 182 (2) dandomi così la possibilità di constatare de visu che egli gode ottima salute.

Aggiungo che recente viaggio di Antonescu a Varsavia (3) ha provocato non poco malumore a Praga.

Mi risulta che Antonescu ha dichiarato in maniera ferma e decisa al governo polacco che «in nessun caso » Romania permetterebbe che forze armate russe traversassero suo territorio per accorrere in aiuto della Cecoslovacchia. Non solo quindi la Romania esclude ogni possibilità di aiuto diretto alla Cecoslavacchia (salvo naturalmente quanto prevedono i patti della Piccola Intesa nei confronti dell'Ungheria) ma esclude persino un concorso indiretto a favore della Cecoslovacchia come quello del passaggio delle truppe sovietiche.

Circa missione ministro delle Comunicazioni a Belgrado ebbe già a riferire Ottaviani con il telespresso n. 669 (4). Franassovici ebbe mandato sondare governo jugoslavo per conoscerne parere circa insistenza francese. Risposta jugoslava fu di estrema freddezza per non dire nettamente negativa circa patto mutua assistenza, cioè in pratica circa ogni estensione di impegni a favore della Cecoslovacchia e quindi a favore sistema franco-sovietico.

(l) -Vedi D. 554. (2) -VPdi D. 553. (3) -Vedi D. 522. (4) -Vedi p. 621, nota l.
565

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A PRETORIA, BORDONARO

T. 5297/60 R. Roma, 10 dicembre 1936, ore 24.

Suo aereo 39 (1).

Mi compiaccio per buono rapporti instaurati fra V. S. e generale Hertzog e confido che essi siano primo passo verso relazioni sempre più intime e cordiali. Incomprensione, ostilità e ingiustificati sospetti di codesta opinione pubblica e stampa verso Italia durante conflitto etiopico debbono lasciar posto a sereno riconoscimento posizione italiana in Africa e necessità d'una sempre più cordiale collaborazione codesta Unione con Impero italiano.

566

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 5300/635 R. Roma, 10 dicembre 1936, ore 24.

Telegramma di V. E. n. 1495 (2).

Concordo con quanto hai detto a Vansittart. Puoi insistere con codesto governo circa precedenza che la trasformazione in consolato generale della ex legazione britannica ad Addis Abeba dovrebbe avere sulla conclusione dell'accordo. È una precedenza logica che dovrebbe essere anche cronologicamente rispettata. Mi sono espresso nello stesso senso con Drummond (3), il quale, senza forse osare di far conoscere il suo pensiero esplicito, mi ha lasciato comprendere che avrebbe lavorato in tal senso (4).

567

PROTOCOLLO PER LA COLLABORAZIONE ECONOMICA ITALO-GERMANICA NEL BACINO DANUBIANO (5)

Il Governo italiano ed il Governo germanico, in esecuzione del par. 8 del Protocollo firmato a Berlino il 23 ottobre 1936 (6), relativo alla collaborazione economica itala-germanica nel bacino danubiano, convengono quanto segue:

A) nessuno dei due Stati entrerà in trattative con uno Stato danubiano circa un accordo preferenziale senza essersi prima consultato con l'altro Stato. Una volta ottenuto l'assenso dell'altro Stato all'accordo concluso, il Governo italiano e quello germanico si assisteranno reciprocamente per ottenere l'assenso di terzi Stati, ove esso sia necessario;

B) i due Governi si consulteranno reciprocamente qualora ritenessero necessario adottare importanti provvedimenti nei riguardi degli Stati danubiani, come, ad esempio, denunzia di Trattati, contromisura a misure di natura politico-commerciale adottate dagli Stati predetti;

C) i due Governi si assisteranno reciprocamente nei riguardi di terzi Stati per quanto concerne la loro cooperazione economica nel bacino danubiano.

In fede di che si è firmato il presente Protocollo. Fatto a Roma, in duplice esemplare, in lingua italiana ed in lingua tedesca, il 10 dicembre 1936 (l).

(l) -Vedi D. 469. (2) -Vedi D. 547. . (3) -Nell'archivio italiano non è stato rintracciato nessun documento su questo colloquw. Dalla documentazione britannica risulta che Ciano ebbe un colloquio con Drummond il 9 dicembre ma il resoconto inviato al Foreign Office dall'ambasciatore (BD, vol. XVII, D. 460) non contiene alcun riferimento alla questione. (4) -Grandi rispose con T. 12125/1511 del 12 dicembre, ore 14,15: «Avendo visto ieri Vansittart, mi sono espresso con lui secondo le istruzioni del tuo telegramma n. 635. Vansittart mi ha assicurato che sta lavorando e lavorerà in tal senso. Poiché domani avrò occasione di incontrare Eden, insisterò ancora con lui nello stesso senso>>. Di questi colloqui non è stata trovata documentazione. (5) -Il testo di questo documento è tratto da una copia non firmata. (6) -Vedi D. 273.
568

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. (2).

. ..

Forma dell'accordo

Nelle intenzioni del governo britannico un eventuale accordo fra l'Italia e l'Inghilterra non dovrebbe assumere il carattere di un trattato, il quale contenesse delle stipulazioni specifiche sulle questioni che interessano i due Paesi, ma dovrebbe consistere in uno scambio di dichiarazioni tra i due governi, fondate sul principio che gli interessi italiani e britannici nel Mediterraneo non sono contrastanti, ma complementari.

Con tali dichiarazioni i due governi prenderebbero degli impegni di carattere generale sotto forma di assicurazioni reciproche sui punti di comune interesse.

Contenuto dell'accordo

Tali assicurazioni reciproche dovrebbero: l) fissare l'impegno dei due governi al rispetto mutuo dello status quo territoriale nel Mediterraneo; 2) escludere qualsiasi stipulazione che possa far sorgere timori e sospetti da parte di qualunque altra Potenza mediterranea.

Osservazioni: il governo britannico non intende evidentemente mettersi sopra una strada che possa portare a quel Patto Mediterraneo proposto lo

scorso ottobre dalla Francia. Esso esclude perciò che l'accordo italo-britannico possa assumere in qualunque modo il carattere di un accordo di mutua garanzia. Un tale accordo implicherebbe l'assunzione da parte dell'Inghilterra di nuovi impegni e a ciò il governo britannico è decisamente contrario. Questo non solo risulta in modo preciso dalle nostre informazioni ma è stato anche esplicitamente riconfermato da Eden nelle recenti dichiarazioni di politica estera (1). D'altra parte, il governo britannico non vuole dare all'intesa con l'Italia· ti.l carattere di un accordo che possa dare occasione ad altri Paesi del Mediterraneo di sentirsi lesi nei loro interessi, e con questo danneggiare i rapporti tra l'Inghilterra e questi Paesi o dare occasione a questi Paesi di chiedere la loro partecipazione all'accordo stesso. Per il governo britannico il gentlemen's agreement deve essere un'intesa a due e non deve avere, né il carattere di un accordo di mutua garanzia, che aprirebbe la strada al Patto Mediterraneo, né un'intesa diretta contro altri Paesi del Mediterraneo, con i quali l'Inghilterra vuole mantenere rapporti indipendenti.

Non vi è nulla tra le nostre informazioni che induca a credere che il governo britannico intenda suggerirei un impegno di carattere negativo per quello che riguarda i nostri rapporti con gli altri Stati mediterranei. Lo spirito gentlemen's agreement dovrebbe naturalmente escludere· accordi tra l'Inghilterra e altri Paesi diretti contro l'Italia, o accordi tra noi e altri Paesi diretti contro l'Inghilterra ma non sembra essere nell'intenzioni del governo britannico di giungere a una tale specificazione nelle assicurazioni reciproche che i due governi dovrebbero scambiarsi.

Conseguenze dell'accordo

Era nelle intenzioni originarie del governo britannico di includere nell'accordo una clausola relativa all'adesione dell'Italia alla Convenzione di Montreux e una clausola relativa all'adesione dell'Italia al trattato navale concluso a Londra nel marzo di quest'anno (3). Risulterebbe ora che tale intenzione è stata abbandonata. Queste due questioni verrebbero trattate a parte, e il governo britannico pensa che l'adesione alla Convenzione di Montreux e al Trattato Navale potrebbe essere data spontaneamente dall'Italia, subito dopo concluso il gentlemen's agreement.

Osservazioni: Non si vede per quale ragione noi dovremmo discutere con l'Inghilterra la nostra adesione alla Convenzione di Montreux, che dovrebbe, se mai, formare oggetto di conversazione tra noi e la Turchia. Si potrebbe al più informare l'Inghilterra che saremmo disposti ad intenderei con Ankara su questo punto, fermo restando il punto che la nostra adesione rientri nel quadro dei rapporti italo-turchi e non dei rapporti itala-britannici.

Il governo britannico potrebbe tentare di discutere con noi della nostra eventuale adesione alla Convenzione di Montreux, in sede di definizione dello status quo mediterraneo. Nel concetto di status quo a noi conviene notevol

mente includere anche il rispetto delle convenzioni internazionali vigenti e dello statuto giuridico dei territori mediterranei perché questo ci giova nei riguardi tanto di Suez che dei territori sotto mandato; ma nel caso specifico della Convenzione di Montreux noi possiamo far osservare agli inglesi che lo status quo nei nostri riguardi non esiste, ed esisterà solo quando avremo aderito alla Convenzione. Il che dipende dai nostri rapporti con la Turchia. In ogni modo quello che dovremo evitare è che la nostra adesione

.

alla Convenzione di Montreux passi per Londra.

Per quanto riguarda il trattato navale di Londra, vi è da osservare che questo trattato non è stato ancora ratificato né dalla Francia, né dall'Inghilterra la quale, prima di ratificarlo, attende di aver raggiunto l'accordo con la Germania e con l'U.R.S.S. Il ministro della Marina ha dato tempo fa parere favorevole alla nostra adesione. Si potrebbe riprendere in esame il problema. Intanto, se Drummond solleva la questione della nostra adesione, sembra giustificato domandargli quali sono le intenzioni inglesi circa la ratifica e quali risultano al governo britannico essere le intenzioni della Francia. Si potrebbe eventualmente !asciargli intendere che, qualora il Trattato di Londra venisse effettivamente ratificato da quelli che sono attualmente i suoi firmatari, noi potremmo aderirvi, e per il momento potremmo intanto assicurare all'Inghilterra che nel fissare le caratteristiche delle nostre nuove navi non ci dipartiremmo dalle norme del trattato. Questo è quello che ha fatto il Giappone.

Il trattato navale di Londra (1936) comporta come è noto, solo degli impegni di carattere qualitativo, per quello che riguarda la caratteristica delle navi, ma nessun impegno circa il numero delle navi, salvo quello di informare gli altri governi dei programmi di costruzione. Dalle informazioni che abbiamo risulta che il governo britannico non intende per ora venire con noi ad un accordo quantitativo e questo è anche quello che noi desideriamo. Sembra perciò da escludersi che la questione quantitativa verrà sollevata.

Lo stesso dicasi per le fortificazioni. II governo britannico non intende assumere impegni, né a noi conviene entrare in negoziati su questo terreno che ci porterebbe fatalmente a discutere gli armamenti navali dei due Paesi, mentre noi intendiamo riservarci assoluta libertà di azione.

Riconoscimento dell'impero

Dalle informazioni che noi abbiamo risulta che il governo britannico non considera come possibile far rientrare nel gentlemen's agreement il riconoscimento della nostra sovranità sull'Etiopia. Esso considera il gentlemen's agreement come destinato a preparare le condizioni politiche che permettano più tardi al governo britannico di riconoscere il fatto compiuto della nostra conquista. A questo riconoscimento britannico intenderebbe prepararsi lentamente, con una serie di misure, che a poco a poco facessero coincidere la situazione di diritto con la situazione di fatto.

Collaborazione dell'Italia nella S.d.N.

In un primo momento sembrava che il governo britannico intendesse sollevare in sede di convenzione per il gentlemen's agreement anche la questione della collaborazione dell'Italia nella S.d.N. Ora è da ritenersi che esso abbia desistito da questo proposito. Sembra che esso ritenga che la collaborazione dell'Italia nella S.d.N. sia legata al problema del riconoscimento dell'Impero da parte della maggioranza degli Stati membri.

Conclusione dell'accordo

L'accordo dovrebbe essere concluso nella forma di un processo verbale da sottoscriversi a Londra fra il conte Ciano e il signor Eden. Tale processo verbale dovrebbe essenzialmente consistere, secondo gli inglesi, di una dichiarazione comune dei due governi di rispetto dello status quo e dei mutui interessi nel Mediterraneo.

(l) -Lo stesso giorno. furono sottoscritti altri dodici accordi commerciali tra il governo italiano e quello germanico (vedi DDT, serie C, vol. VI, D. 86, nota 4). (2) -L'appunto è senza data. È presumibile che sia stato redatto nella prima metà di dicembre. (l) -Si riferisce, probabilmente, alle dichiarazioni di Eden alla Camera dei Comuni del 2 dicembre. Eden aveva ribadito che in nuovo Trattato di Locarno, il governo britannico intendeva assumere soltanto degli impegni il più possibile simili a quelli che la Gran Bretagna aveva assunto nel 1925. (2) -Vedi p. 359, nota 3.
569

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. RR. 2262/670. Lisbona, 10 dicembre 1936 (per. il 13).

Ho l'onore di riferirmi al mio rapporto n. 1862/538 del 2 ottobre u.s. (l) e di far seguito alle mie segnalazioni telegrafiche dei giorni scorsi (2).

La situazione e l'attitudine attuali del Portogallo, dominato più che mai dall'alterna vicenda del conflitto in Spagna, è caratteristicamente di disorientamento, di incertezza e di apprensione, che conducono ad una indecisione sotto alcuni aspetti, particolarmente se si tiene conto dell'enorme maggioranza dell'opinione pubblica, quasi paradossale.

Credo che valga oggi la pena di fare il punto, per quanto possibile della situazione. E' superfluo insistere, se non come punto di partenza, sulla solidarietà del governo e della maggior parte dell'opinione pubblica alla causa del generale Franco. Essa doveva portare, come portò, ad un conflitto più o meno soffocato con la «grande alleata » l'Inghilterra. Tanto più drammatico, in quanto la minaccia comunista è in atto all'interno e all'esterno per il Portogallo. Il primo ministro Salazar mi ha detto con un'amarezza di cui nulla potrebbe riprodurre l'accento: «I nostri amici inglesi -quelli di Londra, non quelli che vivono in Portogallo -non vogliono ammettere la minaccia comunista, né per sé, né, sopratutto, per gli altri». Ad ogni modo, per la cronistoria, il Portogallo, dopo aver resistito sinché poteva, dovette accettare di far parte del Comitato di Londra. Fu l'ultimo negoziato del ministro degli Affari Esteri Monteiro, negoziato condotto con Eden a Ginevra, Salazar assente. La situazione interna di questo Paese è ben nota a V. E., Salazar deve sopportare i militari e la popolarità del presidente Carmona visto che non ha base politica, né sembra aver stoffa per crearsela. La sopportazione è, per meglio dire, reciproca. Ma Salazar non è disposto a tollerare altre stelle di prima

45 --Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

grandezza. E Monteiro ha un certo suo seguito del vecchio tipo democraticoparlamentare, nonché una poco accomodante tendenza a seguire una propria politica estera la quale è essenzialmente anglofila. Quando si parla d'influenza inglese e di anglofilia in questo Paese, occorre innanzi tutto tener presente la situazione di fatto. Vi è innanzi tutto la secolare alleanza, e non si tratta soltanto di una tradizione. Il Portogallo ha non un impero coloniale -che la frase sarebbe assolutamente impropria anche se adoperata dai portoghesi -ma possedimenti coloniali per un'estensione di chilometri quadrati 2.094.800 con una popolazione di 8.245.000 in confronto ad una superficie ed una popolazione metropolitane, comprese Madera e le Azzorre, di rispettivamente chilometri quadrati 91.800 e abitanti 6.826.000. Il malgoverno delle colonie portoghesi è cosa troppo nota perché occorra insistervi. Ad ogni modo per assicurarne il possesso il Portogallo ha un esercito di circa 27.000 uomini in tempo di pace, che si calcola possano arrivare a 300.000 in tempo di guerra. Di navi da guerra efficienti ha 5 cacciatorpediniere, 3 sommergibili e 4 cannoniere. Due caccia sono in riparazione dopo i fatti dell'8 settembre (1). Inoltre ha circa altre dieci unità di antica data e prive di efficienza bellica. In fatto di aviazione possiede attualmente circa una trentina di apparecchi vari, più o meno in linea, quasi tutti di tipo antiquato, tranne una squadriglia di idrovolanti Blackburn monomotori. Com'è noto, ha comperato in questi giorni 10 apparecchi Junkers da bombardamento ed altri 10 si propone di comprarne, odi questo ed altro tipo, ed una commissione è partita per visitare vari Paesi produttori di apparecchi da caccia tra cui l'Italia. L'allenamento del personale è minimo, sia qualitativamente che numericamente. Ciò non toglie che questo Paese, come altri nelle stesse condizioni, aspiri ad avere gli apparecchi più moderni e più veloci, senza possedere, né i piloti adatti, né le scuole per allenarli. Quanto al traffico mercantile con le colonie, vi sono due sole Compagnie nazionali che vi partecipano con una flotta antiquata. In queste condizioni, è sull'Inghilterra che il Portogallo si appoggia ed è l'Inghilterra che materialmente assicura il possesso delle colonie e i traffici con ~Ciò non manca d'inconvenienti. Tra l'altro si va facendo sempre maggiormente strada tra i portoghesi il drammatico timore che l'Inghilterra, se dovrà cedere alle aspirazioni coloniali della Germania o di altri, negozierà sulla pelle altrui come di solito, e cioè cederà molto a malincuore... le colonie portoghesi. Ad ogni modo la grande alleata, come contropartita, possiede in Portogallo la maggiore e migliore parte delle imprese commerciali, industriali e di trasporto. Quasi senza eccezioni ferrovie, telegrafi, telefoni, sono inglesi. Ciò ha dato modo, fra l'altro, d'impiantare qui uno dei settori meglio organizzati dell'Intelligence Service, di cui va rilevata, specie in questi tempi la efficienza. Quelli che descrivono concisamente la situazione dicendo che il Portogallo è «una colonia inglese » non sono invero lontani dalla realtà. Ma se l'Inghilterra è qui potente e influente, è ben lungi dall'essere popolareo amata. Tra quelli che passano per amarla poco vi è il primo ministro Salazar. Nel drammatico dissidio sorto con la situazione spagnuola, Salazar ha stretto

i t~mpi come poteva. Ha pubblicato chiari moniti ma successivamente anche blandizie per la «grande alleata». Non riuscendo ad ottenere soddisfazione dal governo di Madrid per le violazioni di frontiera (1), si è rivolto a quello di Burgos, che gliele ha subito accordate (2). Ha fatto pubblicare -anche se molto in ritardo -tali note e poi quelle di risposta alle accuse sovietiche a Londra (3). Cogliendo l'occasione degli incidenti di Tarragona (4) ha rotto i rapporti con il governo di Madrid. Immediatamente dopo quest'atto Salazar assumeva l'interim del ministero degli Affari Esteri. Pretesto ne fu una malattia di Monteiro, che in pochi giorni guarì e fu destinato come ambasciatore a Londra. Potrebbero essere dati su tale sostituzione particolari non privi di sapore, se il loro interesse non fosse troppo locale.

Il momento della rottura delle relazioni con il governo di Madrid (5) segnò la fase più drammatica anche nei rapporti con l'Inghilterra. Sembrava che il Portogallo dovesse da un momento all'altro riconoscere il governo Nazionale. La pressione inglese si sviluppò allora in tutto il suo peso, e vi fu una frizione, forse la prima in molti anni, di cui poterono essere osservate anche manifestazioni esteriori. Il Portogallo esitò. Improvvisamente avvenne il riconoscimento nostro e quello tedesco. Nonostante tale esempio, nonostante la decisa azione nostra e tedesca, esita ancora. Ho avuto l'onore di riferire a V. E. le varie fasi e le ragioni datemi anche dallo stesso primo ministro. Esse possono essere così riassunte: nella sua particolare posizione il Portogallo deve attendere un fatto nuovo. La presa di Madrid costituirebbe tale fatto nuovo. Se la caduta della città dovesse ritardare il Portogallo studierebbe il modo di seguire l'esempio italiano e tedesco. Altro elemento, detto confidenzialmente da Salazar, è costituito dalle sue trattative per indurre al riconoscimento alcuni Stati sud americani.

Ma la situazione comporta anche altri elementi, alcuni per cosi dire esteriori, ed altri più profondi. Ai portoghesi non ha fatto certo alcun piacere di essere stati preceduti. Questo elemento ha almeno un valore di concomitanza dato il carattere così suscettibile di questa gente. Inoltre in tutto l'atteggiamento portoghese, l'andamento delle operazioni militari in Spagna ha un caratteristico valore. La resistenza alla pressione inglese è in diretto rapporto al successo di tali operazioni da parte dei nazionali. Sinché tutto andava bene, il Portogallo aveva poche· esitazioni. Da quando è cresciuta la resistenza dei rossi, e da quando si prolungano le operazioni per la presa di Madrid, la pressione inglese è assai più efficace. Negli ultimi tempi vi sono state anche alcune manifestazioni dei nazionali poco abili nei riguardi del Portogallo. Alcune pubblcazioni falangiste hanno parlato di Impero iberico, di Spagna totalitaria nei riguardi della penisola, ecc. E' un punto al quale i portoghesi sono estremamente sensibili. L'introduzione di tali pubblicazioni è stata rigorosamente proibita in Portogallo. Ma vi è un altro elemento di notevole importanza. Persona degna di fiducia e assai vicina al governo, mi ha in questi

giorni confidenzialmente assicurato che sin dal primo momento Salazar chiese all'Inghilterra la garanzia dell'integrità territoriale sia per il Portogallo che per le colonie. Tale garanzia non sarebbe stata esplicitamente negata ma neppure sinora concessa. L'Inghilterra se ne servirebbe come di una leva continua per agire su questo Paese. Data la fonte e la situazione, l'informazione ha tutta l'aria di rispondere a verità. In ogni caso, di fatto, l'innegabile tendenza attuale portoghese di porsi a fianco dell'Italia e della Germania comporta, schematicamente, la risposta a questo quesito: come sarebbero garantiti il territorio nazionale e le colonie?

Il contrasto tra la perplessità del governo e la decisa attitudine e l'ansiosa aspettativa dell'opinione pubblica è netto e stridente. Nei nostri riguardi specie dopo il riconoscimento, l'entusiasmo è generale e profondo. Ogni occasione viene cercata per acclamare l'Italia fascista. L'anno scorso, in questo Paese che fu spiccatamente societario e sanzionista, i nostri corsi d'italiano nelle varie università, centri particolarmente sensibili alla propaganda sovversiva, si iniziarono tra grida ostili. Quest'anno sono stati inaugurati in una atmosfera di prorompente entusiasmo, tra applausi scroscianti, mentre gli studenti salutavano romanamente e gridavano: Viva Mussolini! Viva l'Impero italiano! Abbasso il comunismo! Nei riguardi della causa nazionale spagnuola la solidarietà è completa e si manifesta spiritualmente e materialmente. I giornali pubblicano cautamente solo sottoscrizioni per la Croce Rossa e per i profughi. Ma è noto che soccorsi di ogni genere partono continuamente. La settimana scorsa il Radio Club portoghese ha egregiamente organizzato con comitati provinciali in tutto il paese una raccolta di viveri, indumenti, medicinali, ecc. E' partito per la Spagna un convoglio di 400 autocarri condotti da volontari, tra cui figuravano persone d'ogni categoria, dalle più umili a molte notissime. Caratteristica è stata la partecipazione di elementi monarchici. Tra gli autisti vi erano persone appartenenti alle più antiche famiglie portoghesi. Tra gli altri il marchese di Cavadal, figlio di un'italiana e sposato a un'italiana.

Nella mia conversazione con il signor Salazar non ho mancato di rilevare la decisa attitudine dell'opinione pubblica. Ha dovuto ammetterla, anche se nell'attuale sua perplessità non è la cosa che gli faccia più comodo. Altra parte caratteristica della conversazione con il primo ministro è stata la sua decisa critica della S.d.N. «ormai in mano ai sovieti ». Mi ha detto fra l'altro che si pentiva amaramente di aver ceduto al momento dell'ammissione dell'U.R.S.S. nella S.d.N., e di aver lasciato che il Portogallo si astenesse, invece di votare contro nel Consiglio.

Ho già avuto l'onore di riferire circa l'attuale situazione in Spagna, vista di qui. E' innegabile che di fronte alla dura resistenza dei rossi, al prolungarsi delle operazioni dinnanzi a Madrid, questo Paese passa il peggiore momento di depressione. Un errore fu certo commesso dalla stampa che prospettò nel suo entusiasmo ogni cosa come facile e non preparò l'opinione pubblica alla realtà di una campagna lunga e dura. Vi si va ora adattando e, se rimane inflessibile nella sua adesione alla causa del generale Franco, giudica però apertamente alcuni dei lati difficili della situazione. Tra l'altro, come ho avuto già l'onore di segnalare, è ormai anche troppo diffusa la convinzione che la

combattività degli spagnuoli è scarsa e che, mentre il generale Franco manca

di effettivi adeguati in linea, nel territorio occupato vi sono troppi uomini

validi che non si arruolano e nelle retrovie troppi uomini in uniforme che non

sono al fronte. I portoghesi sono anche troppo proclivi a giudicare gli spagnuoli

senza benevolenza. E' un sentimento secolare ed è ampiamente ricambiato.

Non perdono quest'occasione.

Tali sono attualmente gli elementi principali della situazione nell'attitudine portoghese, che si riassumono nella perplessità del governo, in netto contrasto con la decisa tendenza della maggioranza dell'opinione pubblica (1).

(l) -Non rinvenuto. (2) -Vedi D. 536. Successivamente il ministro Mameli aveva riferito che il segretario generale del ministero degli esteri portoghese gli aveva dichiarato di considerare inutile una nuova dichiarazione di non intervento negli affari spagnoli, cosi come era stata suggerita dai governi francese e britannico nella loro nota del 4 dicembre. e destinato al fallimento qualsiasitentativo di mediazione (T. 12007/197 del 9 dicembre. ore 13,55).

(l) Vedi p. 51, nota 3.

(l) -Vedi p. 307, nota l. (2) -Vedi p. 307, nota 2. (3) -Vedi p. 308, nota l. (4) -Vedi D. 269. (5) -Il 23 ottobre. Vedi p. 343, nota 2.
570

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12089/263 R. Tokio, 11 dicembre 1936, ore 8,35 (per. ore 17,10).

Mio telegramma n. 253 del 3 corrente (2).

Avvenimenti sopraggiunti (3) hanno tolto valore alle proposte fatteci. Si era già decisa formazione di una nuova Società itala-giapponese nonché eventuale istituzione due Case itala-giapponesi a Roma ed a Tokio; donazione Okura e la venuta di Tucci è presumibile consolideranno e svilupperanno questo progetto. Trattative per accordi economici sono già in corso fra le nostre autorità competenti e Sugimura. Infine, accordo nipponico-tedesco, indipendentemente dal fatto che esso risulterebbe aperto all'adesione altri Stati, rende possibile intesa anticomunista anche senza formale stipulazione, dati preesistenti rapporti con Berlino, nonché quelli ormai da noi stabiliti anche con Tokio.

Altro scopo però potrebbe avere una qualche speciale nostra intesa col Giappone. La cosa è studiata da questi ufficiali di Stato Maggiore del ministero della Guerra con cui continuo mantenere indiretti contatti e sarà oggetto delle mie comunicazioni con V. E. se e quando prenderà forma di proposte concrete.

571.

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. U. PER CORRIERE 12073/161 R. Roma, 11 dicembre 1936, ore 13,35 (per. stesso giorno).

II mio collega di Francia ha consegnato ieri al cardinale Segretario di Stato la comunicazione fatta da qualche giorno ad alcuni governi circa il non intervento e una possibile mediazione (l), negli affari di Spagna. Il cardinale Pacelli ha dato all'ambasciatore una risposta generica, affermando che la Santa Sede vede con estremo favore tutto quello che può essere fatto per mettere fine alla guerra civile spagnuola. II porporato ha dichiarato nello stesso tempo che il non intervento dovrebbe essere rispettato rigorosamente da tutti. II cardinale ha osservato che nei territori occupati dai governativi è· fatta, ai cattolici in genere e ai sacerdoti e religiosi in ispecie, una posizione intollerabile. Egli ha parlato anche di restituzione dei beni della Chiesa.

II Segretario di Stato mi ha informato poi confidenzialmente che il cardinale di Toledo, giunto a Roma in questi giorni dalla Spagna, gli ha detto che, se cessassero gli aiuti ai rossi, il generale Franco, anche se abbandonato alle sole sue forze, avrebbe ragione rapidamente dei rivoluzionari.

Il cardinale Pacelli mi ha domandato infine se potevo informarlo, in via confidenziale, per suo orientamento, della risposta che V. E. progetta di dare alla comunicazione francese. Ho detto di ignorarlo. Egli mi ha pregato di fargli sapere qualcosa al più presto, perché la Santa Sede deve riscontrare la comunicazione dell'ambasciatore di Francia e desidererebbe sapere prima, per sua norma, quello che abbiamo risposto o risponderemo noi.

(l) -Questo documento ha il visto di Mussolini. Con telespresso U.S. 248 del 22 dicembre. Ciano comunicava al ministro Mameli: «Rapporto V. S. n. 2262/670 del lO corrente. Ho presovisione con interesse del Suo rapporto !n riferimento. Nei Suoi contatti con il sig. Salazar non s! stanchi di insistere sulla necessità che il Portogallo, pur astenendosi dal partecipare alle operazioni militari, continui a prestare assistenza, nelle forme più efficaci, al governo di Franco al fine di sostenere la resistenza delle popolazioni con l'invio d\ viveri, di medicinali e d'ogni genere di soccorso. Nessun Paese come il Portogallo è in grado di esplicare piùfacilmente ed efficacemente un'azione del genere che ha un'importanza primordiale ». (2) -Vedi D. 533. (3) -Si riferisce all'attacco lanciato da forze mongole appoggiate dal giapponesi nella provincia di Sui-yiian. L'ambasciatore Aurlti aveva telegrafato che l'attacco era stato voluto dagli ufficiali giapponesi in Manc!uria che avevano agito senza informare il ministero degli Esteri e, almeno all'inizio, senza nemmeno il consenso del ministero della Guerra (T. 11979/258 R. dell'8 dicembre, ore 12).
572

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 12101/576 R. Berlino, 11 dicembre 1936, ore 19,15 (per. ore 21,35).

Qualche giorno fa ambasciatore S.U.A. a Berlino è andato a vedere Dieckhoff per domandargli cosa gli risultasse in merito ad una notizia pervenuta a Washington «così da Roma come dall'America del Sud», secondo la quale Italia avrebbe concluso con Spagna un «trattato segreto», la cui portata sarebbe più o meno quello di « albanizzare (sic) la Spagna ». Sempre secondo ambasciatore Dodd, questa notizia avrebbe suscitato in tutta l'America Latina, sentimentalmente interessata alle sorti dell'antica Madre Patria, le più serie apprensioni, tanto che parecchi Paesi, prima decisi riconoscere Franco, ne avrebbero poi abbandonato l'idea.

Segretario generale si è naturalmente affrettato a smentire recisamente, per quanto era in lui, la notizia. Mi permetto peraltro richiamare sulla cosa particolare attenzione dell'E. V. anche perché essa potrebbe, in sede di Conferenza panamericana, essere abilmente sfruttata a scopi e in direzione antitaliana e sopratutto antifascista (l).

(l) Vedi D. 544.

573

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UU. RR. 12111/742 R. Parigi, 11 dicembre 1936, ore 20,05 (per. ore 24).

Con riferimento ai miei telegrammi relativi ai colloqui avuti con Delbos e Léger (2) credo necessario far rilevare a V. E. che la grande importanza che qui si attribuisce almeno ad un successo apparente della iniziativa francoinglese va sopratutto ricercato in ragioni di politica interna. Sabato scorso il ministero si trovava in condizioni molto precarie. Astensione dal voto dei comunisti poteva infatti preludere ad atteggiamento loro decisamente contrario al governo. Poiché essi agiscono sempre ed unicamente per istruzioni ricevute da Mosca, Blum si preoccupò di agire da un Iato in modo da non dispiacere al Kremlino, dall'altro in modo da mostrare che avrebbe potuto reggersi al potere anche senza appoggio dei comunisti dando un colpo deciso di timone a destra ed ottenendo così appoggio dei gruppi liberi dissidenti del centro (Flandin, Pau! Reynaud, Mandel). Donde iniziativa di Blum e Delbos accolta da Londra e presentata come proposta franco-inglese.

Le premure di Blum di farmi sapere le sue migliori disposizioni verso Italia mi apparvero sintomatiche. Sapevo infatti che nei circoli radico-socialisti si era andato acuendo negli ultimi tempi, in base ad una continua e persuasiva opera compiuta con la massima discrezione direttamente e indirettamente, il convincimento che i rapporti con Italia dovevano ritornare ad essere non solo normali ma amichevoli e fiduciosi. Profittando del timore molto diffuso di nuove aggressioni germaniche, l'azione svolta e che continua a svolgersi sui radico-socialisti, che sono tuttora, nonostante gli imperdonabili errori commessi, il partito che ha le radici più forti e che guiderà

Da Salamanca, De Ciutiis rispondeva di essere stato assicurato «nel modo più assoluto» che il segreto era mantenuto strettamente e che il protocollo era conosciuto soltanto da cinque persone (T. 12254/43 R. del 16 gennaio, ore 21,35).

A sua volta, l'incaricato d'affari a Buenos Aires, Rulli, smentiva che in quegli ambienti circolasse la voce di un trattato segreto tra Roma e Burgos (T. 12186/323 R. del 14 dicembre, ore 1,13).

anche in avvenire i destini della Francia, consiste nel valorizzare apporto materiale e morale immenso, anzi decisivo, che costituirebbe Italia.

Blum dovette rendersi conto rapidamente degli umori dei radico-socialisti e col suo innegabile intuito politico realizzò che secondando i loro sentimenti italofili avrebbe potuto cattivarsi appoggio anche di quel partito. Donde suo presente desiderio di poter contare sull'adesione dell'Italia alla azione proposta circa Spagna e la mano libera accordata (1).

L'ho ringraziato nel modo più amichevole. Esperienza insegna che sarà bene attendere per giudicare dai fatti. Ad ogni modo non vedo per quale motivo dovremmo a priori escludere che questi sentimenti b_enevoli possano concretarsi.

Nella mia conversazione del 9 corrente con Delbos (2), gli ho fatto quadro completo di quanto ci aspettiamo dalla Francia.

Léger, resone edotto da Delbos stesso, mi disse che Blum, informato subito dal ministro degli Affari Esteri (e la premura del passo è di per sé un sintomo importante), diede istruzioni di venire incontro all'Italia. Per farlo occorrerebbe peraltro che passo franco-britannico fosse da noi considerato con benevolenza che potrebbe anche non implicare una adesione sostanziale. In Francia ci si contenta sovente dell'apparenza sopratutto quando essa favorisce soluzione di situazioni parlamentari.

Pubblicazione fatta dal Messaggero (3) e che oggi viene commentata da tutta la stampa francese, può lasciare credere che il governo fascista preferirebbe caduta del Gabinetto di Fronte Popolare, e che intende in ogni caso non secondare continuazione della politica di ipocrisia inaugurata da Blum e Delbos nell'agosto scorso e perfezionata con recente proposta. Poiché qualsiasi altro Gabinetto francese non potrebbe modificare di molto politica della neutralità verso Spagna, è bene tenere presente che un atteggiamento di decisa ripulsione dell'Italia sarebbe malamente accolto da tutti i partiti, anche da quella parte notevole di francesi che rappresentando il « Paese reale » continua ad essere decisamente amica nostra.

(l) Il testo di questo telegramma era r!trasmesso a Salamanca con la seguente aggiunta di Ciano: «Non riesco a rendermi conto come sia stata diffusa notizia del trattato segreto. Poiché segreto è stato custodito qui nel modo più assoluto, è indispensabile che anche costì -se già non è stato fatto -si provveda per assicurare la massima discrezione. E ciò nell"interesse comune ma anzitutto spagnolo. Telegrafo in data odierna alla R. Ambasciata a Buenos Aires perché controlli notizia e riferisca (T. per telefono 5352/333 R. del 13 dicembre, ore 24).

(2) Vedi DD. 555, 561, 562 e 563.

574

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UU. RR. 12097/743 R. Parigi, 11 dicembre 1936, ore 19,35 (per. ore 21,30).

Avendo ben meditato quanto mi disse ieri Léger (4), mi sembra che noi non perderemmo nulla a consentire che la Francia considerasse come riconoscimento di fatto della nostra posizione in Etiopia due atti giuridici formali ed importantissimi, quali la trasformazione della legazione in consolato gene

rale e la richiesta dell'exequatur per il titolare di quest'ultimo. Potremmo da parte nostra considerarli come riconoscimento di diritto della nostra sovranità ed a cose fatte agire opportunamente sopra opinione pubblica e stampa francese amica, perché ponga in rilievo importanza degli atti compiuti dal governo francese, sostenendo trattarsi di vero e proprio riconoscimento di diritto, ancorché Quai d'Orsay non lo voglia ammettere.

(l) -S!c. (2) -Vedi D. 555. (3) -Vedi p. 612, nota 4. (4) -Vedi D. 563.
575

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12113/187 R. Bucarest, 11 dicembre 1936, ore 21 (per. ore 23,05).

Ministro degli Affari Esteri, Antonescu, ha mantenuto parola datami (l), leggendo stasera alla Camera le sue dichiarazioni sull'Italia nel preciso testo concordato con me fin dall'altra sera. Le dichiarazioni d'Antonescu hanno suscitato molta emozione in questi circoli politici, anche perché era prima volta che il governo romeno si manifestava pubblicamente dopo il discorso di Milano. Il discorso di Antonescu è unanimamente commentato come una precisa indicazione della volontà del governo romeno di cercare un punto di contatto con Roma.

576

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12168/0110 R. Belgrado, 11 dicembre 1936 (per. il 14).

Riferimento al telegramma n. 5277/C del 9 corrente (2).

Segnalazione analoga è stata fatta, da Vienna a questo mio collega d'Austria, come a ministro d'Austria a Bucarest (rapporto Sola 23 novembr~) (3). Da indagini finora da me compiute, che mi riservo peraltro di approfondire, risulterebbe che effettivamente iniziativa franco-cecoslovacca per patto mutua assistenza da valere in ogni evenienza, avrebbe avuto, almeno fino a questo momento, accoglienze assai tiepide a Belgrado. È del resto, ben naturale che questo Paese, che travasi, nel momento, in situazione politica internazionale di particolare favore e che ha avuto costantemente tendenza ad agire singolarmente, rifugga dall'assumere legami che vincolerebbero la sua libertà di utilizzare con profitto le possibilità che gli si offrono nei settori con cui è in contatto. Mi risulta che in tal senso questo mio collega d'Austria si sarebbe espresso a Vienna.

Effettivamente azione francese si è, negli ultimi tempi, particolarmente intensificata e con mezzi leciti ed illeciti, sopratutto in vista di una eventuale sistemazione delle relazioni italo-jugoslave. Ultima manifestazione è stata l'invio a Belgrado, col pretesto della firma del recentissimo accordo commerciale, del ministro del Commercio Paul Bastid. L'E. V. rileverà dai brindisi scambiati fra Pau! Bastid e Stojadinovic il 9 corrente -il cui testo invio a parte come questo presidente del Consiglio sia stato singolarmente più prudente dell'ospite.

(l) -Vedi D. 553. (2) -Vedi D. 554. (3) -Non rinvenuto.
577

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12169/089 R. Bruxelles, 11 dicembre 1936 (per. il 14).

I giornali hanno pubblicato senza rilievo interrogazione svolta da deputato Mander ai Comuni il 9 corrente. Il signor Eden ha risposto non essere esatto che van Zeeland nel suo discorso del 2 corrente (l) abbia dichiarato che il Belgio resterebbe neutrale se la Gran Bretagna e altri Paesi venissero attaccati. Al contrario, van Zeeland ha riconfermato, ha detto Eden, la fedeltà del suo Paese ai suoi impegni tanto per quanto riguarda gli accordi con la Francia e l'Inghilterra, quanto per ciò che concerne il Covenant.

Faccio presente che la risposta del signor Eden è formalmente esatta, ma non risponde alla sostanza della situazione presente. II governo belga ha infatti dichiarato di voler mantenere fede agli impegni sottoscritti a Londra nel marzo scorso (2), come ai suoi obblighi societari; ma d'altra parte è ben noto -come ho riferito con mio telegramma n. 222 (3) e più particolareggiatamente con i miei rapporti nn. 1198 e 1231 del 27 novembre e del 4 corrente (4) -che esso ha al tempo stesso esplicitamente dichiarato che gli accordi di Londra, mentre pendono le trattative per il nuovo Locarno, non possono avere per il Belgio che un valore del tutto provvisorio. È del pari noto che il Belgio si rifiuta ad ogni prestazione di garanzia reciproca, sia verso l'Inghilterra che verso la Francia. Lo ha anche formalmente dichiarato per iscritto (5) nelle sue risposte alle note britanniche circa la sicurezza occidentale

Per quanto poi riguarda Ginevra, il Belgio pone delle riserve e condizioni così precise che, quali che saranno per essere gli sviluppi futuri, pongono fin d'ora una pregiudiziale !imitatrice alla portata degli obblighi derivanti dal Covenant.

(l) -Vedi D. 538. (2) -Vedi p. 274, nota 3. (3) -Vedi D. 525. (4) -Vedi DD. 478 e 515 che sono, però, rispettivamente del 25 e 30 novembre. (5) -Si veda DDB, vol. IV, D. 152.
578

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5074/1702. Berlino, 11 dicembre 1936 (per. il 15).

Il Temps del 9 corrente, ha pubblicato la notizia seguente: « L'Allemagne donnera-t-elle à la Belgique toute garantie contre une agression non provoquée? Sous le titre «La chance de Hitler», le Star écrit: Il est possible que Hitler cause une nouvelle surprise à l'Europe. Cette fois la surprise aurait plutòt un caractère diplomatique que militaire. La Grande-Bretagne et la France ayant maintenant donné à la Belgique une garantie contre toute agression non provoquée, il se pourrait que l'Allemagne donne à la Belgique une ·garantie parallèle sans attendre la conclusion d'un nouveau pacte de Locarno.

Une telle décision par le gouvernement de Berlin serait, contrairement à l'habitude, adroite et astucieuse. La Belgique, qui désire etre garantie par tous les pays voisins et non par un ou deux seulement d'entre eux, s'en montrerait reconnaissante ».

Ho domandato a Dieckhoff se e cosa vi fosse di vero in questa notizia. Dieckhoff mi ha detto di non saperne «assolutamente» niente. La stessa risposta ha dato -secondo quanto mi risulta -al ministro Davignon. Io ho peraltro insistito, mostrando di essere al corrente dei tentativi Ribbentrop per un patto bilaterale di non aggressione col Belgio. Anche dopo questo, tuttavia, Dieckhoff mi ha risposto che non vede come la questione possa divenire di attualità, almeno fin quando non sia esaurita ogni e qualunque possibilità di concludere un accordo 'Iocarniano.

Parlando della cosa anche col ministro Davignon, questi mi ha detto che, anche da parte di Goring, si sarebbe propensi ad una sistemazione bilaterale dei rapporti germano-belga. Secondo Goring, la Germania nazista non commetterà mai la «bestialità» commessa contro il Belgio nel 1914 dalla Germania imperiale. Lo stesso Davignon ritiene peraltro che il momento per una soluzione bilaterale dei rapporti belga-tedeschi potrebbe, secondo l'idea di Dieckhoff, presentarsi solo dopo il fallimento della negoziazione per un accordo locarniano. Un siffatto momento sarebbe opportuno anche dal punto di vista belga in quanto Bruxelles potrebbe profittarne per dichiarare la decadenza degli «impegni del 19 marzo» (1), impegni che il Belgio intende rispettare ma a cui è deciso di mantenere carattere «provvisorio», essendo essi oramai incompatibili con la nuova politica di neutralità proclamata dal Re.

Giacché sono a parlare delle relazioni germano-belghe dirò pure risultarmi che, come segno della mutata atmosfera fra i due Paesi, sono state date istruzioni da Goebbels perché dalla stampa tedesca sia smessa ogni tirata ·sopra Eupen e Malmedy.

579.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. RR. 5324/262 R. Roma, 12 dicembre 1936, ore 1.

Telegramma di V. E. n. 334 (1).

R. Governo non ha finora preso in considerazione eventualità di procedere al riconoscimento formale del Manciukuò. R. Governo ha deciso di istituire un R. consolato in Mukden allo scopo di assicurare ai nostri interessi in quella. zona la stessa adeguata protezione di cui già godevano interessi di altre Potenze. Se per tale istituzione è stata necessaria una presa di contatto col governo mancese, ciò non ha tuttavia modificato nostro ben noto atteggiamento verso la Cina. Anzi, intesa stabilitasi fra Italia e Giappone potrà in definitiva tornare utile alla stessa Cina in quanto contribuisce ad allontanare dall'Estremo Oriente pericolo comunista alla cui minaccia Cina non può rimanere indifferente.

Quanto precede per norma di V. E. e con preghiera darne comunicazione riservata anche al comandante Scaroni con riferimento al suo telegramma 150 diretto ministero Aeronautica (2).

580.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A BERLINO, ATTOLICO

T. 5327/640 (Londra) 365 (Berlino) R. Roma, 12 dicembre 1936, ore 2,30.

(Solo per Berlino) La R. Ambasciata a Londra ha telegrafato in data 9 corrente quanto segue: (Riprodurre telegramma 1501/12028 R della R. Ambasciata a Londra) (3).

Gli ho risposto quanto segue:

(Per tutti) Telegramma di V. E. n. 1501 -Ringrazi Eden per sue comuni. cazioni. Gli confermi che condivido anch'io suo punto di vista circa necessità di fare tutto quanto si può nell'interesse della pace e per il ritorno alla normalità in Spagna. Quanto alla sua proposta di circoscrivere all'Italia, alla Gran Bretagna e alla Francia eventuale opera di mediazione, faccio anzitutto osservare che Germania è per noi, e credo anche per codesto governo, elemento essenziale di ogni opera di pace e di stabilità in Europa. Aggiunga che proposta Eden viene tardi perché segue quella contenuta nella nota presentatami da Drummond (4) a cui risponderò (dichiarandomi in massima d'accordo) domani stesso e con la quale governo inglese ha fatto invece una proposta diversa, che comprende la Germania. In più il governo italiano, come è in rapporto per questa quistione con Londra, lo è stato e lo è anche con Berlino (5).

(;l) Non rintracciato.
( 4 l Vedi p. 602, nota 3.

(Solo per Berlino) V. E. si valga degli elementi contenuti nei due telegrammi surriferiti per un'opportuna comunicazione verbale, marcando il carattere confidenziale ed emichevole della comunicazione stessa (1).

581.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. N. D. 12139/580 R. Berlino, 12 dicembre 1936, ore 18,13 (per. ore 20,50).

Mio telegramma n. 577 (2). Ho veduto iersera Blomberg e chiesto anche a lui cosa pensasse della comunicazione Franco all'incaricato d'affari tedesco, di cui al telegramma di

V. E. n. 360 dell'H corrente (3).

Blomberg mi ha detto essere «meravigliato» che incaricato d'affari tedesco avesse accettato la richiesta di Franco, richiesta che in ogni modo egli ha categoricamente respinto, dichiarando volere rimanere nella linea fissata a Roma domenica (4) ed anzi invitando incaricato d'affari tedesco a fare nettamente « capire agli spagnuoli che la guerra di Spagna deve, nonostante tutto, essere combattuta da loro e non dagli altri ». Inviare intere divisioni significherebbe necessariamente operare allo scoperto, ciò che, a prescindere da ogni considerazione tecnica, la situazione politica non comporta, senza pensare che quando anche Italia e Germania lo facessero esse finirebbero poi con il diventare, di fronte agli stessi spagnoli, i soli responsabili ed i capri espiatori di tutto il male e di tutti i danni della guerra.

Non nascondo che stato d'animo Blomberg mi ha un poco impressionato. Credo che meriti di essere approfondito ma, prima di farlo, mi propongo avere una buona conversazione con Neurath se, come spero, lunedì egli sarà finalmente di ritorno a questo ministero degli Affari Esteri (5).

582.

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12141/188 R. Bucarest, 12 dicembre 1936, ore 18,45 (per. ore 22,45).

Ministro Affari Esteri Antonescu dopo aver insistito anche con imbarazzanti bugie (mio telegramma n. 184) (6) alla pressione francese perché si

recasse in visita ufficiale a Parigi, ha dovuto finire per acconsentire. Egli arriverà in quella capitale mercoledì prossimo. Delbos gli rivolgerà certamente nuove più forti premure per strappare il consenso romeno al progetto di mutua assistenza e ciò nella speranza che l'assenso di Bucarest possa servire per rinnovare più energiche pressioni su Belgrado. Confermo peraltro mio parere che, né Belgrado, né Bucarest sono disposti a marciare nell'atmosfera della sua rinnovata amicizia con Varsavia e dello spostamento di gravità in seno alla Piccola Intesa per cui Bucarest e Belgrado hanno avvicinato i loro punti di vista.

Non è improbabile che il signor Delbos riesca a conseguire dal ministro Affari Esteri romeno altro che vaghe promesse. In ogni caso, Antonescu troverà nella mollezza stessa del suo carattere formule dilatorie per allontanare la necessità di una precisa risposta impegnativa (1).

(l) Vedi p. 274, nota 3.

(l) -Vedi D. 509. (3) -Vedi D. 552. (5) -Si veda per il seguito il D. 617. (l) -Su il relativo passo dell'ambasciatore Attolico si veda !l D. 584. Peraltro, la stessa comunicazione era stata già fatta dal ministro Buti al consigliere dell'ambasciata d! Germania, von Plessen nel pomeriggio del giorno 11 (vedi DDT, serie D. vol. III, D. 149). (2) -T. 12103/527 R. dell'll dicembre, ore 18,18. Precisava che secondo le notizie raccolte al ministero degli Ester!, il colloquio dell'incaricato d'affar! tedesco con Franco (vedi D. 550) era avvenuto prima degli accordi presi a Roma il 6 dicembre (vedi D. 546), accordi sui qual!,da parte germanica, si intendeva restare fermi. (3) -Ritrasmetteva il D. 550. (4) -Vedi D. 546. (5) -Vedi D. 633. (6) -Vedi D. 564.
583

IL MINISTRO A LIMA, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 12149/236 R. Lima, 12 dicembre 1936, ore 19,26 (per. ore 6 del 13).

Intrattenutomi stamane lungamente a cordiale privato colloquio questo presidente della Repubblica.

Mi ha ancora confermato sua ammirazione per Duce, regime, successi politici e militari conseguiti dall'Italia quest'ultimo anno. Non sono mancati accenni anti britannici.

Mi ha espresso suo desiderio intensificare scambi commerciali con l'Italia. Gli ho manifestato a questo punto mio timore che tesi «esclusivismo~ americano, anche in materia commerciale, che va affermandosi in questi giorni a Buenos Aires, possa in qualche modo ostacolare auspicabile sviluppo scambi italo-peruviani. Mi ha replicato esprimendosi con alquanto scetticismo circa portata ed effetti Conferenza Buenos Aires. Tuttavia, subito dopo ha lamentato condizioni poste dall'Inghilterra all'assorbimento produzione zuccherifera Perù, non nascondendo proprio desiderio giungere in materia a qualche regolamento con Stati Uniti in connessione con questione debiti peruviani verso Repubblica Nord Americana.

In sostanza, mi è sembrato che pensiero questo presidente della Repubblica risenta inevitabile contrasto fra aspirazione a mantenere indipendenza rapporti politici e commerciali extra americani di questi Stati e necessità subire la stretta degli Stati Uniti. Generale Benavides mi pare per altro sincero amico e ammiratore dell'Italia di cui conserva vivissimo il ricordo (2).

(l) -Per 11 seguito si veda !l D. 635. (2) -Ciano rispose con T. 15304/13!! P.R. del 16 dicembre: «Mi compiaccio per le buone disposizioni d! Benav!des. E' necessario approfittarne per !ntens!f!care !n ogni campo rapporti fra 1 due Paesi e particolarmente per tradurre in atto proposta invio esperti per riforma costituzionale».
584

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12166/583 R. Berlino, 12 dicembre 1936 (per. il 14).

Ho fatto oggi stesso a Diecknoff (Neurath essendo tuttora assente) la comunicazione di cui al telegramma di V. E. n. 365 (1), opportunamente chiarendo il carattere confidenziale ed amichevole allo stesso tempo della comunicazione stessa. Dieckhoff mi ha detto che la notizia gli giungeva assolutamente nuova, non avendone trovato traccia alcuna nelle comunicazioni di Ribbentrop. Si domandava quale potesse essere il movente di Eden: escludere la Germania, e, al caso, perché?

Messa così la questione -io pur sempre sottolineando, e quindi valorizzando, la lealtà e l'amicizia per la Germania mostrata dalla E. V. nella sua risposta a Londra -ho creduto opportuno di evitare che nell'animo di Dieckhoff potessero ingenerarsi sospetti di possibili tendenze anti-tedesche della Inghilterra pertanto suscettibili, per reazione, di far nascere sospetti collaterali di possibili, anche soltanto virtuali, collusioni anglo-italiane ai danni della Germania. Osservai quindi che, nonostante Eden non lo avesse detto, la nuova proposta di una mediazione a tre non era, in principio, strettamente incompatibile con la proposta a più larga base avanzata nella nota anglo-francese della settimana scorsa (2). Questa prima proposta comportava una decisione di massima di evidente competenza di tutte e sei le Nazioni rappresentate nel Comitato di Controllo. Ma, dato e non concesso che questa decisione di massima fosse raggiunta e fosse favorevole e che cioè le sei Potenze del Comitato di Londra si mostrassero unanimamente di accordo sull'utilità di una mediazione, si dovrebbe poi necessariamente venire a stabilire il modus procedendi pratico per questo sforzo concreto di mediazione; sforzo concreto -secondo l'idea di Eden -che avrebbe forse potuto essere opportunamente confidato ad un gruppo, anziché alla totalità, delle Potenze interessate. Altra considerazione -aggiungevo -da tener presente era questa: aveva l'Inghilterra intenzione di escludere la Germania o non piuttosto trovare il modo di escludere l'U.R.S.S.? Prima, quindi, di giudicare delle intenzioni di Eden bisognava attendere -concludevo -che esse potessero venire da lui stesso per cosi dire, qualificate.

Dieckhoff ha mostrato di dare molto peso alle considerazioni di cui sopra, ed anzi, egli, alla fine, giungeva perfino a riconoscere che effettivamente, se e quando si venisse ad una decisione di mediazione e di tregua, non era da escludere che, una volta adottata in Comitato plenario da tutte le sei Potenze, essa potesse poi essere in concreto confidata alle Potenze geograficamente più prossime. Naturalmente, si è affrettato ad aggiungere Dieckhoff, egli esprimeva una idea puramente personale e quindi sotto tutte le riserve possibili e immaginabili. Del che io mi sono ritenuto più che pago, l'intento delle mie

\1) Vedi D. 580. (2} Vedi D. 544.

osservazioni (che vedevo raggiunto) non essendo quello di comunque difendere la proposta Eden, ma soltanto di impedire che essa potesse essere interpretata da Dieckhoff in modo da gettare, anche soltanto virtualmente, una qualsiasi ombra di sospetto sulle relazioni italo-tedesche.

585

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLE AMBASCIATE DI FRANCIA E DI GRAN BRETAGNA A ROMA

NOTA VERBALE. Roma, 12 dicembre 1936 (1).

1. -Il governo italiano condivide il desiderio espresso dai governi britannico e francese di subordinare qualsiasi considerazione politica all'interesse superiore della civiltà e della pace, di eliminare qualsiasi causa che possa contribuire ad estendere i pericoli che la crisi attuale comporta, di vedere, infine, restaurata in !spagna la normalità e l'ordine. 2. -Per quanto riguarda la proposta dei due governi di una nuova dichiarazione formale di non intervento negli affari spagnuoli e di un rafforzamento delle misure da adottarsi a tale scopo da parte del Comitato di Londra, il governo italiano tiene in modo particolare a ricordare che sin dal principio esso ha sostenuto la necessità che l'impegno di non intervento, per essere efficace, doveva essere il più possibile completo. Doveva cioè comprendere, oltre al divieto di importazione di materiale bellico in !spagna, anche l'impegno di impedire l'invio di volontari e di agitatori politici, e di inibire sottoscrizioni in danaro e qualsiasi forma di propaganda pro o contro una delle parti in conflitto. Il governo italiano non dubita che, se il suo modo di vedere fosse stato sin dall'inizio accolto, la situazione in !spagna sarebbe oggi ben altra. Sembra infatti ovvio che le proposte oggi avanzate dai due governi avrebbero allora incontrato difficoltà di attuazione molto meno serie e gravi di quanto indubbiamente esse incontreranno nelle circostanze attuali.

Il governo italiano non ha tuttavia neanche oggi difficoltà, se tutti gli altri Stati concordino, ad esaminare nel Comitato di Londra tutte le misure che _Parranno più atte ad assicurare una completa applicazione e controllo del non intervento, purché esse siano accettate contemporaneamente nella loro totalità.

3. Il governo britannico e il governo francese avanzano l'idea di un'azione mediatrice delle Potenze maggiormente interessate, intesa a porre termine alla lotta armata che insanguina la Spagna per consentire al Paese di esprimere la volontà nazionale. Tale idea non può naturalmente non essere accolta che

con favore dal governo italiano. Il governo italiano si pone tuttavia il quesito se, nelle circostanze odierne, l'attuazione di un ordinato plebisCito in !spagna possa rientrare nel campo delle possibilità pratiche. Inoltre il governo italiano deve rilevare che -ove si guardi obiettivamente ai fatti -appare difficile negare che il popolo spagnuolo non abbia già sufficientemente espresso la sua volontà in favore del governo nazionale, che ha saputo progressivamente assicurarsi il consenso della maggioranza delle popolazioni ed il possesso della più grande parte del territorio nazionale. Non può nemmeno non rilevare come la riconciliazione tra le due parti in conflitto appaia oggi singolarmente difficile, si~ per la tendenza anarchica che indiscutibilmente predomina fra gli avversari del Governo nazionale, sia per gli atti crudeli di cui essi si sono resi colpevoli.

Ciò nonostante il governo italiano, desideroso di non tralasciare niente di quanto possa giovare ai fini superiori della pace, è disposto ad esaminare in uno spirito di amichevole collaborazione quelle proposte che gli altri governi ritenessero di poter formulare e di partecipare alla loro eventuale realizzazione.

(l) Dopo che, il 9 dicembre, i governi francese e britannico avevano reso di pubblica ragionela loro iniziativa per una mediazione nel conflitto spagnolo (vedi D. 544), la Wilhelmstrasse aveva fatto presente a Roma l'opportunità di affrettare il più possibile una risposta onde evitare che la Germania e l'Italia, con il loro silenzio, fossero considerate tendenzialmente ostili ad una restaurazione della pace in Spagna (T.12065/574 R. del 10 dicembre, ore 19,19 da Berlino non pubblicato). Ciano aveva allora proposto che il governo italiano e quello tedesco consegnassero simultaneamente la loro risposta la sera del giorno 12 (T. 5308/362 R. del 12 dicembre, ore 1). ·

586

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5071/1699. Berlino, 12 dicembre 1936 (per. il 14).

Con le segnalazioni della Stefani Speciale e con il mio telespresso n. 5024/1690 del 10 u.s. (l) ho avuto l'onore di trasmettere le parti essenziali del discorso che il ministro dott. Schacht, presidente della Reichsbank, ha tenuto dopo il suo viaggio in Oriente, all'università di Francoforte sul Meno. Desidero ora attirare la particolare attenzione dell'E. V. sull'importanza politica del discorso stesso il quale mi sembra rappresentare una netta e definitiva presa di posizione, nel campo delle rivendicazioni coloniali tedesche, dell'uomo che ha sempre la pratica responsabilità della intera economia del Relch. In quel discorso, infatti, il dott. Schacht ha usato frasi che non lasciano sussistere alcun dubbio sulla decisione ormai irrevocabile degli organi responsabili tedeschi di impostare definitivamente sul terreno internazionale la necessità germanica di possedere nuovamente delle colonie capaci di fornirle le materie prime indispensabili alla vita della nazione.

Ora, come l'E. V. conosce, si è molto parlato qui e all'estero del piano quadriennale economico annunciato dal Cancelliere Hitler durante l'ultimo congresso del Partito nazionalsocialista a Norimberga. Tale piano consiste particolarmente, secondo le dichiarazioni del suo dittatore (2), generale Gèiring, nella creazione in Germania dei «sostituti » di quelle materie prime. Le parole di Schacht dimostrano invece chiaramente come anche l'eventuale realizzazione

(l} Non pubblicato. (2} Sic.

o57

46 -lJuuumenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

del piano stesso non possa mai avere un carattere «economico» ma solamente politico o militare, la soluzione veramente economica del problema non potendo trovarsi che nella restituzione alla Germania dei suoi possedimenti coloniali. Queste importanti parole del presidente della Reichsbank sembrano d'altra parte andare incontro, in certo modo, a quegli autorevoli giudizi apparsi anche in Inghilterra e riferiti dalla R. Ambasciata in Londra con il suo rapporto del 26 novembre u.s. (l) relativo alle pubblicazioni apparse negli ultimi tempi oltre Manica nei riguardi di un nuovo assetto coloniale mondiale. Si deve quindi concludere che oramai, per quanto riguarda le aspirazioni tedesche, anche gli ambienti tradizionalmente conservatori e militari del Reich, dei quali lo Schacht appare essere indubbiamente uno dei maggiori esponenti, abbiano impostato quale maggiore problema per la vita del popolo tedesco nei prossimi anni, quello delle rivendicazioni coloniali germaniche nel mondo.

Il monito lanciato da Schacht che, pur aborrendo da ogni intento di revanche, una Germania senza colonie rappresenta un <<elemento rivoluzionario» nella situazione dell'Europa e ciò, ripeto, ancora a poche settimane dal lancio del piano quadriennale, significa che anche i pacifisti del nazismo intendono e pretendono che il problema coloniale, ancora ieri dichiarato non attuale, debba venire invece risolto al più presto, prima cioè che, per esigenze di carattere fisico ed ineluttabile, esso diventi una causa di esplosione e cioè di guerra. Il che, in bocca di Schacht, significa pure che la situazione tedesca è giudicata, ed è infatti economicamente precaria.

Sempre a proposito delle coloni'e aggiungerò che le voci apparse sulla stampa di un accordo tedesco con il Portogallo per la cessione dell'Angola non hanno alcuna base, la Germania, secondo Dieckhoff, avendo concluso con il Portogallo, attraverso due o tre ditte private, un semplice accordo di compensazione per venti milioni di marchi di merce. L'accordo comprende, oltre il Portogallo, anche i territori delle sue colonie. Nulla ···-assolutamente --esisterebbe, fra i due Paesi, di più.

587

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6076/1282. Bruxelles, 12 dicembre 1936 (per. il 23).

In una conversazione d'ordine privato avuta giorni fa con il ministro Spaak, questi ebbe a dirmi che la questione del riconoscimento dell'Impero italiano formava oggetto delle sue quotidiane preoccupazioni. Gli replicai che non sapevo proprio rendermi conto della ragione delle sue esitazioni e delle sue ansie, tanto più che il governo belga, con le sue reiterate dichiarazioni di voler seguire una politica indipendente e di neutralità volontaria, nonché con i suòi frequenti accenni a voler chiaramente definiti gli obblighi derivantigli dal

patto ginevrino, nel chiaro desiderio di vederli diminuiti, asseriva in sostanza la volontà di voler fare da sé, quali che fossero gli atteggiamenti internazionali dei suoi tre potenti vicini. Mi aspettavo dunque, per quanto concerneva la predetta questione, un gesto autonomo da parte sua e del suo governo.

Spaak replicò che le mie o::;servazioni non erano sufficienti a far venire meno le necessità, che egli riteneva suo dovere aver presenti per ben servire il suo Paese: cioè quella di non straniarsi da Londra, la cui importanza per il Belgio era ovvia; quella di non mai trascurare che il Belgio deve innanzi tutto frustrare con il suo atteggiamento ogni sospetto che, per tornaconti meramente contingenti, esso possa dividersi da quella che, a torto od a ragione, è oggi la teoria di maggiore garanzia per i piccoli Stati; e quella infine di non pregiudicare con un suo unilaterale riconoscimento dell'Impero Italiano, generalmente ritenuto il prodotto di una violenta occupazione, la posizione del Belgio stesso, esposto più che altri Paesi alle invasioni di qualche vicino e quindi il più interessato a rispettare il principio -salvo il caso di un generale consenso da parte di tutti gli Stati -del non riconoscimento delle occupazioni considerate generalmente come mere conseguenze di aggressioni non provocate.

Gli risposi con ovvi argomenti, ribadendo soprattutto quello esposto innanzi ed accennando opportunamente all'atteggiamento per esempio dell'Austria, malgrado la sua situazione quasi identica a quella del Belgio.

Lo Spaak, pur insistendo che egli sarebbe felicissimo di mettere fine all'incresciosa situazione in cui si trova il suo Paese nei nostri confronti e pur ripetendo che la questione era da lui incessantemente seguita, tanto da avere dato istruzioni alle principali legazioni di tenerlo informato di ogni circostanza che si presentasse per una favorevole e sollecita soluzione, non decampò, al postutto, dal suo punto di vista.

A mia volta gli feci di nuovo sentire le conseguenze cui lo esponeva un perdurare nello stato attuale e, fra l'altro, gli accennai alla questione della firma da parte nostra del protocollo interpretativo dell'art. 10 dell'accordo dell'Aja del 20 gennaio 1930 di cui al telespresso di codesto On. ministero

n. 904064-4 del 28 novembre u.s. -Ufficio Trattati (1).

Spaak non ricordava l'accordo; ma, pur asserendo di non voler assolutamente sollevare la delicata questione dei titoli spettanti al nostro Sovrano, mi fece chiaramente comprendere la sua « attuale » impossibilità di farsi iniziatore di modificazionì. A titolo del tutto privato, Spaak mi chiese poscia se poteva ritenere fondate certe voci a lui pervenute, e giusta le quali il governo di Roma, onde venire incontro alle obiezioni sollevate dalla maggiore parte degli Stati, penserebbe di modificare la qualifica attuale del nostro Sovrano in quella unica di Imperatore d'Italia: ciò che avrebbe immediatamente dissipato le sue preoccupazioni ed eliminato i suoi scrupoli.

Gli risposi che le voci riferitegli non avevano fondamento alcuno, la questione del riconoscimento del nostro Impero restando assolutamente nei termini e nei modi a lui ben noti. Spaak mi fece infine comprendere che tutta la questione lo amareggiava tanto più profondamente in quanto nessuno pru di lui

(ll Non rinvenuto.

sapeva che i fatti valgono più delle apparenze e che il dominio italiano nell'Africa Orientale era ormai una irrevocabile situazione di fatto.

Da tutto il colloquio, assolutamente personale, trassi l'impressione che lo Spaak sia effettivamente desideroso di vedere al più presto eliminate le difficoltà che si frappongono al ristabilimento completo di buone relazioni tra il suo Paese ed il nostro ma che i motivi addottivi, e soprattutto il timore di una eventuale divergenza con il Gabinetto di Londra, gli vietano e gli vieteranno sempre di prendere una decisione autonoma, che è poi forse quella verso la quale è intimamente più disposto.

(l) Non pubblicato.

588

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1349/375. Stoccolma, 12 dicembre 1936 (per. il 20).

Piacemi, chiudendosi una anno che ha visto lo scatenarsi contro di noi delle ire e delle ostilità generali in questo Paese, constatare il rapido cambiamento della pubblica opinione nei nostri riguardi. Le cause della resipiscenza sono, mi immagino, le medesime che in altre regioni ma qui particolarmente indubbie e patenti: la vittoria, la forza (inaspettata qui) dell'Italia, la sconfitta e la ritirata della congerie degli avversari eropei, il crollo di Ginevra e delle illusioni annesse il successo completo di ciò ch'era considerato una politica di bluff o di follia, la rapidità stupefacente della campagna africana, la fine prematura di ogni resistenza efficace all'intera occupazione del territorio (del che, per pudore, quasi nulla si scrive ma che tutti conoscono), la vittoriosa resistenza e la vitalità del nostro complesso economico, la parte di primo piano che rappresentiamo sullo scacchiere europeo e mondiale, la fama del formidabile armamento e della preparazione tecnica e spirituale delle masse. Dell'Etiopia ... antica e del Negus. nemmeno più si parla: della Società delle Nazioni, si fa la cronaca, quando v'è sessione.

I giornali si occupano sempre assai di noi, specie in connessione con le cose di Spagna: abbondano le notizie fantastiche e i titoloni talvolta non ci sono favorevoli ma il gretto malanimo d'una volta è ridotto a far capolino in modo intermittente e ristretto alla stampa di sinistra. Sta, invero, sottentrando alla concezione politica metafisica-legalitaria-umanitaria del 1935 un senso più profondo ùel formidabile urtarsi di forze avverse, in cui le nazioni e i regimi, in prima linea l'Italia, giuocano la partita come e secondo è loro imposto dai proprii destini. storici; e certe correnti (se pur non chiaramente espresse nella stampa) cominciano a comprendere da qual parte stiano i salvatori della civiltà europea. Aggiungerò infine che l'intesa germanico-italiana ha fatto un notevole effetto, accrescendo il prestigio dell'una e dell'altra nazione.

La firma del nuovo trattato di commercio (l) ha raccolto il generale compiacimento ed ha impressionato il pubblico l'ordinazione del transatlantico ad un cantiere italiano, anziché ai soliti cantieri inglesi o tedeschi. Le merci italiane

sono gradite e le frutta d'Italia appaiono, nella carenza dei prodotti similari

spagnuoli, le salvatrici dell'ordine tradizionale delle mense natalizie. I turisti

tornano dall'Italia dichiarando che ogni cosa v'è bella e buona. A sentire la

gente, sembra che nessuno sia stato mai contro l'Italia; tutti avevano sempre

capito che l'Italia avrebbe vinto la guerra, che la Svezia non doveva interessar

sene e che le sanzioni erano un'idiozia. Nelle scuole, i nostri Lettori, messi un po'

in quarantena lo scorso anno, vedono ora aumentare notevolmente il numero

degli allievi. Tra i giovani, cresce l'interesse e la propensione per le cose nostre

e si sta costituendo a Stoccolma un nuovo circolo per lo studio della cultura

italiana e più specialmente della cultura fascista (sul che riferirò a parte a

suo tempo).

Sarebbe, certo, soverchio l'illudersi di non sentire più note stonate. Ad esem

pio, mi attendo, per l'anniversario de «L'eccidio di Dolo» (1) qualche eco delle in

vettive dell'anno passato ma non è il caso di darvi grande importanza. Inoltre,

non è escluso che il signor Sandler trovi modo, a Ginevra o altrove, di marcare

ancora la sua posizione di ritardatario zelante, impenitente ed imbronciato. Egli

ha, ora come prima, carta bianca per drappeggiarsi sulla tribuna internazionle

in modo da soddisfare la seconda o terza internazionale o per rimasticare a suo

piacere i codici del legalismo ginevrino: a proposito della Spagna, o della even

tuale chiusura dei conti etiopici, o in altra circostanza qualsiasi. Ma guardia

moci dal credere che, in questa sua occupazione, lo accompagni ancora l'inte

resse del Paese.

Rimane il fatto positivo della notevole reazione del pubblico alla sua attitu

dine d'or fa un anno: tanto più notevole, quanto più spicca al confronto di uno

stato d'animo di pochi mesi fa, di tanta cieca, esagerata ed universale avver

sione. Né si tratta della «riconquista di posizioni perdute», come suona la frase

di rito: si tratta della nuova «conquista» di un prestigio che non abbiamo mai

avuto prima, conquista dovuta in tutto e per tutto alle gesta compiute, che hanno

come all'improvviso aperto gli occhi -oltre il consunto velario dei monumenti,

della musica e delle arance -sulla grandezza di un popolo e sulle impreviste

grandiose possibilità di azione che gli sono conferite dal suo Capo e dal suo

regime.

(l) Firmato il 1° dicembre, (testo in Trattati e Conven~iont, vol. L, pp, 407-411).

589

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

• T. 5338/603 R. Roma, 13 dicembre 1936, ore 1.

Telegrammi di V. E. n. 736 e 743 (2).

Governo italiano è alieno dall'entrare in disquisizioni sulla portata giuridica

più o meno precisa di provvedimenti quali quello della trasformazione della lega

zione francese in consolato e quello della richiesta di exequatur per la nomina

di un console ad Addis Abeba. Rifuggiamo per principio da tutto quanto sappia di accademia e ci interessa invece quello che possa servire a creare una migliore atmosfera tra noi e gli altri Stati nell'interesse reciproco e in quello generale. Di conseguenza, qualunque provvedimento di codesto governo che mostri una maggiore aderenza alla realtà di quanto non abbia fatto finora non potrà non essere accolto che con favore dal governo italiano ed anzi il governo italiano ne faciliterà l'attuazione; e questo varrà più di tutte le dichiarazioni e le assicurazioni che ci sono state e che possono esserci date.

(l) -Si riferisce al bombardamento d! un ospedale da campo svedese da parte di aerei !tal!anl avvenuto nel dicembre 1935 a Dolo, vicino al confine tra Etiopia e Somalia, che aveva provocato morti e diversi feriti. !.'episodio aveva destato grande impressione in Svezia. (2) -Vedi DD. 563 e 574.
590

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12155/1164 R. Ginevra, 13 dicembre 1936, ore 15,35 (per. ore 18,15).

Questo console Germania, Krauel, reduce da Berlino, mi ha detto parlandomi in via assolutamente confidenziale, che alla Wilhelmstrasse erano rimasti «alquanto scontenti» che l'Italia avesse negoziato una larga e precisa convenzione con Franco senza preavvertirne Berlino. Lo scontento però si era calmato, perché lo stesso von Neurath si era reso conto della preminenza degli interessi italiani nella questione spagnola.

Krauel ha precisato che a Berlino, rendendosi conto della penuria di uomini che ha Franco, si sarebbe esaminata in questi giorni la possibilità d'invio di rinforzi. Egli dubitava però che la Germania potesse inviare trasporti sopratutto altre navi da guerra perché quest'ultima in caso di complicazioni internazionali si sarebbe trovata in una situazione molto grave. Krauel ha aggiunto che von Neurath lo mette al corrente di tutto e mi ha vivamente pregato di non fare uso di quanto lo stesso von Neurath gli aveva detto relativamente alla convenzione tra l'Italia e il governo di Burgos.

591.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 12159/585 R. Berlino, 13 dicembre 1936, ore 17,18 (per. ore 22) .

Come V. E. ha potuto arguire dal mio telegramma n. 580 (1), si delinea in materia aiuti alla Spagna, una certa diversità di vedute fra Blomberg e Goering. Questi essendo ammalato e lo stesso Hitler ancora fuori, è Blomberg che per momento predomina. Come ho già accennato nel mio telegramma precedente, egli -in fondo -non vorrebbe uscire dal quadro di un aiuto tecnico e tanto meno « sostituirsi » nella guerra agli spagnoli. Guerra è e dovrebbe rimanere

combattuta da chi la deve combattere, Germania e Italia limitandosi fornire aiuti materiale tecnico necessario.

Merita pure venire segnalata V. E. una conversazione da me avuta con segretario di Stato aviazione, Milch, cui immediata prossimità (l) Goering è nota. Egli sosteneva con me l'altra sera la necessità piuttosto che aumentare indefinitivamente aiuti italiani e tedeschi a Franco, di impedire o comunque ridurre al minimo con l'azione della flotta gli aiuti ai rossi. Questa mi sembra essere qui l'intelligentia comunis nella forma accordo in materia, tanto più che, come mi diceva Blomberg, trasporto di una divisione richiede ben 50 piroscafi e quindi necessità agire in piena luce e completamente allo scoperto.

Né è da escludere che sulle deliberazioni di Blomberg pesi anche desiderio di non vedere disturbata e magari compromessa, con azione troppo ampia ed impegnativa su suolo altrui, preparazione militare in corso a casa propria. Vi è poi persino chi richiene che, data singolarità dei belligeranti, una «tregua di Natale» non possa forse evitarsi. Ciò complicherebbe situazione dal punto di vista politico in quanto darebbe corpo e incentivo alle transazionali generiche proposte mediazione.

Comunque, appena von Neurath e Goering saranno ristabiliti, mi propongo come ho detto, di vederli (2) per capire se e quale linea essi intendano veramente nel loro intimo, di seguire. A tal fine mi gioverebbe peraltro sapere, direttamente e quindi esattamente, dall'E. V. quale sia conclusione raggiunta la passata domenica a Roma e quali i precisi intendimenti del governo fascista (3).

(l) Vedl D. 581.

592

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. N. D. 12178/586 R. Berlino, 14 dicembre 1936, ore 21,05 (per. ore 23,45).

Miei telegrammi 580 e 585 ( 4).

S.A.R. Duca d'Aosta ha avuto stasera lunga conversazione con Goering (5), fra l'altro accertando che idee quest'ultimo in materia aiuto alla Spagna coincidono ormai perfettamente con quelle di Blomberg esposte nei telegrammi citati di questa ambasciata. In Goering come negli altri si va facendo strada idea che, per ragioni di prossimità territoriale, onere dell'impresa debba per forza di cose indubbiamente ricadere sull'Italia, in proposito insistendosi specialmente sulla necessità di una più attiva azione sottomarina da parte nostra. Né Francia, né Inghilterra oserebbero -secondo Goerlng -in questo momento fare niente, tanto più sapendo che Italia potrebbe in ogni caso contare sulla solidarietà più completa della Germania.

(1) -Sic. (2) -Per Il colloquio con von Neurath si veda il D. 633. (3) -Questo documento ha il visto di Mussollnl. (4) -Vedi DD. 581 e 591. (5) -Il principe Amedeo di savoia. duca d'Aosta, era giunto a Berlino il 6 dicembre invitato dal maresciallo Ooering.
593

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12181/749 R. Parigi, 14 dicembre 1936, ore 22,10 (per. ore 1,45 del15).

Telegramma di V. E. n. 603 (1).

Essendomi recato da Léger per parlargli di altri argomenti, mi sono incidentalmente espresso con lui in conformità telegramma di V. E. suddetto.

Légér mi ha detto che era dolente dover constatare che ogni suo sforzo nei riguardi dell'Italia cadeva nel vuoto. Gli si doveva riconoscere di non aver nulla trascurato per regolare la questione dell'abolizione della legazione ad Addis Abeba, della istituzione di un consolato generale e della richiesta dell'exequatur per il suo titolare. La Francia ha propria politica legata alla S.d.N., cosicché non le si può chiedere di agire contro quest'ultima. Contrariamente all'avviso della

maggioranza degli uomini politici e dei funzionari del Quai d'Orsay, egli aveva preso su di sè di chiedere al governo italiano se esso avrebbe consentito a considerare unicamente come riconoscimento di fatto e non già di diritto richiesta exequatur per console generale di Francia in Etiopia. Aveva già veduto dai giornali di stampare che exequatur chiesto dal governo greco era stato interpretato dal governo italiano come riconoscimento di diritto della sovranità italiana. Apprendeva ora, da me che il governo italiano è alieno dall'entrata in disquisizioni sopra portata giuridica di questo o quel provvedimento e ciò gli faceva constatare che aveva sbagliato credendo di potersi scostare da quella che è la via maestra, consistente nell'attendere con pazienza che S.d.N., cancellando Etiopia dall'elenco Stati m~mbri, permetta agli altri Paesi che ne fanno parte di accingersi al riconoscimento della sovranità italiana sull'Etiopia. Léger mi disse che, giusta gli accordi esistenti, avrebbe dovuto informare del risultato negativo del passo intrapreso il governo di Londra (2).

594

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12250/1167 R. Ginevra, 14 dicembre 1936 (per. il 17).

Ambasciatore spagnolo a Londra, Azcarate, che travasi qui con Del Vayo va raccontando pel Segretariato, dove è stato per vari anni, che l'ostacolo ad ogni possibile mediazione (3) è dato dall'Italia perché, a quanto egli assicura, Germania e Inghilterra, malgrado la risposta tedesca, sarebbero molto più vicine

di quanto si crede nel considerare la possibilità d'intervenire ai fini d'una soluzione del conflitto in Spagna. Secondo Azcàrate, chi ha montato la Germania in questa faccenda è Goebbels, mentre Hitler e Goering sarebbero in fondo ben lieti se trovassero il modo di uscire dall'imbroglio senza grave scapito pel prestigio del regime.

Azcàrate ha dichiarato che egli cercherà di convincere il governo inglese che, se si troverà un compromesso, un governo comunista non sarà installato in Spagna e Valenza con l'avere implicitamente accettato il concorso della S.d.N. all'opera di ricostruzione della Spagna dà la migliore garanzia attraverso « un organismo borghese» come è la Lega, che esso non intende sovietizzarsi. Naturalmente, delle profonde innovazioni come nazionalizzazione delle banche e delle grandi fortune private, nazionalizzazione dei latifondi agricoli, ecc. saranno inevitabili ma questo non significherà assolutamente che la Spagna sarà una repubblica comunista. Azcàrate è d'avviso che qualora Londra sta rassicurata su questo punto il suo appoggio in favore della «democrazia spagnola» non potrà mancare. Del Vayo e Azcàrate sono questa volta molto meno depressi di quando vennero a Ginevra per l'Assemblea, e si agitano parecchio in favore di queste tesi assurde.

Teixidor, che mantiene frequenti contatti con questa delegazione, mi ha detto oggi che il presidente del consiglio Edwards -il quale è ambasciatore del Cile a Londra -gli aveva detto apertamente d'avere l'impressione -contrariamente alle affermazioni di Azcàrate -che il governo inglese si orienti sempre più con simpatia verso Franco intravedendo tutti i possibili pericoli che possano derivare dal lento processo di anarchizzazione della Spagna. Secondo Edwards, se i nazionalisti s'impadronissero di Madrid, l'Inghilterra finirebbe per riconoscere il governo di Franco. Teixidor mi ha poi detto che lo aveva stupito il contegno un po' freddo di Vasconcellos che aveva incontrato qui. Non sapeva se attribuirlo al carattere e al filosocietarismo dell'uomo o alla fase di perplessità e d'incertezza che sta attraversando il governo portoghese.

Teixidor: che come ho già segnalato in una precedente comunicazione è reduce da pochi giorni dalla Spagna, mi ha detto che a suo avviso non è tanto la presa di Madrid che potrebbe avere effetto decisivo sul corso degli avvenimenti quanto una azione militare che riuscisse a impedire il continuo filtrare d'uomini e di mezzi attraverso la frontiera franco-catalana. Ma egli stesso si rendeva conto della immensa difficoltà d'una simile impresa. Teixidor che ha seguito lavori del Consiglio per conto di Franco riparte dopodomani per la Spagna.

(l) -Vedi D. 589. (2) -Per la risposta di Ciano si veda 11 D. 602. (3) -Vedi D. 544.
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L'UFFICIO IV DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI TRANSOCEANICI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 14 dicembre 1936.

Conferenza Panamericana -Malgrado le difficoltà di vedere chiaro nel complesso di progetti che si stanno ora discutendo a Buenos Aires e particolarmente nelle manovre che, dietro la ribalta, ciascuna delle numerose delegazioni viene attivissimamente svolgendo a sostegno di questa o di quella tesi in un'atmosfera sensibilissima ad ogni mutamento di vento, si può oggi affermare, a quasi due settimane dall'inizio dei lavori, che:

l. Il minacciato pericolo d'una netta prevalenza della tesi di Washington sembra scongiurato. Gli Stati Uniti, che nell'iniziale progetto di neutralità e nei discorsi di Roosevelt e in quelli che per lui aveva pronunciato a Rio de Janeiro il presidente Vargas sembrava volessero sostenere un panamericanismo violentemente antieuropeo e farsi della solidarietà degli Stati americani un'arma che avrebbe potuto anche esser diretta contro l'Europa, sembrano ripiegare dal campo politico al campo economico, sostenendo: a) un progetto di neutralità limitato al continente americano; b) un progetto di convenzione per il coordinamento dei trattati per la pace esistenti: Santiago 1923 (1), Patto Kellog (2), Convenzione di conciliazione di Washington 1929 (3), Trattato di arbitrato di Washington 1929 (4), Trattato antibellico di non aggressione di Rio de Janeiro 1933 (5); c) un accordo per la riduzione delle barriere doganali fra gli Stati americani.

2. -L'Argentina ha opposto una forte resistenza alla tesi nord-americana e ha riguadagnato terreno. Ma i suoi sforzi risentono dell'ambizioso personalismo di Saavedra Lamas che, pur di legare il suo nome ad un nuovo accordo, concentra le sue forze e fa molto rumore intorno ad un progetto per la consultazione tra gli Stati americani in caso di minaccia di guerra su quel continente o di guerra europea. 3. -Non è improbabile che si giunga ad un accordo tendente a creare una discriminazione fra nazionalità americana e nord-americana.
596

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 4118/1669. Mosca, 14 dicembre 1936 (per. tl 21).

I discorsi recentemente pronunciati davanti alla Camera francese da quel presidente del Consiglio e dal ministro degli Affari Esteri (6) sono stati ricevuti con soddisfazione dal Narkomindiel e commentati favorevolmente dalla stampa sovietica che al Narkomindiel attinge la propria ispirazione, specialmente per la parte che riguarda i rapporti franco-britannici. È ovvio che Litvinov non potrebbe approvare pubblicamente la difesa fatta da Blum e da Delbos della politica di non-intervento in Spagna, contraria a quella

che è la concezione sovietica dei doveri interna~ionali verso il «governo legale spagnuolo ». Ciononostante, da quanto mi è stato detto confidenzialmente da questo mio collega francese, io sono portato a credere che il commissario del popolo per gli Affari Esteri non sia rimasto troppo scontento neppure della parte dei discorsi di Parigi che ha toccato il problema spagnuolo. Ciò per la ragione da me già esposta in un precedente rapporto e condivisa da quasi tutti i diplomatici stranieri a Mosca: che cioè Litvinov desidera una soluzione pacifica della presente crisi internazionale. Questa opinione si fonda, più che sulle apparenze (dovrei anzi dire contrariamente alle apparenze), su ragioni di logica e su situazioni di fatto che possono riassumersi dicendo che in questo momento l'U.R.S.S. non si sente abbastanza forte, né militarmente, né politicamente, per guardare senza preoccupazione alla eventualità di un conflitto armato ed alle sue possibili conseguenze sul regime sovietico. Stalin e Litvinov stanno oggi manovrando fra le pressioni del comunismo internazionale che li spinge a prendere pubblicamente una attitudine battagliera e le esigenze di una politica realista che li consiglia a non forzare la mano in avvenimenti che potrebbero svilupparsi in un senso pericoloso per l'avvenire del bolscevismo russo. Essi non possono poi non rendersi conto che, prendendo apertamente la direttiva di una lotta internazionale per il trionfo del comunismo, l'U.R.S.S. rischierebbe di rimanere anche più isolata di quanto non lo sia oggi.

È possibile ed anche probabile che essi non abbiano rinunciato definitivamente al programma massimo della rivoluzione comunista mondiale ma debbono certamente rendersi conto che i tempi non sono comunque maturi, per cui si impone a Mosca una politica di opportunistica attesa. Ragione questa che spiega il giuoco di Litvinov il quale si atteggia all'estero a difensore, non tanto del comunismo, quanto della democrazia e si sforza di creare un «fronte democratico di difesa contro il fascismo ». In questo giuoco, le dichiarazioni di Delbos e specialmente quelle di Blum, confermanti la politica di non intervento, giovano in sostanza a Litvinov in quanto gli permettono di giustificare di fronte al partito comunista la propria « prudenza » nell'affare spagnuolo.

Ciò però di cui Litvinov si mostra particolarmente compiaciuto sono le categoriche affermazioni degli uomini di governo francese circa l'aiuto che la Francia è pronta a dare all'Inghilterra in caso di aggressione: affermazioni che, seguendo quelle analoghe di Eden, costituiscono ai suoi occhi una vera e propria alleanza difensiva franco-britannica contro una eventuale aggressione della Germania. Le ragioni di tale compiacimento sono ovvie. In questo accordo, non formale ma sostanzialmente molto importante, Litvinov vede anzitutto l'affermarsi di un sentimento anti-tedesco anche in Inghilterra. Vuole ugualmente vedere in esso una rinunzia indiretta ad un nuovo patto di Locarno indipendente da un patto orientale. Finalmente, vi vede forse anche un principio di formazione di quel blocco dei Paesi democratici nel quale è chiaro che Litvlnov si sforza di inserire l'U.R.S.S. per servirsene come garanzia contro la Germania.

Questa visione della politica sovietica odierna, che mi sono formato attraverso i miei contatti e le mie osservazioni di queste ultime settimane (e che ho constatato ancora oggi essere condivisa dal più autorevole fra i giornalisti tedeschi in Mosca), appare confermata da un articolo di fondo apparso stamane sulle Isvestia a firma di P. Lapinski e sotto il titolo interrogativo: «Una nuova intesa?». Tale articolo, evidentemente ispirato e del quale accludo la traduzione, merita di essere letto integralmente perché esprime a mio avviso le idee personali dello stesso Litvinov (l).

(1) -Trattato per il regolamento pacifico del confllttl tra Kll Stati americani del 3 mae:glo 1923 (testo in MARTENS, vol. XL, pp. 327-332). (2) -Vedi p. 629, nota 1. (3) -Convenzione generale di conciliazione lnteramerlcana del 5 gennaio 1929 (testo in MARTENS, VOl. XL, pp. 397-402). (4) -Trattnto generale di arbitrato interamericano e protocollo aggiunto del 5 gennaio 1929 (testo in MARTENS, VOl. XL, pp. 397-402). (5) -Vedi p. 391. nota 2. (6) -Rispettivamente il 5 ed il 4 dicembre precedenti.
597

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1350/376. Stoccolrna, 14 dicembre 1936 (per. il 20).

Telegramma di V. E. n. 58 in data 11 corrente (2).

Questo segretario generale del ministero degli Affari Esteri, riconfermandomi l'imbarazzo in cui il suo governo si trova ad addivenire al noto movimento diplomatico, a causa della formula delle credenziali che il nuovo ministro svedese dovrebbe presentare a Roma, mi ha oggi confidato che si spera qui che una formula conciliatoria possa venir trovata in occasione delle nuove credenziali che sir Eric Drummond dovrà presentare al più presto, in seguito al cambiamento di Sovrano in Inghilterra. Nel seguito della conversazione (per la quale mi sono naturalmente inspirato al telegramma di V. E. surriferito), è risultato chiaro che la Svezia si atterrebbe in tutto e per tutto alla soluzione accettata dall'Inghilterra, anche se questa comportasse il riconoscimento pieno del nuovo titolo del nostro Sovrano.

598

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 4402/2333. Vienna, 14 dicembre 1936 (per. il 16).

Mi riferisco al rapporto riservato n. 4265/2269 del 7 corr. (3) per trarre dalla cronaca politica delle ultime settimane -riferita separatamente -alcuni elementi d'indole generale sulla situazione interna.

Ad una più marcata impazienza dei gruppi «nazionali», che vanno diffondendo previsioni catastrofiche se nulla avvenga in loro favore prima della fine dell'anno, si contrappone il sempre più chiaro proposito del Cancelliere di dare la precedenza -nel programma d'azione da me prospettato nel rapporto citato -alla riorganizzazione interna del Fronte Patriottico, per modo

che questo sia meglio in grado di superare la prova di un successivo, graduale assorbimento di una più o meno larga immissione di elementi tratti dai gruppi «nazionali » predetti. Al tentativo sempre rinnovato dai « nazionali» di dentro e di fuori di derivare dall'accordo austro-germanico dell'li luglio conseguenze e innovazioni di politica interna a favore del nazismo, si contrappone da parte del Cancelliere la sempre più netta distinzione tra l'atto di normalizzazione dei rapporti fra i due Stati, Austria e Germania, dall'una parte, e le concezioni politiche interne dei due Stati, dall'altra, non toccate affatto dall'accordo internazionale. Dopo il discorso di Schuschnigg a Klagenfurt (1), è di ieri la esplicita dichiarazione nel discorso del 12 corr. al Gewerbeverein di Vienna, che l'accordo dell'li luglio è stato concluso dall'Austria «naturalmente, senza alcuna concessione di politica interna ». Il che equivale a porre, come ho già più volte riferito, fuori di ogni dubbio che, pur rispettandolo in Germania, il nazionalsocialismo resta vietato in Austria. È di ieri la pubblicazione -nella cronaca di un piccolo processo penale per agitazioni naziste -di un parere dato all'autorità giudiziaria dalla Direzione generale per la pubblica sicurezza, secondo cui ogni forma di organizzazione o di propaganda a favore del nazismo, anche se inteso e professato in Austria indipendentemente dal Partito nazionalsocialista di Germania, rimane, anche dopo l'accordo dell'li luglio, vietato e punibile, in sede di polizia e in sede penale, siccome « illegale e contrario alla costituzione austriaca ». Risponde a questo stesso concetto la frequenza di arresti per manifestazioni anche lievi, a favore del nazismo, non meno che il monito pubblicato ufficialmente in questi giorni contro dimostrazioni intenzionalmente politiche a gruppi di viaggiatori o di gitanti provenienti dalla Germania: dimostrazioni che non sarebbero più tollerate.

A questo atteggiamento del governo federale può non essere estranea la preoccupazione manifestatasi nei circoli cattolici più ortodossi e nelle gerarchie diocesane per le interpretazioni eccessive date alle notizie sulla cordialità dell'incontro tra Schmidt e i capi del governo nazista a Berlino (2). Si era andati in alcuni circoli così oltre da porre il contegno e il linguaggio tenuti a Berlino dal segretario di Stato agli Esteri in contrasto con le istruzioni e intenzioni del Cancelliere. Certo è, che le recenti dichiarazioni di vari vescovi, così di quelli di Salisburgo e di Linz, a proposito del tentativo di conciliazione e avvicinamento fatto col noto suo libro da mons. Hudal (3), hanno carattere generale e assoluto di riprovazione della dottrina e della pratica del nazionalsocialismo. Nulla dunque è mutato, neanche dopo l'li luglio, nell'atteggiamento dell'episcopato austriaco rispetto al nazismo. Resta per

'

tanto in pieno vigore, malgrado la normali:zzazione dei rapporti da Stato a Stato, nel frattempo avvenuta, la condanna del nazionalsocialismo pronunziata nella lettera pastorale comune dei vescovi austriaci del 21 dicembre del 1933, alla quale le ultime manifestazioni episcopali si richiamano esplicitamente.

Bisogna tener conto di questo cosi risoluto atteggiamento dell'autorità ecclesiastica, nell'apprezzare anche i propositi del governo, cosi vicino all'ideologia cattolica, e il possibile svolgimento della situazione.

Da parte nazista e anche « nazionale » -la differenza è più di metodo che di sostanza ideologica -si insiste nel creare confusione e nel non prendere atto di ciò che è scritto nell'accordo dell'H luglio. Si cerca di trarre profitto dal fatto che il testo del « gentlemen's agreement » non è stato pubblicato e che il « comunicato » concordato tra le due parti --il solo testo reso noto si limita a considerare «come affare interno di ogni singolo Stato la conformazione politica dell'altro Stato, ·ivi compresa la questione del nazionalsocialismo austriaco ». Se ne vuol dedurre che l'accordo non esprima in alcun modo né diretto né indiretto un divieto del nazionalsocialismo in Austria e che, se pur è fatto obbligo alla Germania di astenersi da ogni ingerenza diretta o indiretta in questo come in ogni altro affare interno austriaco, all'Austria si impone implicito l'obbligo di modificare il suo atteggiamento rispetto al nazismo appunto in conseguenza dei mutati rapporti verso la Germania e il suo regime totalitario che è il nazionalsocialismo.

Invano ha parlato chiaro in questo punto il Cancelliere fin dal discorso da lui pronunziato alla radio la sera stessa dell'H luglio e in numerose altre dichiarazioni successive sue e di altri membri autorevoli del governo e del Fronte Patriottico. A infirmare il valore assoluto di queste dichiarazioni si è diffusa la leggenda di patti accessori e segreti che farebbero obbligo al governo federale di riconoscere il nazismo, pur che gli si dia un'organizzazione indipendente dal partito nazionalsocialista germanico. Invano questa leggenda dei protocolli segreti è stata ripetutamente smentita. Né a toglier credito a tali voci è valso il fatto che da Berlino mai si è, né affermata, né fatta supporre l'esistenza di un impegno che di fronte al contrario e così reciso atteggiamento austriaco si sarebbe avuto ogni interesse a non sottacere.

Sarebbe ben facile al Cancelliere federale di chiarire in modo assoluto la situazione in tale riguardo se, chiedendone il consenso a Berlino, potesse pubblicare il testo del «gentlemen's agreement ». O, meglio ancora, se anche senza il consenso di Berlino, pubblicasse il protocollo esteso e firmato lo stesso giorno 11 luglio tra lui, Schuschnigg, e il fiduciario dei «nazionali» austriaci GlaiseHorstenau sulle condizioni pattuite come base dell'ingresso di quest'ultimo nel Gabinetto. V. E. conosce i due testi, se non dalla corrispondenza diplomatica vera e propria dalla comunicazione che ne ho potuto fare, in via confidenzialissima, io stesso per l'incarico speciale avuto allora da S. E. il Duce e dall'E. V. di tenere in quel negoziato diretti contatti con il Cancelliere Federale. Quei testi non lasciano dubbio alcuno su due punti: l) che il Cancelliere Federale ha dichiarato allora in forma inequivocabile, di voler mantenere in pieno vigore, e senza alcun temperamento anche dopo la firma dell'accordo, l'assoluto divieto del partito nazionalsocialista in Austria e di ogni manifestazione a fa

vore dello stesso; 2) che l'altra parte, così all'estero (Germania), come all'interno («nazionali» d'Austria), ha preso atto di tale intendimento ed ha accettato questa premessa, rispettivamente nel sottoscrivere l'Accordo di carattere internazionale e nell'aderire alla collaborazione al governo di Schuschnigg e al regime da esso rappresentato, in aperta e dichiarata e accettata antitesi al nazionalsocialismo. Non può quindi imputarsi mancanza di buona fede al Cancelliere federale. Né può ammettersi ignoranza del vero stato delle cose né a Berlino né negli uomini dirigenti dei gruppi «nazionali» austriaci. Non può quindi comprendersi la ragione pratica dell'insistere su di un punto, che non può condurre ad alcun risultato pratico nella così detta opera di pacificazione interna. A meno che non si consideri l'accordo dell'll luglio, invece che come un punto d'arrivo, un trampolino di partenza. Ma in tal caso, ogni tentativo di seria pacificazione sarebbe condannato all'insuccesso e tutto si appunterebbe in un ben altro proposito: quello di abbattere Schuschnigg nella speranza di avere nel suo successore maggiore arrendevolezza nella questione fondamentale del riconoscimento del nazismo in Austria. Ciò rappresenterebbe, il sovvertimento completo del regime Dollfuss che si poggia sulla soppressione e sul divieto di tutti i partiti e sul Fronte Patriottico, organo unico di formazione di volontà politica, come è detto nella legge in vigore. Sarebbe il ritorno

ad un passato, faticosamente superato; la fine del regime autoritario; la lotta aperta, se non altro, fra cattolici e nazisti, con gravi conseguenze non solo di politica interna, ma anche nei rapporti e nelle influenze di politica internazionale.

Basta enunciare queste previsioni per segnare la via conforme al nostro interesse. Occorre tener fermo alle basi dell'accordo dell'll luglio, quali noi stessi abbiamo cooperato a stabilire. Una di queste basi, la pregiudiziale e fondamentale, è la rinunzia alla lotta per il nazionalsocialismo in Austria e l'inquadramento dei « nazionali » austriaci nel Fronte Patriottico. A questo accordo è legato indissolubilmente Schuschnigg, che va sostenuto nella lotta, ma insieme va consigliato a tutti quei temperamenti che, senza venir meno a quella condizione pregiudiziale cui si è accennato, valgano a diminuire le difficoltà di qualche più o meno larga accessione di gruppi «nazionali» al Fronte Patriottico. Su questa linea si volge ogni mia opera, secondo le direttive che ho esposto nel rapporto riservato n. 4265/2269 del l corr., specialmente nella parte III. Qualche risultato sarebbe più facilmente raggiungibile se un cenno più preciso e più univoco giungesse qui da Berlino. Concorre a mantenere l'equivoco e però la resistenza nei circoli nazionali la diversità notata tra il linguaggio corretto dei circoli responsabili del governo e le voci di organi del partito e di giornali germanici. Dopo la depressione succeduta nei gruppi «nazionali » al viaggio di Schmidt a Berlino (l) e che avrebbe potuto agevolare qualche componimento, questi segni, affioranti ancora sempre, di radicalismo nazista alimentano resistenze e intransigenze.

La situazione, senza essersi aggravata dopo il mio rapporto del 7 corr., non ha fatto in questi ultimi giorni quei passi verso la chiarificazione che potevano prevedersi. Vanno messe in quarantena le voci allarmiste che hanno per oggetto,

(ll Vedi D. 457.

specialmente, più o meno imminenti modificazioni non solo in singoli dicasteri ma addirittura nella direzione politica del Gabinetto e del Fronte Patriottico. Schuschnigg non soìo è saldo, ma rivela un attivismo sempre più vivo. Del resto, il periodo natalizio è così sacro alle consuetudini viennesi che, secondo ogni previsione, deve escludersi per le prossime settimane ogni spostamento dell'equilibrio, per quanto instabile, prodottosi nella situazione interna dopo l'accordo austro-germanico (1).

(l) -Questo documento reca il visto di Mussolini. (2) -Con T. 5329/58 R. del 12 dicembre, ore l, Ciano aveva comunicato la decisione del governo italiano di non accettare credenziali di rappresentanti esteri se non indirizzate a Sua Maestà Vittorio Emanuele III Re d'Italia e Imperatore di Etiopia. (3) -Vedi D. 549. (l) -Vedi p. 615, nota l. (2) -Vedi DD. 457 e 465. (3) -Monsignor Hudal aveva sostenuto l'opportunità che i cattolici giungessero ad un accordo con Il nazionalsociallsmo, provocando forti reazioni negative nell'episcopato austriaco. A questoproposito, lo stesso 14 dicembre Il ministro Salata comunicava, con telespesso 4411/2338, che il vescovo di Linz, mons. Gfoellner, aveva diffuso una dichiarazione in cui metteva in guardia1 fedeU contro le voci di un nuovo atteggiamento della Chiesa cattolica verso il nazional socialismo e ribadiva che la Chiesa restava ferma ai principi esposti dai vescovi sulla pastoraledel 21 dicembre 1933 che fissava «quattro verità fondamentali »: la prima contro 11 razzismo nazista, in quanto portava a conflitti tra i popoli; la seconda a favore del nazionalismo cristiano contro il tradimento verso la patria e l'estremismo antisemita; la terza che ponevalo Stato al di sopra della nazione; la quarta che condannava la tendenza a creare una chiesa nazionale germanica. Il te!espresso di Salata porta il visto di Mussollni.
599

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, DE CIUTIIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. s. 66/22. Salamanca, 14 dicembre 1936 (per. il 22).

È venuto a vedermi il generale Millan Astray. Ha premesso che parlava a titolo personale e non per incarico del generale Franco: voleva esporre al rappresentante del governo fascista alcune sue considerazioni e conclusioni sulla situazione militare attuale e su i suoi riflessi internazionali.

Le forze in conflitto potevano fino a qualche tempo fa considerarsi come bilanciate; incominciava però ora a destare seria preoccupazione la circostanza che da parte dei rossi si registrava un rafforzamento incessante in uomini materiali, organizzazione militare. Ufficiali russi -fra cui dei generali -hanno assunto il comando di reparti ed unità; tre divisioni sono in formazione in Catalogna, una divisione russa sarebbe pronta a partire da Odessa, si intensificano aiuti francesi di ogni sorta. A tale rafforzamento il governo non può opporre che scarse riserve di combattenti e di materiale bellico. Le recenti perdite delle truppe nazionali sono state sensibilissime per quanto prontamente colmate (una bandera del 1'ercio ha perduto circa seicento legionari ed anche i mori sono stati duramente provati per il loro valoroso slancio nell'attacco di Madrid).

Ha ammesso che un certo ottimismo, del resto generale e dovuto in parte ad una sottovalutazione della resistenza dei rossi, aveva fatto ritenere sicura la immediata caduta della capitale. Nelle attuali condizioni, a suo avviso, era necessario ridurre l'intensità dell'apporto sovietico col siluramento sottomarino delle navi trasporto, invio urgente da parte dell'Italia e della Germania di una grande unità organica (divisione). Riteneva che aiuti parziali in uomini, materiali e quadri non potrebbero dare quel risultato definitivo per la soluzione favorevole del conflitto che sarebbe raggiunto assestando, con tali forze, un colpo rapido e decisivo al nemico. Riteneva che l'invio di un forte contingente italiano non avrebbe provocato reazioni internazionali: a tutti è già nota la presenza in Spagna di uomini e materiale italiani e sopratutto di aeroplani guidati da impareggiabili piloti. Di fronte ad una ferma decisione dell'Italia e della Germania, la Russia non sarebbe in grado di reagire. Quello che occorre è che l'invio si attui prima che gli aiuti sovietici, ed anche francesi, prendano tale sviluppo da imporre in avvenire un intervento con forze maggiori. Oggi con

(~) Questo documento reca il visto di Mussolinl.

,'aiuto richiesto la vittoria contro i rossi potrebbe essere prontamente assicurata. Il generale Millan Astray mi ha pregato di sottoporre a S. E. il capo del governo tali considerazioni e conclusioni (l).

600

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. 5371/265 R. (2). Roma, 15 dicembre 1936, ore 1.

Le notizie quL giunte sono per ora assai vaghe (3) e non permettono di farsi un'idea chiara sulla situazione. Comunque, pare che il giovane maresciallo pensi di gettare la Cina in preda al comunismo. Credo che non ci riuscirà; egli è uomo di capacità troppo limitate per portare a termine qualsiasi impresa, sia pure malvagia. Ma danni ne può fare ancora e molti.

V. E. voglia far capire nei suoi colloqui personali con codesti uomini di go. verna che il predominio rosso in Cina avrebbe conseguenze funeste per codesto Paese e che tra un'intesa, sia pure piena di dolorose rinuncie, col Giappone ed un'alleanza con i sovieti, bisogna senza meno scegliere la prima. Se poi avrà modo di fare pervenire una parola allo stesso Chang Hsueh-liang, col quale ln altri tempi fui legato da rapporti di cordialità, gli dica, a mio nome, quanto sopra Le ho comunicato. Aggiunga che riaccendere in Cina il fuoco comunista sarebbe, oltreché un delitto, un errore. Il primo investito dalle fiamme sarebbe lo stesso Chang Hsueh-liang. E poiché egli ha più volte provato di tenere all'amicizia dell'Italia fascista, gli faccia anche sapere che una sua complicità con i sovieti gliela farebbe perdere per sempre. Anzi gli procaccerebbe la nostra più intransigente ostilità ( 4).

601

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12215/588 R. Berlino, 15 dicembre 1936, ore 20,30 (per. ore 22,30).

Come V. E. avrà visto dalle reazioni di questa stampa, i fatti cinesi (3) hanno prodotto in Germania grande impressione. In proposito ho avuto stamane interessante conversazione anche con ambasciatore del Giappone a Berlino. Premesso che, una volta raggiunto potere,

47 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

anche maresciallo Chang Hsiieh-liang potrebbe mostrarsi «bravo ragazzo» e quindi cambiare politica pure nei riguardi del Giappone, ambasciatore osservava che avvenimenti cinesi sono importanti anche, e forse sopratutto, come indice della tendenza del Comintern ad aumentare le zone del disordine del mondo. Essi potrebbero quindi, se opportunamente utilizzati, servire forse a fare ravvedere Londra e ciò con ripercussioni immediate fra i due Paesi e sulla situazione spagnola. Avvenimenti cinesi costituiscono infatti un grave pericolo ed una minaccia anche per quanto riguarda le Indie, suscettibile secondo mio collega -di far comprendere all'Inghilterra come i pericoli, italiano nel Mediterraneo e tedesco nel Centro Europa, di cui essa mostra finora di esclusivamente preoccuparsi, non siano, dopotutto, per la Gran Bretagna i soli e maggiori. Ambasciatore del Giappone insisteva in proposito che Londra si sarebbe occupata e preoccupata del pericolo moscovita soltanto se e quanao si fosse sentita rassicurata nel Mediterraneo e sul continente europeo. Auspicava quindi -per quanto ci riguarda -un'« intesa anglo-italiana» che permettesse all'Italia, anche agli effetti immediati della situazione spagnuola, mano libera contro la Russia sovietica.

(l) -Questo documento porta il visto di Mussolini. (2) -Minuta autografa. (3) -II 13 dicembre, l'ambasciatore Lojacono aveva telegrafato che il maresciallo Chiang Kai-shek era stato fatto prigioniero nello Shang-Si dalle truppe del maresciallo ChangHslieh-liang, che si era ribellato chiedendo un'alleanza con l comunisti e un'azione piùvigorosa contro il Giappone (T. 12160/348 R. del 13 dicembre, ore 12). Il giorno successivo, l'ambasciatore Lojacono aveva riferito che erano in corso contatti per la liberazione di Chang Kai-shek ma che secondo voci diffuse il maresciallo era stato ucciso (T. 12185/349 R. del 14 aprile, ore 12). (4) -Lo stesso giorno Ciano telegrafava all'ambasciatore Lojacono: «Prego V. E. fornire possibili più ampie notizie su avvenimenti cinesi che interessano profondamente» (T. 5388/266 R. del 15 dicembre, ore 24. La minuta è autografa.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PERSONALE S.N.D. 5396/610 R. (l) Roma, 15 dicembre 1936, ore 22,30.

Suo 749 (2).

Quanto afferma Léger é notevolmente inesatto. Da fonte assolutamente certa -e lo comunico a V. E. per Sua riservata personale notizia -ci risulta che sint> dalla seconda metà di ottobre, il governo britannico ha fatto conoscere a Parigi che riteneva necessario risolvere la questione delle rappresentanze francesi e britanniche nell'Impero italiano d'Etiopia. Anche di recente, il governo inglese è tornato alla carica, in termini perentori e precisi, informando il Qual d'Orsay che avrebbe preferito agire d'intesa con la Francia ma che, in caso di mancato accordo, avrebbe proceduto egualmente con provvedimento unilaterale nella seconda metà dl dicembre. Le difficoltà vennero, vengono e verranno ancora da Parigi. Quanto sopra -Le ripeto -ci consta in forma definitivamente sicura.

Come V. E. ben sa, noi non facciamo troppo sottili distinzioni tra riconoscimento de facto e riconoscimento de jure. Si può forse affermare che nella pratica una vera differenza non esiste. Ai fini di una ripresa di amichevoli rapporti tra noi e la Francia, più che tante disquisizioni curialesche, conterrebbe un reale pratico gesto nei nostri riguardi: uno di quei gesti che invano attendemmo a lungo e che anche oggi forse non giunge. D'altronde, non conviene neppure far troppe pressioni: di riconoscimenti ne abbiamo già avuti tanti quanti bastano per non correre dietro a quello dei renitenti o dei ritardatari.

(2j Vedi D. 593.

(l) Minuta autografa.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA

T. R. 5397/147 R. Roma, 15 dicembre 1936, ore 24.

Prego V. S. seguire con particolare cura questione di Alessandretta, per eventualità che Consiglio S.d.N. adotti misure conservative o precauzionali nel Sangiaccato o lungo la frontiera siro-turca; giacché in tal caso R. Governo intenderebbe di fare tempestivamente in sede da stabilire passi necessari per assicurare nostra partecipazione ad eventuale commissione di delegati od esperti ovvero a forze internazionali che fossero inviate in detta zona (1).

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. 3963. Londra, 15 dicembre 1936 (per. il 28).

Dopo esattamente 15 giorni d'indescrivibile gazzarra la vita inglese sta rapidamente ricomponendosi. Le giornate di avant'ieri, domenica, e di ieri, lunedì (gli inglesi non sono capaci di riflettere se non nella giornata di domenica) hanno per così dire accelerato il processo chimico di decantazione di tutti i precipitati torbidi accumulatisi in due settimane. Vi è in tutti i ceti indistintamente della vita britannica, dagli ambienti del governo a quelli dell'opposizione, nelle chiese, nella City, nelle province, nella borghesia e nel popolo un prepotente bisogno, il quale corrisponde a una parola d'ordine che corre dappertutto, il bisogno di dimenticare gli avvenimenti delle due scorse settimane in modo che essi lascino la traccia meno profonda e meno visibile nell'organismo statale e imperiale brittannici.

La pubblicità morbosa data agli avvenimenti rende superflua una ricostruzione cronologica di quanto è accaduto. Tutto quello che poteva essere detto o pensato di bene e di male su questo <<affaraccio» è stato stampato a caratteri cubitali nella stampa inglese, dell'Impero e in quella internazionale. È stata come una colossale lavatura di panni sporchi, alla quale tutti hanno cercato di contribuire in una specie d'impudicizia parossistica senza riguardo per se stessi, per quelli che erano considerati fin qui le regole tradizionali più severe e il modo di vita brittannici. È troppo presto per valutare le conseguenze che questa crisi politica avrà nei tessuti vitali profondi del Regno

Unito e dell'Impero. È troppo presto sopra tutto perché questa crisi, la quale è nata come «una crisi politica » e che doveva logicamente e naturalmente sboccare in una «crisi costituzionale », ha finito invece coll'essere, né l'una, né l'altra, e ciò unicamente perché nel momento culminante della lotta uno dei protagonisti, il maggior protagonista, Re Edoardo, ha commesso il proprio suicidio morale prendendo su di sé, con una specie di sadismo patologico, tutte le responsabilità e tutte le condanne.

È interessante constatare in questi giorni la preoccupazione con cui il governo cerca di distruggere tutti quelli che potrebbero rimanere come dati di fatto e testimonianze evidenti per una futura esatta ricostruzione storica delle cause che hanno determinato la crisi delle due ultime settimane, e come da parte del governo, il quale aveva deliberatamente impostato la lotta al Re sul terreno politico e costituzionale, si faccia di tutto oggi per presentare l'abdicazione di Re Edoardo come una specie di vittoria dell'unanime sollevazione della morale puritana britannica contro la riprovevole condotta di Re Edoardo nella sua vita privata. Dato che Re Edoardo ha fatto per proprio conto di tutto per accreditare egli stesso questa interpretazione e per aiutare i suoi nemici direttamente e indirettamente, vi sarebbe veramente da meravigliarsi se il governo tenesse oggi una diversa attitudine. Ma i fatti si sono svolti ben diversamente e ben altrimenti da come il governo e la stampa ufficiosa cercano di presentarli: questo è il solo punto sul quale ritengo valga la pena di attirare la Tua attenzione. L'affare, anzi l'affaraccio Simpson, non è stato la vera causa che ha costretto, per così dire, Baldwin e il Gabinetto a prendere posizione contro il Re in nome di una crociata morale voluta dal popolo britannico. L'affare Simpson non è stato se non un appiglio fornito gratuitamente e scioccamente da Re Edoardo ai suoi nemici, di cui Baldwin e il Gabinetto conservatore si sono abilmente e tempestivamente serviti per sbarazzarsi di questo Re politicamente incomodo e pericoloso, che era diventato un vero incubo per il partito conservatore, ossia per il liberalismo e per la democrazia britannica.

Oggi Baldwin, questo piccolo Giolitti inglese diventato a un tratto «grande» dopo quarant'anni di mediocrità, figura come una specie di restauratore severo dell'ordine morale dell'Impero britannico. Per uno di quegli scherzi curiosi non infrequenti in quel romanzo di avventure fantastiche e spesso giammai avvenute che si chiama la «storia », Baldwin passerà probabilmente ai posteri come una specie di Cromwell redivivo, il quale irrigidendosi contro un Re dissipato e immorale, ha salvato la tradizione vittoriana e puritana dell'Impero. Scherzo questo tanto più assurdo ed ironico quando si pensa al fatto che solo qualche mese fa Baldwin era, per una gran parte dell'opinione inglese, l'« uomo dalle labbra sigillate », l'uomo che -secondo la sua stessa pubblica ammissione -non aveva osato parlare in tempo di riarmo per non rischiare di compromettere un'elezione. Re Edoardo, rivelandosi a un tratto uomo di statura assai inferiore agli ideali professati, si è incaricato egli stesso di creare a Baldwin questo piedestallo.

I motivi che hanno portato Baldwin e il Gabinetto a prendere una posizione di aperta lotta col Re, non sono motivi, né di carattere morale, né di carattere nazionale, bensì essenzialmente interessi politici di Partito. Non è l'Inghilterra e tanto meno l'Impero che Baldwin voleva difendere, bensì soprattutto la politica dell'attuale partito conservatore che Re Edoardo aveva dichiarato e mostrava di voler direttamente sfidare e attaccare.

Ho avuto più volte occasione d'illustrare questo punto come uno dei più interessanti e dei più delicati della vita politica britannica di questi ultimi anni. Re Edoardo, come Principe di Galles prima e dopo come Re, era diventato effettivamente la bandiera e la speranza a cui guardavano fiduciosi non soltanto le grandi masse britanniche ma anche tutti coloro in Inghilterra i quali sono convinti che per salvare o almeno trattenere l'Impero nella sua curva di decadenza storica occorra staccarsi definitivamente dalla ormai impotente e corrosa tradizione democratica e andare coraggiosamente incontro anche in Inghilterra alla rivoluzione del secolo XX. Re Edoardo era considerato, a ragione per i principi che egli apertamente professava, a torto per le deficienze di carattere che egli non aveva ancora rivelato, come l'uomo di questa grande, futura e possibile Rivoluzione.

Io ho segnalato volta per volta gli indici e le manifestazioni, talora anche pubbliche di queste tendenze. Negli ultimi mesi soprattutto le due parole King-Dictator sono state pronunziate con una frequenza che non poteva non preoccupare vivamente il Partito Conservatore. Quest'ultimo, il quale ha in Baldwin il suo esponente tipico e il suo capo riconosciuto, aspettava al varco il Re, deciso a giocare grosso per sbarazzarsi di questo incomodo Monarca la cui popolarità incontestabile presso le grandi masse britanniche rendeva problematica o pericolosa la vita futura del conservatorismo democratico e liberale. È esatto che il governo ha impedito alla stampa britannica di fare per mesi e mesi il benché minimo riferimento all'affare Simpson al quale la stampa internazionale dedicava colonne intere. Non bisognava innanzi tempo e senza una tempestiva preparazione, provocare polemiche laterali e sporadiche che la gran popolarità del Re avrebbero senza dubbio facilmente soffocate. Per mesi e mesi il Governo ha fatto finta di ignorare quello di cui tutta Londra, dai salotti di Mayfair ai docks di Tilbury, parlava sull'affare Simpson con una specie di disapprovazione indulgente non dissimile da quella con cui in altri tempi erano state trattate le avventure galanti di Re Edoardo VII. Baldwin, accompagnato dalla puritanissima sua consorte, è stato volentieri e più volte ospite nell'estate scorsa di Re Edoardo presente la Simpson, il Gabinetto non ha esitato a dare carattere politico alla crociera mediterranea di Re Edoardo e della sua amante, e tre sono le occasioni ufficialmente registrate in cui il Duca e la Duchessa di York, attualmente Re e Regina d'Inghilterra, sono stati ricevuti dalla Simpson e si sono seduti a tavola coll'amante del loro fratello e Re in una delle ville reali di cui la Simpson stessa per volere del Re faceva gli onori di' casa.

Il disegno di fare di questa donna, dalla quale ormai Re Edoardo era sessualmente e spiritualmente dominato, la propria moglie sia pure morganatica, ha coinciso con la visita di Re Edoardo alla povera gente del Galles, visita che ha costituito un'aperta e pubblica sfida del Re contro Baldwin e i Ministri conservatori. È ormai assodato come un dato di fatto, che ritornato dalla

sua visita trionfale fra i minatori del Galles, Re Edoardo ha avuto con Winston Churchill una serie di colloqui segreti durante i quali è stato esaminato positivamente un piano politico che avrebbe dovuto portare alla caduta di Baldwin e alla elevazione di Churchill all'ufficio di Primo Ministro. È insistente la voce che il Ministro della Guerra Duff-Cooper (delle cui dimissioni si parla insistentemente in questi giorni) e il Ministro dell'Educazione Oliver Stanley, fossero già guadagnati al piano concordato fra il Re e Churchill. Non vi è dubbio sull'esistenza di questo accordo segreto fra Re Edoardo e Churchill per un cambiamento di Governo da effettuarsi prima della data dell'Incoronazione. Tutti asseriscono inoltre che Churchill abbia parimenti data assicurazione al Re che il Paese, mentre si sarebbe ribellato all'idea di Mrs. Simpson quale Regina d'Inghilterra, non avrebbe reagito in senso assolutamente sfavorevole a un matrimonio morganatico di tipo simile a quelli non infrequenti nelle Case dinastiche tedesche, che lasciano la moglie del Re al di fuori di ogni privilegio monarchico (1). È certo che tanto l'attitudine dimostrata da Churchill durante questi 15 giorni ai Comuni e nelle sue pubbliche dichiarazioni, quanto l'impostazione che lo stesso Baldwin ha dato alla crisi e cioè di netta opposizione del Governo all'idea di un matrimonio morganatico, dimostrano come quelle voci, che del resto mi sono state confermate da persone assai vicine al Re Edoardo, abbiano un evidente fondamento di realtà. È nella giornata di venerdì 27 novembre che Baldwin e i più fidi fra i suoi Ministri, stretti ormai dall'urgenza di accelerare i tempi e di stroncare il piano politico di Re Edoardo e di Churchill prima che questo prendesse piede nell'opinione pubblica, hanno deciso di scendere in battaglia aperta contro il Re, scatenando il fanatismo delle Chiese e delle Congregazioni religiose anglicane, e organizzando una campagna di stampa di proporzioni e di violenza senza precedenti.

Un Vescovo, uno dei più ignoti e più scialbi Vescovi di una Diocesi di provincia, il Vescovo di Bradford nello Yorkshire, è stato scelto come lo stru

Che !l matrimonio morganatico fosse considerato come una soluzione possibile è anche dimostrato dall'attitudine in sostanza favorevole che a tale progetto hanno dimostrato l cattolici inglesi, i quali in materia di morale famigliare sono senza dubbio più rigidi dei preti anglicani (il purltanesimo inglese è un modo di pensare ma è ben !ungi dall'essere un modo di vita). I cattolici inglesi non hanno partecipato alla campagna morale contro Re Edoardo, e hanno cercato di differenziarsi dagli anglicani anche su questa questione, dimostrando per il Re un'aperta simpatia, la quale permane anche oggi, ad abdicazione avvenuta. Ne è prova questo articolo comparso nel Tablet che è l'ufficioso della chiesa cattolica inglese: «:È vero che la Monarchia deve esser rispettata e rispettabile: è •però ancor più importante che essa sia viva e reale e che goda di una vita sua propria. Un Re che deve chiedere uno speciale consenso per poter contrarre matrimonio ha veramente una posizioneben limitata come funzioni e come capacità. In realtà il danno che questo matrimonio avrebbe arrecato alla Corona sarebbe stato di carattere temporaneo, mentre vi sono fin troppe ragioni per ritenere che gli avvenimenti di quest'anno abbiano abbassato permanentemente il prestigio della persona e della figura del Re».

mento inconsapevole che doveva provocare l'incendio. Questo strumento doveva per evidente ragione essere un rappresentante della Chiesa anglicana, perché egli soltanto poteva, scagliando dal pulpito l'anatema contro il Re, suscitare l'ondata fanatica dietro di sé. Ma il Governo ha voluto tuttavia evitare che questo Prelato fosse lo stesso Capo della Chiesa anglicana, l'Arcivescovo di Canterbury, e ciò perché nella lotta del Governo contro il Re, la Chiesa anglicana doveva servire agli scopi del Governo, ma non assumersi interamente presso il Popolo inglese il merito del successo e della vittoria finale. Infatti l'Arcivescovo di Canterbury, che il Governo ha tenuto al di fuori della sua azione impedendogli persino di parlare nei giorni più acuti della crisi, è in questi giorni letteralmente furioso contro Baldwin e a questo suo stato d'animo si deve l'infelice discorso alla Radio che egli ha pronunciato domenica scorsa, e cioè ad abdicazione avvenuta, discorso anacronistico con sapore di codardia universalmente criticato.

Al discorso pronunciato dal Vescovo di Bradford, il quale tutto immaginava evidente fuorché di giocare la parte importante che il Governo gli aveva assegnato (il pover'uomo ha infatti il giorno dopo pubblicato una smentita timorosa e preoccupata per le interpretazioni così poco rispettose verso il Re date dai giornali al suo discorso), erano presenti, cosa assolutamente inusitata, i corrispondenti della Reuter, dell'Exchange e dell'Associated Press. Nella stessa sera di martedì 1° dicembre lo Yorkshire Post, giornale controllato dalla famiglia Eden (il quale durante queste due settimane di lotta contro il Re è stato ancora una volta il braccio destro di Baldwin) faceva circolare a tutti i giornali della provincia le bozze dell'articolo di fondo che conteneva il primo violento attacco alla persona del Re. Esattamente la stessa cosa era fatta la sera di martedì dal Birmingham Post, giornale di notoria proprietà del Cancelliere dello Scacchiere Neville Chamberlain.

La provincia che era indubbiamente la più affezionata e la più attaccata alla persona del Re, doveva essere la prima sulla quale esercitare la campagna di diffamazione contro Re Edoardo. Una volta scossa la popolarità di Re Edoardo nelle provincie, in Londra si sarebbero incontrate minori difficoltà. Infatti è soltanto esattamente dopo 24 ore che la stampa della capitale ha seguito pesantemente quella della provincia. Il Governo, non vi è dubbio, ha colpito diritto e ha colpito a tempo, nel punto che è ancora oggi il più sensibile nello spirito britannico, e cioè il fanatismo quaccbero e il convenzionalismo politico su cui riposa un intero secolo di grandezza, il secolo della Regina Vittoria.

Abbiamo assistito di nuovo a una di quelle ventate di fanatismo improvviso così frequenti nella storia e nella politica britannica. Il Re è stato preso assolutamente alla sprovvista dal colpo inaspettato. Non meno alla sprovvista sonc stati presi i laburisti i quali per due giorni sono rimasti perplessi sulla strada da scegliere. Poi il timore che una possibile vittoria del Re su Baldwin potesse determinare una specie di diminuzione dei poteri del Parlamento e favorire l'avvento di una dittatura anche in Inghilterra e la precisa sensazione che se la crisi fosse sboccata in un'elezione generale questa avrebbe avuto luogo in condizioni ed in circostanze svantaggiose per il partito, il timore infine di mettersi contro la Chiesa anglicana, nei cui ranghi militano numerosi capi del laburismo provinciale e nelle cui adunanze tanti socialisti inglesi esercitano le funzioni di «predicatori laici», ha portato i laburisti ad accodarsi all'azione del Governo. Lo stesso è accaduto ai liberali dell'opposizione che, dopo aver cercato di favorire, attraverso il News Chronicle, il compromesso del matrimonio morganatico, hanno battuto rapidamente in ritirata di fronte allo spettro di una «crisi costituzionale» nella quale una vittoria del Re sarebbe apparsa come una sconfitta delle istituzioni democratiche.

Si è determinato così un blocco compatto, agli ordini di Baldwin, costituito dall'unanimità del Parlamento e di tutte le Chiese protestanti. Il solo Churchill, seguito da pochi deputati, ha osato alla Camera dei Comuni di prendere le difese del Re: egli è stato il solo capo partito che durante la settimana prima dell'abdicazione ha tenuto col Re, pubblicamente, personali contatti, recandosi a visitarlo al Forte Belvedere. È evidente però che, dopo le dichiarazioni di Baldwin ai Comuni contro il matrimonio morganatico (4 dicembre), Churchill puntava ormai la sua ultima posta sulla possibilità di persuadere il Re a rinunziare pubblicamente alla signora Simpson nel nome dei supremi interessi dei suoi popoli e del suo Impero. L'azione di Churchill nella Camera -quando ha chiesto che si lasciasse a Edoardo VIII il « tempo necessario a riflettere» -e la sua opera personale presso il Sovrano sono state evidentemente ispirate nell'ultima settimana dalla speranza, se non addirittura dalla convinzione, che Re Edoardo non avrebbe capitolato.

Per una settimana, un giorno dopo l'altro, con crescendo intenso, il Governo ha lavorato alla demolizione morale di Re Edoardo. Nei primi giorn'i si è parlato di crisi costituzionale, poi di crisi politica, poi da ultimo il Governo ha negato l'una e l'altra di fronte all'inaspettata facilità con cui esso ha, dopo alcuni giorni, intraveduto la vittoria, per il fatto che il Re invece di reagire e di combattere ha mostrato egli stesso la volontà di andare incontro al proprio suicidio politico e morale.

I suoi amici hanno fatto di tutto per salvarlo. Prima hanno consigliato Mrs. Simpson di lasciare l'Inghilterra; in secondo luogo hanno, all'insaputa del Re, persuaso Mrs. Simpson a pubblicare una dichiarazione nella quale essa dichiarava di essere pronta ad allontanarsi per sempre dalla vita del Sovrano. Il giorno seguente a queste dichiarazioni di Mrs. Simpson la crisi sembrava ad un tratto risolta. Non «sembrava» bensì «era» di fatto risolta, soltanto se il Re lo avesse voluto. I giornali di Beaverbrook e Rothermere, ostili alla politica di Baldwin, ma altrettanto pronti e rapidi a interpretare il sentimento popolare britannico, stampavano fiduciosi in prima pagine a caratteri di scatola «la crisi è finita». Un'ondata improvvisa di ottimismo aveva ormai riguadagnato tutti: la Simpson se ne va, il Re rimane. Tutto è dunque finito. A questo sentimento di ottimismo faceva stridente contrasto l'astiosa campagna dei circoli conservatori più vicini a Baldwin e a Downing Street i quali di fronte al fatto nuovo, anziché calmarsi e condividere il senso di distensione generale, si affannavano preoccupati a spargere le voci più allarmistiche e a eccitare di nuovo e più ancora gli animi. Nello stesso giorno i giornali conservatori ufficiosi come il Daily Telegraph e la Morning Post attaccavano rab

biosamente Mrs. Simpson affermando che la sua dichiarazione non significava affatto la fine della crisi, e rivelavano, con un'imprudenza che soltanto la paura dell'imminente sconfitta poteva giustificare, quello che era stato lo scopo unico dell'azione del Governo: costringere il Re ad abdicare e ad andarsene.

Senonché, e questo è uno degli aspetti più interessanti e paradossali della crisi, il Re non è stato «costretto» ad abdicare. Se il Governo voleva sbarazzarsi del Re, il popolo inglese voleva invece conservare il Re, e ottenere semplicemente da quest'ultimo l'assicurazione che egli non avrebbe fatto Mrs. Simpson Regina d'Inghilterra. Nonostante l'anatema delle Chiese anglicane, la crociata puritana, l'ostile attitudine del Parlamento, la violenta campagna della stampa, Re Edoardo è rimasto infatti padrone della situazione fino al momento stesso in cui il popolo britannico ha, con sincero sgomento, conosciuto la determinazione del Re ad abdicare. Gli stessi principi di conservazione e di tradizione formale che sono tutt'uno col carattere britannico, e la popolarità forse unica nella storia della monarchia inglese che godeva Re Edoardo, hanno, nonostante l'indubbia perdita di prestigio personale dovuta a dieci giorni di martellamento diretto contro la sua persona, giocato sino all'ultimo momento in favore del Re. Mentre il Governo si batteva per sbarazzarsi di Re Edoardo, il pubblico inglese credeva di battersi soltanto per liberare il suo amato Sovrano dall'influenza nefasta di una donna indegna che Satana (che alcuni identificano negli ebrei, altri nella Germania) erano riusciti a collocare vicino alla sacra ed amata persona del giovane Re. Bastava che Re Edoardo avesse fatto sapere pubblicamente che egli rinunciava al progetto matrimoniale con Mrs. Simpson; bastava addirittura (e questo il Governo ha temuto sino all'ultimo) che il Re dicesse che egli non pensava affatto di fare Mrs. Simpson Regina d'Inghilterra (il Re non vi ha effettivamente pensato mai, ma questo Baldwin si è ben guardato dal dire al popolo britannico prima dell'abdicazione del Sovrano) e noi avremmo assistito a un fenomeno ancora più curioso e interessante: il prestigio, l'autorità e la popolarità del Re, pronto a sacrificare la sua felicità personale di fronte al suo dovere di Sovrano, sarebbero di colpo diventati maggiori di quanto essi non fossero prima dello scoppio della crisi. Tutto ciò avrebbe portato naturalmente alle immediate dimissioni di Baldwin e del suo intero Gabinetto e il piano politico concordato fra il Re e Churchill alla fine di ottobre avrebbe forse potuto divenire una realtà. Questo è il messaggio che il Popolo inglese si attendeva dal Re. Ma quando invece di questo è arrivato il Messaggio dell'Abdicazione una delusione profonda e glaciale è subentrata di fronte alla improvvisa constatazione che il Re moderno, che il Re nuovo, che il Re popolare, altro non era se non un povero uomo senza carattere. Taluno ha paragonato la delusione attonita di Londra nell'apprendere l'inesplicabile decisione del Re ad abdicare a quella che deve essere stata la sorpresa di Roma nell'apprendere che Antonio nel bel mezzo della battaglia d'Azio, quando le sorti cominciavano a volgere in suo favore, aveva abbandonato il campo e se ne stava fuggendo sulla nave e fra le braccia di Cleopatra lasciando ad Ottaviano una ben facile vittoria.

In 24 ore, e precisamente nella giornata di venerdì 11 dicembre, giorno susseguente all'abdicazione, vi è stata una contrazione improvvisa nello spirito britannico. Venerdì sera si è avuto ancora un momento di emozione profonda quando la voce di Re Edoardo è giunta per l'ultima volta attraverso la radio. Nei teatri e locali pubblici e dovunque il messaggio è stato radiodiffuso sono avvenute scene di ogni genere. Donne svenute. Molta gente piangeva e applausi hanno dappertutto accolto la fine del Messaggio. Ma l'applauso non era se non la manifestazione di simpatia all'indirizzo di un defunto. Re Edoardo è morto giovedì sera, forse per sempre, nel cuore del Popolo britannico, e questo perché dopo aver innalzata una bandiera nuova egli ha ammainato questa bandiera nel momento stesso in cui doveva mostrare di voler combattere per essa. La vittoria di Baldwin, del partito conservatore, del parlamentarismo, del convenzionalismo vittoriano tradizionale è stata di gran lunga maggiore di quanto il Governo stesso non osasse sperare.

Il nuovo Re, Giorgio VI, uomo incolore, senza personalità e di intelligenza inferiore alla normale, non è e non sarà se non uno strumento in mano di Baldwin e di due donne: la Regina Elisabetta, sua moglie, e la Regina Maria, sua madre. Due donne di grande carattere e di indubbia volontà. Due tipiche rappresentanti di quella mentalità quacchera, piccolo borghese e provinciale che ha fatto in altri tempi la grandezza britannica. Queste due Regine, assenti completamente dalla vita pubblica britannica, sono scialbe e grette ma piene tuttavia di dignità e di rispettabilità. Esse pure saranno dei docili strumenti al servizio di Baldwin e di chi a Baldwin succederà.

Il nuovo Re, con le sue due Regine, sta già eseguendo con scrupolosa cura la consegna che Baldwin gli ha dato: «purificare » con la maggiore ostentazione possibile il Trono contaminato dall'avventura di Edoardo VIII, « ricostruire"' senza indugio l'atmosfera nella quale si era mosso ed aveva vissuto Giorgio V. Così tutti i giornali hanno cura di pubblicare estese relazioni -con fotografie probatorie -delle ripetute visite che il Re e le due Regine hanno fatto a Chiese e Cappelle (Edoardo VIII era se non ateo per lo meno indifferente alla religione ufficiale). Così, uno dei primi atti di Giorgio VI è stato quello di creare Primo Gentiluomo di Corte a vita quel Lord Wigram, segretario e confidente di Giorgio V, che Edoardo VIII aveva malamente messo alla porta. Così viene annunziato che le Scuderie Reali torneranno a partecipare alle Corse (Re Edoardo le aveva messe in liquidazione), e che nelle prossime regate di Cowes il nuovo Re, ligio alla tradizione paterna, sarà al timone del suo yacht (Re Edoardo detestava Cowes e le sue regate). La Corona britannica che Re Edoardo aveva portato, sia pure disordinatamente, a contatto diretto col popolo e coi problemi politici più urgenti e vitali, torna così per imposizione del Governo a rinchiudersi nell'innocuo suo formalismo rappresentativo.

Questa è la fisonomia della situazione in questo momento. Dico «in questo momento» perché questo Paese, come tutti i Paesi illogici, fanatici, fuori dalla regola e dalla tradizione politica dell'antico Diritto romano, può riserbare le sorprese più imprevedute e più impensate. Ieri sera, ad esempio, al «Regal », che è uno dei più grandi cinematografi di Londra (io mi trovavo presente) si proiettava un film in cui erano riprodotti gli episodi più salienti della vita di

Giorgio VI. Durante uno di questi episodi è apparso per un momento, fuggevole, e di scorcio, la figura dell'ex Re Edoardo VIII, quando era principe di Galles. Al suo apparire è scoppiato un generale applauso in tutta la sala, mentre nessun -dico nessun applauso ha salutato l'apparire sullo schermo del nuovo Re. Che cosa vuoi dire ciò? Nulla di preciso o di immediato. Re Edoardo, ripeto, è in questo momento un morto nello spirito britannico. Ma l'applauso significa semplicemente che l'Inghilterra non è soddisfatta e domanda tuttora un Re che corrisponda esattamente a quelle speranze che per 25 anni l'Inghilterra aveva riposto in Re Edoardo. Ciò, in un certo senso, è già molto, e basta a !asciarci incuriositi e perplessi su quello che ancora potrà riserbare il futuro.

(l) Il giorno successivo, Bova Scoppa rispondeva assicurando che avrebbe seguito con la massima cura la questione ma faceva presente che alla Società delle Nazioni si era orientati ad inviare ad Alessandretta solo tre osservatori: sembrava molto difficile che tra essi potesse essere scelto un italiano, dato lo stato dei rapporti tra Italia e Società delle Nazioni e dato, soprattutto, che le parti {!!rettamente interessate preferivano degli osservatori provenienti dagli Stati nordici (T. 12229/1177 R. del 16 dicembre, ore 13,50).

(l) Nota del documento: «Circa !l progetto di matrimonio morganat!co l'opinione pubbl!ca inglese non ha avuto. né tempo, né modo di esprimersi. Il Governo Conservatore ha fatto di tutto per orientare immediatamente la campagna di stampa sulla cosidetta «questionemorale >> della vita privata del Re. Senza di ciò questo progetto reale di matrimonio morganatico avrebbe molto probabilmente finito col guadagnare terreno -e questo Church!ll lo ha visto subito -per quell'istintiva tendenza della pigra mentalità britannica per le soluzioni di compromesso. Il progetto di matrimonio morganat!co, discusso in un'atmosfera non eccitata dalla passione, avrebbe potuto essere presentato ai puritani inglesi come un atto da parte del Re desideroso di mettere in pace la propria coscienza di credente coi suoi rtoveri verso una donna insieme alla quale egli ormai pubblicamente conviveva. Ecco perché Baldwin ha scatenato dapprima e subito la campagna dei puritani e soltanto dopo tualche giornoha dichiarato che il governo era decisamente contrario a questo progetto d! matrimonio, mettendo cosi il Re nell'alternativa fra due soluzioni immediate ed estreme: l'abdicazione ovvero l'« abnegazione» (come si è detto qui), e impedendo altresì a Churchill di sviluppare !l suo gioco tendente a guadagnare tempo e a preparare una soluzione di compromesso.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. PERSONALE. Berlino, 15 dicembre 1936 (per. il 19).

Un piccolo, ma significativo episodio. Mentre attendevo l'arrivo di S.A.R. il duca d'Aosta al monumento dei Caduti tede§chi, ho avuto un'altra conversazione con il segretario di Stato Milch e con il capo di Stato Maggiore dell'aeronautica tedesca, generale Kesselring. Sempre, naturalmente, sugli affari di Spagna. Kesselring ha ripreso il tema che l'Italia dovrebbe chiudere le vie di accesso al Mediterraneo ai trasporti sovietici. E ha concluso: «Cosa potrebbe farvi la Russia? Siete inattaccabili. Chinerebbe senza dubbio la testa. E cosi in un solo anno, avrete fiaccato l'orgoglio dei due più vasti imperi del mondo. Penso che, al suo ritorno in Italia, sarebbe opportuna una tua conversazione con il duca d'Aosta (1).

606

IL MINISTRO AL CAIRO, GRIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12216/625 R. Cairo, 16 dicembre 1936, ore 2,40 (per. ore 8,20).

In questi giorni, ho avuto vari colloqui col presidente del Consiglio, ministri della Giustizia, Esteri e Finanze, Alto Commissario britannico e colleghi esteri, circa soppressione capitolazioni e imminente conferenza. Ho riportato impressione che il governo egiziano non avanzi reali opposizioni ma sopratutto non abbia studiato vari aspetti questione e non si renda conto sua complessità.

(T. segreto 5461/376 R. del 19 dicembre, ore 22,30).

Non c'è che da sperare che ciò possa almeno in parte avvenire dopo imminente ratifica trattato anglo-egiziano (l).

Per ora nulla è deciso circa data e luogo conferenza. Ministri egiziani mi hanno addirittura parlato di fine gennaio per fare coincidere conferenza con l'Assemblea della S.d.N. che dovrebbe approvare ammissione Egitto nella Lega ma alla Residenza si esclude data così imminente. Circa luogo, opinioni sono tuttora divise in quanto si è ancora incerti se a Ginevra debba essere preferito Cairo.

Per quanto concerne atteggiamento Italia, a Nahas Pascià, che mi domandava notizie, ho confermato precedenti dichiarazioni di favorevoli e amichevoli disposizioni, mantenendomi riservato sui punti specifici sui quali mi sono limitato assicurarlo che il R. Governo esaminerà con benevolenza richieste del governo egiziano appena ne sarà a conoscenza.

Fra le collettività straniere, compresa quella inglese, permane stato di disagio ed apprensione. Legazioni interessate, anche sotto tale impressione, cominciano ad agire più attivamente per possibili opportune gl'-tranzie. Le più attive sono legazioni del Belgio e Grecia. Ma naturalmente particolare importanza presenterà linea di condotta del governo francese, il quale da un lato desidera evitare ogni difficoltà all'Inghilterra ma dall'altro ha qui ingenti interessi materiali e morali da salvaguardare.

Quanto all'atteggiamento americano mi riferisco al mio telegramma numero 626 (2).

(l) Il documento reca 11 visto di Mussolini. Ciano telegrafava il 19 dicembre: «In relazione a quanto il generale Kesselring ha dichiarato a Magistrati, converrà far presente che l'Invio di materiale sovietico via mare alle forze rosse in Spagna è praticamente quasidel tutto cessato. Così almeno risulta In seguito alle Intense crociere che la nostra marina compie nel Canale di Sicilia e nelle vicinanze dei porti rossi. L'afflusso di volontari e di materiale ha luogo sopratutto per via di terra In quantità notevoli dalla frontiera francese ».

607

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12269/350 R. Shanghai, 16 dicembre 1936, ore 12,30 (per. ore 22,45 del 17).

Mio telegramma n. 348 (3).

Situazione immutata. Chiang Kai-schek, tuttora nelle mani delle truppe ammutinate, è stato visitato da Donald, il quale è rientrato a Loyang ed ha comunicato aver trovato Generalissimo tranquillo, in buona salute, senza nulla aggiungere sopra esito sua opera di mediatore. In realtà regna grande mistero sopra ogni cosa, giacché tanto notizie rassicuranti, quanto notizie sulle imprese (4) sembrano dettate o da fini di politica interna, ovvero da speculazioni

Si va accertando che dissidio tra Generalissimo e Chang Hsueh-liang esisteva da tempo perché quest'ultimo non era contento delle sovvenzioni che riceveva ed era poco disposto a rimanere a Sian-Fu a fare la guerra ai comunisti.

Ciano rispose con T. 5448/293 P.R. del 19 dicembre, ore 1: <<V. S. può esprimersi con codesto ministro Esteri nel senso accenatole da ministro Stati Uniti d'America ma senza insistervi particolarmente e quando anche Suo collega di Francia riceva istruzioni formulare analoga richiesta ».

Generalissimo sarebbe accorso a Sian-Fu per ristabilire situazione rimuoveQdo Chang Hsiieh-liang, il quale gli ha risposto catturandolo.

Secondo le notizie raccolte a Nanchino, varie divisioni muovono da diverse direzioni per circondare Sian-Fu, presso la quale già si trovano alcune di esse. Si esita tuttavia a procedere a rigorosi atti di ostilità per non compromettere vita del Generalissimo.

A parte queste speciali condizioni di cose, situazione militare di ChangHsiieh-liang sembra cattiva, non avendo egli fatto nulla per prevenire avanzata divisioni regolari.

Intanto situazione nel Sung chiang, ove truppe cinesi avevano conseguito notevoli vantaggi, comincia a dar segni di ripresa dei mongoli che intendono profittare della grave complicazione in corso.

(l) -Vedi D. 17, nota 4. (2) -T. 12217/626 R. del 16 dicembre, ore 2,43. Riferiva che il ministro degli Stati Uniti aveva chiesto di essere informato con almeno due mesi di anticipo sull'apertura della conferenza per la soppressione delle capitolazioni circa le richieste del governo egiziano ed aveva sollecitato il ministro Ghigi a compiere un passo analogo. (3) -Vedi p. 673, nota 3. (4) -Sic.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. N. D. 12236/589 R. Berlino, 16 dicembre 1936, ore 14,18 (per. ore 18).

Generale Milch ha, per incarico Goering, convocato ieri nostro addetto aeronautico, colonnello Teucci, per intrattenerlo sulla situazione Spagna ove, secondo un rapporto pervenuto ieri da comandante in capo tedesco, le forze spagnole nazionali si troverebbero, in seguito arrivo del nuovo materiale sovietico, in condizioni nettamente inferiori e avrebbero urgente bisogno di rinforzi. Secondo stesso comandante, ove Franco non ricevesse ulteriori aiuti, rimarrebbe sopraffatto. Generale Milch ha dichiarato ad addetto militare che i tedeschi non sono in grado inviare ancora che una squadriglia bombardamento nuovo tipo; a nome Goering prega perciò governo italiano volere concorrere anche esso con un gruppo bombardamento.

Duca d'Aosta (l) e Teucci con cui ho discusso situazione spiegano atteggiamento tedesco con ragioni oltre che tecniche anche politiche in quanto Germania desidera evidentemente di non concentrare su se stessa tutte le odiosità delle operazioni bombardamento.

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L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12218/271 R. Tokio, 16 dicembre 1936, ore 16,05 (per. ore 11,40).

Telegramma di V. E. n. 115 (2).

Ho sempre presente la questione e so che anche qui vi si pensa. Riferirò di nuovo appena possibile. È però bene lasciare maturare eventi senza troppo

insjstere e consentire che come di consueto si rifletta qui a lungo e liberamente. Poiché presenti avvenimenti cinesi (l) attirano ogni attenzione, mi occupo con Tucci e con queste Autorità per giungere a risultati positivi circa sviluppo rapporti culturali. Accoglienze che si vanno facendo a Tucci tanto più calorose che non a Severi sono nuova conferma del mutato stato d'animo.

(l) -Vedi p. 663, nota 5. (2) -T. 55339/115 R. del 12 dicembre. Prendeva atto di quanto comunicato dall'ambasciatore Auriti con 11 suo telegramma 263 (vedi D. 570), nell'attesa di altre e più dettagliate notizie al riguardo.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MARESCIALLO CHANG HSuEH-LIANG

T. 5418 r. (2). Roma, 16 dicembre 1936, ore 20,15.

Ho seguito le vicende di questi ultimi giorni. In via strettamente personale vi consiglio di rilasciare il maresciallo Chiang Kai-schek. Tale gesto vi procurerà un titolo di alta benemerenza di fronte al vostro Paese eù al Mondo che segue con ansia gli sviluppi della situazione cinese.

Sono certo che il vostro patriottismo e la vostra provata cavalleria vi indurranno ad accordarvi con maresciallo Chiang Kai-shek per il bene della Cina e per la pace dell'Oriente.

Vorrete scusare questo mio intervento dovuto soltanto alla simpatia che mi lega a voi ed al popolo cinese.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. N. D. 12247/592 R. Berlino, 16 dicembre 1936, ore 21,08 (per. ore 0,20 del 17).

S.A.R. duca d'Aosta (3) ha oggi visitato Blomberg e avuto occasione sandarlo nuovamente nei riguardi della Spagna. Maresciallo si è nuovamente dichiarato contrario all'invio di « divisioni», nello stesso tempo assicurando tuttavia che gli studi decisi in proposito a Roma venivano proseguiti. A parte ogni altra considerazione (invio unità tedesche coglierebbe Germania in pieno processo formazione dell'esercito e quindi ne scombussolerebbe la compagine), maresciallo insiste che, operazioni simili non sarebbero mai possibili «senza una opportuna chiara preparazione diplomatica». Cosa di preciso egli intenda dire con questo non comprendo bene. Duca d'Aosta mi assicura, peraltro, che non astante riserve di cui sopra -confermatemi oggi anche da Dieckhoff maresciallo rendesi conto necessità non cedere di fronte soviet. Egli si è pure mostrato molto preoccupato di una notizia pervenuta dall'addetto militare tedesco Mosca secondo la quale russi disporrebbero di ben 160 dico 160 sottomarini.

(l) -Vedi p. 645, nota 3. (2) -Minuta autografa. Al maresciallo Chang Hstieh-liang fu inviata la traduzione in inglese del testo. (3) -Vedi p. 663, nota 5.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, E AL CONSOLE GENERALE A DUBLINO, LODI FÈ

T. 5423 R. Roma, 16 dicembre 1936, ore 24.

(Per la Santa Sede) Qualche giorno fà il R. console generale a Dublino segnalava (l) che fra gli argomenti portati innanzi al Parlamento irlandese per respingere una mozione in favore del riconoscimento del generale Franco da parte dello Stato Libero, figurava quello che il Vaticano non si è ancora deciso a detto riconoscimento e che di .conseguenza il governo irlandese, benché si ispiri ai principi della morale religiosa cattolica, non ha ragione di anticipare ciò che il Pontefice non ha creduto ancora di fare. Il predetto console generale aggiungeva che nei commenti ài tutti i giornali si accennava a pressioni esercitate da parte nostra sul Vaticano e attirava l'attenzione sull'opportunità di compiere dei passi affinché « tale impressione non abbia a persistere in un Paese in cui insieme al profondo sentimento religioso sta l'amore per l'assoluta indipendenza morale del Pontefice ».

Ho telegrafato al console generale a Dublino quanto segue:

«(Per tutti) Suo 41. Non è stata data alla Santa Sede notifica ufficiale del nostro riconoscimento del governo del generale Franco. Tanto meno vi è stata esercitata alcuna pressione da parte nostra, né diretta, né indiretta per indurla a tale riconoscimento. Il conte Pignatti si è limitato a chiedere qualche giorno fa (2), ed a puro titolo informativo, al cardinaie Pacelli e a monsignor Pizzardo quali erano le intenzioni della Santa Sede nei confronti del governo Franco. Gli è stato risposto «che era un po' presto per procedere al riconoscimento, che la S. Sede doveva agire con cautela tenendo presenti supremi interessi spirituali da salvaguardare». V. S. vorrà, nei modi e forme che crederà migliori, svolgere costì opportuna opera di chiarimento.

(Per s. Sede) v. E. potrà far cenno al Segretario di Stato delle impressioni segnalate dal R. console generale a Dublino affinché analoghi chiarimenti siano possibilmente dati dalla Santa Sede negli ambienti ufficiali e ufficiosi irlandesi, qualora le voci dl presunte pressioni da parte nostra nel senso indicato dovessero ancora perdurarvi.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 5425/644 R. Roma, 16 dicembre 1936, ore 24.

In questi ultimi giorni ha avuto luogo uno scambio di telegrammi tra la

R. ambasciata a Parigi e questo ministero in relazione ad una possibile nomina

di un console francese ad Addis Abeba (1). Il governo francese ha posto il quesito se la richiesta di exequatur da parte sua fosse considerata dal governo italiano come riconoscimento di diritto o come semplice riconoscimento di fatto. Da parte nostra è stato risposto che per facilitare la cosa. non intendevamo entrare in disquisizioni giuridiche sulla portata più o meno precisa di un provvedimento del genere da parte francese, aggiungendo che qualunque provvedimento del governo francese che mostrasse una maggiore aderenza alla realtà di quanto non abbia fatto finora, non avrebbe potuto essere da noi accolto che con favore, e ne avremmo facilitata l'attuazione.

Essendosi il R. ambasciatore a Parigi espresso in tal senso con Léger, questi ha dichiarato che non aveva trascurato nulla per regolare la questione dell'abolizione della legazione francese a~ Addis Abeba ma che, di fronte alla nostra risposta, non credeva di potersi scostare dalla via maestra, consistente nell'attendere che la S.d.N. cancelli l'Etiopia dall'elenco degli Stati membri permettendo cosi il riconoscimento della sovranità italiana sull'Etiopia. Siccome Léger ha concluso che, giusta gli accordi esistenti, il governo francese avrebbe informato codesto governo del risultato negativo del suo passo, informo di quanto precede l'E. V. perché a sua volta Ella possa illustrare la questione, sia a Eden, sia a Vansittart, mettendo in evidenza come lo spirito che ha animato e che anima il nostro atteggiamento è quello non di irrigidirei in inutili controversie oltretutto di portata e di importanza accademiche ma piuttosto quello di avvicinarci, sia pure gradualmente, ad una soluzione di fatto accettabile dalle due parti.

Aggiungo che da parte francese, nelle conversazioni del R. ambasciatore a Parigi con Blum, Léger, etc., si tende a far apparire che, mentre il governo francese sarebbe disposto a venire ad un compromesso con l'Italia, si incontrano i più seri ostacoli a Londra. A questa presentazione della situazione io non credo affatto perché, anzi, dai miei colloqui con Drummond e da quelli che

V. E. ha avuto con Eden e Vansittart ho potuto rilevare la maggiore buona volontà da parte dell'Inghilterra e ho ragione di credere elle le difficoltà e gli ostacoli vengono proprio dal governo francese. Anche questo vorrei che V. E. mettesse bene in chiaro col Foreign Office.

(l) -Con T. per corriere 11829/41 R. del 29 novembre, il cui contenuto è qui ampiamente riassunto. (2) -Di questo passo dell'ambasciatore presso la Santa Sede non sl è trovata documentazione.
614

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. S. UU. 5123/1718. Berlino, 16 dicembre 1936 (per. il 19).

Parte per Roma, ove si tratterrà un paio di giorni, il R. addetto militare colonnello Marras. Mi consta che egli vedrà, oltre che il generale Roatta, anche

S. E. Pariani, avendo così occasione di esporre loro le sue impressioni in merito alle attuali disposizioni della Germania nei riguardi della Spagna. È bene però che, indipendentemente dalle maggiori precisioni che il colonnello Marras potrà verbalmente dare, io anticipi qui alla E. V. una idea generale della situazione.

Le concordi osservazioni di questi ultimi giorni autorizzano a concludere che la Germania si è, in fondo, buttata nelle operazioni spagnuole senza rendersi esatto conto della ampiezza ch'esse avrebbero potuto assumere. Adesso che questa ampiezza si sta rivelando, le autorità militari tedesche ne rimangono esse stesse come, non dico sgomente, ma almeno sorprese e alquanto preoccupate. Non che disconoscano le ragioni di prestigio e di interesse generale che rendono indispensabile una continuazione dello sforzo intrapreso e che intendano quindi comunque sottrarvisi. No. Però, esse non vorrebbero, sopratutto, che lo sforzo per la Spagna potesse complicare, se non compromettere, quello più vasto e più essenziale che esse stanno compiendo all'interno. I tedeschi, evidentemente, hanno finora -in materia di riarmo -bluffato un poco e tenuto a dare all'estero la sensazione e l'impressione di una potenza e di una forza superiore alla reale. Per mantenere questa impressione e la situazione politica che ne è derivata, essi sono ora costretti a correre ai ripari, accelerando ed ampliando il ritmo e la portata del loro sforzo di riarmamento. Tutto ciò che possa diminuire questo sforzo all'interno -tanto più necessario quanto più si mantengono essi stessi e vengono mantenuti dagli altri in uno stato di psicologico «accerchiamento » -li contraria e li turba, e questo in una misura superiore a quella che ci si sarebbe, a prima vista, potuto attendere. In sostanza, i tedeschi non sanno come fare per metter su le 36 divisioni a cui si sono impegnati di fronte a sé stessi ed al mondo. Mandare, quindi, delle divisioni in Spagna racimolandone i battaglioni qua e là, li scombussolerebbe completamente. Alcuni capi hanno detto espressamente che essi vogliono a qualunque costo evitare di trovarsi, in caso di pur possibili complicazioni europee, nella stessa situazione in cui si è trovata l'Italia in conseguenza della campagna di Libia allo scoppio della grande guerra.

È evidente che la Germania ha effettivo bisogno, ancora, di due o tre anni di preparazione bellica, e che tutto ciò che, in qualunque guisa, complichi questo processo di formazione e di sviluppo la pone in una situazione di disagio. La possibilità, quindi, ch'essa possa, anche soltanto ipoteticamente, esser chiamata ad operare su due fronti, o meglio fuori casa propria oltre che in casa propria, è per essa semplicemente inammissibile. Il pensiero di Blomberg quando dice che egli non manderebbe mai delle divisioni fuori della Germania se la situazione politica non fosse completamente chiarita, va appunto interpretato nel senso che egli, non sentendosi in grado di parare a due pericoli alla volta (ed in questo momento per i tedeschi, a torto o a ragione, il pericolo sovietico sta acquistando corpo ed attualità) si indurrebbe ad operazioni militari in grande stile in Spagna solo se esse potessero apparire come una risposta, ammessa anche dagli altri e pertanto legittima, a riconosciute provocazioni sovietiche. Credo, che in proposito, egli accarezzi in cuor suo l'idea di quell'« alto là» alla Russia di cui parlò già Goring a Magistrati (1). Di questo stato di cose, qualunque ne siano le ragioni, è bene, mi sembra, che noi teniamo il debito conto. La Germania, in sostanza non mi sembra pronta a sostenere la causa di Franco sino in fondo e in qualunque caso e condizione.

48 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

Per l'Aeronautica che -vedasi conversazione Goring Magistrati sopracitata -appariva ed era in fatto la più pronta a marciare, la battuta di arresto a cui anche essa è indubbiamente arrivata è dovuta forse a circostanze speciali. L'aviazione tedesca è stata particolarmente sorpresa dalle inattese resistenze incontrate in Spagna e dalla ampiezza ed intensità dello sforzo a cui si vede costretta. Ancora più essa è rimasta interdetta dalla constatazione se non delle proprie insufficienze, almeno delle limitazioni della efficienza propria. Il rapporto giunto a Goring dal Comandante delle forze aeree tedesco in Spagna -persona indubbiamente seria e degna di stima -ha aperto gli occhi sull'effettivo valore del fattore sovietico, di cui è stata riconosciuta, sia -in certi campi -la superiorità tecnica materiale, sia, anche, la vera e propria efficienza bellica. Donde il grido di allarme gettato da Goring attraverso S.A.R. il Duca d'Aosta e il R. addetto colonnello Teucci, sebbene a questo -come ho già telegrafato (l) -non sia estraneo anche il desiderio di non far apparire agli occhi sia della stessa Spagna, sia del mondo, gli aviatori tedeschi come i soli bombardatori delle città spagnuole e la Germania come il paese aggressore ed aggressivo per eccellenza.

Fatta, tuttavia, la debita parte a queste pur comprensibili suscettibilità cui non sarà forse difficile da parte nostra venire incontro ed integrare, io sono sicuro che l'aviazione tedesca è pronta a perseverare nello sforzo intrapreso, ma ciò nei limiti del mantenimento in efficienza (il che del resto, date le gravi perdite subite, sembra rappresentare già qualche cosa) delle forze aeree già inviate. In generale, insomma, sarà più sotto forma di continuato invio di materiali che non di contingenti che la Germania potrà continuare a contribuire alle operazioni di Spagna. Ed io, mentre in assenza di istruzioni (mio telegramma n. 585) (2) mi astengo da ogni iniziativa intesa a modificare la situazione venutasi a creare, ho creduto e credo mio dovere chiarirla e precisarla alla E. V. nei suoi elementi così materiali come morali.

Ulteriori precisazioni ed informazioni in materia potrà anche personalmente dare a V. E. il Duca di Aosta che, durante la sua lunga visita ed i suoi quotidiani contatti con grandi e piccoli, ha raccolto larga, utilissima messe di osservazioni personali ( 3).

(l) Vedi DD. 563, 574 e 589.

(l) Vedi D. 531.

615

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4108/1664. Mosca, 16 dicembre 1936 (4).

Tre recenti manifestazioni della politica estera polacca non sono andate a genio a questi circoli ed hanno suscitato reazioni nella stampa ufficiosa moscovita da cui si denotano i sospetti che la crescente attività politica del colonnello Beck fa nascere a Mosca.

Il viaggio del ministro degli esteri polacco a Londra, come ho già avuto occasione di riferire (1), ha destato i primi sospetti confermati dal carattere delle conversazioni polacco-romene a Varsavia (2). Le allusioni al carattere neutrale che potrebbe avere un blocco di Stati nell'Europa media e sud-orientale sono state interpretate a Mosca come «un tentativo di scindere la Piccola Intesa ed isolare l'U.R.S.S. nell'interesse del fascismo germanico ».

Un noto pubblicista sovietico, portavoce di questo governo, ha qualificato la politica polacca in queste ultime settimane «doppia ed incerta» e nel constatare che la Polonia rinuncia alla garanzia collettiva della sicurezza ha soggiunto che «già per questo ogni partigiano della pace deve mostrarsi prudente nei riguardi delle concezioni politiche polacche». Lo stesso pubblicista si è riferito ad un articolo sulle relazioni sovietico-polacche apparso nel numero di novembre della rivista tedesca Volk und Reich, dedicato alla lotta contro il bolscevismo. Detto articolo, che è firmato dal signor Studnitzky, confermerebbe pienamente, secondo questi circoli, le manovre politiche polacche e l'intenzione del colonnello Beck di anteporre a tutto l'avvicinamento alla Germania. Si potrebbe concludere quindi -si pensa a Mosca -che il governo polacco considera il patto di non aggressione con l'U.R.S.S. (3) un trampolino che lo conduca ad una salda alleanza con la Germania.

Il memorandum polacco per la revisione dello statuto della Lega (4) non poteva naturalmente incontrare il favore della stampa moscovita che senz'altro lo ha qualificato «una variante polacca dei funerali della S.d.N. ». Si è sottolineato a Mosca che la proposta polacca tendeva a rendere innocue le disposizioni sovietiche contro l'aggressore ed a trasformare la Lega in un asilo per i provocatori di conflitti internazionali. Le ufficiose Isvestia hanno scritto che il governo polacco « costretto far parte della Lega per la sua politica di civetteria verso la Francia e l'Inghilterra è pertanto imbarazzato dalle limitazioni imposte dallo statuto ginevrino». Il foglio moscovita considerava infine il memorandum una vittoria dell'indirizzo politico di Beck e condivideva il dubbio espresso dalla stampa tedesca circa l'esistenza di una divergenza tra le simpatie politiche di Beck e quelle del maresciallo Rydz-Smigly.

L'annuncio da fonte giapponese della prossima conclusione di un accordo culturale nippo-polacco ha destato a Mosca la più sgradevole impressione essendo ancor viva l'irritazione per il recente accordo nippo-tedesco. Senza attendere la conferma polacca del progettato accordo lo si commenta in tono sarcastico non riuscendo però a dissipare il dispetto provato per questa nuova manifestazione della politica polacca che viene presentata volentieri nella veste di politica personale del col. Beck. Se il carattere culturale dell'accordo si presta alla facile e mordace critica dei prosatori locali, le inquietudini per l'eventuale contenuto reale trapelano nelle segnalazioni dei viaggi che avrebbero compiuto in Polonia « numerose missioni militari giapponesi » nel corso degli ultimi due

anni. Le ufficiose Isvestia non esitano a dichiarare che il «progettato accordo è il frutto diretto del patto nippo-tedesco '> e rappresenta l'adesione della Polonia alla congiura degli aggressori; con l'usuale intemperanza che caratterizza il nervosismo della stampa moscovita in queste ultime settimane, il giornale conclude con spregio che mentre in Polonia si accende la lotta per la spartizione dei due miliardi di franchi prestati dalla Francia, la promessa revisione della politica estera polacca è altrettanto lontana quanto Tokio dista da Varsavia.

Questi malumori moscoviti nei riguardi della Polonia non sono un fenomeno nuovo della scena politica sovietica. L'estrema suscettibilità di questi circoli per ogni manifestazione indipendente dei Paesi limitrofi all'Unione è ormai proverbiale e crea sospetti su le più oneste intenzioni. Comunque, Mosca disapprova da tempo la linea politica del colonnello Beck che considera, a torto

o a ragione, filogermanica, giudicando in conseguenza ogni sua mossa tattica in una luce antisovietica. La graduale liberazione della politica polacca dalla tradizionale subordinazione al Quai d'Orsay ha certamente una parte importante nel crescente malumore di Mosca che sarebbe infine veramente giustificato dalla eventualità della conclusione di un accordo di qualsiasi natura il quale possa soltanto apparire come un'estensione ed un consolidamento del fronte antibolscevico promesso da Berlino.

(l) -Vedi D. 608. (2) -Vedi D. 591. (3) -Il documento ha il visto di Mussolini. (4) -Manca l'indicazione della data di arrivo. (l) -Vedi D. 414. (2) -Si riferisce alla visita effettuata dal ministro degli esteri romeno, Antonescu, a Varsavia dal 25 al 28 novembre su la quale si vedano i DD. 522 e 529. (3) -Vedi p. 56, nota 3. (4) -Con T. 121337/231 R. del 12 dicembre, Rosso aveva già comunicato che le proposte presentate dal governo polacco per la riforma della Società delle Nazioni avevano provocato critiche vivaci a Mosca dove venivano considerate come «un'azione di sabotaggio contro la Lega», mentre la stampa sovietica aveva assunto un tono sempre più polemico nei riguardi della Polonia.
616

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12259/759 R. Parigi, 17 dicembre 1936, ore 13,05 (per. ore 17,20).

Léger mi comunica che in seguito ad una decisione del Consiglio dei ministri e ad attento esame della situazione dei rapporti franco-italiani, è stata dal Quai d'Orsay rimessa attivamente allo studio la questione della soppressione legazione ad Addis Abeba e creazione consolato generale. Ha aggiunto che il governo francese ha deciso risolverla unilateralmente senza insistere per ottenere dal governo italiano alcuna dichiarazione circa portata del riconoscimento dell'Impero Etiopico e senza cioè distinguere fra riconoscimento di diritto e di fatto. Mi ha lasciato sperare che i provvedimenti saranno presi in brevissimo tempo (1).

617

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12268/1523 R. Londra, 17 dicembre 1936, ore 21,45 (per. ore 3,50 del 18).

Telegramma di V. E. 640 (2).

Ho comunicato iersera a Eden contenuto telegramma sopracitato. Eden mi ha pregato ringraziare V. E. per tale comunicazione, aggiungendo che sua

proposta di circoscrivere eventuale mediazione a tre Potenze mediterranee Italia, Francia e Inghilterra, non era da lui intesa come tendente escludere Germania, bensì soltanto a predisporre eventuale azione da svolgere presso due parti in conflitto. Governi italiano, francese e inglese avrebbero dovuto costituire -nella sua idea -una specie di comitato ristretto al quale cinque Potenze avrebbero potuto delegare difficile opera di mediazione. In realtà -ha soggiunto Eden proposta anglo-francese si è mostrata, nei fatti, impraticabile e pertanto non è più il caso di esaminare quale sarebbe stato il metodo più adatto per l'applicazione di questa proposta. Governo britannico -ha detto ancora Eden -non ha tuttavia rinunziato a fare ulteriori tentativi in proposito. Esso sta di nuovo esaminando la difficile e delicata situazione e ne informerà, non appena possibile, V. E.

(l) -Per il seguito della questione, si veda il D. 632. (2) -Vedi D. 580.
618

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12291/1182 R. Ginevra, 17 dicembre 1936 (per. il 19).

Tevfik Rustu Aras ha chiesto di vedermi ieri sera. Mi ha pregato di comunicare a V. E. che teneva in modo particolare a mettermi al corrente della situazione relativamente alla vertenza turco-francese per Alessandretta. Dopo avermi esposto le fasi della discussione davanti al Consiglio e del negoziato intercorso fra lui, Sandler e Viénot, fasi che V. E. già conosce, Aras mi ha detto che, su invito del governo francese, egli sarà lunedì prossimo a Parigi per discutere direttamente con Delbos la delicata questione. Avendogli chiesto se prevedeva già una qualche soluzione del problema, Aras mi ha risposto che non sapeva ancora esattamente quale resistenza avrebbe incontrato a Parigi, ma aveva l'impressione che governo francese non avrebbe mostrato un'eccessiva intransigenza. Comunque, se non era possibile di raggiungere un accordo, il governo di Ankara avrebbe preferito lasciare la questione aperta anziché chiudere la vertenza con una soluzione insoddisfacente e non consona alle « giuste e legittime rivendicazioni della Turchia». Aras mi ha poi fatto capire che egli doveva lottare su due fronti perché le esigenze di Ankara erano molte e d'altra parte il Ghazi si era personalmente impegnato nella questione con esplicite dichiarazioni, per cui vi era in giuoco anche una questione di prestigio pel Capo dello Stato. Le ragioni della resistenza francese egli le conosceva perfettamente. Prima di tutto la «mentalità giuridica » francese che si trincerava dietro gli articoli di alcuni trattati e dietro la carta del mandato con interpretazioni di cui la Turchia contestava il fondamento e secondariamente il timore che, cedendo alle richieste turche, ne sarebbe conseguito per la Francia una diminuzione di prestigio di fronte alle popolazioni arabe sotto il suo dominio. In ogni modo egli teneva su un punto speciale a richiamare subito l'attenzione di V. E. e cioè che a Parigi avrebbe ben chiaramente fissato e precisato che qualunque soluzione verrà concordata per Alessandretta, la Turchia pone come condizione primordiale la smilitarizzazione della zona del Sangiaccato. «Il problema del Mediterraneo -ha precisato Tevfik -del quale ho numerose volte parlato anche con

voi, sta sommamente a cuore al governo turco, che fra parentesi si compiace del felice corso dei negoziati itala-inglesi per un gentlemen's agreement. Di conseguenza noi non intendiamo portare nuove cause di turbamento e di preoccupazione fra gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo e che hanno interesse all'equilibrio e alla conservazione dello status qua in questo mare. Spero che il Duce e il conte Ciano accoglieranno con piacere questa decisione turca di cui non metto per ora al corrente che voi, gli inglesi ed i russi. La situazione nel Mediterraneo orientale non è forse mai stata così tranquilla come in questo momento. I rapporti tra l'Italia e la Turchia s'avviano verso una fase fiduciosa, grazie anche agli sforzi del vostro ottimo ambasciatore ad Ankara, col quale parlo frequentemente di questo problema. Il giorno in cui l'accordo itala-inglese sarà realizzato, un nuovo importantissimo passo sarà fatto per un maggior schiarimento dell'atmosfera e le ripercussioni di questo evento influenzeranno in bene anche i rapporti tra i nostri due Paesi. Dite al conte Ciano che io resto fedele al patto di amicizia itala-turco e che non desidero altro se non una sempre più stretta intesa tra Roma e Ankara ».

Ho ringraziato Tevfik Aras; gli ho detto che non avrei mancato di riferire fedelmente a V. E. quanto egli mi comunicava. Parlando poi ancora del negoziato svoltosi in questi giorni a Ginevra e il discorso essendo caduto su lord Cranborne, ho chiesto ad Aras quale atteggiamento avesse assunto la delegazione britannica nella vertenza turco-francese. Aras mi ha risposto con franchezza, non abituale in lui, che gli inglesi, mentre erano diffidenti per quanto riguardava le possibili violazioni che si potessero commettere al principio del mandato, principio che per ovvie ragioni volevano non solo difendere ma neppur vedere incrinato, d'altra parte erano ben lieti della decisione turca di proporre la smilitarizzazione della zona, elemento che consideravano di grande importanza ai fini dell'equilibrio del Mediterraneo.

Tevfik Aras ha così confermato quanto mi ero permesso di prospettare con mio telegramma n. 1174 del 15 corrente (l) sull'atteggiamento inglese nella questione del Sangiaccato. Ritengo anzi che la decisione del governo turco sia appunto frutto d'un suggerimento britannico e che la proposta di smilitarizzazione rappresenti una contropartita ad un appoggio generico inglese nella vertenza.

Aras mi ha poi detto che si fermerà a Parigi solo due-tre giorni e ho tratto

l'impressione che non si faccia eccessive illusioni sui risultati della sua missione.

Terminando, il ministro degli Esteri turco, che durante tutta la conversazione è stato assistito da Numan, mi ha pregato di dire a V. E. che egli spera si presenti presto per lui l'occasione di incontrarsi con V. E. Egli transita frequentemente in Italia in tutti i suoi viaggi da e per la Turchia e si augura che presto si realizzi il suo voto, durante uno dei suoi transiti, in modo da potere avere un colloquio diretto con V. E.

(l) Nel T. 12203/1174 R. del 15 dicembre, ore 21,10, con cui riferiva sull'andamento delle conversazioni in atto a Ginevra per la soluzione del problema di Alessandretta, Bova Scappa aveva rilevato: «Di particolare Interesse nella vertenza franco-turca è l'atteggiamento inglese. Qui entrambe le delegazioni affermano di essere sostenute dall'Inghilterra. I turchi precisano che Londra non amerebbe vedere Alessandretta trasformata In base navale francese e i francesi affermano la stessa cosa asserendo che In nessun modo gli inglesi tollererebbero una base navale turca ad Alessandretta longa manus dei sovietici nel Mediterraneo orientale. La verità è che, probabilmente, Londra lavora appunto per ottenere che le due parti si Impegnino a non armare quella base che potrebbe essere posta sotto un regime internazionale o di condominio ».

619

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 3233/1268. Varsavia, 17 dicembre 1936 (per. il 21).

Da qualche tempo corre qui insistente la voce che la Germania avrebbe intenzione di cogliere la prima occasione favorevole per tentare un'azione armata contro l'U.R.S.S.. Non ho sinora dato eccessivo peso a tali voci s&mbrandomi che esse rispeccbiassero il nervosismo e le preoccupazioni che oggi travagliano l'Europa e si facessero eco più che altro di quelle deduzioni logiche che facilmente si è indotti a trarre dalle ultime manifestazioni della politica tedesca nei riguardi di Mosca. Tali voci, però, diventando ogni giorno più insistenti e più precise, credo di doverne riferire a V. E., se pure con ogni riserva ed a semplice titolo di cronaca.

Questo R. addetto militare mi conferma che anche in questi ambienti di Stato Maggiore si parla di un conflitto come di un'ipotesi probabile. Si preciserebbe anzi che l'attacco della Germania all'U.R.S.S. avverrebbe attraverso i Paesi Baltici e non si escluderebbe che ciò possa verificarsi nella prossima primavera. A tal fine lo Stato Maggiore tedesco avrebbe accumulato e continuerebbe ad accumulare nella Prussia Orientale ingenti quantità di armi e munizioni.

Come a V.E. è noto, questo Stato Maggiore gode fama di essere generalmente bene informato di quanto succede nei due potenti Paesi vicini. Non so però se si faccia soverchie illusioni quando esso si mostra fiducioso -come il colonnello Marazzani mi riferisce -che la neutralità del corridoio polacco verrebbe rispettata. Si aggiunge poi che la Polonia avrebbe tutto l'interesse a mantenere, in tale eventualità, una posizione strettamente neutrale, fino a quando il suo territorio non fosse violato dall'una o dall'altra parte, salvo ad intervenire all'ultimo momento per assicurarsi qualche vantaggio.

Meno tranquillo per quanto riguarda il proprio Paese è questo ministro di Lettonia che io conosco da parecchi anni e che parla con me molto liberamente. Per il signor Valters, la situazione della Lettonia è estremamente delicata. Mentre infatti all'ultimo congresso dei soviet moscoviti, Zdanov ha parlato della necessità di « aprire una finestra nel Baltico» (mio telespresso n. 3117/1220 del 4 corrente) (l) e Mosca dà poi chiarimenti a Riga che persuadono sino ad un certo punto, l'atteggiamento tedesco è tale da non permettere molte illusioni. Il ministro di Lettonia ha rilevato che, dopo il riavvicinamento all'Italia, la Germania è diventata ancora più arrogante e che è opinione diffusa, almeno nei Paesi Baltici, che essa abbia ricevuto assicurazioni da Roma di un benevolo atteggiamento italiano nel caso di un attacco tedesco all'U.R.S.S. Roma evidentemente -sempre secondo il signor Valters -si discosterebbe dalla politica di tradizionale amicizia per gli Stati Baltici, che ha costantemente tenuto sin dalla loro nascita. D'altra parte, tale politica presenterebbe per l'Italia il vantaggio di deviare la pressione tedesca dal bacino danubiano.

Ho rassicurato Valters, come meglio ho potuto, rilevando, fra l'altro, che oramai era da lungo tempo che si parlava di un imminente conflitto tedescorusso, mentre poi sia Berlino che Mosca, ad ogni occasione, proclamavano il loro desiderio di pace ...

Ho riferito all'E. V. circa questo diffuso nervosismo, certamente non nuovo ma sintomatico perché va ormai invadendo tutti gli ambienti, anche quelli meno inclini al pessimismo.

(l) Non pubblicato.

620

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12274-12275/1527-1528 R. Londra, 18 dicembre 1936, ore 1,20 (per. ore 5,50).

In relazione miei telegrammi nn. 1519 e 1521 (l) ho domandato oggi a Vansittart quale era esatta interpretazione che Foreign Office dava alle dichiarazioni fatte ieri da Eden ai Comuni alle interrogazioni dei deputati laburisti circa problema trasformazione in consolato della legazione d'Inghilterra in Addis Abeba.

Vansittart mi ha risposto che opposizione laburista ha cercato inscenare una delle sue solite montature ai Comuni nell'intento di ottenere da Eden una qualche assicurazione o impegno che il governo britannico non (dico non) sarebbe addivenuto all'abolizione della rappresentanza diplomatica in Addis Abeba. Eden non solo si è rifiutato -ha soggiunto Vansittart -di dare assicurazioni di tale genere, ma ha stabilito chiaramente che era interesse britannico di addivenire a tale abolizione nel più breve tempo possibile e comunque prima che Assemblea di Ginevra abbia possibilità esaminare questione appartenenza Etiopia alla Lega delle Nazioni. Era impossibile da parte di Eden -ha continuato Vansittart -dichiarazione ai Comuni che tale provvedimento costituiva un riconoscimento de jure della sovranità italiana in Etiopia ma le dichiarazioni di Eden accuratamente redatte in precedenza erano intese a dare esatta impressione ai Comuni che ·n governo britannico si prepara ad un riconoscimento de facto della sovranità italiana in Etiopia. Dichiarazioni di Eden sono state accolte da approvazioni generali ed anche da applausi, salvo beninteso da parte dei laburisti e dei liberali. Accoglienze favorevoli fatte ieri sera dai Comuni devono essere considerate come un altro passo innanzi per una soluzione della questione per la quale -ha concluso Vansittart tutti gli ostacoli di politica interna possono considerarsi come superati.

Ho dato a questo punto a Vansittart integrale lettura del telegramma di V. E. n. 644 (2).

Vansittart ha ascoltato col più grande interesse e mi ha pregato anzitutto di esprimere a V. E. i suoi ringraziamenti e apprezzamento sincero per quanto

V. E. mi aveva dato istruzioni di comunicargli. Vansittart non ha nascosto la sua sorpresa per la risposta negativa data da Léger, della quale egli non era stato ancora informato da Parigi. Il modo così intelligentemente realista con cui V. E. ha presentato la questione al governo francese avrebbe dovuto bastare ad eliminare ogni difficoltà. Per parte sua, governo britannico -ha soggiunto Vansittart -condivide interamente punto vista V. E. Vansittart mi ha soggiunto che si sarebbe messo subito in comunicazione con Parigi per premere sul Quai d'Orsay a che il governo francese modificasse suo atteggiamento e non sollevasse ulteriori difficoltà per la trasformazione in consolato della sua rappresentanza diplomatica in Addis Abeba. Governo inglese -ha continuato Vansittart -intende ormai affrettare i tempi ed adottare al più presto tale procedimento che dovrà precedere conclusione del gentlemen's agreement.

Vansittart non mi ha nascosto la sua irritazione per il puerile tentativo da parte dei francesi di addossare all'Inghilterra responsabilità delle difficoltà esistenti per una soddisfacente soluzione della questione. Vansittart è grato a V. E. per non avere dato credito alle insinuazioni di Léger. «La verità -ha concluso Vansittart -è proprio il contrario. È governo britannico che ha preso l'iniziativa per la soluzione della questione: senza difficoltà e ritardi frapposti dalla Francia tale soluzione sarebbe stata già raggiunta da tempo ».

(l) -T. 12255/1519 R. del 17 dicembre, ore 10,40 c T. 12256/1521 R., stessa data, ore 12,32. Riferivano su le interrogazioni di alcuni deputati laburisti e su le risposte date da Eden a proposito dell'Istituzione di un consolato generale ad Addis Abeba al posto della legazione e circa il problema del riconoscimento dell'Impero italiano. (2) -Vedi D. 613.
621

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12300/351 R. Shanghai, 18 dicembre 1936, ore 13 (per. ore 22,50).

Governo Nanchino ha dichiarato apertura operazioni militari contro Hsian ove effettivamente sono avvenuti primi combattimenti ma presso questo ministero degli Affari Esteri sono stato informato che in realtà possibilità trattative sussistono. Ministro degli Affari Esteri e vice ministro politico (l) mi hanno detto che escludono che Chang Hsueh-liang voglia installare comunismo in Cina, pur patrocinando cessazione operazioni contro rossi e costituzione fronte popolare comprendendo anche comunisti per unificare Paese contro pericolo giapponese. Essi mi hanno detto che gran parte opinione pubblica pensa in questo modo ma che governo nazionale cinese rimane invece fedele programma Kuomintang che è di opposizione nello stesso tempo tanto comunismo quanto invadenza giapponese.

Ho chiesto, a questo punto, se nell'ora della fase di lotta acuta contro rossi governo di Nanchino non si trovasse portato automaticamente ad un avvici

namento col Giappone ed ho svolto considerazioni di cui al telegramma di

V. E. n. 265 (l) da me collocate nel quadro del grande interesse che V. E. porta alla Cina ed alla persona di Chiang Kai-shek, nonché alla necessità di parare gravissima iattura della diffusione del comunismo in questo Paese.

Mi è stato risposto con vivissime manifestazioni di apprezzamento per atteggiamento di V. E. ma nello stesso tempo mi è stato detto che governo crede tenere in mano situazione e di potere far fronte minaccia comunista senza trovarsi costretto a dover abbandonar nulla del programma del Kuomintang.

Ritengo dovere riferire una pericolosa tendenza che è trasparita a questo proposito dalle parole dei miei interlocutori e cioè che nel programma del Kuomintang intransigenza verso Giappone prevale sopra quella verso rossi. Questa tendenza può tuttavia a mio avviso rimanere nel campo teorìco se il governo di Nanchino si ingolfi veramente in una guerra combattuta contro rossi, nel qual caso, è evidente che, senza confessarlo, esso sarà condotto ad attenuare sua campagna anti-nipponica se il Giappone non commetterà intemperanze.

(l) Nota dell'ufficio cifra: «Sic nel testo >>.

622

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12289/162 R. Roma, 18 dicembre 1936, ore 18 (per. ore 20,15).

Il cardinale segretario di Stato mi ha detto che il cardinale arcivescovo di Toledo, venuto a Roma per pochi giorni per riferire e conferire, ha fatto una relazione ottimistica della situazione in Spagna. Secondo il porporato spagnolo, le cose volgeranno in favore di Franco se cesseranno di giungere ai rossi soccorsi che affluiscono da più parti. Il segretario di Stato ha soggiunto risultargli che anche l'ex Re di Spagna è ottimista. Il cardinale Pacelli ha osservato, però, che si ha l'impressione che le cose non volgano troppo bene per il generale Franco anche perché i rossi ricevono aiuti abbondantissimi e poderosi. Il porporato mi ha domandato, infine, se potevo dargli qualche informazione attendibile. Gli ho risposto di non avere notizie all'infuori di quelle che leggo nei giornali.

Il cardinale mi ha detto poi che la Santa Sede non ha rapporti con il governo di Madrid. L'ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede è a Parigi e di là gli ha scritto una sola volta, per cosa insignificante. L'incaricato d'affari della Santa Sede ha lasciato la Spagna da parecchio tempo.

Circa il riconoscimento del governo del generale Franco, la Santa Sede è perplessa. Evidentemente la chiamata a Roma del cardinale di Toledo era mossa dal desiderio della segreteria di Stato di sapere come stanno veramente le cose, in vista delle decisioni da prendere. Si direbbe che le spiegazioni fornite dal prelato spagnolo, molto ottimistiche come ho detto, non siano state considerate, ciò nonostante, sufficientemente rassicuranti.

(l) Vedi D. 600.

623

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12297/597 R. Berlino, 18 dicembre 1936, ore 20,20 (per. ore 24).

S.A.R. il duca d'Aosta ha visto oggi cancelliere del Reich (1), riscontrando anche in lui a proposito Spagna -la perplessità e le preoccupazioni già manifestate da Blomberg e Goei:ing (2). Anche cancelliere del Reich ritiene che, prima della conversazione sulla questione degli aiuti a Franco, situazione politica debba essere meglio chiarita, nella forma specie nei riguardi dell'Inghilterra. Ha detto di avere dopo qualche tempo appunto per questo coefficiente richiamato qui a conferire Ribbentrop.

624

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA, DUCIC (3)

APPUNTO. Roma, 18 dicembre 1936.

Ho ricevuto il Ministro di Jugoslavia (4) il quale mi ha dato lettura di una lettera pervenutagli dal Presidente Stojadinovic. Inizia il suo scritto dicendo che egli era d'accordo con noi circa l'opportunità di far cominciare i pourparlers dai rappresentanti dei due Governi, senza fissare in un primo momento quelli che dovranno essere i limiti dell'accordo. Dovranno invece. risultare dall'andamento delle conversazioni. Per parte sua Stojadinovic è molto ottimista circa i risultati di tali conversazioni e crede che l'intesa potrà portare lontano.

Proseguiva scusandosi del ritardo e spiegava che ciò era dovuto all'assenza da Belgrado del Principe Paolo; non appena ritornato il Reggente è stato informato delle conversazioni preliminari che avevano avuto luogo nonché del modus procedendi concordato. Il Reggente Paolo ha dato la sua piena adesione.

Stojadinovic concludeva la sua lettera incaricando n Ministro Ducic di comunicarmi subito che in un prossimo lasso di tempo egli avrebbe nominato due Delegati ufficiosi, uno per le questioni politiche e l'altro per le questioni economiche, ai fini di iniziare le conversazioni. Accettava come sede Roma e raccomandava ancora il più assoluto riserbo.

Il signor Ducic mi ha chiesto se noi desideravamo che tali Rappresentanti venissero tra Natale e Capodanno oppure se consideravamo opportuno il loro arrivo nei primi giorni di gennaio. Ho lasciato a lui la scelta (5).

(l) -Vedi p. 663, nota 5. (2) -Vedi DD. 591, 608, 611 e 626.

(3) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, p. 124.

(4) -Non è stata trovata documentazione sui contatti avvenuti In precedenza tra Ciano ed 11 ministro Duclc in vista di un accordo di ampia portata politica tra i due Paesi. DI tali contatti, iniziati, sembra, nel corso del mese di novembre, parla Stojadinovic nelle sue memorie (M. Stojadinovic, Jugoslavia tra le due guerre, Bologna, Cappelli 1970, p. 169). (5) -Il documento ha il visto di Mussol!ni. Per il seguito si veda !l D. 663.
625

IL FUNZIONARIO ADDETTO ALL'UFFICIO DI GABINETTO, LANZA D'AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 18 dicembre 1936.

Gentlemen's Agreement.

Da fonte sicura risulta che le qui sotto elencate considerazioni saranno tenute presenti dal governo britannico nel corso delle conversazioni angloitaliane relative al Mediterraneo:

l) Poiché è stato il governo fascista a richiedere il chiarimento della situazione nel Mediterraneo, allo scopo di migliorare le relazioni itala-britanniche, è necessario che l'Italia offra effettivamente un suo positivo contributo a tale miglioramento.

2) Nulla dovrà essere compiuto a detrimento degli interessi francesi, né dovranno in alcun modo essere urtate le suscettibilità di questa grande Potenza mediterranea. A tale scopo il governo francese sarà tenuto al corrente da parte inglese degli sviluppi delle conversazioni. Non è tuttavia nelle intenzioni britanniche di svolgere alcun'azione tendente a trasformare l'agreement con l'Italia in un accordo generale tra le Potenze mediterranee, come sarebbe invece desiderio del governo di Parigi. In proposito Londra ha anche rinunciato a pretendere di associare la Francia a quelle « dichiarazioni» in cui essa possa essere interessata.

3) L'accordo dovrà essere congegnato in modo da non sollevare preoccupazioni di sorta nelle altre Potenze mediterranee ed in particolare nella Turchia, Jugoslavia, Grecia ed Egitto.

4) La dichiarazione per il Mediterraneo dovrà esser redatta in termini molto generali. Per la forma è consigliabile uno scambio di note.

5) La nota britannica -che nella sostanza dovrebbe essere identica a quella italiana -potrà contenere: a) una dichiarazione di rispetto dello status qua mediterraneo (l); b) una dichiarazione che la libertà di entrata e di transito nel Mediterraneo è di vitale interesse per l'Impero Britannico; c) una dichiarazione la quale affermi che gli interessi italiani e britannici nel Mediterraneo non sono contrastanti, ma complementari; d) una dichiarazione nella quale si affermi che le clausole concordate non ledono gli interessi di alcun'altra Potenza.

Conversazioni generali.

Sempre da fonte sicura, risulta che il governo britannico, mentre ritiene che lo scopo immediato di queste conversazioni debba essere la formulazione delle dichiarazioni per il Mediterraneo -nella forma e con il contenuto sopra

descritto -non è restio a compiere, contemporaneamente o susseguentemente alla stipulazione del detto accordo, «un giro d'orizzonte :>) con quello italiano su tutto l'insieme delle relazioni tra i due Paesi, allo, scopo di giungere possibilmente ad accordi separati sulle varie questioni. Tale «giro d'orizzonte :>), abbordato con cautela e tatto, dovrà, secondo il desiderio britannico, essere anche una concreta dimostrazione delle buone intenzioni del governo fascista di voler mutare la sua politica nei riguardi dell'Inghilterra.

Da recenti notizie si può desumere che l'atteggiamento del governo britannico, relativamente ai principali argomenti che potranno esser toccati nelle prossime conversazioni anglo-italiane, sarà il seguente:

l) Convenzione di Montreaux. Il governo inglese, pur augurandosi una pronta adesione italiana, non ha l'intenzione di assumersi l'iniziativa d'invitare il governo fascista ad accedere alla convenzione stessa.

Il) Società delle Nazioni. Senza sollevare la questione dell'effettivo ritorno da parte italiana ad una collaborazione con la Lega, qualora se ne presenti l'occasione, il governo inglese manifesterà la speranza di vedere l'Italia rappresentata ai Consessi ginevrini.

III) Trattato di Londra (l). Il governo inglese farà chiaramente intendere dì aspettarsi la completa adesione italiana al trattato quale logica conseguenza del miglioramento dei rapporti itala-britannici. Particolarmente perché il governo italiano, aderendo a suo tempo a questa iniziativa inglese, collaborò attivamente alla redazione del trattato, che non fu poi firmato per motivi estranei all'accordo.

IV) Propaganda. Le attività anti-britanniche del governo fascista nel Vicino Oriente (sussidi, contatti con agitatori, trasmissioni radio, ecc.) che il governo inglese ritiene di essere in condizione di documentare, dovranno, nelle intenzioni britanniche, cessare, e dell'abbandono di tale politica anti-inglese il governo di Londra dovrà ottenere da Roma qualche assicurazione.

V) Abissinia. In linea di massima la questione dovrà essere esclusa dagli argomenti delle conversazioni, particolarmente per quanto riguarda lo status della rappresentanza britannica in Etiopia, poiché è intenzione inglese di considerare e di eventualmente trattare quanto prima (forse anche prima del gentlemen's agreement) questo problema separatamente dal complesso dei rapporti anglo-italiani. Potrà tuttavia favorire il buon esito delle conversazioni italabritanniche il « rinfrescare » le assicurazioni italiane relative alle garanzie concesse nel 1906 (2) e nel 1925 (3). Buona nota sarà pure presa di tutte le eventuali osservazioni che da parte italiana potranno essere avanzate circa le questioni che interessano la Somalia britannica, il Kenya ed il Sudan.

VI) Arabia. II governo inglese ritiene preferibile non sollevare per il momento le questioni relative all'Arabia. Tuttavia, in una sistemazione generale dei rapporti italo-britannici, con ogni probabilità, il governo di Londra richie

derà tra l'altro conferma degli impegni assunti dall'Italia nel corso delle conversazioni del 1927 (l).

VII) Egitto. Essendo ora l'Inghilterra e l'Egitto alleati, il governo di Londra non si considera, in linea di massima, autorizzato a trattare con l'Italia questioni che concernono anche interessi egiziani. Lo potrà eventualmente fare solo dopo essersi preventivamente concertato con il governo egiziano. In ogni modo, nella probabile eventualità che il governo italiano sollevi qualche questione in cui siano coinvolti interessi egiziani, è da prevedersi che il governo britannico assumerà il seguente atteggiamento:

a) per le Capitolazioni per gli impegni assunti in base all'art. 13 del Trattato anglo-egiziano (2), non vorrà discutere, né tanto meno accettare di appoggiare, eventuali richieste italiane tendenti a far riconoscere posizioni di favore alle sue comunità in Egitto;

b) per il Lago Tana (mancano elementi);

c) per il Sudan. Essendo interessati alle questioni relative alle frontiere del Sudan e dell'Etiopia ed alla questione dell'enclave di Gambeila tanto l'Egitto che l'Inghilterra, ed essendo questa materia particolarmente delicata in relazione al funzionamento del nuovo trattato anglo-egiziano, Londra, anche allo scopo di evitare attualmente una discussione con il governo egiziano, preferirà rinviare la trattazione di tali problemi. In ogni modo i rapporti tra il Sudan e l'Etiopia rientrano nel più complesso problema dell'Abissinia. Il governo britannico tuttavia registrerà con la massima attenzione qualsiasi accenno italiano al riguardo;

d) Per Suez. In relazione all'aumentato interesse italiano per il Canale di Suez il governo fascista potrà: o richiedere, da un punto di vista strategico, una qualche particolare revisione della situazione giuridica del Canale o domandare una compartecipazione italiana nell'amministrazione. Nell'un caso e nell'altro l'interesse britannico ed egiziano, tutelati dalla Convenzione dell'BB (3) e dal nuovo Trattato anglo-egiziano, esigerà un attentissimo esame delle proposte italiane, rischiando queste di riaprire per tutti i firmatari della Convenzione dell'BB l'intera questione di Suez. Con ogni cautela, per non sollevare questioni di principio, e sempre d'accordo con l'Egitto, il governo inglese potrà, come ha già fatto, adoperarsi in favore di un'ulteriore riduzione dei diritti di passaggio.

(l) Nota del documento: «Non è improbabile che in materia di status qua venga sollevata la questione dell'intervento italiano nelle Baleari ».

(l) -Vedi p. 359, nota 3. (2) -Trattato di Londra del 13 dicembre 1906 tra Francia, Gran Bretagna e Italia (in Trattati e Convenzioni, vol. XVIII, pp. 920-926. (3) -Scambio di note tra Gran Bretagna e Italia del 14-25 dicembre 1925 (ibid., vol. XXXV, pp. 545-556).
626

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. S. 5144/1723. Berlino, 18 dicembre 1936 (per. il 21).

Ad ogni buon fine ho l'onore di riprodurre qui appresso, per notizia delle E.V., il testo dell'appunto rimessiomi dal colonnello Teucci R. addetto aeronautico, sul colloquio Goring-duca d'Aosta del 14 corrente (4):

«In occasione del colloquio avvenuto fra S.A.R. il duca d'Aosta ed il ministro Gèiring, questi ha svolto fra l'altro, con preghiera di riferirli al Duce, i due seguenti argomenti:

Situazione di Spagna. Il continuo afflusso di rinforzi russi minaccia di mettere i nazionali in una situazione precaria; l'invio da parte tedesca di qualche migliaio di «turisti» ha sollevato un gran clamore in Europa e tale da sconsigliare il ripetersi di ulteriori invii, specialmente di formazioni regolari, il trasporto delle quali non potrebbe assolutamente passare inosservato; la miglior situazione geografica dell'Italia consente a questa di poter con più facilità intervenire validamente a favore del generale Franco; occorre quindi che l'Italia si assuma un ruolo preponderante, come se lo assumerebbe di buon grado la Germania se si trattasse di dover soccorrere ad esempio, la Danimarca.

Secondo il ministro Gèiring, sarebbe necessario, ai fini di un pronto stroncamento della resistenza rossa, che i sommergibili italiani cominciassero a silurare senz'altro i trasporti russi. L'Italia non avrebbe a temere niente dalla Russia la cui flotta del Mar Nero non potrebbe in nessun caso tener testa neanche a una metà della flotta italiana. D'altra parte, l'Europa, dopo le prime inevitabili proteste contro il «brutale » modo d'agire del fascismo, si acquieterebbe perché tutti sanno che dietro l'Italia c'è la Germania. Questa non sarebbe purtroppo in grado di poter inviare per conto suo sommergibili nel Mediterraneo, sia perché questo invio darebbe troppo nell'occhio, sia perché i sommergibili tedeschi di media crociera non sono ancora del tutto a punto.

Ingegneri italiani in Russia. Il ministro Gi:iring, premesso che la Germania sotto il governo di Schleicher, ha avuto il gran torto di essere stata la prima nazione ad aiutare la Russia bolscevica, ha dichiarato che, coll'avvento al potere di Hitler, questi aiuti, almeno per quanto riguarda la parte tecnico-militare, sono del tutto cessati. In omaggio a questa linea di condotta è stata recentemente declinata l'offerta russa di procedere all'acquisto di brevetti tedeschi per la produzione di benzina sintetica e si è pure rifiutata la «ridicola » proposta avanzata dall'addetto militare russo di far costruire in Germania per conto della Russia una nave da battaglia da 35 mila tonn. e alcuni sommergibili, contro pagamento in oro. Il ministro Gi:iring sarebbe rimasto perciò penosamente colpito dall'asserzione dell'addetto militare russo secondo cui l'Italia ha recentemente concesso alla Russia trenta ingegneri specializzati in costruzioni navali belliche. Egli ha rivolto preghiera a S.A.R. di voler rendere edotto della questione il Duce e di sottoporgli il desiderio tedesco, che, ave la notizia risponda a verità, questi ingegneri siano al più presto ritirati».

Quanto sopra a seguito e completamento dei miei telegrammi n. 586 del 14 corrente (l) e n. 593 per corriere in data 16 corrente (2).

627.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5145/1724. Berlino, 18 dicembre 1936 (per. il 21).

Mio rapporto del 14 corrente n. 1712 (1). La visita Kozma ha assunto carattere e contenuto politico, se pur di contenuto veramente politico si può parlare, soltanto con le conversazioni degli ultimi, anzi dell'ultimo giorno. Nella giornata dell'altro ieri, che è stata poi quella della sua partenza, Kozma ha visto prima Neurath, non ancora perfettamente ristabilito e per appena 10 minuti, Goring per altri 10 minuti e finalmente Hitler per quasi un'ora.

Neurath. Questi ha insistitto, in relazione e seguito alle conversazioni Frick e a quelle avute da lui stesso a Budapest (2), sulla necessità di migliorare il trattamento della minoranza tedesca in Ungheria, questa costituendo l'unica questione che separa la Germania dall'Ungheria. Kozma ha finalmente dato affidamento che sarà affrettata la costituzione delle 400 scuole previste per i tedeschi in Ungheria e di cui solo 38 sarebbero finora in esercizio. Questo, però, in cambio di assicurazioni da parte tedesca che sarebbe stata limitata ed infrenata l'azione della famosa associazione Deutsches Ausland-Institut di Stuttgart per la propaganda fra i tedeschi all'estero.

Goring. Anche questa conversazione è stata assai breve, Goring avendo insistito sopra un punto solo: andar d'accordo con la Jugoslavia, trovare un modus vivendi con la Romania, concentrare tutto il proprio revisionismo -per quanto sempre in forma non «attuale ~ -sulla Cecoslovacchia... È evidente che, in caso di guerra, Praga sarà la prima targa dell'aviazione tedesca ...

Hitler. Colloquio durato circa un'ora, incominciato con un saluto di Kozma a Hitler da parte di Horthy ed un resoconto sulla visita Horthy a Roma (3), l'accoglienza ricevutavi, la impressione veramente magnifica ricevuta della efficienza del nostro esercito e della nostra marina, il che ha anzi dato occasione ad Hitler di parlare delle cordiali relazioni ora esistenti con l'Italia come elemento addizionale per la intimità di rapporti germano-ungheresi. Venendo a parlare poi specialmente di questi ultimi Hitler -cui evidentemente erano pervenuti gli echi dell'impressione prodotta a Budapest dagli articoli Rosenberg (4) -ha tenuto a rassicurare completamente la Ungheria sulle mire della Germania nei suoi riguardi, affermando che le stesse insistenze tedesche in

(T. 11721/133 R. del 30 novembre, ore 0,10). Colonna aveva intrattenuto poi su l'argomento !l presidente del Consigl!o, Darànyi, il quale, riportando anche l'opinione del suo ministro degli esteri, gl! aveva detto che l'atteggiamento d! Berlino andava spiegato «con la nota convinzione germanica che non convenga battersi contemporaneamente su tutti i fronti>>, per cui si riteneva opportuno risparmiare Jugoslavia e Romania per concentrare tutto lo sforzo contro la Cecoslovacchia (telespresso 13553/1492 del 1° dicembre).

materia di minoranze germaniche in Ungheria non hann() assolutamente alcun carattere «territoriale» come certa propaganda tedesca potrebbe perfino far credere. Qui il Ftihrer -dopo una parentesi di colore oscuro sulle sole minoranze tedesche in Cecoslovacchia -ha parlato enfaticamente del suo desiderio di rispettare scrupolosamente la integrità territoriale così dell'Ungheria come dell'Italia e della stessa Austria. (Sintomatico che nello stesso senso si sia espresso proprio recentemente persino Goebbels, il quale avrebbe addirittura stigmatizzato l'azione dagli elementi estremisti del partito che ancora insistono sull'Anschluss).

Dopodichè, Hitler sarebbe passato alla questione che in questo momento assorbe e domina ogni suo pensiero ed ogni sua concezione politica, quella del bolscevismo. Su questo il Ftihrer si sarebbe trattenuto oltre mezz'ora, svolgendo il concetto che il bolscevismo costituisce tale pericolo per tutta l'Europa da far passare ogni altra questione, assolutamente, in seconda linea. Nell'occasione egli ha nuovamente parlato dell'Italia come di uno dei pilastri del fronte antibolscevico, e ha incoraggiato l'Ungheria ad armarsi come la Germania e l'Italia (in un possibile blocco antibolscevico egli ha compreso la Jugoslavia, accennando perfino ad una possibile solidarietà rumena) per tenersi pronta a quello che sarà il cozzo inevitabile fra le forze delì'ordine e quelle del disordine in Europa, etc., etc.

Ho domandato al mio collega ungherese -che era stato presente alla conversazione -su quale piano Hitler avesse messo tutto questo, se cioè sopra un piano semplicemente «difensivo», oppur no... Assolutamente difensivo, mi ha risposto il ministro Sztojay. E tali sono effettivamente, ora, le idee di Hitler. Ma si manterranno poi sempre sulla stessa direttiva?... Il generale Milch diceva al duca di Aosta sere or sono: « Fra due o tre anni la nostra questione dovrà, in una maniera o in un'altra, essere risoluta. Tenetevi pronti per profittarne anche voi»... Capisco che Milch, anche per l'arma a cui appartiene, è abituato a volare... (l).

(l) -Si riferisce alle conversazioni italo-britanniche «relative alle questioni arabe e del Mar Rosso» dell'll-15 gennaio 1927. (2) -Vedi p. 15, nota 4. (3) -Convenzione di Costantinopoli del 29 ottobre 1888, relativa al regime del canale di suez (testo in MARTENS, Nouveau Recueil Généraz de Trattés, serie seconda, vol. xv. pp. 557-566). (4) -Vedi D. 592. (l) -Vedi D. 592. (2) -Con T. per corriere 12302/593 R. del 16 dicembre, l'ambasciatore Attolico aveva riferito su la questione degli ingegneri italiani in U.R.S.S. negli stessi termini usati dal colonnello Teucci, per poi sottilineare l'impressione che la notizia aveva provocato soprattutto nei circoli militari e negli ambienti del partito, dove esisteva «una sensibilità veramente morbosa per tuttociò che è russo». L'ambasciatore non escludeva, anzi, che l'addetto militare sovietico, più che ad accertare le intenzioni del tedeschi, avesse mirato a provocaresospetti e dissensi tra Italia e Germania. (l) -Telespresso 5108/1712 del 14 dicembre. Riferiva sul viaggio !n Germania del ministro degli interni ungherese, Kozma, in visita ufficiale dal 10 al 15 dicembre. Per il momento, il viaggio non sembrava rivestire una particolare importanza pol!tica ma Kozma aveva detto ad Attolico che era sua intenzione chiedere al dirigenti tedeschi dei chiarimenti circa !l significato da assegnare all'articolo pubblicato da Rosenberg sul Viilkischer Beobachter del 15 novembre (vedi p. 495, nota l), articolo che era stato considerato, a Budapest, come una presa di posizione ufficiosa nei riguardi delle rivendicaz!on! territoriali ungheresi. (2) -Durante la sua visita in Ungheria dal 19 al 24 settembre su la quale s! veda il D. 107. (3) -Vedi p. 559, nota l. (4) -In proposito, il ministro Colonna aveva telegrafato che a Budapest gli articoli di Roseriberg erano li considerati come sicuramente ispirati dal governo e dettati dal desiderio d! raffreddare l'entusiasmo suscitato in Ungheria dal discorso di Mussolini a Milano
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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUV!CH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RR. 8506/1952. Washington, 18 dicembre 1936 (per. il 22 gennaio 1937)..

Avevo chiesto l'udienza per consegnare la lettera autografa del Duce di felicitazione per l'esito della campagna elettorale.

Il Presidente Roosevelt mi ha accolto molto cordialmente dicendomi che avrebbe voluto avere prima una conversazione con me, ma che ne era stato impedito dalla sua prolungata assenza per il viaggio nell'America del sud. Mi ha parlato di questo suo viaggio dicendosene molto soddisfatto. Nel viaggio di andata e nella sua permanenza nell'America Meridionale aveva avuto molto da fare, ma nel ritorno aveva potuto godere un effettivo riposo. Mi ha sog

-19 --Documenti diplomatici -Serie VIII -Voi V

giunto: «Anche il signor Mussolini, che è tanto occupato, dovrebbe approfittare di qualche occasione per fare una crociera e si accorgerebbe quali benefici porti un prolungato soggiorno in mare». Gli ho osservato che senza discutere i benefici effetti di una crociera, il Duce non soffriva affatto per l'eccesso di lavoro a cui era sottoposto. Mi ha risposto: «Lo so e ciò dipende dalla sua grande vitalità; anch'io ho una grande vitalità ma un viaggio in mare serve ad un riposo dei nervi e dello spirito eli cui abbiamo effettivo bisogno anche se non ce ne accorgiamo ».

Ho detto poi al Presidente elle avevo il gradito incarico di consegnargli una lettera autografa del capo del governo il quale si congratulava per l'esito plebiscitario delle elezioni. Il Presidente l'ha letta molto correntemente e mi ha detto che la trovava oltremodo cordiale e che ne era molto toccato. Mi ha poi soggiunto: «Io ho sempre l'idea di incontrarmi con Mussolini ». Gli ho osservato che un tale incontro sarebbe stato certamente graditissimo anche al Duce e gli ho chiesto come vedeva la possibilità di una realizzazione di un tale progetto. Il Pi·esidente mi ha detto che stavg, considerando la cosa e che ne avrebbe fatto probabilmente qualche cenno neìla ris.[)osta che avrebbe preparato per il capo del governo. Mi ha detto subito, però, che egli non pensava ad una visita in Italia. Egli non avrebbe potuto andare in Italia senza andare nello stesso tempo almeno in Francia, in Inghilterra ed in Germania e ciò non entrava nei suoi progetti; d'altra parte, ha aggiunto che non pensava che il signor Mussolini potesse venire in America, data la distanza ed il tempo che vi avrebbe dovuto dedicare. Egli pensava che un giorno egli avrebbe potuto fare una crociera verso le acque europee, per esempio, verso Madera con un incrociatore e che in quell'occasione avrebbe potuto aver luogo l'incontro, lontano dalle indiscrezioni giornalistiche. Il Presidente Hoosevelt proseguendo mi ha detto che egli si riprometteva di parlare col capo del governo italiano sulle possibilità di dare una garanzia di pace al mondo. Sarebbe molto importante poter diffondere la convinzione che, né l'Italia, né la Germania, né la Russia vogliono la guerra. Il presidente considera cattive le condizioni dell'Europa, ma ritiene che si possa chiarire l'atmosfera e mettere veramente la base per una ricostruzione mondiale.

Ho detto al Presidente che forse in America si vedevano le cose europee più nere di quello che fossero in realtà. Io non potevo evidentemente rispondere per gli altri, sebbene fossi persuaso che nessuno vuole la guerra in Europa: quello però che gli potevo affermare nel modo più preciso era che il mio Paese, pur dovendo prendere tutte le precauzioni richieste dalle circostanze, era assolutamente alieno da qualsiasi avventura di guerra.

All'accenno del presidente alla situazione della Spagna, gli ho detto che l'Italia nella situazione spagnola aveva un interesse evidente, quello di evitare che nel Mediterraneo occidentale si creasse uno stato anarchico bolscevico. Avevamo già la Russia che sboccava nel Mediterraneo orientale e non avevamo nessun desiderio di avere un altro Paese provocatore di disordini internazionali verso l'uscita del Mediterraneo ad occidente.

Il presidente mi ha richiesto se non avevo dal mio governo delle informazioni da cui risultasse che Stalin tendesse verso destra e fosse disposto ad abbandonare la politica dell'intervento negli affari interni degli altri Paesi. Quando egli aveva parlato con Litvinov, quest'ultimo gli aveva espresso la previsione che la Russia sarebbe andata modificando il proprio regime in senso meno intransigente e che altri Paesi avrebbero fatto dei progressi nel campo della socializzazione, di modo che si sarebbe potuto ottenere un avvicinamento anche per quanto riguarda la forma politico-sociale dei diversi Paesi europei. Il signor Roosevelt, pur dimostrando il suo scetticismo per l'effettiva portata di tale avvicinamento, aveva tuttavia l'impressione che da parte russa si fosse fatto un certo cammino nel senso indicato da Litvinov.

Ho risposto al Presidente che non avevo informazioni particolari e recenti su quest'argomento da parte del mio governo. Potrebbe essere tuttavia che Stalin ed anche Litvinov tendessero a forme più ragionevoli di organizzazione statale e tendessero piuttosto verso una forma di politica nazionale russa. È certo però che il Comintern da parte sua continuava nella sua opera di propaganda internazionale e Stalin stesso dovevc, tenere il m::..ssimo conto di questa tendenza del partito. Ho aggiunto al Presidente che rm ricordavo di aver potuto vedere dei resoconti sulla riunione del Comintern, credo all'inizio dell'anno 1934. In quell'occasione il Comintern aveva riconosciuto che era difficHe prevalere negli altri Paesi col sistema dell'intransigenza comunista, conveniva invece cercare un avvicinamento coi partiti di sinistra più vicini all'estremismo russo per creare dei fronti popolari nei quuli poi la tendenza comunista sarebbe prevalsa. Bisogna riconoscere che il Comintern aveva svolto sistematicamente il programma allora indicato e che in alcuni Paesi, come in Francia ed in !spagna, era riuscito a realizzarlo. 1vii pareva perciò che era difficile parlare di un'attenuazione della tendemm comunista ad esportare le proprie idee all'estero.

Dopo ciò il Presidente è tornato sull'argomento della possibilità di un'intesa fra le Potenze europee. Gli ho osservato che il Duce aveva cercato in tutti i modi di realizzare questa intesa premlendo delle iniziative molto importanti come quella del Patto a Quattro. Bisogna riconoscere anche che in tema di disarmo l'Italia era stata sempre pronta ad accettare le proposte più radicali, mettendo come premessa per una buona inksa che tutti gli Stati fossero trattati sulla stessa base e quindi il ;.1ostro aiuto dato al principio della parità dei diritti richiesti dalla Germania. Il Presidente ha detto di riconoscere ciò in modo assoluto e di ricordare anzi che la sua proposta per il disarmo, basata sull'abbandono delle armi cosidette offensive, aveva avuto ii pieno appoggio da parte della delegazione italiana. Ho aggiunto che, se durante le trattative per il disarmo la Francia avesse avuto più coraggio ed avesse accettato per via di accordo soltanto una parte di quello che poi ha subito come atto unilaterale da parte della Germania, un accordo si sarebbe potuto realizzare.

Il Presidente si è detto d'accordo, ha osservato però che la Francia ha un regime politico parlamentare che le impedisce qualsiasi libertà di movimento. Non v'è dubbio che il sistema democratico parlamentare in Francia funziona male, non si sa mai se con quel Paese si può condurre a termine una discussione perché le situazioni cambiano continuamente; anche in Inghilterra potrebbe funzionare meglio. Egli sa che anche in passato tale sistema ha funzionato malissimo da noi e perciò egli si spiega il sorgere del fascismo. Senza nessuna idea di critica egli deve dirmi che dal suo punto di vista e dal punto di vista americano il principio che non può essere accettato è quello che tutta l'organizzazione statale sia imperniata su un uomo solo.

Ho risposto al presidente che questa idea del fascismo non risponde alla realtà. Il fascismo è una dottrina e una pratica di governo che abbraccia tutto il Paese, con istituti su larghissima base popolari a cui partecipano tutte le classi sociali. Il Presidente è certamente troppo ben informato per non sapere che questo regime ha oggi in Italia una popolarità come forse nessun'altro regime ha mai avuto in nessun'altro Paese. Naturalmente il fascismo è fatto per l'Italia e non pretende affatto di esportare le proprie dottrine ed i propri istituti. Il Presidente mi ha detto di rendersi perfettamente conto di ciò essendo chiaro che quello che è buono per l'Italia può non esserlo per l'America e viceversa.

Ritornando sul tema dell'incontro col capo del governo, il Presidente mi ha detto che quello che gli pareva importante era creare l'atmosfera. Egli poteva ammettere che nella conferenza di Buenos Aires non si sia fatto gran che di nuovo, ma non c'è dubbio che si era creata un'atmosfera di reciproca confidenza dalla quale egli si ripromette dei buoni risultati.

Ancora al momento di congedarmi il signor Roosevelt mi ha detto che sperava veramente di poter realizzare questo incontro. Tutta la conversazione è stata mantenuta nei termini più cordiali ed anche gli accenni un po' delicati al fascismo sono stati fatti dal Presidente in forma molto discreta ed in un tono di conversazione assolutamente amichevole.

La mia impressione è che l'idea di questo incontro sia veramente radicata profondamente nell'animo del Presidente; non ho potuto raccogliere nessun elemento che mi indicasse l'idea del Presidente di voler estendere tali incontri anche ad altri uomini di stato. Com'è noto, tempo fa si diceva che l'idea di Roosevelt era quella di incontrarsi oltre che col Duce anche con Re Edoardo VIII; forse l'abdicazione del Re d'Inghilterra gli ha fatto cambiare programma; forse anch'egli pensa a questo incontro a due fra le due personalità più rappresentative in Europa e in America. Non credo che egìi abbia ancora un programma maggiormente fissato; neanche per quanto riguarda il momento. Dovrei dire che mi è parso che egli non riguardi la cosa come molto imminente; d'altra parte, è anche pensabile che egli ritenga di dover attendere prima la fine dell'episodio spagnuolo.

Non credo assolutamente che Roosevelt pensi a nessuna forma di accordo concreto che potrebbe implicarlo in qualche modo nella politica europea. È possibile invece che egli veda come risultato di quest'incontro un'accettazione di alcuni principi generali che applicati rispettivamente nei due continenti tendano a mettere le basi per il mantenimento della pace e la ricostruzione

mondiale. Nella lettera che il Presidente farà in risposta a quella del Duce è possibile che ci sia qualche elemento più concreto. Poiché tale lettera sarà consegnata probabilmente a mezzo di codesto ambasciatore degli Stati Uniti, prego V. E. di volermi far avere al più presto qualche informazione per mia norma, dato che avrò certamente occasione d'incontrare il Presidente nelle prossime settimane (l).

(l) Questo documento ha il visto di Mussollnl.

(l) Il documento reca Il visto di Mussolinl.

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IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RR. 7250/2132. Belgrado, 18 dicembre 1936 (per. il 23).

Come è noto verrà a scadere il 2 dicembre del 1937, il Patto franco-jugoslavo del 1927 (1), già rinnovato una prima volta nel 1932. In base all'art. 9 del Patto, entro il 2 dicembre u.s. ha dovuto essere dato il preavviso per un ulteriore rinnovo. Naturalmente si mantiene qui, sulla cosa, il consueto riserbo ma, per quanto mi consta, sulla base degli elementi concordanti che si possono avere in argomento, tale preavviso, in linea di massima, deve essere stato già dato, e, assai probabilmente -visto che quello che più importa del patto sono le clausole segrete militari -come risultato della visita a Parigi, nello scorso settembre (2), del ministro della Guerra jugoslavo, generale Marie. Visita durante la quale sarebbe stata conclusa -secondo, del resto, preavvertiva la R. ambasciata a Londra (telespresso di V. E. n. 234270/c del 14 ottobre scorso) (3) un'apertura di credito di circa 400 milioni di franchi a favore della Jugoslavia, da utilizzare per ordinativi in Francia di materiale di fortificazioni e per l'esercito. Sta in fatto che del materiale è in corso di arrivo dalla Francia.

È evidente che, da parte francese, non si sarebbero accordate le importanti facilitazioni di ordine economico, stipulate ultimamente a Belgrado dal ministro Bastid (4), senza un preciso impegno jugoslavo di non arrecare variazioni sostanziali alla situazione politica nei riguardi della Francia. È invece possibile, secondo qualche accenno che mi è pervenuto da fonte fiduciaria, che l'accordo sia ancora in discussione per quanto concerne i maggiori impegni richiesti da Parigi a Belgrado, nei riguardi di un aiuto militare alla Cecoslovacchia, in caso di aggressione tedesca. La tesi è stata, del resto, chiaramente indicata nel Temps del 17 novembre scorso: « Pour parler net, on voit difficilement le peuple français s'obligeant à soutenir militairement par exemple la Jougoslavie contre une aggression italienne, alors que la Jougoslavie ne s'est pas obligée à soutenir militairement, par exemple, la Tchécoslovaquie contre une aggression allemande ».

Contemporaneamente -per quante una precisione assoluta sul fondamento della notizia sia qui, fino a questo momento, difficile ad aversi -si parla con sempre maggiore insistenza del noto prestito inglese per mettere in efficienza le basi marittime del litorale dalmata, in ispecie le Bocche di Cattaro. È evidente che l'argomento offre molta tentazione per la Jugoslavia. Ma si dice che le condizioni che verrebbero poste da parte inglese sarebbero tali, e con tali prudenti richieste di garanzia, da apparire difficilmente accettabili. Sta in fatto, tuttavia, che le visite, i movimenti consueti, che preludono ad un

interessamento britannico in un settore, sono da qualche tempo qui e, mi si dice specie sul litorale, singolarmente intensificati. Comunque, n· R. addetto militare e l'addetto navale sono, in questi giorni, in Dalmazia e mi riservo di riferire gli accertamenti da essi compiuti.

Da fonte confidenziale viene riferito che il principe reggente sarebbe tornato da Londra (1), come era prevedibile, abbondantemente catechizzato e particolarmente influenzato dalle relazioni personali che egli ha col nuovo Re, Giorgio VI, che è stato qui testimone al suo matrimonio. Egli vedrebbe una netta orientazione jugoslava verso l'Inghilterra, come la migliore garanzia per la sicurezza del Paese e della dinastia, oltre che per l'avvenire economico jugoslavo. Stojadinovic, per contro, non vorrebbe prendere impegni precisi, né abbandonare la sua preziosa politica estera d'indipendenza, per bloccare fin da ora le sorti del Paese, di fronte alle .situazioni che incombono dalle varie parti. Se tutto questo è esatto, come è assai probabile che lo sia, Stojadinovic interpreta il sentimento generale jugoslavo, che è quello di sfruttare sul momento una situazione talmente favorevole che è difficile abbia a riprodursi ancora una volta ma, d'altra parte, senza correre rischi di cui tutti, più o meno, qui ricordano e sanno le conseguenze dure e dolorose. La verità è che qui, da anni, si giuoca, e all'interno e dall'estero, sul pericolo italiano e la politica jugoslava è stata orientata e sfruttata in tal senso. Ma questa gente, che calcola freddamente, comincia ad intravedere la possibilità che allo stato attuale delle cose, superata la mentalità e la generazione· dell'immediato periodo postbellico, tale pericolo non esista, a meno che la Jugoslavia non vada a ficcarcisi volontariamente in mezzo. Donde la crisi di disorientamento nell'opinione pubblica e l'orientamento utilitario di riserva del governo. Peraltro, non si scorge ancora qui, al punto in cui sono le cose, il profitto che potrebbe trarre la Jugoslavia da una collaborazione politica, e conse:,'lentemente militare, coll'Italia. Si conta che tale profitto possa essere ottenuto anche da altre direzioni.

I punti sui quali si impernia la considerazione jugoslava nei riguardi dell'Italia sono eccessivamente semplici: pericolo di minaccia all'integrità jugoslava da un lato; dall'altro importanza del fattore economico italiano. Per il primo i fautori di una politica inglese affermano che essa costituisce la più assoluta delle garanzie; per il secondo si afferma -e lo stesso Pilja, di ritorno da Londra, malgrado egli sia stato un costante valorizzatore del fattore economico italiano ne sarebbe persuaso -che il nostro apporto all'esportazione jugoslava non potrà mai più tornare ad essere quello che era in passato, molto più dati i nostri accordi coll'Austria e l'Ungheria che riducono, per l'esportazione, le più importanti voci del mercato jugoslavo.

In breve, il tradizionale fatalismo slavo, mentre le circostanze sembrerebbero richiedere un deciso orientamento politico, è in questo momento in pieno giuoco. Antic, ministro della Corte, che conosco da tempo, non più tardi di ieri, dopo avermi descritto a lungo l'impressione grandiosa riportata dal suo recente soggiorno a Londra, concludeva: << La Jugoslavia è posta di fronte a decisioni, che sono eccessivamente difficili ed imbarazzanti». Nel frattempo, si cerca di

sfruttare al massimo pressioni ed allettamenti e si sbanda da un giorno all'al

tro, dalla parte da cui giunge l'ultima e più forte pressione.

Ho creduto, ad ogni buon fine, doveroso riferire all'E. V. gli elementi di cui sopra, che dànno un'idea della singolare e delicata situazione nella quale ci è dato di svolgere qnì la nostra attività.

(l) -Trattato di amicizia, di conciliazione e di arbitrato tra la Francia ed il Regno SerboCroato-Sloveno dell'H novembre 1927 (MARTENS, vol. XVIII, pp. 347-354), rinnovato per cinque anni il 28 ottobre 1932 (ibid., vol. XL, pp. 307-314). (2) -Sic. Il generale Marie era stato a Parigi dal 6 al 13 ottobre precedente. (3) -Ritrasmetteva il T. 10062/1299 R. dell'B ottobre, ore 14,12, da Londra, il cui contenuto è qui riassunto. (4) -L'O dicembre precedente.

(l) Il prmClpe Paolo era giunto in Gran Bretagna 1'11 novembre ospite del duca di Kent e nei giorni successivi aveva avuto diversi colloqui con esponenti britannici tra cui Baldwin, Eden e Vanslttart.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. PERSONALE. Berlino, 18 dicembre 1936 (per. il 20).

Con la mia lettera di ieri (l) Ti ho accennato alla mia intenzione di riassumere, per Tua personale conoscenza, i vari aspetti dell'atteggiamento tedesco nei confronti della guerra civile di Spagna: atteggiamento che, in questi ultimi giorni, è apparso, come avrai rilevato dai numerosi telegrammi e dal rapporto ultimo del mio ambasciatore (2) non perfettamente netto e definitivo, particolarmente nei confronti di una intensificata azione comune itala-tedesca da intraprendere, verosimilmente. in un avvenire molto prossimo.

Praticamente nessun «fatto nuovo » si è verificato tale da far supporre, nella realtà delle cose, un colpo di freno germanico nella questione. Il recentissimo sbarco, anzi, in Spagna, dei così detti « turisti » dell'artiglieria controaerea tedesca, in sezioni numerose ed attrez:;;:qt.e, i'! una prova che la ruota continua a girare senza soste. E gli studi, regolarmente iniziati a seguito della riunione di Roma, per l'eventuale invio, a rinforzo di Franco, « in caso di effettiva necessità », di una divisione, se non dell'esercito, almeno delle formazioni paramilitari, stanno anch'essi a dimostrare come lo Stato Maggiore germanico non pensi affatto di abbandonare la partita.

Quello che invece comincia a farsi nettamente strada nell'animo dei responsabili della politica e dell'azione del Terzo Reich è la necessità di «definire » quest'azione tedesca in Spagna dandole, per quanto possibile, quella forma di legalità capace di presentarla in una cornice giuridica tale da liberare la Germania dalla solita accusa, p<Jrticolarmente da parte del mondo anglosassone, di agire subdolamente e per fini non confessabili. Questa necessità di far precedere ad un'azione militare di un certo stile una preparazione nel campo politico e diplomatico deve essere stata fatta presente, principalmente e con insistenza, dall'ambiente militare che ha quale figura massima lo stesso Ministro della Guerra, Maresciallo von Blomberg.

La prima battuta di un tale atteggiamento fu, come conosci, l'immediato riconoscimento del Governo di Franco, non appena le prime avanguardie nazionaliste giunsero alle porte (e alle sole porte) di Madrid. In quel momento (e ciò avvenne nella riunione tenutasi a Berlino il martedì 17 novembre, sotto la presidenza dello stesso Cancelliere Hitler) (3) i militari fecero presente come fosse assolutamente opportuno senza ulteriore indugio, «legalizzare» il già

avvenuto intervento in Spagna di elementi armati tedeschi, dando al Governo di Franco l'investitura necessaria per iniziare regolari rapporti diplomatici con il Reich e liberando così la Germania dalla preoccupazione di vedersi obbligata ad aiutare, con armi ed armati, un partito ancora giuridicamente definito «ribelle».

L'inattesa resistenza dei rossi a Madrid, dovuta all'afflusso di aiuti sovietici e dei rinforzi catalani inquadrati da elementi d'oltre frontiera, con l'impedire il previsto riconoscimento del Governo di Franco da parte di numerosi altri Paesi e con l'autorizzare l'atteggiamento di sospensione assunto da essi, a cominciare dallo stesso Portogallo, ha nuovamente posto i militari tedeschi nello stato d'animo di dover ricevere la pedana giuridica sulla quale fare agire la azione diplomatica del Reich nei confronti della questione spagnuola. E ciò anche perchè, sia per talune deficienze del Comando nazionalista spagnuolo, sia per la vastità del fronte, sia per la bontà, insospettata sembra fino a questi ultimi giorni, :del materiale bellico fornito dalla Russia, la necessità di rinforzare le milizie di Franco è apparsa ora del tutto urgente e in un quadro di maggiore rilievo.

Talune di queste preoccupazioni tedesche, che Tu avrai potuto rilevare, dapprima negli accenni fattimi da von Blomberg nella conversazione del 2 dicembre (1), e poi, in forma più precisa, dai sondaggi fatti dal Duca d'Aosta e dai nostri addetti Militare ed Aeronautico e riferiti dall'Ambasciatore Attolico (2), non sono del tutto infondate.

Senza accennare alla questione che indubbiamente la preparazione militare tedesca è tuttora in studio di sviluppo e che l'Esercito del Reich si trova e si troverà per altri due anni in crisi di crescenza (con la conseguenza che i suoi capi diretti non vorrebbero per quanto possibile compromettere oggi, con gravi e precipitati interventi esterni, la call'Yl:l necessaria per quegli approntamenti) sta di fatto che la presenza dei tedeschi in Spagna sembra essere molto più «visibile e compromettente» che non quella italiana. La quasi identità del tipo fisico mediterraneo tra i popoli della Penisola Iberica e quelli della Penisola Italica fa sì che una nostra camicia nera di Terra di Lavoro o di Sicilia possa facilmente apparire simile, nell'aspetto e nell'idioma, ad un miliciano di Andalusia. Ma un povero ceruleo Schutz.Qtattel del Brandeburgo o della Turingia rimarrà sempre, con il suo volto roseo ed i suoi occhi cerulei, e nell'asprezza della sua lingua nordica, terribilmente germanico anche sotto il sole di Spagna! E ciò spiega come tutti quanti giungano dalla Spagna siano concordi nel dichiarare che i rinforzi tedeschi si vedono molto più che non quelli italiani! Ad una tale constatazione si aggiunge l'altra che, per forza di cose e necessità di materiale, l'aviazione da bombardamento nazionalista, che è l'elemento più visibile e più facilmente individuabile (e che provoca i danni maggiori) della guerra di Spagna, è in buona parte formata da squadriglie provenienti dalla Germania.

Una tale situazione preoccupa evidentemente il Maresciallo von Blomberg e deve averlo indotto, nel Consiglio dei ministri del pomeriggio di martedì l dicembre -nel corso del quale Gtiring, a seguito anche della conversazione avuta con me nella mattinata (1), insistè sulla questione spagnuola -a chie

dere che all'intervento militare tedesco in Spagna venisse data una qualsiasi veste di legalità, in una forma più precisa e internazionalmente giuridica che non quella costituita dalla formula della «lotta contro il bolscevismo».

Una tale richiesta, espressa in perfetta buona fede e senza, credo, nessuna idea preconcetta di abbandonare la partita in Spagna (di ciò ho avuto l'impressione anche nel corso di una seconda e più lunga conversazione con lui avuta nella serata dell'll dicembre) (l) deve aver trovati consenzienti molti elementi ed in definitiva lo stesso Fiihrer sempre preoccupato, nella sua parsifaliana concezione dell'esistenza, che il popolo tedesco possa venire, dai suoi non pochi avversasi e detrattori, accusato, ancora oggi, di «doppio gioco».

La formula sembra essere stata trovata -e di ciò se ne fecero eco, come ricorderai, rapprima lo stesso Goring nella seconda conversazione avuta con me nella mattina del 2 dicembre (2), susseguente al Consiglio dei ministri, ed in seguito, nelle conversazioni con il Duca d'Aosta, il Maresciallo von Blomberg (3) ed il generale Milch (4) -nella opportunità, basandosi appunto sulla formula del «non intervento», di dare, o per meglio dire, di far dare all'Italia,

potenza sovranamente mediterranea e quindi in pieno diritto di compiere tale gesto, un « alto là » alla Russia sovietica che ha impunemente, negli ultimi .tempi, triplicato o quadruplicato i suoi traffici illeciti con le coste rosse di Spagna. La sede di un tale « alto là» potrebbe forse anche essere eventualmente lo stesso Comitato di Londra, organo magno di quel «non intervento». Ad un tale solenne avvertimento, nettamente sostenuto dalla Germania e praticamente appoggiato dall'opportuna intensificazione della campagna sottomarina italiana, la Russia dovrebbe, secondo il giudizio tedesco. chinare il capo ed abbandonare la partita, con conseguente crollo della resistenza rossa in Spagna. Ma, naturalmente, prima di decidersi nettamente per una tale azione occorre cercare di conoscere i -disegni della imperscrutahile Ine:hilterra indicata oggi, tra l'altro, come alla vigilia di raggiungere una formula di intesa, più o meno lata ma proprio nel campo mediterraneo, con l'Italia. E ciò spiega l'improvvisa istruzione inviata dal Ftihrer a von Ribbentrop di venire a Berlino a conferire e dallo stesso Filhrer annunciata stasera al Duca d'Aosta.

Questa a tutt'oggi la situazione, in attesa dell'arrivo del signor Joachim von Ribbentrop nella capitale del Reich. Essa, come Ti ho affrettatamente accennato nella mia lettera di ieri, non vuoi dire, o almeno così mi sembra, alcun sostanziale mutamento di rotta della Germania nella questione di Spagna.

Del resto contro un tale eventuale cambiamento di indirizzo mi sembrano giocare sempre, e anzi sempre di più, due argomenti, che vorrei veramente definìre « principi »:

l) Innanzi tutto l'imponente, direi quai oramai leggendaria, crociata antibolscevica bandita personalmente da Adolf Hitler e dai suoi princali luogo

tenenti, e quotidianamente ribadita da tanti mesi, in ogni campo e in tutte le occasioni e con inaudita violenza, dalla stampa nazionalsocialista. Questa crociata trova ora, nelle terre di Spagna, la sua prima pratica applicazione. Ciò spiega come il Reich abbia immediatamente, nello stesso luglio, preso netta posizione nella questione ed abbia inviato subito, con conseguente rinascita del prestigio tedesco anche in Mediterraneo e nei Paesi musulmani nordafricani, le migliori unità della sua flotta sulle coste di Spagna. Ora un abbandono della partita, dopo sei mesi di guerra civile, rappresenterebbe senza dubbio agli occhi di tutti, stranieri e tedeschi, un ammainamento della bandiera sventolata in forma così magnifica e magniloquente, anche di recente, in settembre, a Norimberga ed una netta sconfitta hitleriana nel campo dell'ideale. Tutto dovrebbe far credere che un uomo del temperamento e della mentalità del Fuhrer non vi si assoggetterebbe semplicemente e a cuor leggero e senza aver prima profondamente e decisamente reagito.

2) E poi, passando al campo politico europeo ed alle questioni di attualità che in esso si agitano, ai tedeschi non può sfuggire e non sfugge la capitale importanza che avrebbe per l'avvenire della loro potenza in Europa la sconfitta, sul terreno spagnuolo, delle due grandi nazioni fasciste per opera della Russia sovietica. Effettivamente se l'U.R.S.S. pur tanto geograficamente lontana, riuscisse a sopraffare, con la forza rlel suo prestigio e l'efficacia dei suoi aiuti, le forze organizzate della Germania e dell"Italia, cosa succederebbe ai confini orientali di Europa, proprio in quei Paesi sui quali è oggi fissa l'attenzione germanica? Quella Polonia, che negli ultimi tempi ha già dato non lievi segni di insofferenza alla fedeltà del trattato di amicizia del 1934 (l), non si convincerebbe dinanzi ad una ritirata tedesca, del pericolo di vedersi legata ad un colosso ritenuto d'acciaio ed apparso, in realtà basato su piedi d'argilla? E la Cecoslovacchia, oggi terrorizzata dinanzi agli armamenti del Reich, non riprenderebbe coraggio, sentendosi spallee;giata da una Russia vicina e moralmente e praticamente vincitrice della partita di Madrid? E la Rumania, in fine, oggi pencolante ed incerta, non troverebbe in quell'affermazione di potenza dell'U.R.S.S. l'elemento decisivo per far sparire le ultime remare e gettarsi, nella bilancia, sul piatto sovietico?

Ora l'Italia, dopo la meravigliosa impresa abissina, non guadagnerebbe certamente ma non soffrirebbe neanche grandemente, nel suo prestigio, nel caso di un rovescio del Generale Franco. Ma la Germania nazionalsocialista, per la quale la partita di Spagna costituisce la prima prova oltre frontiera della sua rinata potenza, ne subirebbe un colpo gravissimo. Tutte e due gli argomenti, l'idealistico ed il politico, sono, occorre dirlo, grandemente sentiti, dai tedeschi. Il Duca d'Aosta, che sarà a Roma tra il 21 ed il 23, Ti racconterà a voce come ad essi abbiano reagito il Ftihrer e lo stesso von Blomberg, affermandogli, ambedue con forza, che una sconfitta dei Paesi fascisti, per l'opera della Russia bolscevica, nella questione spagnuola, «non si verificherà mai:.. E ciò mi ha fatto dire nella mia lettera di ieri e mi fa ripeterTi oggi come io non sia sostanzialmente pessimista circa l'attuale atteggiamento tedesco nei confronti della partita che si gioca nella Penisola iberica (2).

(l) -Non pubblicata. Il suo contenuto è qui riportato integralmente. (2) -Vedi D. 614. (3) -Vedi D. 425. (l) -Vedi D. 531. (2) -Vedi l DD. 592, 608, 611, 623 e 626. (l) -Non c'è traccia nella documentazione di archivio di un colloquio tra Magistrati ed il maresciallo von Blomberg avvenuto 1'11 dicembre. Risulta invece che quel giorno ebbe luogo un colloquio tra von Blomberg e l'ambasciatore Attol!co (vedi D. 581). Forse, a tale colloquio fu presente anche Magistrati. (2) -D! tale colloquio non è stata trovata documentazione. (3) -Vedi D. 611. (4) -Non si è trovata documentazione del colloquio avuto dal duca d'Aosta con il generale Milch. Su la posizione del generale Mllch s! vedano le sue dichiarazioni al colonnello Teucc! In D. 608. (1) -Vedi p. 7, nota 2. (2) -Questo documento ha il visto di Mussolini.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. S. N. D. 5459/374 R. Roma, 19 dicembre 1936, ore 16.

Il capo della missione militare italiana in Spagna telegrafa il 18 corrente: «Nostri reparti (due compagnie carri, una batteria, una sezione anti carri) sono pronti, zona Yuncos, per partecipare azione su Madrid. Invece, compagnie carri germanici, che, come noto, dovevano cooperare con personale completamente tedesco, non si sono ancora riformate. Espressa mia meraviglia missione tedesca, questa (che non ha avuto ancora da Berlino notizia protocollo sei dicembre) (l) ha affermato che ordini vigenti le vietano impegnare personale tedesco e che, da parte sua, non ritiene opportuno impiego se non vi è sicurezza assoluta successo e che non vada conseguentemente perduto nessun carro. Risposto che, se situazione fosse tale da dare tali assolute sicurezze, non sarebbe nemmeno necessario impiegare carri. Ho aggiunto che non (non) impiegherò reparti italiani suddetti se non faranno massa con essi compagnie germaniche con loro equipaggi. Generale Sperrle concluse essere convinto tale necessità e telegrafato Berlino per ottenere autorizzazione».

Prego V. E. di far presente nella maniera più opportuna ed efficace giusto punto di vista del generale Roatta di una piena collaborazione tra i reparti militari dei due Paesi in conformità agli impegni presi ai quali l'Italia intende dare e sta dando piena e assoluta esecuzione. Sarà bene esercitare pressioni specialmente su Goering. Mi riferisca (2).

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEG-LI ESTERI, CIANO

T. UU. 12315/764 R. Parigi, 19 dicembre 1936, ore 18,50 (per. ore 21).

Mio telegramma n. 759 (3).

Léger m'informa telefonicamente che partiranno questa sera da Parigi e da Londra istruzioni telegrafiche ai rispettivi rappresentanti in Roma per chiedere udienza a V. E. lunedì venturo e farLe comunicazioni identiche relative alla soppressione delle legazioni ed alla istituzione di consolati ad Addis Abe

ba (1). Ha aggiunto che desiderava attirare l'attenzione sopra la simultaneità del passo. Se, come riteneva corretto, ambasciatore d'Inghilterra fosse ricevuto prima dell'incaricato d'affari di Francia, questo non poteva, né doveva significare che l'Inghilterra avesse preceduto la Francia nel compiere gesto amichevole verso l'Italia. Non dubitava che V. E. avrebbe posto in evidenza simultaneità suddetta e che essa sarebbe stata apprezzata al suo giusto valore dal governo e dall'opinione pubblica italiana.

(l) -Vedi D. 546. (2) -Vedi D. 648. Lo stesso giorno, Ciano telegrafava ad Attolico: <<Per dare unità d'indirizzo all'azione da svolgere in Spagna anche in relazione al programma concretato nella riunione del 6 corr., è stato costituito presso questo ministero uno speciale Ufficio Spagna del quale fanno parte funzionari dei tre dicasteri militari. Nel segnalare quantoprecede, converrebbe accennare all'opportunità che qualche cosa di simile venisse organizzatoanche costà, al fine di eliminare eventuali divergenze di vedute fra le amministrazioni interessate, e per poter mettere il nostro ufficio in grado di corrispondere rapidamente e proficuamente con analogo Ufficio tedesco ». (T. 5460/375 R. del 19 dicembre, ore 24). (3) -Vedi D. 616.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. CIANO

T. S. N. D. PER CORRIERE 12337/598 R. Berlino, 19 dicembre 1936 (2).

Ho visto oggi Neurath che, ancora sofferente, si prepara a rifugiarsi in campagna (partiva oggi stesso) fino, possibilmente. a dopo 1'8 gennaio. L'ho naturalmente intrattenuto della situazione di Spagna, sulla quale ho già avuto agio di riferire a V. E., oltre che con ripetuti telegrammi, anche con mio rapporto n. 5123/1718 del 16 dicembre u.s. (3). Neurath mi ha detto che la situazione è già stata ieri nuovamente esaminata in un piccolo consiglio di militari, presieduto da Hitler, a cui era presente anche l'incaricato d'affari tedesco in Spagna, generale Faupel. Sembra che l'elemento messo in maggiore evidenza da Faupel, e che questi ritiene pesi sulle sorti della campagna più della stessa scarsità numerica, sia la mancanza quasi assoluta di addestramento e di tecnica. Nel consiglio di ieri si è quindi deciso di mandare: l) molti istruttori, possibilmente parlanti lo spagnuolo; 2) del nuovo materiale, subordinando peraltro ogni invio ulteriore non alle richieste convulsive e molteplici dei singoli generali spagnoli, bensì delle autorità militari tedesche che si trovano sul posto. Quanto all'invio, in Spagna, di divisioni, esso veniva, almeno per il momento, assolutamente escluso.

Queste comunicazioni da parte di NPurath mi hanno fornito occasione per qualche opportuna osservazione. Senza entrare, minimamente, nell'esame delle ragioni tecniche che si potevano -magari giustamente --opporre all'invio di grosse unità, io mi sono permesso di far rilevare a Neurath che, tuttavia, le esitazioni attuali dei tecnici erano in un certo tal quale contrasto con gli ardori che gli stessi tecnici avevano dimostrato al momento del riconoscimento di Franco... Neurath ne ha convenuto, arrivando persino in proposito a qualche critica che io ho tuttavia lasciato cadere, !imitandomi ad osservare che, ormai che il governo di Franco era riconosciuto (questo è il punto su cui mi sono permesso di fare insistere nelle sue varie conversazioni anche dal duca d'Aosta) e che il nostro prestigio era impegnato, non si poteva, senza

comprometterci agli occhi di noi stessi e degli altri, specie di quelli presso cui si voleva esercitare opera di penetrazione e di attrazione (vedi Piccola Intesa), mostrare di darla vinta ai soviet la prima volta ch'essi mettevano il loro muso fuori casa e uscendo dal guscio del Comintern si rivelavano ed affermavano all'estero per quello che veramente erano...

Dopo aver trovato in tutto questo Neurath interamente e sinceramente consenziente, sono passato a domandargli cosa volessero intendere Blomberg e lo stesso Hitler quando dicevano e ripetevano che, prima di agire in grande stile, occorreva « chiarire bene la situazione politica specie nei riguardi dell'Inghilterra» (1). Domandai scherzando a Neurath se e come, dato che egli avrebbe dovuto rappresentare l'organo competente per questo chiarimento, si sentisse di arrivarci. Neurath mi rispose sorridendo che, effettivamente, anch'egli era stato sorpreso da questa idea, che ormai sembrava essersi impossessata di tutti, che, cioè, le terze Potenze e specialmente l'Inghilterra dovessero addirittura riconoscere la «legittimità» della crociata antibolscevica intrapresa dalla Germania e dall'Italia in Spagna. Evidentemente, i militari tenevano, e in questo avevano ragione, a non scivolare inavvertitamente in una guerra europea, ma da questo al ritenere che gli altri potessero esplicitamente approvare l'azione della Germania e dell'Italia al punto da permettere loro di agire «allo scoperto» ce ne corre. In proposito, sembra che i militari tedeschi siano convinti che, una volta che fosse riconosciuto dall'Inghilterra a Franco il carattere di belligerante, tutto andrebbe per il meglio nel migliore dei modi possibili... Anche questa è una illusione, tanto più Neurath ritenendo che, a parte la sufficienza o meno della cosa agli effetti voluti dai militari, l'Inghilterra non sia affatto pronta ad un tal riconoscimento. Comunque, bisognava che questa illusione passasse e forse vi avrebbe contribuito lo stesso Ribbentrop, venendo qui a conferire ed informando sullo stato reale dell'opinione pubblica inglese nella materia. Quello che si poteva, però, e si doveva fare, secondo Neurath, era di cominciare a parlar chiaro: egli lo aveva fatto già stamane con l'ambasciatore d'Inghilterra, cui aveva apertamente rimproverato la parzialità di Eden quando, nelle dichiarazioni di ieri ai Comuni, aveva parlato di aiuti ed interventi sovietici, tedeschi ed italiani, ma aveva completamente taciuto di quelli francesi. Tutto quello che la Germania e l'Italia avevano fatto -Neurath aveva dichiarato -era posteriore l) all'azione francese; 2) alla instaurazione in Spagna di un governo bolscevico o bolscevizzante. Neurath riteneva che una prossima occasione per parlar chiaro, ponendo così un altolà così alla Francia come alla Russia sovietica, sarebbe stata data dal nuovo passo, ormai ritenuto imminente, da parte dell'Inghilterra in materia di controlli e di Comitato di Londra. Egli avrebbe dato istruzioni in questo senso a Gaus, (che in assenza sua e del segretario di Stato sarebbe rimasto alla testa dell'Auswartiges Amt durante tutto questo tempo) e mi raccomandava anzi di tenermi a contatto con lui per tutte quelle consultazioni che il caso avesse potuto richiedere. Frattanto egli, pur rimanendo a portata telefonica dell'Auswartiges Amt, se ne andava a passare le feste di Natale e Capo d'Anno, e a curare i suoi postumi di grippe, in campagna.

(l) -Vedi p. 725, nota 2. (2) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (3) -Vedi D. 614.

(l) Vedi DD. 611 e 623.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RR. PER CORRIERE 12340/0378 R. Parigi, 19 dicembre 1936 (per. il 21).

Persona di mia fiducia che intrattiene relazioni molto cordiali con elementi francesi dello Stato Maggiore dell'esercito mi ha riferito di avere constatato un aumento notevole di preoccupazione in seguito alle informazioni ricevute dalla Spagna circa l'attività delle autorità militari germaniche in quello Stato. Lo Stato Maggiore francese deve tenere sin d'ora nel massimo conto il pericolo di un'eventuale aggressione anche dal lato dei Pirenei e sta quindi studiando le provvidenze da adottarsi. La stessa persona mi ha inoltre confidato di aver tratto da recenti conversazioni allo Stato Maggiore l'impressione che, prolungandosi la situazione presente in Spagna, le autorità militari francesi pensino che sarà indispensabile procedere, entro il mese di marzo prossimo, all'occupazione a mezzo di truppe francesi, della zona spagnola del Marocco. Quest'ultima notizia mi sembra della più alta importanza, per gli sviluppi politici, che indubbiamente ne saranno la conseguenza (1).

P. S. -Il R. addetto militare, reso edotto di quanto sopra, mi dice che lo Stato Maggiore francese ha già iniziato il programma di difesa verso i Pirenei, come da conferma riservata datagliene. Nulla gli risulta invece sinora cìr;:a preparativi militari relativi all'occupazione della zona spagnola in Marocco.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12341/0379 R. Parigi, 19 dicembre 1936 (per. il 21).

Parlandomi ieri della visita fatta al governo francese dal ministro degli Affari Esteri romeno, signor Antonescu (2), Léger mi ha detto che si erano esaminati con lui tutti i problemi politici ed economici interessanti i due Paesi nonché le relazioni tra la Francia e la Piccola Intesa. Questo esame era avvenuto in un'atmosfera di reciproca fiducia. Esso non aveva fatto constatare alcuna situazione nuova e non aveva quindi condotto alla firma di alcun documento diplomatico e neppure ad alcuna nuova intesa verbale. Léger ha aggiunto che la venuta a Parigi del signor Antonescu era stata tanto più opportuna dopo il ritiro di Titulescu ed i commenti che ad esso erano seguiti. Per la verità teneva a dirmi che il governo francese aveva negli ultimi mesi ricevuto dal governo romeno reiterate assicurazioni di fedeltà agli impegni assunti accom

pagnate da parole straorclin::triamPnte cortesi, cosicché era fuor di luogo eredere che vi fosse un raffreddamento nelle relazioni tra i due Stati amici.

Ho accennato a Léger alle voci corse in questi giorni di un Patto di mutua assistenza fra Stati della Piccola Intesa che sarebbe stato patrocinato dalla Francia (1). Egli mi rispose che esse erano infondate: esiste infatti una situazione diversa nei rapporti tra la Francia e la Cecoslovacchia ed in quelli tra

_ la Francia, la Jugoslavia e la Romania. Tra Parigi e Praga vi è un patto di alleanza e l'impegno formale di ::tssistenza reciproca in caso di aggressione. Tra Parigi, Belgrado e Bucarest vi è solamente il patto di assistenza gener,ale sancito dal Covenant, completato dall'impegno di consultarsi in ogni evenienza. Dal loro lato, Cecoslovacchia, ,Jugoslavia e Romania sono legate da un patto di alleanza ed assistenza reciproca qualora uno di essi fosse aggredito dall'Ungheria ma non esiste alcun impegno analogo da parte dei due ultimi Stati di assistere la Cecoslovacchia nel caso in cui essa fo:>se aggredita da uno Stato diverso dall'Ungheria, né da parte della Cecoslovacchia nei riguardi della Jugoslavia e Romania in condizioni di aggressioni analoghe. Gli interessi dei singoli Stati della Piccola Intesa imponevano loro un'azione comune di salvaguardia nei riguardi dell'Ungheria, ma solamente di essa, mentre considerazioni varie, sopratutto geografiche. consigliavano loro di limitare a semplici consultazioni i loro obblighi di fronte al sorgere di situazioni politiche irte di pericoli. Il governo francese era perfettamente a giorno degli intendimenti dei tre Stati della Piccola Intesa e li apprezzava al loro giusto valore. Non poteva pertanto pensare di influire sui loro rispettivi governi perché adottassero una linea di condotta politica diversa,

(l) -Alcuni giorni dopo, l'ambasciatore Cerruti tornava sull'argomento attirando l'attenzione su un articolo del!'Evening Standard in cui si affermava che il generale Gamelin aveva consigliato al governo di prendere in considerazione delle misure precauzionali sui Pirenei e !n Marocco, rese opportune dall'aggravarsi dell'intervento militare e politico tedesco in Spagna (telespresso 8880/3039 del 26 dicembre, per. 5 gennaio 1937). (2) -Antonescu era stato in visita uificiale :l Parigi dal 16 al 18 dicembre.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5161/1732. Berlino, 19 dicembre 1936 (per. il 23).

In modo molto appariscente viene riprodotto dalla stampa tedesca un articolo pubblicato dal dr. Schacht suìla rivista americana Foreign Atfairs (2). Il dr. Schacht tratta ampiamente in questo articolo la questione coloniale, rilevandone l'importanza per i Paesi che soffrono entro uno spazio troppo ristretto in confronto della popolazione sovrabbondante, Rileva che il mondo è diviso in due gruppi: quello dei Paesi possidenti e quello dei Paesi nullatenenti e dice che il Giappone e l'Italia sono ora entrati a far parte del primo gruppo, mentre la Germania è fra le grandi Potenze l'unica finora insoddisfatta. Afferma che fino a quando il problema delle materie prime provenienti dalle colonie non sarà stato risolto, la Germania rimarrà un focolare di inquietudini nonostante le sue buone disposizioni che le fanno considerare come possibile una soluzione del problema stesso per vie pacifiche. Egli pone due condizioni a questa soluzione, cioè innanzi tutto che la Germania possa rifornirsi di materie prime in un territorio posto sotto la propria amministrazione, ed

in secondo luogo che in questo territorio abbia corso la valuta tedesca. Il problema coloniale, scrive il dr. Schacht, non è un problema imperialistico o di mero prestigio ma unicamente un problema di esistenza economica. Ma appunto per questo, conclude egli, da esso dipenderà il futuro della pace europea.

Alcuni giornali tedeschi aggiungono all'articolo considerazioni proprie, insistendo sulla necessità di risolvere la questione coloniale, e sul fatto che la Germania non può tollerare che questa venga liquidata con le solite frasi comuni e con le comode allusioni alle difficoltà del commercio e dell'economia mondiali. Merita di essere rilevato a questo proposito che la Germania aveva cominciato a parlare della eventuale restituzione delle colonie come di una semplice questione di giustizia, mentre più tardi si era iniziata una campagna per descriverla come una questione politica ed infine per rilevarne i caratteri di questione economica di importanza vitale. Ora questo complesso problema viene presentato come una questione politica ed economica insieme e la Germania pone già perfino le sue condizioni affinché la sua soluzione avvenga a seconda dei propri desideri, non esitando neppure, come fa anche il dr. Schacht, ad emettere una velata minaccia per i pericoli che l'insoddisfaeimento delle richieste tedesche fa correre alla pace europea. In sostanza, ad ogni giorno che passa le pretese della Germania in questo campo aumentano progressivamente.

D'altra parte, é interessante rilevare l'atteggiamento dell'Inghilterra, Paese verso il quale si dirigono evidentemente le maggiori rivendicazioni della Germania sul terreno coloniale. Tale atteggiamento risulta dalle dichiarazioni concordi di uomini appartenenti a tutti i partiti politici, che ancora recentemente si sono espressi alla Camera dei Comuni, come reazione alla dichiarazione dell'ambasciatore tedesco a Londra von Ribbentrop. Esso è assolutamente negativo per quanto concerne, sia una cessione di territori coloniali, sia una retrocessione delle ex-colonie tedesche attualmente sotto mandato. L'Inghilterra rimane disposta a considerare il problema unicamente dal punto di vista economico, facendo concessioni alla Germania per facilitarle la fornitura di materie prime. Non manca però, è vero, anche qualche voce nel campo opposto, ed i giornali tedeschi riproducono oggi con soddisfazione una lettera dello scrittore inglese Noel-Buxton al Times, favorevole alle rivendicazioni tedesche.

Da tutto questo risulta chiaramente il proposito deliberato di accentuare l'intensità della campagna per le rivendicazioni coloniali a favore della Germania mediante pubblicazioni e manifestazioni ripetute di personalità dirigenti della politica e dell'economia. Queste rivendicazioni sono mantenute vive anche ora, nel momento in cui l'esecuzione del piano quadriennale dovrebbe liberare la Germania dalla necessità di importare una grande quantità di materie prime.

(l) -Vedi D. 554. (2) -Si riferiscP all'articolo dal titolo Gcrmany's Colouial Demands pubblicato su Foreign, A-ffatrs, vol. 15o, n. 2.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 8670/2997. Parigi, 19 dicembre 1936 (per. il 21).

Ho avuto ieri occasione di conversare a lungo col presidente Flandin 11 quale, come ho già riferito all'E. V., si sta agitando molto perché aspira alla successione di Blum o per lo meno ad entrare come ministro degli Affari Esteri in un Gabinetto presieduto da Daladier, posto questo che è pure ambito dal presidente Chautemps. Flandin si è espresso meco in termini cordialissimi verso l'Italia, mi ha assicurato che non perde occasione per porre in evidenza la necessità che le relazioni itala-francesi tornino ad essere ispirate ad una fiduciosa e cordiale amicizia. Questa sua azione gli è stata facilitata dal colloquio avuto alcune settimane or sono a Londra col signor Eden che, mettendo al corrente delle trattative in corso con l'Italia per stipulare un gentlemen's agreement pel Mediterraneo, gli diede assicurazione che il rancore esistito durante la guerra etiopica sta scomparendo ed espresse la speranza che anche i rapporti itala-francesi riacquistassero la fiducia che li aveva ispirati dopo la visita a Roma del presidente Lavai (1). Ricordò che si era del resto espresso in questi termini dalla tribuna della Camera dei deputati il 5 dicembre.

Nel parlare degli affari di Spagna, Flandin mi disse che era grande ragione di. compiacimento per lui constatare che l'opinione pubblica e quindi il governo britannico stavano rendendosi conto dei pericoli connessi con l'eventuale trionfo del bolscevismo in quel disgraziato Paese. Si augurava che l'Inghilterra finisse per constatare l'interesse che vi sarebbe di favorire il trionfo dei nazionalisti. Il suo eventuale atteggiamento conterebbe assai anche in Francia, dove molta gente presta fede alla voce che sparge ad arte il governo ch'esso terrà in proprie mani il potere per quattro anni, mentre la cosa si deve assolutamente escludere.

Flandin espresse a questo proposito la speranza che in Italia governo ed opinione pubblica non si lascino trarre in errore confondendo la Francia con l'attuale suo governo. La Francia è stata durante le sanzioni ed è tuttora amica sincera dell'Italia, crede alla forza di questo sentimento e sa che le cose torneranno a normalizzarsi in breve tempo. Come già in Parlamento, mi disse che egli non si preoccupava soverchiamente per l'accordo italo-tedesco perché, mentre era pronto a riconoscere che gli affari di Spagna avevano costituito un terreno di intesa ideologica, ancorché non scevro di qualche reciproco sospetto, non scorgeva molti altri punti in cui fascismo e nazionalsocialismo avrebbero potuto procedere d'accordo. Erano invece permanenti, secondo il suo modo di vedere, le ragioni per le quali Italia e Francia dovevano procedere d'accordo.

Parlando dell'Inghilterra e della recente crisi dinastica, Flandin mi disse che a suo giudizio Baldwin, sotto un aspetto di borghese medio e nonostante la sua eloquenza volutamente semplice, bonaria, onesta era l'uomo politico più astuto che possedesse la Gran Bretagna. Ricordò il modo con cui aveva «sbarcato » or fa un anno Sir Samuel Hoare, che come ministro degli Affari Esteri gli dava fastidio, e disse che nei riguardi del Re aveva avuto sino dal primo momento di mira di rendergli impossibile la permanenza sul trono. In tale atteggiamento abilissimo di Baldwin Flandin scorgeva ragioni di offese personali che il Re Edoardo VIII non aveva risparmiato al suo primo ministro, sopratutto nei suoi giudizi. Pur magnificando il risollevamento rapidissimo della Gran Bretagna dopo l'abbattimento in cui l'aveva gettata la crisi dinastica,

50 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

Flandin, ancorché con estrema cautela, mi lasciò intendere che i recenti avvenimenti avevano lasciato vedere che la solidità dell'Impero poteva essere posta in pericolo da un momento all'altro. Ciò dava molto da pensare, e non soltanto agli inglesi.

Flandin mi disse infine che avrebbe avuto vivissimo desiderio di recarsi prossimamente in Italia e di soggiornare qualche tempo a Roma. Aggiunse che, come potevo però, facilmente comprendere, egli non avrebbe intrapreso tale viaggio se non avesse previamente ottenuto assicurazione di poter essere ricevuto dal Duce. Sarò pertanto grato all'E.V. di farmi pervenire eventuali direttive al riguardo. È possibile che Flandin si illuda di poter succedere a Blum o di essere il futuro ministro degli Affari Esteri di Francia. Ciò non ostante egli è un uomo politico che conta ed anche se non ispira molta fiducia nei circoli parlamentari e non ha quindi numerosi amici, riuscirà presto o tardi a tornare al potere. È in ogni caso un parlamentare influente ed ascoltato quindi con interesse non solo in Francia ma anche e forse sopratutto in Inghilterra (1).

(l) Si riferisce alla visita del gennaio 1935.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. PERSONALE 8678/3004. Parigi, 19 dicembre 1936 (per. il 21).

Ho avuto occasione negli ultimi giorni di incontrare molti uomini politici francesi, fra cui alcuni amici nostri. Tutti quanti mi hanno parlato con dispiacere del linguaggio della stampa italiana nei riguardi della Francia. Sopratutto il recente articolo del Corriere della Sera sopra la linea di difesa Maginot ed i progetti dello Stato Maggiore di rafforzarla con altra linea di forti; retrostanti (2) è apparso ispirato ad un sentimento di incomprensione verso la Francia. Essa non nega di nutrire le più serie apprensioni: non passa anzi giorno che gli stessi giornali francesi non menzionino il pericolo di aggressione da parte del Reich. È peraltro comprensibile che i francesi non amino sentirsi dire certe verità, anche se pensano che altri, nella loro situazione geografica, nutrirebbero su per giù gli stessi loro timori.

Ho fatto e continuo a fare il possibile per indurre il governo francese, anche quello di Fronte Popolare, ad agire in senso favorevole all'Italia. Qualche cosa credo di avere già ottenuto e non dispero di ottenere altro. Il mio compito sarebbe peraltro grandemente facilitato se la stampa italiana usasse verso la Francia un linguaggio meno sprezzante, ricordando che non è giusto identificare tutti i francesi col governo attuale.

(l) -Il documento reca il visto di Mussolini. (2) -Il Corriere della Sera del 15 dicembre aveva pubblicato un corsivo in cui si commentava in tono ironico l'annuncio che la Linea Maginot sarebbe stata rafforzata con nuove linee di difesa. Cosi, osservava il giornale, per l'ossessione di un ipotetico attacco tedesco, la Francia di Baiardo e di Murat avrebbe costretto migliaia di suoi soldati a vivere sottoterra.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. 5472/275 R. Roma, 20 dicembre 1936, ore 14,20.

Codesta ambasciata britannica ha segnalato che qualora rappresentanti delle Grandi Potenze garantissero incolumità personale Chang Hslieh-liang, questi potrebbe essere indotto rilasciare Chiang Kai-shek. Autorizzo V. E. concertarsi coi suoi colleghi allo scopo concretare dettagli di una azione comune in tale senso (1).

640.

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12507/074 R. Sofia, 20 dicembre 1936 (per. il 28).

A telespresso di V. E. n. 140717/C dell'll corrente (2).

Nel corso di una lunga conversazione questo presidente del Consiglio scendendo a maggiori dettagli sui suoi tentativi di effettivo riavvicinamento con la Jugoslavia, mi ha detto che quando passò un due mesi fa da Belgrado (3) domandò a Stojadinovic se egli era disposto a stringere con la Bulgaria un patto bilaterale di amicizia. Stojadinovic gli avrebbe risposto che in principio non sarebbe stato alieno dal farlo ma che dati gli impegni che legavano la Jugoslavia agli altri Stati della Piccola Intesa e dell'Intesa Balcanica avrebbe dovuto presentirli. A quanto consta a Kiosseivanov, la Cecoslovacchia avrebbe risposto che non aveva nulla in contrario se anche la Romania fosse stata dello stesso avviso e che uguale risposta sarebbe stata data dalla Turchia nei riguardi della Grecia e della Romania.

La cosa sarebbe dunque per ora in punto morto. Kiosseivanov, però, esclude che il governo bulgaro possa essere indotto a concludere patti bilaterali di amicizia anche con la Romania e la Grecia: per giustificare questa sua intransigenza egli adduce che con Romania e Grecia esistono tuttora questioni pendenti di carattere finanziario ed economico come strascico dell'ultima guerra, mentre analoghe questioni sono già state liquidate da tempo con la Jugoslavia e la Turchia; ma nel fondo del suo diniego c'è sempre l'opposizione bulgara ad entrare nel quadro dell'Intesa Balcanica e la speranza che la conclusione di un patto bilaterale con la sola Jugoslavia possa segnare sostanzialmente la fine di quell'Intesa. Inoltre, Kiosseivanov ha escluso che la Jugoslavia abbia potuto, come ne è corsa la voce, risollevare nell'interes::,e della Bulgaria la questione dello sbocco dell'Egeo. La Bulgaria mantiene il suo punto di vista che è sempre quello da me prospettato col telegramma per corriere 025 del1'8 maggio u.s. (4).

In quanto a Stojadinovic, egli ha di nuovo riaffermato che ritiene sincero il suo desiderio di riavvicinamento e di collaborazione con l'Italia.

(l) -Per il seguito della questione vedi il D. 641. (2) -Non rintracciato. (3) -Vedi D. 136. (4) -Vedi serie ottava, vol. III. D. 860.
641

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12360/358 R. Shanghai, 21 dicembre 1936, ore 12 (per. ore 21,45).

Per far giungere a Chang Hsiieh-liang avvertimento e consiglio di cui ultima parte del telegramma di V. E. n. 275 (l) e in attesa riscontro telegramma in chiaro direttogli da V. E. (2), ho trovato opportunità servirmi di un consigliere dello stesso Chang Hsiieh-liang e cioè di certo signor Elder venuto a Nanchino e Shanghai da Hsian-Fu. Egli si è rivolto Ferraioli facendogli presente che Ciang Hsiieh-liang sarebbe forse sensibile a suggerimenti provenienti da amici provati che occupano grandi posizioni in Europa e proponendo invio di un telegramma a firma di V. E.

Gli ho fatto rispondere subito che V. E. già di sua iniziativa aveva inviato tale telegramma il quale però per ragioni inerenti alla trasmissione in chiaro non poteva contenere tutto il pensiero di V. E. Io ero perciò incaricato di far pervenire a Chang Hsiieh-liang qualche considerazione di contenuto politico riservato. Ho pregato Elder di trasmettere nel frattempo tali considerazioni di cui gli ho fatto prendere nota autorizzandolo a darne visione preventiva alla signora Chiang Kai-shek. In tale occasione l'ho anche incaricato di accertarsi e comunicarmi se telegramma in chiaro diretto da V. E. a Ciang Hsiiehliang fosse arrivato a destinazione.

Prima di aver contatti con Elder ho pure pregato monsignor Vanni, Vicario Hsian-Fu, di procurarsi al riguardo qualche informazione e sono in attesa di risposta da parte di lui (3).

642

IL CAPO DI GABINETTO, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 21 dicembre 1936.

Come è noto a V.E., S.M. Alfonso XIII mi ha pregato di passare stamane da lui al Grand Hòtel. Nella conversazione che è durata circa un'ora e nella quale ha parlato quasi sempre lui, ha in sostanza sviluppato questi concetti.

Il generale Franco è ottimo uomo di guerra; non si può essere altrettanto sicuri che sarà capace, dopo la vittoria, di governare il Paese, specie se continuino ed anzi si accentuino (il che purtroppo sembra verosimile) le attuali divisioni fra gruppi e tendenze. Il Vaticano segue in tutta la questione spagnola una politica poco chiara. Gil Robles da Lisbona non fa opera di coesione. L'intervento del Vaticano e di Gil Robles nelle vicende attuali è per lo meno ambiguo, basta citare: l) l'atteggiamento dei baschi; 2) la forma

V. -E. Gradirei però conoscere se e quando mio telegramma sia pervenuto a Chang Hslieh-liang ».

zione di milizie di Acci6n Popular, con elementi presi dalle Falangi e dai partiti tradizionalisti; 3) le divisioni fomentate nel campo degli stessi partiti carlisti e tradizionalisti, per persuadersi che il Vaticano e il suo luogotenente Gil Robles non auspicano, né una vittoria totalitaria di Franco, né una ricostituzione unitaria del governo e della Nazione.

Secondo Re Alfonso, bisognerebbe consigliare immediatamente a Franco di sciogliere tutte le milizie e incorporarne gli affiliati nell'esercito spagnolo. D'altra parte, bisognerebbe esercitare pressioni presso il Vaticano perché si induca a schierarsi con la crociata anti-bolscevica e lanciare la scomunica agli avversari delle forze nazionaliste. L'effetto sarebbe immediato, almeno per i baschi che seguono le direttive dei loro vescovi.

Re Alfonso mi ha anche parlato a lungo dell'atteggiamento franco-inglese. Egli propende a credere che Inghilterra e Francia, ma sopratutto la Francia, abbiano interesse a lasciare sussistere due Spagne, una, diciamo, bianca e l'altra rossa: quest'ultima metterebbe a loro disposizione i porti della costa del Levante e servirebbe da ponte fra l'Africa e la Francia. Perciò l'ex Re di Spagna vede con molta apprensione l'ultima iniziativa di marca anglo-francese della mediazione.

Infine, Re Alfonso mi ha pregato di manifestare a V. E. i suoi sentimenti di profonda e commossa gratitudine. Egli desidera che il Duce e V. E. si servano di lui e delle sue relazioni e conoscenze se, quando e dove lo credano opportuno. Sarebbe suo vivo desiderio di poter avere un colloquio col Duce e con l'E. V. Re Alfonso mi ha lasciato comprendere che è in rapporti con alcuni esponenti delle organizzazioni francesi facenti capo a Petain, che si propongono di combattere il bolscevismo in Francia anche con azioni militari. Mi ha chiesto se eravamo al corrente di tale movimento. Gli ho risposto evasivamente (1).

(l) -Vedi D. 639. (2) -Vedi D. 610. (3) -Ciano rispose con T. 5512/278 R. del 22 dicembre, ore 24: <<Approvo azione svolta da
643

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTRO DEGLI ESTERI (2)

NOTA VERBALE 292 (173/44/36). Roma, 21 dicembre 1936.

His Majesty's Embassy present their compliments to the Royal Ministry of Foreign Affairs and have the honour, acting under instructions from His

Subito dopo, Ciano ricevette l'incaricato-d'affari di Francia, Blondel, che gli consegnò una nota identica a quella britannica (qui non pubblicata). Anche di questo colloquio non è stata trovata documentazione nell'archivio italiano: su di esso si ha il resoconto di Blondel (in DDF, vol. IV, D. 182) dal quale risulta che, In base alle istruzioni ricevute, l'incaricato d'affari francese precisò che la soppressione della legazione e la richiesta di exequatur per l funzionari consolari francesi non dovevano essere considerate In nessun caso come un riconoscimento

de jure.

Majesty's Principai Secretary of State far Foreign Affairs, to state that, in view of the fact that Ethiopian territories where British subjects have interests are now under the contrai of the Italian authorities, His Majesty's Government are prepared, on the assumption that they will receive formai assurances of Italian co-operation in the manner specified below, to reduce the status of His Majesty's Legation at Addis Abeba to that of a Consuiate Generai; this Consuiate Generai to consist in principie of a Consui Generai, a Consul and a Vice-Consui, with the necessary ciericai staff.

2. The co-operation which His Majesty's Government, in return far taking this step, will expect from the Royai Italian Government is that the Italian authorities in the Abyssinian territories under Italian contrai will

a) accept His Majesty's Consuiar representatives in that territory (i.e. at Addis Abeba and Harrar) in their officiai capacity as duiy appointed Consuiar representatives of their Government, and

b) accord such representatives all the customary privileges including that of communicating freeiy and confidentially e.g. in cypher, with their Government and with each other; consuiar bags to be exempt from Customs and all other examination.

Further, in view of the distance of His Majesty's Legation at Addis Ababa from the centre of the town and the deiay which consequentiy ensues in receiving communications by that route, His Majesty's Government must request that the new Consuiate Generai shall continue to make use of the wireiess set at present installed in the Legation far reception purposes, and that sufficient staff to operate the set shall be maintained. A similar privilege must be requested in the case of the use of wireiess far reception purposes by His Majesty's Consui at Harrar.

3. -His Ma.iesty's Government assume that the Italian authorities in Abyssinia will respect the inviolability of any Legation archives which His ~Aajesty's Government may think it necessary or desirable to retain at the Consulate Generai in arder to facilitate the work of the latter's staff; they make a similar assumption in regard to such of the Legation archives as it is deemed necessary to remove from Abyssinia. 4. -His Majesty's Government are confident that the Royai Italian Government will appreciate the reasonable character of the requirements detailed above, and so soon as they have received from the Royal Italian Government the necessary assurances in regard to them, they will initiate arrangements far the reduction of His Majesty's Legation to a Consuiate Generai as described in the first paragraph of this communication (1).

<<In relazione alla Nota Verbale dell'Ambasciata di S. M. Britannica n. 292 (173-44-36)in data 21 Dicembre c.a., il R. Governo ha l'onore di fornire al Governo di S. M. Britannica le assicurazioni desiderate, e precisamente:

l) che Il R. Governo è pronto ad ammettere ufficialmente Rappresentanti consolari britannici in Addis Abeba e ad Harrar nell'esercizio delle loro funzioni; 2) che Il R. Governo è disposto ad accordare a detti Rappresentanti consolari britannici tutti i privilegi d'uso, goduti dal Rappresentanti consolari britannici nel territorio del Regno.

Quanto al posto radio-telegrafico ricevente di Addis Abeba, il Governo italiano è disposto a consentire che ne sia continuato attualmente l'uso, salvo a definire ulteriormente la questione. Analogamente per Harrar.

Il R. Governo assicura che le RR. Autorità in Etiopia rispetteranno l'invlolabilità degli archivi della ex-Legazione Britannica in Addis Abeba, sia che il Governo britannico decida

(l) -Questo documento reca il visto di Mussolini. (2) -La nota fu consegnata dall'am:oasciatore Drummond a Ciano. Del colloquio non è stata trovata documentazione nell'archivio italiano ma si veda il resoconto dell'ambasciatore britannico in BD, vol. XVII, DD. 499 e 500. Da tale resoconto risulta che in quella occasione fu anche discusso il contenuto da dare al gentlemen's agreement itala-britannico su la base di uno schema preparato dal Forelgn Offlce che l'ambasciatore consegnò a Ciano (se ne veda il testo ibid., D. 483) e furono altresì esaminati alcuni punti di possibile frizione tra i due Paesi, segnatamente la mancata adesione dell'Italia al trattato per la limitazione degliarmamenti navali del 25 marzo precedente e la propaganda antibrltannica svolta dall'Italia nel Medio Oriente. L'ambasciatore affrontò anche il problema di un miglioramento dei rapporti!taio-francesi incontrando una posizione negativa da parte di Ciano che lamentò la partecipazione della Francia alle sanzioni e l'appoggio da essa dato al governativi spagnoli.

(l) Il 22 dicembre, 11 governo italiano inviò la seguente nota all'ambasciata di Gran Bretagna (una nota identica -salvo per l'indicazione del consolato di Francia a Dire Daua al posto del consolato di Gran Bretagna a Harrar -fu inviata all'ambasciata di Francia):

644

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. N. D. 12363/600 R. Berlino, 22 dicembre 1936, ore 0,44 (per. ore 7,50).

Telegrammi di V. E. nn. 374 e 375 (1).

Non ho mancato, in base agli elementi ricevuti e alla acquistata conoscenza degli accordi 6 dicembre (2), di agire immediatamente e in tutte le direzioni: attraverso addetto navale con ammiraglio Canaris, addetto aeronautico con Milch, Renzetti con Goering, (in occasione della prima visita che gli faceva) e, personalmente, con ministero degli Affari Esteri e Ribbentrop, col quale ultimo, quasi appena arrivato, ho avuto lunga e spero utile conversazione proprio questa sera (3).

Posso riassumere situazione così: 1°) Non vi è, sul terreno militare, idea di rallentare sforzo a favore generale Franco e anzi si è convinti essere necessario perseverare nello sforzo intrapreso, fino alla vittoria, 2°) Questi buoni proponimenti sono in parte frustrati dalla mancanza quasi assoluta di coordinazione e di unicità di direttiva da parte dei diversi organi interessati, deficienza questa che si va per altro automaticamente correggendo anche per l'influenza esercitata dalla (4) presenza e personale interessamento da parte di Hitler (non ho a buon conto mancato di raccomandare perché deliberazione processo di coordinazione sia affrettata ed avviata alle conclusioni pratiche da noi desiderate). 3°) Si va -sul terreno politico -sempre più maturando l'idea che un «alto là» all'Inghilterra come preliminare ad ogni e qualunque azione militare in grande stile, sia indispensabile e comunque opportuno. Sono sicuro peraltro che Ribbentrop prima di qualunque cosa cercherà di portare questa idea alla sua ragionevole espressione di un utile mònito all'Inghilterra sulla precisa decisione della Germania (e dell'Italia) di non tollerare un governo comunista in Spagna e quindi sulle conseguenze fatali di una continuata azione franco-sovietica di aiuto ai rossi. 4°) Non è il caso discutere se il persistere di una situazione di equilibrio militare fra le due parti in causa possa risolversi in definitiva a favore Franco e ciò anche per i crescenti dissidi tra comunisti e anarchici. Sembra che vari militari siano di questa opinione e che, quindi, l'idea di un controllo effettivo sugli aiuti dall'estero (quale quello che l'Inghilterra si appresterebbe prossimamente a riproporre) non venga completamente messa da parte e senz'altro scartata.

di versarli negli archivi del Consolato Generale, sia che giudichi opportuno di trasportarli fuori del territorio etiopico.

Il R. Governo resta ora in attesa di conoscere le misure del Governo di S. M. Britannica per tradurre in atto la trasformazione della propria Rappresentanza in Etiopia, e i nomi dei titolari che il Governo di S. M. Britannica si propone di designare per le suddette sedi consolari ».

A tutti questi -oltre punti neri segnalati da V. E. -io oppongo, con tutta la insistenza del caso:

a) che, qualunque sia per essere la decisione definitiva sull'« alto là » e sulla forma che possa assumere, esso non servirà mai a niente se non appaia -e non sia effettivamente -il risultato di una sincera e precisa determinazione da parte nostra di andare sino in fondo in ogni caso, (e che, quindi, occorre approntare, per ogni eventualità, le due divisioni di cui agli accordi di Roma);

b) che qualunque possano essere le nuove proposte inglesi in materia di mediazione e di controlli più o meno effettivi, la stessa idea, così di una mediazione, così di un controllo, (e quindi la interruzione di aiuti anche da parte itala-tedesca) non è neanche da prendere in considerazione sino a quando la situazione militare di Franco, ora precaria, non sia seriamente migliorata: urgenza, quindi, di intensificare ed accelerare gli aiuti già predisposti e su cui in massima si è d'accordo. Continuerò ad agire e riferire (l).

(l) -Vedi D. 631 e p. 715, nota 2. (2) -Vedi D. 546. (3) -Su questo colloquio non è stata trovata documentazione. (4) -Nota dell'ufficio cifra: <<Due gruppi indecifrabili».
645

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12365/277 R. Atene, 22 dicembre 1936, ore 12,25 (per. ore 14).

Dalla solita fonte fiduciaria apprendo che: l) si starebbe per concludere un patto di amicizia bulgaro-jugoslavo; 2) Turchia favorirebbe la sua conclusione mentre ad esso sarebbero ostili Grecia e Romania, le quali avrebbero fatto parte della loro disapprovazione Belgrado ed Angora; 3) il patto in questione non rientrerebbe nel quadro Patto balcanico; 4) la Grecia avrebbe chiesto convocazione anticipata Consiglio Lega balcanica per discutere intorno ad esso, ma a tale richiesta si sarebbe opposto Aras come attuale presidente Lega stessa; 5) della cosa sarebbero state invece incaricate di discutere le rispettive delegazioni a Ginevra.

Invio per corriere testo documento fiduciario (2).

646

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12388/197 R. Bucarest, 22 dicembre 1936, ore 21,20 (per. ore 22,30).

Da notizie confidenziali mi risulta che Antonescu, pur non opponendo a Parigi (3) un fin de non recevoir, non avrebbe pertanto assunto nessun concreto impegno circa progetto di un patto di mutua assistenza. Egli ha forte

mente insistito presso governo francese auspicando intesa fra Francia e Italia sostenendo con calore che tale riavvicinamento costituirebbe premessa di ogni politica intesa a ricercare formula sicurezza per Europa centrale. Per quanto concerne progetto accordo mutua assistenza, atteggiamento di Antonescu si mantiene sulle stesse linee di quelle di Belgrado (1).

I contatti fra queste due capitali vanno accentuando loro intimità e cordialità. Apprendo che Stojadinovic dichiarato verrà fra pochi giorni in Romania sotto il pretesto di un invito a caccia da parte Re Carol (2); Tatarescu e Antonescu potranno così riferire circa colloqui Parigi e azione dei due governi potrà essere quindi stabilita e concertata. Mi risulta inoltre che Belgrado si dimostra molto interessata a rendersi conto dell'attuale tono dei rapporti italaromeni che formeranno anche oggetto delle conversazioni che Stojadinovic intratterrà qui.

(l) -Vedi DD. 648, 652 e 662. (2) -Non pubblicato. (3) -Vedi D. 635.
647

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. PERSONALE S.N.D. 5511/382 R. (3). Roma, 22 dicembre 1936, ore 23.

Decifri da solo.

Siccome vedo che la stampa anglo-francese tende a darP-un risalto di speciale cordialità alle vicende di questi giorni e parla persino di un ritorno a Stresa, ti prego far sapere a mio nome a Neurath: a) che non c'è niente di vero; b) che gli accordi con l'Inghilterra sono sulla linea da me prospettata ad Hassell e rappresentano soltanto un modus vivendi mediterraneo; c) che anche da questo modus vivendi per nostra esplicita volontà la Francia è rimasta fuori; d) che infine la nostra politica è e rimane inalterata nei confronti della Germania nazista, alla quale, particolarmente adesso, siamo uniti da una lottfl. combattuta in comune per il trionfo di un comune ideale.

Tali direttive dovranno guidare i tuoi colloqui con codesti governanti ( 4).

648

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. S. 5171/1737. Berlino, 22 dicembre 1936 (per. il 24).

A seguito del mio telegramma n. 600 di ieri (5) ho l'onore di trascrivere qui appresso, per opportuna conoscenza dell'E.V., il testo del promemoria consegnatomi da questo R. addetto navale nei riguardi della conversazione da lui

(-4) Per il seguito vedi il D. 651.

avuta, nella stessa giornata di ieri, con l'ammiraglio Canaris, capo del Servizio Informazioni del ministero della guerra del Reich:

«Oggi, 21 dicembre 1936, mi sono recato dall'ammiraglio Canaris per chiedere alcuni chiarimenti relativi a quanto è stabilito nel noto verbale di seduta del 6 dicembre u.s. (l).

L'ammiraglio Canaris mi ha dato assicurazioni circa l'approntamento di una divisione. Mi ha inoltre dato conferma e benestare circa quanto già stabilito in detto verbale in riguardo della soddisfazione dei compiti affidati all'aviazione.

Anche all'ammiraglio Canaris risulta che il traffico della Russia via Dardanelli e Canale di Suez è, attualmente, scarso: altrettanto dicasi per quello diretto a Bilbao.

Ha convenuto con me circa la necessità di intensificare le operazioni in Spagna perché la situazione dei Nazionali spagnoli possa essere tale da permettere di affrontare nelle migliori condizioni qualsiasi soluzione del conflitto.

Ha riconosciuto con me che, a Berlino, tutto quanto riguarda le direttive di azione circa le operazioni in Spagna, necessita di un maggior coordinamento che possa produrre come conseguenza una più completa e decisa unità di indirizzo.

Circa il mancato impiego dei carri armati tedeschi a Yuncos, segnalato dal generale Roatta (2), l'ammiraglio Canaris ha fatto, in mia presenza, chiamare un ufficiale addetto all'ufficio del ministero della difesa che dirige le operazioni in !spagna. A detto ufficiale ha fatto personalmente presente gli inconvenienti lamentati, perché ne riferisse con sollecitudine al generale capo ufficio.

Gli ho in tal occasione reso noto che il generale Sperrle aveva dal canto suo assicurato di telegrafare a Berlino per ovviare alle manchevolezze lamentate. Come conclusione l'ammiraglio Canaris mi ha assicurato che tutto procede secondo «linee concordate nella seduta del 6 dicembre u.s. ».

Aggiungo che i RR. addetti militari continueranno a tenere, quasi giornalmente, il contatto con l'ammiraglio Canaris e mi riferiranno con appunti che sarà mia cura trasmettere senza indugio all'E. V. (3).

(l) -Su la visita di Antonescu a Parigi, si veda anche il D. 676. (2) -Si riferisce all'incontro che ebbe poi luogo dal 26 al 28 dicembre a Resitza. (3) -Minuta autografa. (5) -Vedi D. 644.
649

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. S. 5172/1738. Berlino, 22 dicembre 1936 (per. il 24).

A seguito del mio telegramma n. 589 (4) ho l'onore di portare a conoscenza dell'E. V. che il R. addetto aeronautico, nella sua conversazione con il segre

tario di Stato dell'aeronautica del Reich, generale Milch, il quale ebbe a farmi la nota richiesta relativa agli apparecchi da bombardamento per la Spagna, ha avuto occasione di prendere notizia del rapporto pervenuto dal comandante delle forze tedesche colà distaccate, generale Sperrle, nei riguardi della situazione militare e particolarmente aviatoria oggi esistente in Spagna. Secondo il rapporto le forze aeree nazionali si troverebbero in condizioni di inferiorità e avrebbero necessità di rinforzi. I nuovi apparecchi Martin messi in azione dai russi raggiungerebbero infatti una velocità oraria di 330 Km., in modo che i caccia tedeschi lanciati all'inseguimento si troverebbero in gravi difficoltà. La tattica inoltre adottata dai caccia russi, tipo Curtiss, darebbe buoni risultati. 'Jio'

Il generale Sperrle ha nel rapporto stesso manifestato il proprio compiacimento per l'utilità della scorta data dai caccia italiani. Quanto alla capacità del comando spagnuolo egli la giudica molto relativa, affermando che il miglior capo dei nazionali appare essere oggi il generale Orgaz. Il rapporto conclude col lamentare la scarsità delle forze messe alla disposizione del comando tedesco (l).

(l) -Vedi D. 546. (2) -Vedi D. 631. (3) -Il documento reca il visto di Mussol!ni. Per il seguito, si veclano i DD. 652 e 662. (4) -Vedi D. 608.
650

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12427/361 R. Nanchino, 23 dicembre 1936, ore 11 (per. il 24) (2).

Negli sforzi che si vanno facendo per trovare via di uscita alla crisi attuale salvando vita Chiang Kai-shek, risulta chiara ormai la esistenza due linee di condotta diverse tra governo cinese e famiglia Chiang Kai-shek.

Il primo non vuole negoziare con Chang Hstieh-liang e dichiara che trattative in corso da parte Soong T. V. e della signora Chiang Kai-shek che si sono recati Hsian Fu non sono che tentativi famiglia che il governo ignora. Ciò non esclude che se famiglia arriva ad un compromesso governo cinese possa anche accettarlo con entusiasmo, sempre però salvando sua dignità col dire che ricatto è stato subito da famiglia. Non ammettendo negoziati propri, governo cinese è ancora meno disposto accettare interposizione buoni uffici di rappresentanti stranieri, sia come tali che come persone amiche, ed ogni accenno da me fatto col ministro degli Affari Esteri a simile proposta è stato fin dal primo giorno accolto con cortesi ringraziamenti ma senza altro seguito. Anche io perciò mi sono ben guardato dal mettere in circolazione ipotesi che conoscevo non essere realizzabili.

Dato quanto precede, lo stesso ambasciatore d'Inghilterra si è dispiaciuto che sua proposta avesse già dato luogo a qualche malinteso facendo credere

che ambasciatori potessero mettersi in contatto con Chang Hstieh-liang per rendersi garanti di una promessa del governo cinese. Sia che sue idee abbiano avuto una erronea interpretazione, sia che egli le abbia piuttosto modificate successivamente, sta in fatto che oggi esse si limitano a raggiungere fra ambasciatori delle Potenze che hanno concessioni e forze navali in Cina una intesa nel senso che qualora Chang Hstieh-liang, dopo aver rilasciato Chiang Kai-shek, sì presentasse alle autorità di una di dette Potenze egli potrebbe essere munito di un salvacondotto per recarsi all'estero. Utilità di questa intesa consisterebbe nel fatto che Chang Hstieh-liang ne verrebbe reso edotto da persona della famiglia Chiang Kai-shek (e non da governo cinese) ed allora egli potrebbe essere meglio indotto considerare possibilità uscire salvo da questo cattivo passo previa liberazione Chiang Kai-shek. Salvacondotto è stato rilasciato a richiesta famiglia Chiang Kai-shek.

Tanto io quanto ambasciatore d'Inghilterra abbiamo ciascuno per proprio conto interpellato su questa linea ministro Kung che ha espresso suo consenso. Ho detto a Kung che, per quello che riguarda governo italiano, egli poteva essere sicuro qualunque tentativo maggiore azione egli ritenesse di dover chiedere incontrerebbe presso V. E. disposizioni favorevoli.

Circa atteggiamento altri tre ambasciatori interessati, comunico che quello americano ha dichiarato esser d'accordo, mentre ambasciatore del Giappone ha chiesto parere favorevole al suo governo ma è ancora in attesa di risposta che mi comunicherà. Ambasciatore di Francia sta ancora chiarendo col suo governo natura delle proposte in esame e prevede di associarsi non senza alcune difficoltà giuridiche (l).

(l) -Il documento reca il visto di Mussolini. (2) -Manca l'indicazione dell'ora di arrivo.
651

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE S. N. D. 12411/602 R. Berlino, 23 dicembre 1936, ore 20.

(per. ore 22,40).

Tuo telegramma odierno 382 (2).

Già fatto, ma posso assicurarti che qui non c'è nessun sospetto. Proprio stamane Ribbentrop mi ricordava egli stess.o che, nell'incontro di Berchtesgaden, il primo a insistere con te sulla opportunità di un accordo con l'Inghilterra era stato il Fuehrer. Quanto alla Wilhelmstrasse, ho parlato con Gaus, il solo che in questo momento sia rimasto a rappresentarla. Buon Natale.

652.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. N. D. 12414/603 R. Berlino, 23 dicembre 1936, ore 21,40 (per. ore 2,40 del 24). Seguito a mio telegramma n. 600 (1).

Può darsi che sotto influenza esercitata da Faupel situazione sembri avere qui ripreso orientamento dovuto. Ammiraglio Canaris assicura che, prima di partire per vacanze natalizie, Cancelliere del Reich -che Ribbentrop aveva ieri messo al corrente della nostra conversazione del giorno prima (2) -ha dato istruzioni del caso, tutte intonate alla più leale esecuzione accordo sei dicembre (3).

Nulla di nuovo è ora da prevedersi fino a gennaio. Unico punto che, alla ripresa, potrebbe essere suscettibile di discussione e di sviluppo, mi sembra essere quello sul quale Ribbentrop è tornato con me ancora stamane: «Dato e non concesso che un controllo -se pon assoluto almeno efficace -sugli invii di armi e soccorsi in Spagna fosse realmente possibile, sarebbe o no nell'interesse di Franco che anche la Germania e Italia vi accedessero? Le opinioni dei tecnici sono qui divise, ma quella prevalente sembra essere piuttosto per il si. Sopra questo punto, in linea politica suscettibile (anche agli effetti del Comitato londinese di controllo) dei più importanti sviluppi, gradirei, come è naturale, avviso V. E. per poter, in base ad esso, prevenire a tempo i possibili orientamenti che potrebbero conseguirne. Frattanto, come ho già telegrafato a V. E., io non mi stanco dal ripetere che nessuna eventualità del genere potrebbe da noi essere anche soltanto discussa, se prima il generale Franco non fosse messo in una situazione di sicuro vantaggio (4).

(l) -Sic nel testo. (2) -Vedi D. 647.
653

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12431/363 R. Shanghai, 23 dicembre 1936, ore 23,18 (per. ore 1,30 del 24).

Ministro Kung nell'esprimere sua riconoscenza per telegramma di V. E. a Chang Hsiieh-liang (5) mi ha detto che nell'opinione pubblica cinese e nell'animo del generalissimo avrebbe fatto grande impressione un augurio di pronta liberazione e di ritorno al lavoro ricostruttivo della Cina che giungesse a Chiang Kai-shek da parte di S. E. il capo del governo. Egli mi ha detto esser sicuro che Chiang Kai-shek sarà lieto ricevere telegramma in questo

(4} Per il seguito della questione si veda il D. 672.

senso. Telegramma in parola dovrà essere diretto a Kung che farà giungere testo a Chiang Kai-shek. Sarò grato a V. E. se approvando questo suggerimento vorrà sottoporlo all'alta decisione di S. E. il capo del governo e vorrà informarmi dell'eventuale accoglimento (1).

(l) -Vedi D. 644. (2) -Vedi p. 727, nota 3. (3) -Vedi D. 546. (5) -Vedi D. 610.
654

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12513/092 R. Bruxelles, 23 dicembre 1936 (per. il 28).

Da qualche giorno, e in perfetto sincronismo con quelle analoghe sviluppate in Inghilterra e in Francia, la stampa belga, senza distinzione di partito, ha intrapreso una vivace, e in certi casi violenta campagna a fondo germanofobo, intesa a suscitare nella opinione pubblica diffidenza ed allarme nei riguardi delle intenzioni attribuite al governo di Berlino. Tale atteggiamento si è cominciato a manifestare poco dopo ·le dichiarazioni di Eden (2) e di Delbos (3), è andato precisandosi in margine alla più recente attività diplomatica anglo-francese -visita di Antonescu a Parigi (4), dichiarazioni di Beck (5), ecc. -e parallelamente al progredire dei negoziati anglo-italiani; ed ha assunto la massima evidenza con l'accentuarsi delle rivendrcazioni coloniali germaniche e con lo sviluppo dell'organizzazione militare tedesca. Inoltre, si cerca avvalorare le voci che attribuiscono alla Germania propositi bellicosi e precise mire espansionistiche, interpretando in tale senso il patto nippo-tedesco (presentato come un'alleanza diretta contemporaneamente contro la Russia l'Inghilterra e la Francia) ; l'ingerenza nel conflitto iberico; le pretese minacce contro la Cecoslovacchia; l'atteggiamento assunto nei confronti di certi Paesi centroeuropei e balcanici; le riserve opposte alle dichiarazioni di Eden, Delbos e Blum; le recenti affermazioni colonialistiche di Schacht (6) e le disposizioni che Goering, a quanto si pretende avrebbe impartito agli interessati per un'immediata mobilitazione industriale.

Non è da escludersi, anzi è probabile, che tale campagna sia la conseguenza o il riflesso più o meno diretti delle manovre e della attività diplomatica svolte o promosse dalle Potenze occidentali democratiche per indurre

(T. 11225/210 R. del 13 novembre, ore 21), la stampa belga aveva dato molto rilievo al viaggio di Beck a Londra (8-11 novembre) ed alla cordialità dei rapporti che si era manifestata tra Londra e Varsavia, considerata come espressione di una ripresa dell'iniziativa britannica sul Continente in difesa della sicurezza collettiva.

il Reich, sotto la pressione dell'opinione internazionale, oltre che ad accettare, in cambio di qualche soddisfazione, il principio di una limitazione degli armamenti, ad aderire al progetto di patto occidentale quale è preconizzato dalla Francia e dall'Inghilterra; a limitare la sua influenza nei Paesi già satelliti della Francia, a rinunciare a quelle mire coloniali e a quell'affermazione nel Mediterraneo che il Reich sembra perseguire all'ombra del conflitto iberico.

Mentre i giornali che conducono la campagna germanofoba negano recisamente che, come i tedeschi pretendono, le Potenze democratiche tentino realizzare un accerchiamento della Germania e affermano, anzi che la stessa Francia sarebbe disposta fare qualche sacrificio d'amor proprio purché il Reich aderisse alle condizioni esposte da Eden e Delbos, è tuttavia evidente la preoccupazione degli ambienti che ispirano _tali fogli di favorire il ristabilimento del fronte di Stresa. Né mancano accenni, sebbene cauti, ad un ritorno all'idea mussoliniana del Patto a Quattro.

(l) -Vedi, per il seguito, D. 668. (2) -Si riferisce al discorso pronunciato da Eden a Bradford il 14 dicembre. Eden aveva escluso che la Gran Bretagna, così come la Francia, perseguisse una politica dei blocchi o intendesse accerchiare la Germania ma aveva riconfermato la solidarietà franco-britannica espressa qualche giorno prima da Delbos e da lui stesso nel discorso di Leamington del 20 novembre (vedi D. 478). (3) -Riferimento al discorso tenuto alla Camera da Delbos il 4 dicembre precedente.Richiamandosi a quanto detto da Eden a Leamington, Delbos aveva dichiarato che le forze della Francia sarebbero state spontaneamente e immediatamente utilizzate per la difesa della Gran Bretagna in caso di aggressione non provocata e che uguale affermazione egli faceva per il Belgio. Si veda anche il D. 557. (4) -Vedi p. 718, nota 2. (5) -In un discorso al senato del 18 dicembre, Beck aveva ribadito la fedeltà della Polonia all'alleanza con la Francia. Già in precedenza, come aveva rilevato l'ambasciatore Preziosi

(6) Vedi D. 636.

655

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12512/094 R. Bruxelles, 23 dicembre 1936 (per. il 28).

Parlando col segretario generale di questo ministero degli Esteri circa la proposta britannica di cui al paragrafo 8 del Memorandum del Foreign Office del 19 novembre (1), il barone van Langenhoven mi ha detto che tutte le informazioni pervenutegli finora da Berlino sono nel senso che se il governo del Reich è forse disposto a consentire che il nuovo Patto di Locarno comporti qualche eccezione, anche per quanto riguarda la Polonia e la stessa Cecoslovacchia, continua invece a non ammettere che l'U.R.S.S. possa anch'essa venir inclusa fra le eccezioni da contemplarsi. Van Langenhoven mostravasi pertanto assai scettico sui risultati delle conversazioni diplomatiche in corso, e quindi sulle reali possibilità di successo di un nuovo istrumento occidentale.

Nella conversazione, il barone van Langenhoven ha poi rilevato, nell'esaminare l'attuale situazione, che le assicurazioni di garanzia date da Eden al Belgio ed alla Francia con il discorso di Leamington (2), mentre sono incondizionate per questo Paese, appaiono invece subordinate e limitate, per quanto riguarda la Francia, agli accordi esistenti. Il mio interlocutore ha ricordato le parole stesse usate da Eden: «In accordance with our existing obligations ». In merito a questi esistenti obblighi -che poi sono quelli di mutua garanzia contenuti negli accordi di Londra dell'aprile scorso (3) -van Langenhoven ha accennato alla difficoltà di cui verrebbe a trovarsi il Belgio di fronte ad un eventuale protrarsi dell'esistente situazione, la quale, com'è noto, contrasta con le nuove direttive della politica belga, decisa a non assumere impegni di reciprocità, del genere appunto di quelli contemplati nel suindicato accordo.

Rilevo che queste preoccupazioni del van Langenhoven corrispondono alle mie segnalazioni di cui al telegramma n. 220 del 12 dicembre (1). D'altra parte, è degno di nota che un analogo concetto travasi esplicitamente espresso nella relazione sul bilancio del ministero degli Esteri testé presentato alla Camera dal relatore Carton de Wiart: «La vigilanza che il Belgio presta alla propria difesa -e della quale fa prova la nuova legge militare -costituisce un concorso importante e permanente al mantenimento della pace europea, giacché inteso ad impedire che il territorio belga divenga un corridoio od una base di operazione diretta contro l'uno dei suoi vicini. Questo stato di cose sembra tale da giustificare una nuova situazione di diritto internazionale nella quale l'aiuto che fosse assicurato al Belgio da altre Potenze non sarebbe affatto subordinato per esso ad una reciprocità di impegni della stessa natura. Una siffatta situazione giuridica risponderebbe all'osservazione fatta da Eden: ad eccezione delle zone in cui i loro interessi vitali venissero lesi, non ci si può aspettare che le nazioni siano legate da obblighi militari automatici».

Circa questa osservazione di Eden, rilevo infine che van Langenhoven, nell'accennare alle eventuali modificazioni del Covenant, ha insistito sulla necessità di chiarire la portata dell'art. 16 e di ridurre in genere gli impegni derivanti dal Patto. Egli si è riferito agli analoghi voti espressi nella risposta belga al questionario ginevrino, facendomi comprendere che questa ha risentito dei desideri stessi di Londra.

(l) -Vedi p. 572, nota 3. (2) -Vedi p. 532, nota 2. (3) -Vedi p. 574, nota 3.
656

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5213/1750. Berlino, 23 dicembre 1936 (per. il 26).

Da fonte fiduciaria ricevo notizie sicure di un rapporto inviato alcuni giorni or sono da Ribbentrop al Fiihrer sulla situazione politica generale. Tale rapporto è stato recapitato all'insaputa del ministero degli Affari Esteri, a cui si attribuiscono gli insuccessi della politica tedesca nei seguel).ti settori: a) in Polonia, ove, nonostante gli accordi di Goring (2), il governo polacco si avvicina sempre più alla Francia e dove la posizione di Beck, esponente della corrente antibolscevica e garante degli accordi con la Germania, diventa difficile. b) In Jugoslavia, ove le conversazioni di Goring (3) non sono state portate alle conclusioni che era dato sperarne. c) In Romania, ove non si è sfruttata la iniziale tendenza antibolscevica del ministro degli Affari Esteri.

In tale rapporto Ribbentrop riterrebbe verosimile, in un avvenire più o meno prossimo, un conflitto europeo tra le nazioni del blocco fascista e quello del blocco franco-sovietico; ritiene dubbia l'attitudine della Polonia e quasi cer

tamente avversa alla Germania quella del Belgio, a cansa degli accordi militari con la Francia tuttora in vigore (1). Il rapporto rileva che la mancanza di materie prime nel blocco fascista rende indispensabile che venga assicurata almeno la neutralità della Inghilterra. Tale compito politico incontra oggi molte resistenze in tutti gli ambienti e resistenza assoluta nel Foreign Office; tuttavia Ribbentrop crede che, col tempo, il pericolo bolscevico possa venire compreso in Inghilterra. Il rapporto accenna pure che, in caso di conflitto, le sue conseguenze sociali ed economiche ed i danni delle flotte aeree potrebbero provocare moti rivoluzionari anche nelle popolazioni del blocco fascista, ma conclude esprimendo il parere che tale pericolo sia minimo per l'ascendente morale e per il prestigio personale dei capi (Duce e Fiihrer) sulla massa delle due nazioni principali.

Incidentalmente il rapporto accenna alle difficoltà trovate negli ambienti governativi inglesi per far comprendere la necessità tedesca di ottenere la restituzione delle colonie. E ritiene che, ai fini della politica tedesca, non si debba pel momento irritare troppo l'opinione pubblica inglese e dei Dominions su tale questione prima che esse siano mature al trattamento di tale problema, che si debba in un primo tempo cercare di ottenere la restituzione delle colonie già tedesche di cui la Francia è oggi mandataria (2).

(1) -Riferimento errato. Si tratta probabilmente del T. 12033/229 R. del 9 dicemb;·e, ore 22,05. Comunicava che presumibilmente nella sua risposta il governo belga non si sarebbe discostato dall'atteggiamento precedente ed avrebbe comunque sottolineato l'opportunità di un chiarimento preìiminare per via diplomatica. (2) -Si riferisce al viaggio di Goring in Polonia del 19-24 febbraio precedenti. (3) -Del 6-8 giugno 1935, a Belgrado (in proposito si veda serie ottava, vol. I, DD. 355, 367 e 397).
657

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. S. 5214/1751. Berlino, 23 dicembre 1936 (per. il 26).

Circa il trattato col Giappone, risulta da fonte generalmente bene informata che, oltre all'accordo di collaborazione nella comune lotta sociale contro il Comintern, sarebbero stati conclusi accordi di carattere politico, riassunti in 'Una breve nota verbale. In questa si accenna al pericolo della Russia dei Soviet, si afferma di volere seguire una politica di accordo tra Germania e Giappone e la Germania accenna ad interessi tedeschi in Cina. A questo ultimo punto soltanto, su cui l'ambasciatore giapponese non ha fatto promessa alcuna, si dovrebbe se l'accordo stipulato e l'annessa nota verbale non hanno preso aspetto di un vero patto di alleanza (2).

658

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. S. 5215/1752. Berlino, 23 dicembre 1936 (per. il 26).

Risulterebbe in ambienti prossimi al Fiihrer che questi si sarebbe recentemente preoccupato di indicare il suo successore. Il Fiihrer si sarebbe mostra

51 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

to riluttante a risolvere con disposizioni organiche tale problema. E si sarebbe pel momento limitato ad indicare come suo successore Goring, basandosi sulla indicazione che, agli inizi . del movimento, era stata fornita dai suoi primi seguaci (una ventina, tra cui non si trovava ancora Goebbels). Tale decisione non tranquillizza, però, tutti i dirigenti del partito; tuttavia essi confidano che essa possa evitare una crisi, date le relazioni esistenti tra Goring ed i capi delle forze armate del Reich e quelle tra Goring ed Himmler, la cui potenza. come capo della polizia di tutto il Reich, è indiscussa.

(l) -Vedi p. 246, nota 2. (2) -Il documento ha 11 visto di Mussol!ni.
659

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12442/769 R. Parigi, 24 dicembre 1936, ore 22,09 (per. ore 5,15 del 25).

Delbos si è compiaciuto vivamente meco della ripercussione favorevolissima che recente passo compiuto a Roma da Francia e Inghilterra (1) aveva avuto non solo nei tre Paesi ma nel mondo intero. Aggiunse sperare che il governo fascista avrebbe compreso tutto il significato del gesto che voleva essere un grande passo innanzi nel riconoscimento completo della sovranità italiana sull'Etiopia, cosa che egli sperava prossima non essendovi ormai alcun dubbio che S.d.N. dovrà radiare Etiopia nell'Assemblea, che si augurava avesse luogo entro gennaio. Occorreva però adesso sperare che il governo fascista volesse compiere un gesto dal proprio lato permettendo alla Francia di avere l'ambasciatore a Roma al più presto possibile. Si era parlato di riconoscimento di fatto della sovranità italiana per giustificare dinanzi alla opinione pubblica passo compiuto 21 corrente ancorché egli riconoscesse che dal punto di vista del diritto internazionale la cosa potesse essere molto discussa e sembrare piuttosto un riconoscimento di diritto. Appunto perciò riteneva che il governo fascista, ora che la Francia aveva compiuto un primo passo di tanta importanza, avrebbe potuto dal suo canto farne uno altrettanto amichevole consentendo che Saint Quentin presentasse credenziali redatte negli stessi termini di quelle dell'ambasciatore degli Stati Uniti.

Osservai che la cosa era ben diversa per non fare Stati Uniti d'America parte della S.d.N. e per non aver essi partecipato all'Assemblea di settembre scorso che adottò risoluzione lesiva per prestigio italiano (2). Titolo imperiale era stato conferito al Re d'Italia da una legge dello Stato che doveva essere rispettata. Prova ne era che Cile ed altri Stati membri della S.d.N. accreditarono loro rappresentanti presso il Re Imperatore e che Svizzera riconobbe sovranità piena ed intera dell'Italia sopra l'Etiopia.

Delbos rispose che tutto ciò era giusto. Si doveva però tener presente che, nonostante vari riconoscimenti dello stato di diritto e di fatto finora avvenuti,

(I) -Vedi D. 643.

quelli che avevano prodotto maggiore impressione e dimostrato al mondo che la questione etiopica era ormai risolta erano stati i passi compiuti della Francia e dall'Inghilterra. Tornava ad insistere sopra il loro carattere estremamente amichevole e sullo sforzo fatto per ristabilire fra Roma, Parigi e Londra quella fiduciosa comprensione che non è forse mai stata così necessaria come nel momento torbido attuale in cui è in giuoco un interesse mediterraneo del più alto valore quale è quello spagnuolo con grave minaccia per la pace del mondo. Egli mi pregava quindi di far conoscere alla E. V. quanto mi aveva esposto augurandosi che oggi, in cui le intenzioni amichevoli della Francia si erano manifestate in modo indubbio fra il plauso unanime, anche il governo fascista giudicasse opportuno di fare alla grande Potenza vicina ed amica un trattamento analogo a quello fatto all'altra Potenza di oltre Oceano.

Ho parlato a Delbos dell'importante problema del riconoscimento del nuovo stato di cose in Etiopia e della ferrovia di Gibuti, dicendogli che questo gesto sarebbe stato puramente francese e già concordato con l'Inghilterra cosicché avrebbe prodotto impressione anche migliore in Italia.

Ministro degli Affari Esteri non negò la cosa pur rendendosi conto che il valore politico dell'atto testé compiuto era di per sé stesso grandissimo anche se non era stato singolo. Mi promise interessarsi nuovamente della cosa ed aggiunse che la sua risoluzione sarebbe stata grandemente facilitata come pure quelle delle varie altre questioni di cui gli avevo parlato in passato qualora da parte italiana si fosse compiuto un gesto nei riguardi delle credenziali del nuovo ambasciatore di Francia. Egli doveva infatti tener conto della propria opinione pubblica che avrebbe potuto rinfacciargli, come del resto già facevano giornale Humanité ed altri giornali di estrema sinistra, di sempre dare tutto all'Italia e di non chiedere ed ottenere mai nulla in cambio (1).

(2) -Vedi p. 107, nota 2.
660

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12464/0169 R. Vienna, 24 dicembre 1936 (per. il 26).

Telegramma di V. E. n. 221 (2).

Ho smentito con l'autorità di V. E. a questo ministro di Francia e a quanti me ne avevano parlato, le voci relative a nostre pratiche a Berlino per restaurazione in Austria e Ungheria. Puaux ne riferirà al suo governo cui, insieme con mia immediata confutazione, aveva comunicato quella voce pervenutagli da Roma.

Voce che attribuiva al Cancelliere federale intenzione affrontare con Hitler stessa questione, era dovuta a grossolano malinteso di von Wiesner. In recente conversazione, Schmidt aveva esortato Wiesner a indurre legittimisti a non sabotare accordo 11 luglio con Germania perché così si aggravavano ostacoli

ad eventuale restaurazione. Schmìdt avrebbe detto che senza accordo con Germania o senza passiva tolleranza della stessa, restaurazione non sarebbe stata mai possibile. Da questi accenni Wiesner trasse conclusione che Cancelliere avrebbe in argomento preso contatto con Hitler. Come ho riferito (mio telegramma per corriere n. 0160) (1), Schluschnigg non pensa affatto a siffatte trattative, almeno per ora.

(l) -Le osservazioni d! Ciano relative a questo telegramma sono contenute nel D. 675. (2) -T. 5433/221 R. del 17 dicembre, ore 24: smentiva In modo caeegorico le voci relative a trattative tra l governi di Roma e di Berlino per la restaurazione monarchlca in Austria e in ungheria.
661

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12510/089 R. Berna, 24 dicembre 1936 (per. il 28).

Benché informato a tempo, non ho comunicato con telegramma l'avvenuto riconoscimento dell'Impero da parte di questo governo perché l'on. Motta mi ha pregato di « lasciare la primizia l> al ministro di Svizzera a Roma. Non perché, ha soggiunto l'on. Motta, la cosa fosse più dovuta a lui che a me ma perché riteneva che il passo avrebbe «procurato delle simpatie al signor Ruegger l>: al che ho accondisceso ben volentieri (2).

L'on. Motta, contrariamente a quanto mi aveva detto, (vedi mio telegramma n. 170 del 16 corr.) (3) aveva risposto al telegramma di Sua Maestà senza usare alcun titolo e sopratutto omettendo quello d'Imperatore. Siccome avevo fatto rilevare vivamente questo cambiamento, l'on. Motta lo spiegò dicendomi che, riesaminato il suo proposito, non aveva voluto dare l'impressione di risolvere con un gesto personale una questione così importante. Aggiunse che il desiderio di non fare sospettare altre ragioni per quell'omissione l'aveva spinto poi a una decisione più rapida del riconoscimento. Certo, hanno influito su lui profondamente i telegrammi che ha ricevuto per il suo giubileo da Sua Maestà, da S. E. il capo del governo e da S. E. il ministro degli Esteri; egli ha compreso che doveva rispondere con un atto di amicizia effettiva e tangibile. Rilevatogli da me che il riconoscimento della Svizzera, se fatto come sino allora progettato, arrivava tardi dopo le decisioni della Francia e dell'Inghilterra, l'on. Motta mi rispose quanto ebbi l'onore di telegrafare (telegramma d.d. 22 corr.

« Dument autorisé par mon Gouvernment à cet effet, j'ai l'honneur de faire à Votre Excellence la déclaration suivante:

Le Conseil Fédéral Suisse, reconnaissant la souveraineté de l'Ital!e sul le Territoire éthiopien, désire que l'arrondissement consulaire dépendant directement de la Légation de Suisse en Italie s'étende dorénavant également sur ledit Territoire. Le Gouvernement de la Confédération considère comme corollaire nature! de cette situation que le Gouvernement Royal et Impérial tiendra dument compte des droits acquis des citoyens suisses dans l'Empire éthiopien ».

n. -176) (l) dicendomi appunto che per non restare in coda agli altri e per conservare alla decisione svizzera il valore che voleva avesse come segno d'amicizia per il nostro Paese, avrebbe proposto al governo federale il riconoscimento 'pieno, di diritto e di fatto. Il primo comunicato pubblicato qui iersera non permetteva di giudicare l'esatta portata dell'atto, tanto è vero che l'ambasciata di Francia e altre legazioni hanno telefonato chiedendo spiegazioni. Un secondo breve comunicato uscito oggi ha chiarito il riconoscimento de 1ure.

L'on. Motta iersera mi telefonò di essere stato molto soddisfatto dell'accoglienza che S. E. il ministro Ciano aveva fatta al ministro Ruegger e alla decisione della Svizzera.

(l) -T. per corriere 12227/0160 R. del 14 dicembre: riferiva, tra l'altro, le voci relative alla presunta intenzione di Schuschnigg di affrontare con Hitler la questione del ritorno degli Asburgo in Austria. (2) -Non è stata trovata documentazione del passo compiuto dal ministro di Svizzera ma in proposito si veda Documents Diplomatiques Suisses 1848-1945, Berna, Bente!!, 1979 e segg., vol. XI, D. 338. Il testo della nota era il seguente: (3) -T. 11243/170 R. del 16 dicembre, ore 17,30. Riferiva che il presidente della Confederazione Svizzera aveva espresso grande soddisfazione per il contenuto del telegramma che Mussolini gli aveva inviato due giorni prima in occasione del venticinquesimo anniversario della sua partecipazione al governo della Confederazione e alla vigilia della sua quinta rielezione alla presidenza della Confederazione e nel quale si sottolinea che durante il periodo In cui l'on. Motta aveva ricoperto tali cariche l rapporti tra i due Paesi erano stati «particolarmente cordiali e amichevoli». Al ministro Tamaro, l'on. Motta aveva detto che avrebbe risposto al telegramma inviatogl! dal Re d'Italia indirizzando a S. M. il Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia.
662

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. S. 5208/1745. Berlino, 24 dicembre 1936 (per. il 26).

Mio telespresso n. 5171/1737 del 22 dicembre u.s. (2).

A seguito del mio telespresso suindicato ho l'onore di qui appresso trascrivere, per opportuna conoscenza dell'E. V., l'appunto compilato dal R. addetto navale relativo al nuovo colloquio da lui avuto nella giornata di ieri con il capo del Servizio Informazioni tedesco, ammiraglio Canaris:

«Mi riferisco al colloquio avuto oggi con V. E. Il generale Milch, sottosegretario di Stato all'Aeronautica, il giorno 21 corrente ha comunicato al R. addetto aeronautico che l'aviazione tedesca avrebbe inviato in !spagna un'altra squadriglia da bombardamento di nuovo tipo. Nel fare tale comunicazione egli ha però lasciato sorgere il dubbio che a tale invio non ne sarebbero seguiti altri. Poiché questa notizia non poteva conciliarsi con quanto era stato convenuto, né con le impellenti necessità dei Nazionali spagnoli, mi sono recato dall'ammiraglio Canaris per conoscere al riguardo le reali intenzioni del governo germanico. L'ammiraglio Canaris, premesso che molte autorità tedesche, fra cui il ministro Goring ed il generale Milch, non erano ancora bene al corrente degli accordi intervenuti nella seduta del 6 dicembre (3), mi ha detto che la comunicazione ricevuta dal R. addetto aeronautico non doveva essere interpretata in senso restrittivo, poiché altri invii avrebbero seguito quello della squadriglia in argomento.

In previsione di un eventuale controllo internazionale che riuscisse ad impedire il traffico di materiali da guerra dall'estero in !spagna o di qualsiasi altra soluzione del conflitto che imprevedibili circostanze potessero rendere necessaria, ho prospettato all'ammiraglio Canaris l'assoluta necessità di affrettare l'invio di materiali in !spagna in modo da accumulare sul posto quanto più fosse possibile si che, all'occorrenza, i Nazionali si trovassero in situazione prevalente rispetto ai rossi; condizione questa ovviamente indispensabile per tendere con successo ad una soluzione del conflitto spagnuolo nel

senso desiderato, qualora i due contendenti fossero rimasti isolati l'uno di fronte all'altro.

L'ammiraglio Canaris ha convenuto con me su quanto sopra esposto e mi ha comunicato che tutto il materiale germanico destinato all'estero veniva già avviato in !spagna e che gli constava che il Fiihrer, nella giornata di ieri 22, aveva definito, secondo lo spirito degli accordi del 6 dicembre u.s., le direttive da seguire nei riguardi dell'azione germanica in !spagna.

L'ammiraglio germanico Boehm, reduce con l'incrociatore Nurnberg, dalla Spagna, ove è stato comandante superiore delle forze navali tedesche, ha dato a questa Marina notizie assai poco soddisfacenti nei riguardi della situazione militare dei Nazionali. Particolarmente per quanto riguarda le navi da guerra spagnuole bianche, il predetto ammiraglio le ha giudicate poco efficienti per l'assenza di organizzazione e di sane direttive di impiego. L'ammiraglio spagnuolo comandante le forze navali nazionali (giudicate del resto poco favorevolmente) non ha fatto che ripetere all'ammiraglio Boehm la parola «aiuti, aiuti, aiuti :. (l).

(l) -12385/176 R. del 22 dicembre, ore 20,55; il contenuto è qui riassunto. (2) -Vedi D. 648. (3) -Vedi D. 546.
663

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. 5547/103 R. (2). Roma, 25 dicembre 1936, ore 1.

Faccia sapere a Stojadinovic che mi rimetto integralmente a lui per la scelta dei suoi negoziatori (3) e che ho preso conoscenza con vivo interesse di quanto egli ha fatto sapere per il tramite di V. S. (4).

664

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12446/770 R. Parigi, 25 dicembre 1936, ore 14 (per. ore 18,15).

Ho chiesto oggi a Delbos che cosa ci fosse di vero nelle notizie, giunte al mio orecchio e pubblicate anche dalla stampa, giusta le quali egli, come pure Eden, si sarebbero espressi cogli ambasciatori di Germania a Parigi e Londra in termini espliciti nei riguardi della Spagna manifestando apprensioni serie. Delbos chiese effettivamente ieri di vedere il conte Welczek al quale disse che le notizie pervenutegli dalla Spagna lo avevano indotto a pregarlo di far presente al governo del Reich situazione particolarmente grave che si sarebbe creata se fosse continuato afflusso di volontari in quella regione e se esso anzi

ché essere, come finora, da ascriversi piuttosto a spirito avventuroso ed a simpatie politiche dei singoli volontari, fosse stato organizzato da governi e sopratutto se fosse consistito in veri e propri reparti organici dei rispettivi eserciti giacché ciò avrebbe rappresentato intervento. Informazioni pervenute gli facevano credere che in Germania si pensasse ad inviare in Spagna forze numerose (accennò a parecchie diecine di migliaia di uomini) inquadrate e coman. date da ufficiali dell'esercito. A parte ciò, sette deputati francesi di destra simpatizzanti per Franco, ritornati recentemente da viaggio compiuto in Spagna, gli avevano asserito di avere constatato còn i propri occhi esistenza di numerosi ufficiali ed uomini tedeschi che acquistavano ogni giorno maggiore autorità e cercavano senza tanti riguardi di mettere fuori causa lo stesso Franco per diri

gere essi ogni cosa in Spagna.

Queste notizie avevano qui prodotto profonda inquietudine e gli stessi

deputati di destra scorgevano nel modo di procedere tedesco intenzioni che

andavano molto al di là della Spagna e costituivano una minaccia seria per la

Francia. Dovevasi pertanto far sapere al governo del Reich che governo fran

cese era costretto a richiamare tutta la sua attenzione sopra una situazione che

da un momento all'altro era diventata molto seria. Esso scorgeva una via di

uscita onorevole per tutti nel fermo proposito di porre termine alla partenza di

volontari e di armamenti e nella decisione di esercitare nei vari Paesi di Europa

compreso naturalmente U.R.S.S. un controllo molto severo nei porti e ai confini.

Francia era da parte sua disposta ad accettare tale controllo sempre che altri

Stati facessero altrettanto.

Delbos mi ha detto che ieri a Londra tale idea era stata accettata in mas

sima dal Comitato di Controllo con sola eccezione del Portogallo che avrebbe

potuto ritornare sopra sua decisione. Nutriva quindi speranza che si potesse

continuare a discutere circa particolari dell'applicazione del controllo stesso.

Ambasciatore di Germania gli aveva risposto di ritenere esagerate tutte le noti

zie concernenti tedeschi, assicurando che governo tedesco non favoriva di buon

grado volontari. Ambasciatore di Germania disse pure che, se si fosse deciso

di sospendere partenza di volontari e armamenti, occorreva pure abolire propa

ganda nei vari Paesi e sottoscrizioni.

Ho chiesto a Delbos, che nel corso della conversazione aveva accennato meco

notizie inquietanti che giungevano dalla Germania, se poteva dirmi in che cosa

esse consistessero.

Ministro degli affari esteri aderì di buon grado e mi disse che informazioni

ricevute parlavano di uno stato d'animo assai preoccupante perché vettovaglia

mento del Reich diventava ogni giorno più difficile creando da un lato malcon

tento, dall'altro sentimento che è preferibile correre una avventura pur di uscire

dalla situazione attuale insolubile. Reichswehr continuerebbe ad essere ponde

rata e ad agire di conseguenza ma esperienze passate e sopratutto rioccupa

zione sponda sinistra Reno deciso dal Cancelliere germanico contro esplicito

parere dello Stato Maggiore lasciavano sussistere timore che Hitler da un

momento all'altro compisse un colpo di testa mettendo a repentaglio pace del

mondo. Non mancavano naturalmente motivi per fare credere che prevarrà in

lui la ragione e questi sono la certezza che Inghilterra darebbe tutto il suo

appoggio militare ed economico alla Francia e quello non meno categorico che Stati Uniti, pur non partecipando ad una guerra, assisterebbero con tutte le loro forze morali ed economiche Francia ed Inghilterra perché risentimento contro la Germania, manifestatosi palesemente nel discorso di Roosevelt (l) aumenta ogni giorno in America.

Delbos mi disse nell'accomiatarmi che era stato lieto di accondiscendere alla richiesta da me rivoltagli di conoscere quanto aveva detto all'ambasciatore di Germania ma che teneva a farmi rilevare che non aveva avuto motivo e quindi sentito il bisogno di esprimersi negli stessi termini meco. Quanto al passo compiuto a Londra egli non ne era ancora esattamente informato ma aveva ragione di ritenere che Eden si fosse espresso in senso analogo con Ribbentrop.

(l) -Il documento reca 11 visto di Mussolin!. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 624. (4) -Di tale comunicazione non si è trovata traccia. Per Il seguito, si veda 11 D. 686.
665

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12506/0111 R. Belgrado, 25 dicembre 1936 (per. il 28).

Faccio seguito al mio telegramma per filo n. 97 (2).

Secondo mi è stato detto oggi stesso a questo ministero degli Affari Esteri, governo jugoslavo ha effettivamente intenzione concludere prossimamente patto di amicizia colla Bulgaria, per il quale verrebbero fatte da tempo vive premure da Sofia. Progetto ha già avuto, naturalmente, piena adesione della Turchia. Romania si sarebbe dichiarata disposta ad abbandonare sue originarie riserve. Del resto Stojadinovic parte stasera per incontrarsi, per una partita di caccia, con Tatarescu. Rimarrebbero, quindi, in piedi soltanto obbiezioni della Grecia, preoccupata di questa formale sistemazione delle relazioni bulgaro-jugoslave. Governo jugoslavo non disconosce obbligo di cui art. 2 del Patto dell'Intesa Balcanica. Sosterrebbe, peraltro, essere il caso dell'applicazione della prima parte del capoverso del detto articolo e non della seconda. Escluderebbe, quindi, che argomento debba senz'altro essere portato all'ordine del giorno della riunione di febbraio del Consiglio dell'Intesa per ottenere l'approvazione dei contraenti del Patto e riterrebbe che argomento stesso possa, invece, essere oggetto di semplice consultazione da condurre nell'ordinaria via diplomatica. Comunque, conclusione formale del patto di amicizia progettato non sarebbe imminente (3).

(l) -Si riferisce al discorso pronunciato da Roosevelt 11 lo dicembre all'inaugurazione della Conferenza panamericana di Buenos Aires in cui, senza chiamare in causa esplicitamente la Germania (e l'Italia}, 11 Presidente aveva denunciato le divisioni che si manifestavano in altri Continenti provocate «da vecchie inimicizie e nuovi fantasmi», la tendenza a credere che nuovi mercati si potessero ottenere solo con la conquista e soprattutto aveva avuto parole durissime contro la politica degli armamenti che creava «falsa occupazione » senza costruire prosperità, preparando il giorno In cui quella economia malata sarebbe caduta e quelle armi sarebbero state Inevitabilmente usate. Si veda il testo del discorso in Documenti di politica internazionale, pp. 749-753. (2) -T. 12438/97 R. del 24 dicembre, ore 20,30. Nel confermare che era effettivamente in discussione un patto tra Bulgaria e Jugoslavia, faceva presente che, secondo quanto stabilito dall'art. 2 del patto dell'Intesa Balcanica, l'accordo doveva ottenere l'approvazione degli altri Stati membri dell'Intesa. Presumibilmente, la questione sarebbe stata sottoposta al consigliodell'Intesa Balcanica previsto per Il mese di febbraio. (3) -Anche il ministro Sola telegrafava, da Bucarest, di avere appreso «da fonte ineccepibile» che il governo jugoslavo era deciso a stipulare un trattato di amicizia con la Bulgaria.La notizia era stata accolta in modo negativo ad Atene e il governo greco aveva espresso il proprio malumore ad Ankara e a Bucarest (T. 12451/204. R. del 25 dicembre, ore 21,30).
666

IL CONSOLE GENERALE A MALTA, CASERTANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. RR. 10084/55. Malta, 25 dicembre 1936 (per. il 28).

Miei rapporti n. 10070/43 del 18 corr. e n. 10035/27 del 7 novembre (1).

Malgrado le forti resistenze che incontra negli ambienti governativi e politici, e in quella parte del clero che, apertamente ormai, si dimostra inglesizzante, l'Azione Cattolica ha dato in questi giorni una prova della sua forza con una bella affermazione di italianità, ottenendo che in molte chiese si tenessero prediche in lingua italiana in occasione delle feste natalizie. Per via indiretta, ho favorito, e anche sostenuta con contributo di denaro, nella misura consentitami dai mezzi personali, la propaganda dell'Azione Cattolica, dalla quale possiamo attenderci qualche cosa di buono e di concreto.

Il decano della Cattedrale di Malta monsignor Alberto Pantelleresco, è l'anima dell'Azione Cattolica, benché non voglia per ragioni evidenti apparirne il capo. Un gruppo di giovani sacerdoti, coadiuvati da studenti laici, svolgono l'opera di propaganda che assume sempre carattere religioso ma, opportunamente orientata e secondata, si risolve anche a vantaggio dell'italianità, come nel caso della predicazione in lingua italiana. E maggiormente significativo è il risultato, se si tiene conto che l'azione è osteggiata in tutti i modi dal Vicario Generale della Curia.

La sostituzione di quest'ultimo con altro prelato maltese che simpatizzi con l'elemento religioso italianizzante, permetterebbe certo all'Azione Cattolica di divenire qui un potente strumento di equilibrio, capace di ristabilire in pieno il prestigio del clero e fargli esercitare quell'influenza che esso ha perduto, da quando la Curia ha adottato il sistema del patteggiamento e dell'ossequio servile ai governanti inglesi.

Altro risultato sta per essere raggiunto con la creazione di un organo di stampa in lingua italiana, che sarebbe in un primo tempo un periodico rivolto al clero e alla gioventù cattolica. Se saranno superati gli ostacoli frapposti dal governo, la pubblicazione in lingua italiana si comincerebbe a stampare nel prossimo mese di gennaio e sarebbe diretta dal sacerdote Vincenzo Azzopardi. Il padre gesuita Giageri, italiano, è stato incaricato di influire con mezzi spirituali su alcuni funzionari di governo suoi « penitenti » perché facciano andare in porto l'iniziativa ottenendo l'imprimatur prescritto dalla legge locale sulla stampa. ·~,

Questo si sta facendo, da parte di religiosi e di laici, ai quali io rivolgo tutta la mia attenzione e ai quali sopratutto appoggio la mia attività a favore della lingua e dell'italianità a Malta (attività necessariamente indiretta, nell'impossibilità in cui sono di agire e concludere direttamente trattando con le autorità del governo).

Ma è doveroso ch'io riferisca all'E.V. intorno allo stato d'animo che trapela dai discorsi di religiosi e di laici, giovani intellettuali e professionisti: un rammarico diffuso per non vedere presto risolta in qualche modo soddisfacente la

questione della lingua, o piuttosto il timore di vedere tale questione dilazionata sine die o compromessa dal concludersi di un accordo italo-britannico che prescinda dalla soluzione della questione stessa. Tutti credevano fino ad una settimana fa che il provvedimento di legge, emanato parecchi mesi or sono, per la cancellazione dei nomi italiani dalle vie della città, dalle parrocchie e dalle borgate, non fosse stato ancora applicato per il desiderio ufficiale degli inglesi di non far cosa sgradita all'Italia nell'attuale momento. Il provvedimento, invece, ha avuto improvvisa applicazione in questi giorni. Si è avuta, quindi, l'impressione di un abbandono, da parte italiana, degli interessi maltesi. Qualcuno mi chiedeva: «Potremo noi maltesi lottare ancora per la lingua italiana, quando la questione sarà rimasta esclusa da un accordo itala-britannico?». La domanda voleva dire molto di più e cioè che, compiuto l'accordo, vi sarebbe stato un infierire di provvedimenti locali, non ufficialmente annunziati, nè proclamati apertamente ma applicati nella pratica dell'ordinaria amministrazione per il compimento del piano di snazionalizzazione. In realtà, la permanenza a Malta degli stessi funzionari di governo che si attribuiscono il merito di aver colpito l'italianità maltese nella lingua (Luogotenente-governatore in testa) non fa sperare che essi, inglesi e cocciuti come sono, cambino indirizzo senza timore di contraddirsi sol perché sono migliorati i rapporti dell'Italia con l'Inghilterra. C'è piuttosto da aspettarsi il contrario. A meno che ad essi non venga raccomandato dal governo britannico centrale: l) di desistere da ulteriori provvedimenti contro la lingua italiana a Malta; 2) di predisporre i propri animi a riesaminare, in base alla nuova atmosfera creata dall'accordo, la possibilità di dare all'italiano ospitalità nelle scuole, con preferenza almeno sul francese e sulle lingue moderne.

Su tali argomenti non ho creduto opportuno intrattenere le autorità locali di governo, anche perché convinto che non avrei ottenuto nulla senza che prima ad essi fossero pervenute istruzioni da Londra. Mi sono limitato a stabilire buoni rapporti personali, con scambi di cortesie e di inviti di carattere mondano, la qual cosa mi è servita a ben conoscere gli uomini ed A stata una preparazione favorevole a trattare, quando V. E. vorrà impartirmi gli ordini per autorizzarmi a farlo (1).

(l) Non pubblicati.

667

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE IN SPAGNA, ROATTA

T. UFF. S. PERSONALE 58 (2). Roma, 26 dicembre 1936, ore 11,50.

Franco farà bene a tenere contatti coi baschi di Bilbao (3) e se si trattasse di una qualsiasi autonomia di carattere amministrativo non dovrebbe respingere a priori negoziazioni in merito, anche al fine di stabilizzare quel fronte onde convergere contro i rossi il totale delle forze ( 4).

(ll n documento reca 11 visto d! Mussollnl.

(2) -Minuta autografa. (3) -n 23 dicembre, 11 generale Roatta aveva telegrafato da Salamanca: «Risulta che governo Bilbao ha fatto per via Indiretta approcci pace purché rispettata autonomia basca. Generale Franco risposto accettare resa Incondizionata» (T. Ufficio Spagna 71/971, del 23 dicembre, ore 12,55). (4) -Su la questione si veda Il D. 670.
668

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12472/364 R. Shanghai, 26 dicembre 1936, ore 13 (per. ore 1,20 del 27).

Generalissimo ha atterrato a Lojong ieri ore 17,30 con signora, nonché con Soong e Donald. Non si conosce data arrivo a Nanchino.

Intanto ho espresso a governo Nanchino, a Kung ed alla signora Chiang Kai-shek, affinchè ne sia anche interprete presso il Generalissimo, espressioni compiacimento grandissimo e felicitazioni anche a nome del R. Governo. Oltre telegramma di V. E. per Generalissimo, permettomi suggerire anche telegramma di S. E. il capo del governo (l).

669

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12478/179 R. Sofia, 26 dicembre 1936, ore 20 (per. ore 22,35).

Telegramma V. E. n. 5524 (2).

Presidente del Consiglio che ho rivisto oggi, a una settimana di distanza dal colloquio circa il quale ho riferito con miei telegrammi n. 74 (3) per corriere e n. 138 per filo (4), mi ha dato seguenti precisazioni su ulteriori sviluppi situazione:

1) che secondo sue ultime confidenziali informazioni, Stojadinovic sarebbe molto irritato da obiezioni sollevate dal governo greco e, in minore misura, dal governo romeno; avrebbe dichiarato che in nessun caso permetterà che argomento sia trattato in sede prossimo consiglio Lega balcanica anche allo scopo di non (dico non) recarsi Atene per prendervi parte. Da stesse informazioni si potrebbe dedurre che Jugoslavia si deciderà firmare patto bilaterale amicizia anche senza tener conto opposizioni greca e romena;

2) che Turchia apparentemente si disinteressa questione ma che sottomano la contrasta;

3) che Inghilterra avrebbe già manifestato suo gradimento conclusione tale patto, mentre Francia lavora attivamente a Belgrado perchè progetto abortisca;

4) che Metaxas prepara formula conciliativa per la quale spera appoggio Riistii Aras nel corso sua visita Belgrado che avrà luogo in questi giorni: ma

(T. 15789 P. R. del 28 dicembre, ore 13,15).

che Michael è deciso opporsi qualsiasi compromesso. Se può concludere patto, unìcamente bilaterale, con Jugoslavia lo farà volentieri perché in sostanza significherà «pugnalata alle spalle » dell'Intesa Balcanica. In caso contrario preferisce che status quo attuale rimanga.

670.

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, DE CIUTIIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 12489/62 R. Salamanca, 26 dicembre 1936, ore 20,50 (per. ore 19,50 del 27).

Generale Franco mi ha intrattenuto sulla situazione nazionalisti baschi che, subordinando alla aspirazione politica autonomia, identità sentimenti profonde relazioni fra i due Paesi (l) si battono dall'inizio degli avvenimenti a fianco dei comunisti catalani e per il sovversivismo internazionale.

Mi ha detto che recentemente, dietro sue istruzioni, Magaz aveva chiesto udienza al Pontefice per invocarne una aperta sconfessione dell'atteggiamento dei cattolici baschi. Sua Santità aveva investito Magaz con severità di parole stigmatizzando fucilazione da parte governo di Franco di numerosi sacerdoti baschi (12 secondo Franco e con regolare giudizio), rifiutando ogni gesto e dichiarando di non aver completa fiducia nel successo del generale Franco, rompendo quindi bruscamente udienza. Di fronte a tale atteggiamento della

s. Sede la maggior parte dei cattolici spagnuoli rimane perplessa e stupita (me lo ha confermato anche uno dei capi dei Requetés), non rendendosi conto come la Chiesa possa in silenzio lasciare andare questo stato di cose.

Generale Franco mi ha pregato di voler sottoporre all'attenzione di S. E. il capo del governo una tale situazione, con la sua vivissima preghiera di un intervento del governo fascista presso la S. Sede per ottenere, in una forma qualsiasi, una dichiarazione pontificia di riprovazione. Generale Franco vi annette grandissima importanza giacché la parola del Papa, con l'accrescere il turbamento di coscienza, che già si nota in parecchi dei cattolici baschi oggi combattenti con i rossi, ne provocherebbe la defezione totale, rendendo possibile occupazione di Bilbao e di tutta la ricchissima zona del Nord, con ripercussioni favorevoli sull'andamento generale della guerra (2).

671.

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12482/205 R. Bucarest, 26 dicembre 1936, ore 23,30 (per. ore 5,30 del 27).

Presidente Benès si recherà in visita ufficiale a Belgrado 20 gennaio. Egli ha fatto sapere a questo governo, secondo mi risulta da fonte sicura, che gra

direbbe incontrarsi nella capitale jugoslava con ministro degli Affari Esteri. Opportunità o meno partecipazione Antonescu a convegno Belgrado formerà certamente oggetto di conversazioni con Stojadinovic domani nella partita caccia di cui al mio telegramma n. 197 del 22 corr. (1). Probabilmente si deciderà per affermativa.

È chiaro che Benès, dopo avere fatto intervenire in modo molto deciso governo francese su governo romeno, considerato come il più accessibile, intende ora sviluppare uno strenuo sforzo, avventato (2) e personale, per indurre Jugoslavia a marciare su un piano di piena collaborazione fra i tre membri della Piccola Intesa e Parigi.

V. E. ricorderà resistenza opposta da Principe Paolo alla sua partecipazione ad incontro a tre di Bucarest del maggio u.s. (3). Egli venne qui mal volentieri e per sole 24 ore. Stojadinovic non venne. Ciò nonostante Benès prende ora iniziativa di una sua visita a Belgrado e, sollecitando presenza Antonescu, cerca inscenare, in occasione sua visita, vero e proprio convegno Piccola Intesa, sperando poter mettere nuovamente sul tappeto questione patto mutua assistenza.

È mio dovere far presente che, dopo suo ritorno da Parigi (4), ho trovato Antonescu meno perentorio sull'atteggiamento di resistenza alle richieste franco-cecoslovacche: cercherò sondarlo meglio al suo ritorno partita caccia, cioè dopo incontro con Stojadinovic (5). Comunque Antonescu è ansioso poter tenere piede in due staffe e ciò spiega pure sua conversione verso Roma che egli sembra disposto ad accentuare.

(l) Il 28 dicembre, Mussol!ni inviava il seguente telegramma a Chiang Kai-shek: «I am deeply gratified to learn that you have been enabled to reassume Your task for the welfare and progress of China for which I beg Your Excellency to accept my heartfelt wishes ».

(2) -Ritrasmetteva il D. 645. (3) -Vedi D. 640. (4) -Riferimento errato. Si tratta in realtà del T. 12425/174 R. del 24 dicembre, che preannunclava il D. 640. (l) -Sic. (2) -Per il seguito si veda il D. 689.
672

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. S. N. D. !>584/388 R. (6). Roma, 26 dicembre 1936, ore 24.

Giornali hanno annunciato che il governo francese e quello inglese hanno compiuto un passo presso il governo tedesco per chiedere che la Germania prenda le misure legislative o di altro genere necessarie per impedire la partenza di «volontari» in !spagna (7).

Passo analogo è stato oggi compiuto presso di me successivamente da questo ambasciatore d'Inghilterra e dall'incaricato d'Affari di Francia (1). Ho risposto che l'Inghilterra (rispettivamente la Francia) venivano ora a chiedere all'Italia quello che essi avevano rifiutato nell'agosto scorso. Mio punto di vista è già noto a V. E. Comunque in considerazione di quanto sopra prego l'E. V. di prendere immediato contatto con codesto governo informando Neurath di quanto sopra. Intendo anche in questa occasione rispondere di comune accordo con governo tedesco (2).

Per parte nostra continuiamo frattanto ad intensificare i nostri aiuti alla Spagna. Anche dopodomani tremila Camicie Nere partiranno per Cadice. E non dubito che da parte tedesca si faccia altrettanto.

Per via telefonica Le faccio comunicare articolo Giornale d'Italia sulla politica italiana nei riguardi della Germania per rispetto alla situazione generale (3).

(l) -Vedi D. 646. (2) -Nota del documento: «Sic nel testo». (3) -L'incontro fra i tre capi di Stato della Piccola Intesa si era svolto, in realtà, dal 6 all'8 giugno. Su di esso, vedi serie ottava, vol. IV, DD. 203 e 211. (4) -Vedi D. 635. (5) -Vedi D. 646. (6) -Minuta autografa. (7) -A questo proposito, l'ambasciatore Attolioc aveva telegrafato: «Francia ed Inghilterra hanno stamane presentato anche qui nuova nota sulla situazione spagnola. In assenza ministro Affari Esteri consegnata al Segretario di Stato per gli Affari Esteri, essa è stata, con tutte le riserve del caso ricevuta da Gaus. Qui seccano preliminarmente due cose: l) che giornali continuino a mettere sullo stesso piede Italia e Germania da una parte e Russia dall'altra; 2) che Francia appaia arrogarsi il diritto di proporre essa sanatoria e rimedio ad una situazione che è imputabile, proprio e sopratutto, a lei. Quanto al merito della questione, richiamo mie comunicazioni precedenti. Spero poter dare domani stesso prime impressioni degli uffici della Wilhelmstrasse sopra una possibile risposta>>. (T. 12471/605 R. del 26 dicembre, ore 19).
673

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. U. PER CORRIERE 12504/604 R. Berlino, 26 dicembre 1936 (per. il 28).

Parecchi giornali, fra cui il Temps, hanno di recente pubblicato che la Germania sarebbe sul punto di cambiare la sua attitudine riguardo al patto franco-sovietico. Sono in grado di smentire la notizia. Di nuovo, in materia, non c'è che una conversazione avuta da Eden con Ribbentrop prima della partenza di quest'ultimo per Berlino, in cui Ribbentrop ha tenuto a spiegare a Eden il punto di vista tedesco quale già Woermann l'aveva esposto a Malchin (mio rapporto n. 1700 dell'll corr.) (4), ma ciò senza che la situazione precedente ne sia risultata modificata. Così mi ha dichiarato Ribbentrop e ha confermato Gaus. Eden -è vero -si è mostrato disposto a ristudiare la questione, mentre a sua volta Woermann si è recato anche lui a Berlino per conferire ma le cose rimangono sostanzialmente come erano. Che, anzi, l'Auswartiges Amt sta già in questo momento considerando le linee di una possibile risposta a Londra, risposta nella quale, salvo novità, il punto del patto franco-sovietico dovrebbe conservare il primo posto, rimanendo così più in vista di quello relativo allo stesso carattere del patto, punto che qui si ritiene, giusta i precedenti, lasciare piuttosto alle cure dell'Italia.

Siccome il momento per una consultazione mi sembra maturo, gradirei, per mia opportuna norma, sapere con cortese sollecitudine quale sia in materia il punto di vista dell'E. V.

674.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 5230/1757. Berlino, 26 dicembre 1936 (per. il 29).

Secondo informazioni pervenute da fonte fiduciaria e raccolte presso l'ufficio stampa di una rappresentanza diplomatica straniera qui residente, l'iniziativa franco-britannica di trovare una soluzione pacifica in Spagna, avrebbe avuto un'eco favorevole in alcuni alti ambienti berlinesi nei quali la lentissima marcia dei nazionali avrebbe provocato una sensazione di sfiducia. La proposta franco-inglese potrebbe contenere una via di uscita del tutto onorevole se manovrata con abilità.

La notizia di cui sopra non è priva di interesse ed appare relativamente plausibile. Essa troverebbe infatti indiretta conferma in qualche accenno fattomi da Ribbentrop e che io ho a suo tempo telegrafato (1).

675.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 5580/624 R. Roma, 27 dicembre 1936, ore 1.

In merito suo telegramma n. 769 (2) osservo:

l) Professione di buoni sentimenti verso Italia da parte di Delbos è bellissima; ma mi pare risponda fino a un certo punto ai fatti -in quanto trasformazione legazione francese in Addis Abeba in consolato non risulta per nulla spontanea. La Francia non ha fatto che seguire l'Inghilterra ed ha anzi, se mai, ritardato l'azione di quest'ultima. Il signor Delbos dovrebbe avere informazioni precise al riguardo.

2) Dopo presentazione credenziali da parte ambasciatore Stati Uniti d'America (la accettazione della vecchia formula << Re d'Italia » fu stabilita parecchio tempo prima che la presentazione stessa avvenisse: non solo, ma alla formula « Re d'Italia » da noi accettata, fece riscontro quella « Re d'Italia, Imperatore d'Etiopia » adoperata dal nuovo ambasciatore a Washington) nessun altro ambasciatore o ministro plenipotenziario accreditato presso la Real Corte ha presentato lettere che non fossero indirizzate a S. M. il Re d'Italia, Imperatore d'Etiopia.

Ho esaminato le ragioni che adduce il signor Delbos. Ma non mi pare proprio possibile (e sarebbe del tutto contraddittorio) che all'indomani di un atto quale è quello della trasformazione della legazione francese in un consolato, che rappresenta un passo innanzi sulla via della normalizzazione, se ne compia un altro che costituirebbe un deciso passo indietro nella pratica ormai stabilita in fatto di accreditamento di rappresentanti diplomatici.

(l) -Su questi colloqui non è stata trovata documentazione nell'archivio Italiano. Si veda BD, vol. XVII, D. 507. Per il testo delle note: DDT, serie D, vol. III, DD. 165 e 166. (2) -Vedi D. 701. (3) -Si riferisce all'articolo «Gli orientamenti italiani » di Virg!n!o Gayda pubblicato su Il Giornale d'Italia del 27 dicembre. L'articolo, dopo aver ribadito che la collaborazione tra Italia e Germania non poteva subire mutamenti, aggiungeva che i due Paesi potevano peròsvolgere «la loro libera politica di chiarificazione dei rapporti con altre Nazioni»: in questoquadro, la Germania, che aveva «già concluso importanti accordi politici con l'Inghilterra e ne cura con particolare riguardo i rapporti », sarebbe stata certo la prima a salutare con soddisfazione l'Intesa Mediterranea tra Italia e Gran Bretagna. (4) -Non rinvenuto. (l) -Da un accenno contenuto nel D. 644, risulta che Attolico ebbe un lungo colloquio con von Ribbentrop la sera del 21 dicembre; un altro contatto sembra ci sia stato il giorno successivo (vedi D. 651). Nella corrispondenza telegrafica, non è stato trovato, però, nessun telegramma da Berlino concernente tali colloqui. (2) -Vedi D. 659.
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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12487/206 R. Bucarest, 27 dicembre 1936, ore 14 (per. ore 17,20).

Antonescu mi ha detto che nelle sue conversazioni a Parigi (l) aveva ripetuto concetti delle sue dichiarazioni Parlamento romeno (2) e cioè che la Romania era interessata a istaurare con noi più intimi rapporti. Aveva perciò fatto presente a quegli uomini di governo come chiarimento relazioni franco-italiane avrebbe avuto benefiche ripercussioni in questo settore dell'Europa sud orientale. Aveva avuto netta impressione che sia Blum che Delbos, erano desiderosi intesa con Italia ma purtroppo erano imbarazzati dalla presenza nella maggioranza parlamento della fazione comunista.

Secondo Antonescu, attuale Gabinetto francese durerebbe solo fino a primavera per essere poi sostituito da un Gabinetto meno estremista con Blum agli esteri. Nuovo governo sarebbe più libero nei suoi movimenti verso Roma.

A mia domanda, Antonescu si è espresso nel senso che decisione romena chiedere nostro gradimento istituzione consolato generale a Addis Abeba (3) non era stata previamente concertata con altri membri Piccola Intesa. Riteneva peraltro che tutti avrebbero tenuto analogo atteggiamento. Da parte sua si proponeva, nell'incontro odierno con Stojadinovic (4) come nei prossimi incontri Piccola Intesa sostenere riavvicinamento con l'Italia. Si ripromette anzi consigliare altri membri Piccola Intesa tenere a Parigi linguaggio analogo al suo per far presente che esitazione Quai d'Orsay nell'imboccare strada di Roma manteneva Piccola Intesa in una situazione di disagio.

677

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. U.U. 12489/609 R. Berlino, 27 dicembre 1936, ore 20,50 (per. ore 4,20 del 28).

Telegramma di V. E. n. 388 (5).

Questo ministro degli affari esteri non ha ancora alcun orientamento circa risposta da dare alla nuova nota anglo-francese (2), il cui testo arriverà domani mattina nelle mani di Neurath, che a sua volta vedrà Cancelliere del Reich a Berchtesgaden martedì. Nella conversazione avuta stamane in materia con

Gaus abbiamo quindi, e anche questo sotto ogni riserva, potuto soltanto ventilare una qualche idea fra quelle che, prima facie, potrebbero essere eventualmente comprese in una risposta.

l0 ) Sembrerebbe, preliminarmente, nell'interesse comune che Italia e Germania rispondessero subito. Francia e Inghilterra sono già riuscite a mettersi, di fronte all'opinione pubblica mondiale, in una situazione di vantaggio, facendo apparire Italia e Germania come la parte resistente. Urge perciò, sopra ogni altra cosa, rimettere le cose a posto e ciò sia rispondendo subito, sia prendendo senza esitazione -nella risposta -la controffensiva.

2°) Ristabilite verità dei fatti e quindi nettamente rovesciate -agli effetti delle responsabilità -le posizioni, giova far presente che, non essendo ormai in presenza di un res integra ma di una situazione di compromesso, non è facile agire e con uguale successo ora, come e quanto sarebbe stato prima. Molti dei soccorsi infatti mandati dalla Francia e dalla Russia hanno talmente alterato situazione a favore dei rossi che un repentino abbassamento di saracinesche costituirebbe per essi un netto, e definitivo, vantaggio.

3°) Arrivati a questo punto, c'è da domandarsi se non converrebbe far comprendere chiaramente a Inghilterra e Francia che Italia e Germania non sono a nessun patto disposte tollerare un governo bolscevico in Spagna. Questo «alto là » potrebbe essere utile a tutti gli effetti (miei telegrammi nn. 598 e 600 paragrafo 3) (1).

4°) Ciò premesso, i due governi potrebbero reiterare loro solenni profferte di or sono quattro mesi di volere, cioè, procedere ad un esame totalitario della questione (2).

Perché, anche adesso, Francia e Inghilterra si interessano soltanto della questione dei volontari e non, per esempio, di quelle deglì aiuti materiali e pecuniari (sottoscrizioni, invio di oro alla Banca di Francia, ecc.) ai belligeranti? Momento sarebbe finalmente venuto, se effettivamente si intende risolvere definitivamente situazione, di affrontare tutte queste questioni nel loro

insieme.

5°) Le due Potenze potrebbero quindi chiudere la loro risposta riaffermando che la sede per questo esame è, naturalmente, e rimane, il Comitato di Londra. Aimarrebbe, -di fronte alla Germania (3) e all'Inghilterra -da esaminare la tattica (temporeggiatrice o meno) da usare in seno al Comitato, e ciò in base all'apprezzamento che si possa fare della situazione militare di Franco (mio telegramma 600 paragrafo 4°).

Quanto precede -ripeto -ha valore preliminare e semplicemente indicativo, essendo interamente subordinato alle idee che domani potessero essere espresse da Neurath e successivamente dal Fuehrer e delle quali naturalmente mi farò premura di informare appena possibile V. E.

52 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. V

(l) -Vedi DD. 635 e 646. (2) -Vedi D. 553. (3) -La decisione del governo romeno di istituire un consolato generale ad Addis Abeba fu comunicata al ministro Sola il 25 dicembre. Si veda in proposito il D. 695. (4) -Vedi D. 646. (5) -Vedi D. 672. (6) -Vedi p. 750, nota l. (l) -Vedi DD. 633 e 644. (2) -Vedi serle ottava, vol. IV, D. 781. (3) -Sic. Evidentemente «alla Francia».
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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12495/208 R. Bucarest, 27 dicembre 1936, ore 21 (per. ore 0,07 del 28).

Mio telegramma n. 204 (l).

Patto amicizia Bulgaria-Jugoslavia, cui contenuto sostanziale sarà impegno «non aggressione », è molto avanzato e pare che sua firma sia piuttosto vicina, forse imminente. Escludo che conversazioni che si svolgeranno oggi e domani fra Antonescu e Stojadinovic (2) possano indurre Jugoslavia a rinunciare alla conclusione del trattato, perché ormai primo ministro jugoslavo è personalmente impegnato e non potrebbe più tornare indietro.

Mi risulta che Turchia, dopo talune esitazioni iniziah, ha finito per dare suo assentimento. Romania, che è fortemente ostile, si trova nell'impossibilità di opporsi in maniera decisa perché suo «no >> segnerebbe non solo fine Patto Balcanico, ma anche della Piccola Intesa. A protestare non resta perciò che la Grecia la quale sotto il patto bulgaro-jugoslavo sente oscura minaccia per essa, nonostante che, per strappare consenso, Jugoslavia le offra, come agli altri due alleati, «controgaranzia » il cui contenuto e valore pratico non mi è riuscito ancora accertare.

Iniziativa patto è da parte Bulgaria ma ormai è Jugoslavia che spinge decisamente verso conclusione. È mio avviso (però non controllato) che Germania non sia estranea a questa mossa. Poco chiaro riesce atteggiamento turco.

Quando notizia della conclusione del Patto diventerà di pubblica ragione, si farà in modo, secondo le varie capitali balcaniche, di attenuare commenti stampa, cosa agevole anche ad Atene data censura di cui dispone oggi quel governo. Si avrà, insomma, cura di non far apparire gravità scossa che riceve Patto Balcanico.

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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 45/096 R. Bruxelles, 27 dicembre 1936 (per. il 4 gennaio 1937).

L'annunciata imminente conclusione di un accordo italo-inglese ha destato impressione generalmente favorevole nell'opinione belga. Soltanto gli organi socialisti si sono finora astenuti dall'esaminare il problema e dal commentare. In genere, la stampa è concorde nel ritenere che il «gentlemen's agreement »

itala-inglese non si concluderà in un vero e proprio patto mediterraneo per la realizzazione del quale sarebbe necessario il concorso di tutte le Potenze rivierasche, né in un trattato bilaterale, ma in un accordo di principio che costituirà un punto di partenza per altri negoziati più vasti. Qualche giornale della democrazia cattolica fiamminga, anglofilo, ha anche rilevato che a fare incontrare gli interessi inglesi ed italiani, avrebbero sopratutto contribuito l'intervento tedesco negli affari spagnuoli, le rivendicazioni coloniali del Reich e, infine, l'affermazione dell'amicizia itala-tedesca che per Mussolini, avrebbe costituito un prezioso atout giocato contro l'Inghilterra. Di conseguenza, la Gran Bretagna e la Francia sarebbero disposte ad arrivare sino ai limiti estremi del possibile per ottenere che l'Italia ritorni ai loro fianchi. Qualche altro organo rileva invece che Roma avrebbe desiderato, da parte dell'Inghilterra, un più completo e clamoroso gesto di riconciliazione, nonché l'apertura di più larghi negoziati interessanti tutti i problemi pendenti fra le due Potenze a cominciare da un accordo navale, dalla fissazione delle rispettive posizioni di fronte ai Paesi arabi e dalla convenzione di Montreux per gli Stretti.

Ad ogni modo, questa stampa conviene nel ritenere che il «gentlemen's agreement » apporterà un duraturo miglioramento nei rapporti itala-inglesi, i quali ritornerebbero ad essere quelli che furono nel passato. Fra le conseguenze più immediate e felici della riconciliazione anglo-italiana viene indicato anzitutto un miglioramento nei rapporti franco-italiani; in secondo luogo, si ritiene che l'accordo mediterraneo avrà grandi e benefici effetti anche nei riguardi della crisi spagnola, in quanto l'Italia rinuncerebbe alle mire attribuitele sulle Baleari e sulla Spagna stessa, adottando la tesi di un efficace rafforzamento della politica anti intervenzionista; in terzo luogo viene quasi unanimemente riconosciuto che l'accordo itala-britannico, se produrrà una distensione fra Roma, Londra e Parigi, non apporterà di fatto modificazione alcuna ai rapporti itala-tedeschi.

(l) -Vedi p. 744, nota 3. (2) -Vedi D. 646.
680

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. PERSONALE. Rocca della Caminate, 27 dicembre 1936.

Prepara per le ore 17 del 10 gennaio, una nuova riunione itala-germanica allo scopo: a) di comunicarci reciprocamente ciò che si è fatto; b) di esaminare il da farsi e la situazione in genere.

Non credo sia necessaria la presenza del Roatta, specie se la situazione spagnola fosse in movimento; credo, viceversa, che sia necessaria insieme con quella del Canaris e del colonnello tedesco, anche la presenza di un fiduciario del Fuhrer che gli possa riferire immediatamente.

È necessario altresì che a Berlino si crei e funzioni l'Ufficio Spagna, collegato con quello italiano. Altrimenti ci sarà -come si è visto -perdita di tempo e confusione nelle direttive.

681

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. S. N. D. U. 5595-5596/389-390 R. (l) Roma, 28 dicembre 1936, ore 13,30.

Il Duce desidera (2) tenere alle ore 17 del 10 gennaio una nuova riunione itala-tedesca sulla situazione in Spagna allo scopo: a) di comunicarsi reciprocamente ciò che si è fatto in esecuzione del programma del 6 dicembre; b) di esaminare il da farsi e la situazione in genere. Sarebbe necessario che a tale riunione partecipasse, insieme all'ammiraglio Canaris e al colonnello che l'accompagnò la volta scorsa, anche un fiduciario del Fuhrer che gli potesse riferire immediatamènte.

V. E. veda di prendere gli accordi per la riunione predetta e mi assicuri. È necessario altresì insistere perché si crei e funzioni costà un Ufficio Spagna collegato col nostro; altrimenti ci sarà, come si è visto, perdita di tempo e confusione nelle direttive. Il fiduciario del Fuhrer dovrebbe essere persona di grande rilievo e di tale autorità da potere eventualmente assumere impegni di massima con noi per l'azione che svolgiamo in comune.

Il Duce, come da prova quotidiana, intende portare a fondo l'intervento in Spagna e sfondare rapidamente. Credo che i tedeschi si siano resi conto di come noi si faccia sul serio. Per questo bisogna che la collaborazione sia sempre più effettiva e solidale fra i nostri due Paesi e tra le nostre Forze Armate. Giudica tu chi potrebbe essere questo fiduciario del Fuhrer. Ma tieni presente che quanto più sarà uomo d'autorità e di prestigio tanto maggiori saranno i risultati della nostra azione in Spagna.

682

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 12516/279 R. Vienna, 28 dicembre 1936, ore 19,28 (per. ore 22).

Da Berlino giungono alla Cancelleria federale ed a questa Banca Nazionale notizie sempre più gravi sulla situazione economico-finanziaria della Germania. Banche e società d'assicurazioni non sarebbero più in grado corrispondere a nuove richieste governative di anticipazioni. Si parlerebbe di una inevitabile svalutazione del marco (3).

\2) Vedi D. 680.
(l) -Minuta autografa. (3) -Salata riferiva più ampiamente sull'argomento con telegramma per corriere 12550/175 R. del 28 dicembre (pervenuto il 30 dicembre): «Le notizie allarmanti da me telegrafate sulla situazione economico-finanziaria della Germania provengono da rapporti pervenuti in questi ultimi giorni da Berlino alla Cancelleria e, da suoi corrispondenti germanici, anche alla Banca Nazionale. Tali rapporti conterrebbero particolari molto gravi sulla situazione alimentare e sulle condizioni finanziarle della Germania. Le grandi banche private e le società di assicura
683

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 5597/660 R. (l) Roma, 28 dicembre 1936, ore 24.

Da cinque giorni ho consegnato a Drummond il progetto definitivo di intesa (2) e Drummond mi ha detto a più riprese che ormai tutto era pronto e che prevedeva la firma per oggi. Poi non si è più fatto vivo. Siccome vedo alcune riserve da parte di taluni giornali inglesi, ti domando se a tuo modo di vedere c'è qualche cosa di nuovo. È evidente che non dobbiamo né a Roma né a Londra fare il minimo sollecito. Ma gradirei conoscere se a tuo parere il ritardo è dovuto soltanto agli ozi natalizi. Cordialità (3).

684

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, MENZINGER

T. s. 5603/259 R. Roma, 28 dicembre 1936, ore 24.

Suo rapporto 885 (4).

Interpretazione data da codesta stampa all'accordo nippo-tedesco seconda evidentemente azione della Germania tendente a concentrare simpatie e speranze di tutti gli elementi d'ordine e particolarmente dell'integralismo verso il nazismo. Cerchi, con discrezione, attraverso organi di stampa amici rettificare tale concetto facendo intendere che Italia stringe ancora salda nel pùgno la

vecchia bandiera della lotta al comunismo e che verso il fascismo, primogenita reazione al comunismo, debbono volgersi gli occhi di tutte le forze d'ordine, particolarmente in quel mondo latino che tanti vincoli uniscono a Roma.

zioni sarebbero impressionate per le sempre nuove richieste di fondi da parte del Tesoro dello Stato e vedrebbero esaurirsi le proprie disponibilità e riserve. Nei circoli bancari e di borsa si considererebbe inevitabile una svalutazione del marco e se ne temerebbe la ripercussionesulla stabilità dello scellino.

Si hanno qui, da fonti dirette, particolari sull'adunanza tenutasi Il 17 corr. presso Ooering. Il comunicato ufficioso pubblicato avrebbe sottaciuto la molto vivace discussione svoltasi in presenza di circa trecento tra i più notevoli rappresentanti della vita economico-finanziaria del Paese. Ooering avrebbe tenuto un linguaggio molto energico, non risparmiando minaccie di provvedimenti di rigore, non esclusa la pena di morte, contro i sabotatori della disciplina economica e dichiarando doversi il Paese considerare in istato di guerra permanente.

Hitler, che nessuno attendeva di vedere alla adunanza e tanto meno che prendesse la parola, avrebbe tenuto un discorso velato di molto pessimismo. Avrebbe accennato anche alle difficoltà della situazione in Ispagna e a non completo accordo tra le Potenze che lvi combattono contro i rossi». Su gli aspetti segnalati dal ministro Salata, si veda, da Berlino, il D. 692.

(l) -Minuta autografa. (2) -Il 21 dicembre, l'ambasciatore Drummond aveva consegnato a Ciano uno schema d'accordo (vedi p. 725, nota 2), al quale, due giorni più tardi, Ciano aveva chiesto fossero introdotte alcune modifiche. Anche su questo secondo colloquio non è stata trovata documentazione negli archivi italiani ma si veda Il resoconto inviato dall'ambasciatore Drummond In BD, vol. XVII, D. 502. (3) -Per la risposta si veda il D. 700. (4) -Non rinvenuto.
685

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12555/0174 R. Vienna, 28 dicemòre 1936 (per. il 30).

Notizie pervenute alla Cancelleria da Belgrado confermano che, malgrado le nuove insistenze franco-cecoslovacche, il progetto del nuovo patto di mutua assistenza comulativa tra gli Stati della Piccola Intesa e la Francia trova sempre ferma opposizione nel governo jugoslavo. Quando giorni or sono fu sottoposta a Stojadinovic una notizia del Temps su tale progetto, il presidente del Consiglio jugoslavo avrebbe avuto -come riferisce un informatore ben addentro nelle cose -un vero accesso di furore e avrebbe inveito rumorosamente contro i continui tentativi di ricatto della Francia, siano questi ricorrenti a traverso il ministro a Belgrado, Dampierre, o eccezionali a traverso le missioni straordinarie dei vari Bastid (l).

Stojadinovic avrebbe rinunziato a malincuore al proposito di firmare prima di capo d'anno l'accordo con la Bulgaria. Come si informa da Ginevra, gli jugoslavi sarebbero molto poco edificati del ministro turco degli Esteri, che avrebbe giocato partita doppia, mostrandosi verso Jugoslavia e Bulgaria favorevole all'accordo e sobillando d'altra parte Grecia e Romania ad insistere perché l'oggetto fosse trattato in gennaio ih seno al Consiglio della Lega Balcanica.

· Questo ministro di Turchia, conversando con me e con altri colleghi, ha cercato di smentire ogni ingerenza del suo Gabinetto nel progetto bulgarojugoslavo, che Ankara saluterebbe come strumento di pace.

686

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, DUCIC (2)

APPUNTO. Roma, 28 dicemòre 1936.

È venuto a vedermi il ministro di Jugoslavia, recante un messaggio da parte del Presidente Stojadinovic.

Il Presidente Stojadinovic tiene a farci sapere che il ritardo verificatosi nell'iniziare i pourparlers ufficiosi con noi, è dovuto unicamente alla necessità che lui ha avuto di preparare internamente l'ambiente e di predisporre gli elementi necessari per le prossime conversazioni. Smentisce quanto alcuni giornali hanno detto e cioè che un riavvicinamento itala-jugoslavo sarebbe stato condizionato al previo accordo itala-britannico.

Il presidente Stojadinovic ha nominato suoi delegati ufficiosi per le trattative con l'Italia il signor Milovoy Pilja e il Ministro Plenipotenziario dr. Ivan Subotic. Essi giungeranno a Roma nei prossimi giorni di gennaio (3).

In proposito, si veda anche Il D. 629.

(l) Si riferisce al viaggio a Belgrado del ministro del Commercio e dell'Industria francese, Bast!d, In occasione della firma dell'accordo commerciale franco-jugoslavo dell'B dicembre 1936.

(2) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, p. 125.

(3) Il documento reca Il visto d! Mussol!nl.

687

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 4296/1757. Mosca, 28 dicembre 1936 (per. il 4 gennaio 1937).

In questi ultimissimi giorni ho avuto occasione di notare nell'ambiente del Narkomindiel un leggero mutamento di attitudine nei nostri riguardi. Il contegno sempre corretto ed apparentemente cordiale ma in sostanza estremamente riservato e guardingo che i funzionari del commissar~ato degli Affari Esteri mantenevano da oltre due mesi nei loro rapporti personali con l'ambasciata sembra mostrare oggi un principio di « sgelamento ». Senza che da parte dell'ambasciata vi sia stato alcun speciale incoraggiamento, essi prendono l'iniziativa di approcci che rivelano una evidente ansietà di veder migliorate le relazioni politiche dell'U.R.S.S. con l'Italia.

Ne è stata prova abbastanza sintomatica una conversazione avuta ieri da uno dei segretari della R. Ambasciata -recatosi al Narkomindiel per trattare una questione corrente -col capo dell'ufficio che si occupa degli affari italiani. Fu lo stesso funzionario sovietico che prese l'iniziativa di portare la conversazione sui problemi di politica generale. Egli esordì dicendo che le note presentate dall'Inghilterra e dalla Francia a Roma ed a Berlino (l) erano diverse da quanto risultava dai giornali sovietici e si riferivano esclusivamente alla questione dei « cosidetti volontari». Soggiunse che, secondo le notizie in suo possesso, l'atteggiamento italiano nei riguardi del problema spagnuolo si era parzialmente modificato negli ultimi tempi, e che esistevano pure indizi di un nuovo orientamento del governo fascista verso i problemi europei. « Queste notizie -egli ha commentato -ci fanno molto piacere e non esito a dire che, se saranno confermate, potranno modificare in senso favorevole le relazioni itala-sovietiche ». Egli ha poi continuato facendo una lunga dissertazione per dimostrare che fra l'U.R.S.S. e l'Italia non esistevano ~( questioni litigiose» vere e proprie, che l'U.R.S.S. aveva tutto l'interesse a stabilire e conservare buone relazioni con l'Italia, che il «raffreddamento » degli ultimi tempi non era in fondo dovuto neppure alla politica anti-comunista dell'Italia (giacché la politica italiana non era in definitiva più anti-comunista di quel che non lo fosse quella di molti altri Paesi), ma unicamente al fatto che l'Italia si era allontanata dalla «politica costruttiva» europea; che il ritorno dell'Italia a tale politica costruttiva sarebbe stato l'avvenimento più importante del momento odierno, perché gioverebbe enormemente alla causa della pace, allontanando il pericolo reale ed immanente di una guerra voluta dalla Germania, ecc. ecc.

L'alto funzionario del Narkomindiel parlò poi a lungo della febbrile preparazione bellica della Germania, delle sue intenzioni apertamente bellicose, del Mein Kampf di Hitler, della minaccia tedesca alla Francia (che egli considerava come vero ed unico obiettivo delle mire bellicose germaniche), e del pericolo che rappresenterebbe anche per l'Italia una Germania vittoriosa. Ricordò

il rifiuto germanico di accettare qualsiasi progetto di patto di sicurezza, di ade~ rire al patto danubiano, di garantire le frontiere orientali, osservando che non vi era nulla di più pericoloso che di educare il popolo -come si fa in Germania -all'idea che le proprie difficoltà sono interamente dovute alla cattiva volontà dei terzi. Ricordando, infine, il conflitto etiopico e l'atteggiamento della S.d.N., egli ha convenuto che molti errori erano stati commessi nei nostri riguardi ma ne ha attribuito la colpa principale all'Inghilterra. Ha auspicato infine il ritorno dell'Italia a Ginevra ed alla «politica costruttiva».

A questo punto il segretario della R. Ambasciata ha osservato che l'Italia non aveva mai cessato di lavorare per un ritorno di tutti alla politica di pace, sia (PUre anche in seno alla Lega, sempre che l'organizzazione ginevrina cessasse di rappresentare lo strumento di pochi Stati che finora avevano mostrato di volersene unicamente servire ai fini di una loro politica gretta ed egoista. Quanto alle nostre relazioni con l'U.R.S.S., nessuno poteva negare che Mussolini aveva sempre dato prova di una visione molto larga per quel che concerne il rispetto dei regimi interni degli altri Paesi, mentre lo stesso non si poteva forse dire della politica sovietica sotto l'influenza della Comintern. Per quanto riguardava, poi, la Germania, è stato osservato essere cattiva politica opporsi sistematicamente, per partito preso o per ragioni generiche di sospetto più o meno fondato, a qualsiasi sua richiesta di revisione delle condizioni in cui essa era stata posta dal Trattato di Versailles. Il concetto revisionista di Mussolini, storicamente e moralmente giustificato da ragioni pratiche e di equità, aveva segnato la strada da percorrere. La stessa politica sovietica era stata del resto favorevole fino a qualche tempo fa ad una politica revisionista, ed il Trattato di Versailles era stato criticato a Mosca forse più che altrove!

Qui l'interlocutore sovietico si è affrettato ad interrompere per dire che l'U.R.S.S. non aveva mai approvato Versailles e neppure oggi lo considerava giusto; ma che alla revisione si doveva giungere in condizioni diverse da quelle odierne, cioè soltanto con metodi pacifici e mediante accordi. Farlo oggi significherebbe scatenare la guerra con conseguenze disastrose per tutti ma principalmente per l'Inghilterra e l'Italia. « Del resto -ha aggiunto -in caso di guerra tutti sarebbero contro la Germania, compresi gli Stati Uniti e perfino l'Italia! ». Per questo occorreva far ritorno ad una politica costruttiva la quale creasse le condizioni necessarie per un esame sereno delle eventuali revisioni della carta politica d'Europa.

Mi sono dilungato nel riferire questa conversazione, rìon tanto perché io attribuisca particolare importanza alle dichiarazioni del funzionario del Narkomindiel per sé stesse, quanto perché mi è parso utile rendere conto all'E. V. dello stato d'animo che domina in questi ambienti nel momento attuale, sia nei riguardi della situazione europea in genere, sia nei riguardi particolari dell'Italia.

Per quanto concerne le relazioni italo~sovietiche, fino a quando V. E. non mi dia direttive in senso diverso, io mi propongo di continuare nell'atteggiamento mantenuto finora, che è stato uno di calma e di riserva, non escludente l'opportunità di eventuali miglioramenti, ma senza mostrare alcuna intenzione di volerne prendere l'iniziativa (l).

(1) Vedi D. 672.

(l) Vedi D. 698.

688

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12543/774 R. Parigi, 29 dicembre 1936, ore 20,35 (per. ore 1,50 del 30).

Telegramma di V. E. n. 625 (1).

Giorni scorsi stampa francese quasi unanimamente rilevò diminuito interessamento italiano negli affari spagnoli. Attribuii tale linguaggio a direttive impartite dal Quai d'Orsay, tanto più che anche Delbos mi aveva detto di non aver giudicato necessario chiamarmi per esprimersi meco cume aveva fatto con ambasciatore di Germania non avendo Italia dato alla Francia preoccupazioni analoghe a quelle del Reich (2).

Poiché stampa italiana pose in rilievo che Asse Roma-Berlino conservava integralmente propria consistenza, stampa francese riportò ampiamente articoli medesimi e rettificò parzialmente precedenti. Dico parzialmente perché è naturale che qui si vedrebbe con piacere che l'Italia non si impegnasse a fondo in Spagna come si crede stia facendo Reich. Invio volontari tedeschi al di là Pirenei costituisce, infatti, una preoccupazione che cresce ogni giorno venendo considerata minaccia diretta contro la sicurezza della Francia.

Si era sperato a Parigi che soppressione legazione Addis Abeba avesse costituito importante passo per ritorno rapporti amichevoli con l'Italia. Pertanto commenti circa atteggiamento Italia in Spagna potevano essere considerati come espressione di tale vivo desiderio.

Anche presentemente, dopo aver rilevato messa a punto della stampa italiana, questa opinione pubblica seguita però a distinguere tra politica italiana e tedesca in Spagna, prima di tutto perché riconosce interessi mediterranei dell'Italia che nega alla Germania; in secondo luogo perché nutre le maggiori preoccupazioni nei riguardi Germania mentre ostenta non averne verso l'Italia; in terzo luogo perché continua ad esprimere convincimento che politica fascista, pur avendo punti contatto con quella tedesca, segua direttive proprie. Non mi sembrano, nel complesso, nocivi nei riguardi dell'Italia sentimenti di amicizia che trapelano dai commenti francesi circa avvenimenti spagnoli.

689

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12552/165 R. Roma, 29 dicembre 1936 (per. il 30).

Ho fatto stamane il passo dalla E. V. ordinatomi presso il cardinale segretario di Stato riguardo ai baschi (3). Ho domandato che la Santa Sede inter

venga immediatamente, inviando sul posto degli incaricati dì sua fiducia per indurre i baschi a mutare atteggiamento e mettere fine alla loro connivenza con il comunismo spagnuolo e internazionale.

Il cardinale ha risposto che informerebbe il Pontefice del mio intervento per averne istruzioni. Egli ha poi osservato che il generale Franco tratta troppo militarescamente questioni per le quali sarebbe desiderabile un maggiore senso politico. Il porporato ha soggiunto che, sul principio, i baschi hanno ricercato l'accordo con Franco e si sono gettati dalla parte dei rossi (i quali hanno fatto facili promesse) solo dopo che il governo di Burgos aveva reso impossibile l'intesa per le sue esigenze intransigenti. Il segretario di Stato ha proseguito testualmente dicendo che «questo non scusava il delitto che i baschi stavano commettendo, perché essi commettono di fatto un crimine aiutando i rossi», ma serviva in certo modo di spiegazione e di commento agli avvenimenti. Il cardinale ha deplorato pure la espulsione del vescovo basco di Vitoria da parte del governo di Franco, mentre con un po' di abilità l'opera di quel prelato avrebbe potuto essere impiegata per tenere una porta aperta verso i baschi.

Per quel che riguarda la burrascosa intervista dell'ammiraglio Magaz con il Papa (l) il segretario di Stato mi ha detto che l'ammiraglio pone in genere, nella trattazione degli aJfari, una spiacevole rudezza di forma, la quale se è sopportata da lui (il cardinale) non è tollerata dal Pontefice.

Ho insistito con il cardinale Pacelli perché la Santa Sede mandi sul posto dei suoi emissari con l'incarico di aprire gli occhi ai baschi e persuaderli a non prestare fede alle fallaci promesse e alle lusinghe dei rossi. La Santa Sede può agire specialmente sul clero perché faccia opera di persuasione sul popolo illuso.

Comunicherò alla E. V. la risposta che mi darà, il segretario di Stato (2).

(l) -T. 5599/625 R. del 28 dicembre, ore 24. Ritrasmetteva il T. 12494/608 R. del 27 dicembre, ore 15,30, da Berlino, in cui Attolico informava che si erano diffuse anche a Berlino le voci, già circolanti a Parigi e Belgrado, circa un prossimo ritiro dell'Italia dalla Spagna. (2) -Vedi D. 664. (3) -Non è stato rinvenuto alcun documento relativo a queste istruzioni che probabilmente non furono date per iscritto. Per l'origine della questione si veda il D. 670.
690

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. S. 5255/1765. Berlino, 29 dicembre 1936 (per. il 30).

Ho l'onore di qui unito inviare, per opportuna conoscenza dell'E. V., copia dell'appunto rimessomi da questo R. addetto militare a seguito della conversazione da lui avuta ieri con il generale Keitel, capo del reparto operazioni del ministero della Guerra del Reich, nei riguardi dei soccorsi tedeschi a favore delle truppe del generale Franco.

ALLEGATO

L'ADDETTO MILITARE A BERLINO, MARRAS,

ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

PROMEMORIA SEGRETO. Berlino, 28 dicembre 1936.

Il generale Keitel, capo dell'ufficio S. M. delle forze armate, mi ha dato stamane le seguenti indicazioni circa l'attuazione per parte tedesca, dei recenti accordi di collaborazione militare.

1°) Forze aeree. -Le squadriglie dislocate in Spagna sono state completate nei loro organici e verranno anche in seguito tenute in eUicden21a sostituendo le eventuali perdite. Non è previsto alcun aumento.

2°) Si sta raccogliendo il personale d'inquadramento per l'addestramento delle

riserve di Franco. Data la necessità, confermata dal gen. Faupel, che tale personale conosca la lingua spagnola, si incontrano molte difficoltà. Come previsione approssimativa, si calcola che non si potranno ·riunire più di 500 istruttori (ufficiali e sottufficiali) invece dei 2.000 occorrenti. Si mette in rilievo che l'Italia incontrerà minori difficoltà.

3°) Gli studi per l'eventuale invio di una grande unità procedono innanzi. Non è previsto quando potranno essere ultimati. Viene ripetuto che -come d'·intesa tale grande unità non verrebbe inviata che quando venisse accertato !'.invio di grandi unità organiche russe. Occorre tenere presente che il tempo occorrente per la riunione e il trasporto è dell'ordine di alcune settimane. Si conferma che l'invio è subordinato alla situazione politica generale europea; Germania non si impegnerà se non saranno escluse complicazioni in altri scacchieri.

Impressioni di immediato collaboratore del generale Keitel circa la situazione m Spagna:

situazione militare non è ben chiara,

forze Franco sono limitate,

forze rosse si battono abbastanza bene,

non è prevista soluzione breve scadenza,

l'invio di una divisione disturberebbe notevolmente attuale fase sviluppo esercito tedesco, Italia ha forte interesse quale potenza mediterranea. Stesso collaboratore messa in rilievo campagna stampa francese tendente distaccare Italia da Germania (1).

(l) -Si veda in proposito 11 D. 670. (2) -Vedi D. 694.
691

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. S. 5264/1770. Berlino, 29 dicembre 1936 (per. il 30).

Mio telegramma odierno n. 615 O).

Come preannunciato, ho visto Goring, lungamente, oggi. a mezzogiorno. Il momento del colloquio non poteva essere più opportuno, sia in vista delle comunicazioni riservate di cui ai telegrammi dell'E. V. nn. 389 e 390 (2) in data di ieri ,-e che non potevano trovare tramite migliore e più autorevole per arrivare a destinazione -sia perché Goring sarà uno dei pochi e comunque il

primo a vedere domani il Fiihrer nelle brevi ore che questi trascorrerà nella capitale.

Ho incominciato col dargli le informazioni da lui desiderate: a) sugli ingegneri italiani nell'U.R.S.S. (l); b) sugli apparecchi italiani da bombardamento in !spagna (2). Goring mi ha interrotto dicendo ch'egli non aveva mai inteso fare dei «rilievi», bensì metterei al corrente di « voèi e rumori». A mia volta l'ho subito assicurato che, dato lo spirito che lo anima, egli può sempre parlare con noi in tutta libertà.

Sul primo punto ci siamo scambiati una massa di informazioni utili che mi saranno ripetute per iscritto e che manderò a parte. Del secondo, mi sono invece valso come punto di partenza per abbordare, in pieno, la questione spagnola.

Ho premesso che le informazioni in nostro possesso sono alquanto più pessimiste che non quelle che mi sembrano prevalere qui in diversi ambienti. Franco ha bisogno effettivo di aiuti. Ho quindi appoggiato sui due elementi: l) bisogno dei soccorsi; 2) urgenza dei medesimi, in proposito invocando anche la testimonianza del capitano Strunk, che mi trovavo di aver visto mezz'ora prima.

La Francia e l'Inghilterra avevano -ho aggiunto -portato nella situazione un nuovo elemento di urgenza e ciò con la proposta di interrompere subito, completamente, l'invio dei volontari (3). In questo momento, la chiusura della saracinesca sarebbe stata a tutto vantaggio dei Rossi. Bisognava, perciò, assolutamente che la bilancia fosse, prima, ristabilita a favore di Franco; salvo, dopo, a discutere. Oltre, quindi, ad accelerare l'attuazione della parte italiana del programma 6 dicembre (4), il Duce -ho comunicato -aveva, senz'altro, deciso di inviare: l) un «gruppo» di apparecchi da bombardamento; 2) 3000 camicie nere addizionali (questo secondo punto specialmente ha fatto a Goring molta impressione). Ciò per il momento. Quanto all'avvenire, esso doveva essere esaminato ex-nova, coll'intento di «anelare sino in fondo e sfondare al più presto ». All'uopo, il Duce proponeva una nuova riunione a Roma il 10 gennaio, etc. etc.

In risposta, Goring ha subito riconosciuto che la situazione spagnuola è entrata in una « fase nuova, che richiede soluzioni radicali e decisive». È vero che a Berlino regna maggiore ottimismo che da noi, ma anche qui, ora, la maggioranza dei tecnici militari considera la situazione di Franco come abbastanza precaria. Di tale opinione è anche lui e lo stesso Fiihrer, il quale, per questo appunto, si appresta ad un esame approfondito della situazione nei primissimi giorni di gennaio. E qui Goring ha pronunciato delle parole di colore oscuro, ch'io ho afferrato ma allo stesso tempo evitato di chiarire per non mostrare di sottolinearle. Secondo Goring, il FU.hrer sarebbe alla vigilia di «risoluzioni gravi, da adottare sulla base di un esame dettagliato della situazione politico-militare» e che sarà compiuto quasi certamente entro la prossima settimana. Compiuto questo esame (mi è sembrato che Goring volesse accennare quasi ad un programma politico-militare dell'annata), si vedrà fino

a quale punto sia possibile spingersi in Spagna e sarà quindi preso «immediato contatto col Duce a mezzo di persona autorevole, capace di parlare e impegnarsi a nome del Fiihrer. Goring ha aggiunto non escludere che questa persona possa essere egli stesso.

Ho interrotto affermando che, nella scala delle persone che il Duce potrebbe desiderare per riunione e scopo simili, Goring sarebbe naturalmente il primo, etc., etc.

Comunque -Gtiring ha continuato -in attesa di. questo, oltre che: a) intensificare e affrettare invio soccorsi già stabiliti; b) gli uffici tedeschi raccolgono e formano delle liste di possibili volontari nuovi per la Spagna; e c) studiano i piani per il loro impiego e la loro spedizione. E qui anche Gtiring (pur prendendo nota della possibilità da me subito prospettatagli, e anch'essa studiata ed ammessa qui, di spedire truppe tedesche in !spagna via Italia) è venuto fuori con l'idea che, per operazioni in grande stile, sarebbe necessario procedere -almeno tacitamente -di accordo con l'Inghilterra. Gli ho allora domandato come egli ritenesse di poter giungere a quest'accordo. Al che Goring ha replicato che questo era proprio uno dei punti sotto esame, ma che comunque anche l'Inghilterra ha paura di una possibile bolscevizzazione della Francia e che quindi, quando essa si fosse convinta che la stessa Francia potrebbe essere contaminata, etc., etc.

Ho interrotto con una certa vivacità, dicendo: c'è un solo mezzo per far capire all'Inghilterra -come alla Francia -la situazione, ed è di far chiaramente comprendere: a) che Germania e Italia non permetteranno mai un regime bolscevico in !spagna; b) che quindi l'istaurazione di un regime bolscevico in !spagna significherebbe praticamente la guerra, proprio quella guerra che Inghilterra e Francia dicono voler evitare.

Al che Gtiring ha, immediatamente e con altrettanta energia, ribattuto: l) ~essere proprio questo e non altro il pensiero suo e del Filhrer; 2) un simile atteggiamento presupporre peraltro che, dopo aver detto A, si sia pronti a dire anche B; 3) che, appunto conscio di questo, il Fiihrer si appresta alla grave disamina ed agli accertamenti accennati più sopra. Comunque, Goring ha concluso, potete essere sicuro che portae inferi non prevalebunt. Frattanto -egli ha però esplicitamente ammesso -bisogna impedire: a) che la «saracinesca~ anglo-francese sia calata in condizioni e momento da noi non considerati come favorevoli a Franco; b) che niente sia fatto se non in pieno accordo fra Italia e Germania.

Gtiring ha quindi parlato di « spionaggio ~. dicendo che, da parte avversaria, esso è magnificamente organizzato e condotto. Italia e Germania devono quindi vegliare e non far trapelare nulla di quelle che sono le loro reali intenzioni nei riguardi della Spagna. Bisogna evitare, a qualunque costo, telefono e telegrafo (questa raccomandazione mi è stata ripetutamente fatta anche da altri); servirsi di corrieri aerei e concentrare tutto nelle mani di pochissime persone.

L'occasione era unica per insinuare l'idea dell'« ufficio coordinatore~ ed io l'ho quindi afferrata, mettendo subito il mio interlocutore al corrente di quanto abbiamo già fatto in materia noi. Gtiring, entusiasta, mi ha detto: « Benissimo: anche questo dirò al Fiihrer domani mattina e potete contare che, forse in giornata stessa, sarà fatto :1>.

Quanto sopra io accompagno con una sola riserva e cioè che Goring in queste cose rappresenta l'elemento più entusiasta e più attivista, quello «resistente :1> essendo costituito dai militari di professione (significative in proposito le dichiarazioni fatte al nostro colonnello Marras dal generale Keitel e che invio a parte) (l).

Comunque, avere Goring completamente dalla nostra è già, nelle circostanze, molto (2).

(l) -Il documento reca 11 visto di Mussolini. (2) -T. 12532/615 R. del 29 dicembre, ore 14,39. L'ambasciatore Attollco comunicava di avere visto Gorlng e che avrebbe riferito su l'argomento per corriere aereo. (3) -Vedi D. 681. (l) -Vedi D. 626. (2) -Vedi D. 608. (3) -Vedi D. 672. (4) -Vedi D. 546.
692

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5263/1771. Berlino, 29 dicembre 1936 (per. il 30).

V. E. avrà rilevato che in questi ultimi tempi c'è stata in molti Paesi e specialmente in Francia ed in Inghilterra una rifioritura di preoccupazioni sulla situazione internazionale e ciò in direzione nettamente anti-tedesca. In proposito si insiste specialmente sulla gravità della situazione economica in Germania (3) per concluderne che questa sarà fatalmente costretta a qualche avventura, per giunta prossima, di carattere militare.

Io sento di potere in tutta coscienza smentire le notizie di cui sopra e sopratutto le costruzioni politiche che su di esse si poggiano. Che la situazione economica qui non sia lieta, è esatto e notorio; che specialmente la questione degli approvvigionamenti, sia in viveri, sia in materie prime, desti particolari preoccupazioni anche negli elementi responsabili del governo e del Partito è altrettanto esatto; ma da questo a concluderne che la Gel'mania marci diritta verso la rovina e la guerra ce ne corre.

A mio parere il compito che ormai la Germania hitleriana si è imposto è quello della soluzione del problema coloniale e ciò sia per ragioni economiche, sia, e forse ancora più, per ragioni politiche. Il grido di allarme gettato ir:J. proposito da Schacht (4) va, come ho già detto altra volta, interpretato come un avvertimento al mondo che la questione è matura e che essa deve nell'interesse della pace, essere risolta, ed al più presto.

In connessione con la questione coloniale è ovvio che gli stessi dirigenti del Reich tengano a colorire anziché no le proprie difficoltà economiche. Ciò può spiegare le «ammissioni :1> delle difficoltà economico-fi!ìanziarie ora più frequenti del solito in quegli ambienti (2).

(l) -Vedi D. 690. (2) -Il documento reca il visto di Mussolinl. (3) -In proposito, si veda il D. 682. (4) -Vedi DD. 586 e 636.
693

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12571/183 R. Sofia, 30 dicembre 1936, ore 19,40 (per. ore 20,45).

Telegrammi di V. E. nn. 143 (l) e 5611 (2).

Secondo informazioni di oggi del segretario generale degli Affari Esteri, né legazione di Bulgaria a Belgrado, né questo ministro di Jugoslavia sono in grado di dire stato attuale questione circa conclusione patto bulgaro-jugoslavo. Secondo proposta Kiossevainov, patto stesso dovrebbe essere identico a quello che Bulgaria ha con Turchia (3), che parla di amicizia e pace eterna. Segretario generale preferirebbe patto con limite tempo. Dunque, anche i termini trattato da firmare non sarebbero ancora definitivamente concordati. Legazione di Germania Sofia non ha mai mostrato interessarsi questione.

694

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 12560/166 R. Roma, 30 dicembre 1936 (per. stesso giorno).

Mio telegramma per corriere n. 165 del 29 corr. (4).

Il cardinale segretario di Stato mi ha detto che il Papa non è alieno dal premere sui baschi perché mutino atteggiamento ma Egli è convinto che si farebbe un buco nell'acqua se non si fosse in grado di dare al popolo basco degli affidamenti circa le intenzioni del governo di Burgos. Il Pontefice chiede di conseguenza di sapere quali concessioni il governo di Franco è disposto a fare ai baschi.

Avuta questa risposta, d'urgenza e nella supposizione che essa racchiuda una seria base per ulteriori trattative, sarà forse opportuno che il governo di Burgos mandi a Roma un suo agente segreto, debitamente autorizzato, per le ulteriori trattative. Da parte sua la Santa Sede ha pronta la persona che considera adatta per svolgere sul posto una azione efficace sui baschi. Il cardinale mi ha detto confidenzialmente che egli aveva proposto di fare partire subito la persona in questione, ma ii Papa ha obiettato es5ere necessario portare qualcosa ai baschi. Non vi sarebbe speranza di giungere a risultati concreti andando verso i baschi a mani vuote.

Nell'udienza di ieri, l'ammiraglio Magaz ha domandato che il Pontefice lanci una solenne scomunica sui baschi che rifiutassero di piegarsi all'ammonimento papale. L'idea è stata scartata perché considerata inefficace.

In risposta a una sua domanda, ho detto al cardin~le che gli farò sapere qualcosa non appena ne sarò in grado.

(l) -T. 5604/143 R. del 28 dicembre, ore 24. Ritrasmetteva il D. 678. (2) -T. circolare 5611/R. del 29 dicembre, ore 24. Ritrasmetteva il D. 665. (3) -Vedi p. 146, nota 4. (4) -Vedi D. 689.
695

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 12616/027 R. Bucarest, 30 dicembre 1936 (per. il 2 gennaio 1937).

Avrei desiderato far presente al ministro degli Esteri romeno, che la mattina del 25 corrente mi aveva preannunciato la natura di una comunicazione che desiderava farmi, (cioè l'istituzione del consolato romeno ad Addis Abeba) che, pur apprezzando la cortesia verso questa R. rappresentanza per averla prescelta a tramite della richiesta di gradimento, mi sembrava tuttavia che la via più regolare di una simile comunicazione fosse la legazione di Romania a Roma. Peraltro, nel corso del colloquio avuto subito dopo con il signor Antonescu, avendomi questi precisato, a mia domanda, che la decisione romena non era stata presa d'accordo con gli altri rappresentanti della Piccola Intesa o dell'Intesa Balcanica, ma che trattavasi di una iniziativa spontanea e separata del governo romeno, ritenni che non convenisse perdere tempo e quindi fosse opportuno di nulla eccepire circa il tramite prescelto dal governo romeno. Accettai perciò senz'altro la richiesta dandovi corso, con la massima urgenza, con telegramma in chiaro (1). Mi affrettai inoltre a dar notizia del passo ufficiale romeno a questo agente della Stejani.

Devo ora aggiungere, sempre a titolo retrospettivo, che il signor Antonescu, giunto da Parigi la sera del 24 corrente si era immediatamente incontrato con il Re. Da informazioni assunte mi risulta che il signor Antonescu, partendo da Parigi, non aveva nessuna idea precisa circa una sua imminente azione per il riconoscimento dell'Impero. La decisione dell'istituzione di un consolato ad Addis Abeba è frutto del colloquio con il Sovrano, il che mi conferma nella convinzione che la direttiva di un ravvicinamento all'Italia è ben penetrata sopratutto nell'animo del Re.

Nel corso dell'udienza accordatami dalla E. V. al momento della mia partenza da Roma ebbi a sollecitare l'autorizzazione di far sentire a Re Caro! che qualche Sua pubblica dichiarazione, attraverso un'intervista da accordarsi a un giornalista italiano, circa il trionfo della politica imperiale italiana, avrebbe avuto una simpatica eco nel nostro Paese. Appena qui giunto non mancai, attraverso persona di mia fiducia, di far pervenire qualche accenno al Re e feci allusione ad una eventuale «intervista» anche nel corso della colazione cui fui invitato appena rientrato, in Romania. Ho riportato l'impressione che il mio suggerimento finirà per essere raccolto e mi propongo quindi, non appena si presenterà un'occasione favorevole, di mandare avanti la cosa anche e sopratutto nell'intento di legare vieppiù l'azione personale del Sovrano all'indirizzo di un riavvicinamento con l'Italia.

Devo anche aggiungere che l'accordo tra la Jugoslavia e la Bulgaria, oggi in discussione, potrebbe avere una forte influenza in Romania, nel senso di far capire a questi signori che è ormai giunto per loro il momento di far un ten

tativo per rendere meno tesi i rapporti con la Bulgaria da una parte e con l'Ungheria dall'altra: e che un ravvicinamento con l'Italia potrebbe avere benefici effetti in questo raddrizzamento della politica romena. Le più cordiali relazioni che si sono instaurate fra Roma e Belgrado, potrebbero anche esse concorrere a tale auspicabile distensione dei rapporti in questo settore dell'Europa sud orientale. La Romania, infatti, mentre vede con preoccupazione il riavvicinamento jugoslavo-tedesco e quello jugoslavo-bulgaro, non è preoccupata del ravvicinamento itala-jugoslavo, tanto più che essa sembra decisa, nonostante la recente disillusione, a mantenere con Belgrado relazioni cordiali.

(l) T. 12449/203 R. del 25 dicembre, ore 14,15, non pubblicato.

696

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 65/027 R. Ankura, 30 dicembre 1936 (per. il 5 gennaio 1937).

L'ufficiosa Agenzia d'Anatolia ha pubblicato il 28 corrente due comunicati Havas. Il primo, da Belgrado, annunciante che il governo jugoslavo aveva sottoposto agli altri Stati dell'Intesa Balcanica e della Piccola Intesa l'idea di un patto di amicizia perpetua bulgaro-jugoslavo, ottenendo da Ankara e Praga immediata approvazione, mentre Bucarest e Atene avrebbero formulato delle osservazioni che non costituivano tuttavia delle obbiezioni. Il secondo, da Sofia, secondo cui il governo bulgaro manteneva al riguardo una stretta riserva, tanto più comprensibile in quanto la Jugoslavia era in procinto di svolgere delicate trattative con gli altri Stati firmatari dell'Intesa Balcanica per ottenere il loro assenso.

Ieri, nel corso di una riunione del gruppo parlamentare del Partito del Popolo, il signor Saracoglu, ministro degli Esteri ad interim, rispondendo ad una interrogazione rivoltagli da un deputato, ha dichiarato che· una intesa fra Jugoslavia e Bulgaria non potrebbe non costituire un rafforzamento della pace ed un elemento per giungere ad una intesa generale fra Bulgaria e Intesa Balcanica. Questo ministro di Bulgaria, nel corso di una conversazione, ha confermato la fondatezza delle voci surriferite, e l'adesione del governo di Ankara.

In questi ambienti la circostanza che il ministro Aras, di ritorno da Parigi ove, come è noto, erasi recato per le trattative concernenti il Sangiaccato, abbia sostato ad Atene, viene connessa al desiderio del ministro turco di intrattenere il signor Metaxas del ventilato patto bulgaro-jugoslavo e di contribuire ad appianare eventuali difficoltà e obbiezioni da parte greca (1).

La stampa turca mantiene per il momento il più stretto riserbo. Mi riservo ulteriori comunicazioni al riguardo.

53 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

(l) La stessa Interpretazione della visita d! Rustu Aras ad Atene veniva data dall'Incaricato d'affari ad Atene, Serafini, (T. 12531/279 R. del 29 dicembre, ore 14,25) e dal ministro Indelli, che si basava su alcune dichiarazioni dello stesso Rustu Aras (T. 12542/101 R. del 3 gennaio1937, ore 12,25).

697

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. 5279/1776. Berlino, 30 dicembre 1936 (per. il 2 gennaio 1937).

Nel riferirti ieri circa il mio colloquio con Goring (1), non ho mancato di richiamare la tua attenzione sopra certe parole di colore oscuro ch'egli ha pronunciato, gli accenni ripetuti a «risoluzioni gravi~. a <<decisioni più o meno imminenti ~. etc., etc. Ti ho anche detto che questi accenni mi hanno dato l'impressione che, nella riunione di capi, preannunciatami da Goring per i primi di gennaio, si volesse come discutere e concretare il « programma politicomilitare dell'anno nuovo ~ da esso facendone in un certo senso « dipendere :. le ulteriori decisioni richieste dalla nuova fase spagnuola.

È su questo punto ch'io mi permetto qui, in tutta riservatezza, di tornare.

L'attitudine tedesca in merito alla situazione spagnuola ha indubbiamente avuto, in questi ultimi tempi, una battuta di arresto. Perché? Sono forse cambiati gli orientamenti di politica generale che la ispirano? No. La battuta di arresto dovrebbe essere quindi dovuta solo a cause contingenti e circostanze di fatto. Per un momento mi sono persino domandato se essa potesse far capo alla considerazione -indubbiamente incoraggiata dai nemici del riavvicinamento itala-tedesco -che, dopo tutto, la questione di Spagna rappresenta un interesse più «direttamente» italiano che tedesco: essere dunque giusto che sia l'Italia, ora che la impresa mostra di richiedere uno sforzo maggiore del previsto, a doverne prendere cura speciale. Ma anche questa spiegazione ho dovuto scartare. La battuta d'arresto è stata infatti constatata anche in ambienti che, mentre sono i più consci della importanza per la Germania della pregiudiziale antibolscevica, sono -allo stesso tempo -anche i più amici dell'Italia (mi riferisco specialmente ai circoli dell'aviazione: e allo stesso Goring). Dunque, niente cambiamento di direttive, niente spostamenti di visuale

o di apprezzamenti della importanza del problema agli effetti tedeschi, niente gelosie -almeno come elemento determinante -nei riguardi dell'Italia. E allora?

Intanto, è da tener presente che le resistenze ad una intensificazione degli aiuti alla Spagna possono tutte essere chiaramente ricondotte ad una unica fonte: l'esercito e Blomberg. E -questa è l'impressione concorde degli addetti militari -i soccorsi alla Spagna sono in quegli ambienti ostacolati e mal visti perché « scombussolano » la preparazione bellica in corso e minacciano di mettere la Germania nella «necessità di dover eventualmente combattere su due fronti». Ora, che queste preoccupazioni dei circoli militari si riducano tutte, in ultima analisi, ad un sacro terrore di eventuali complicazioni con l'Inghilterra, non direi. Esse trovano certamente in questo terrore (che pure esiste) un sicuro incentivo ma non la loro « ragion d'essere». L'invio di una divisione in !spagna potrebbe portare con l'Inghilterra a complicazioni diplomatiche, ma non alla guerra. E che questo e non altro sia il pensiero in proposito degli

stessi tedeschi è dimostrato dalle argomentazioni usate, sia da Goring, sia da Milch quando, nelle loro conversazioni, insistono sulla possibilità per l'Italia di tutto osare, nel Mediterraneo, contro i russi.

Se così è, bisogna allora concludere che questa resistenza dei militari -accompagnata o incoraggiata da una quantità di ragioni minori e collaterali deve pure far capo ad una ragione obbiettiva, tanto forte da imporsi allo stesso Goring, allo stesso Fiihrer. Questa ragione obbiettiva, può essere solo una che, cioè, i nuovi compiti che la situazione spagnuola sembra demandare all'esercito tedesco si rivelano praticamente incompatibili o quasi --sullo stesso terreno dell'attualità concreta -con gli altri e maggiori compiti che all'esercito siano stati assegnati in altri campi e ad altri fini. In altri termini, non mi saprei spiegare tutte le preoccupazioni dei capi militari sugli effetti di una possibile spedizioncella in !spagna se essi non avessero dinanzi a sé, già virtualmente fissati e determinati, dei compiti e degli obbiettivi concreti e relativamente prossimi suscettibili quindi di essere compromessi anche da una spedizione, per quanto limitata, in !spagna o altrove. Solo una ipotesi del genere potrebbe giustificare le frasi di Goering che Hitler si trova alla vigilia di « decisioni gravi ~ e il suo modo di esprimersi tale da giustificare la illazione che Hitler sia ora chiamato a giudicare se, e in quali limiti, l'impresa di Spagna sia compatibile con queste «gravi decisioni~

Siamo, in sostanza, alla vigilia della determinazione di quello che debba essere, nell'anno che si schiude, il nuovo passo in avanti del nazismo in Europa? Dall'avvento di Hitler in poi, ogni anno ha segnato una affermazione e una conquista nel campo internazionale. Quale è il programma 1937? E' esso, o potrebbe essere, tale da portare a reazioni suscettibili di impegnare tutte le Forze Armate del Reich e ciò al punto da sconsigliare persino la distrazione di una divisione per la Spagna?

Una volta posto questo quesito, rimane da domandarsi in quale « direzione~ il programma 1937 potrebbe puntare. Direzione coloniale? Per varie ragioni sì, anche dato il «bombardamento~ cui abbiamo assistito in materia nel corso dell'annata e specialmente nelle ultime settimane (1). Quella coloniale è l'unica forma di parità che ancora manca alla Germania. Uno sforzo a intenti ed obbiettivi coloniali sarebbe persino compatibile con le reiterate dichiarazioni hitleriane di amicizia fatte (ad eccezione forse che per la Cecoslovacchia) in ogni possibile direzione e, comunque, con la reiterata esclusione di ogni rivendicazione d'indole territoriale in Europa... Ma, come potrebbe la Germania pensare di dover essere chiamata ad appoggiare le sue eventuali rivendicazioni coloniali con le armi? Come e contro chi? Anche la direzione coloniale, quindi, non mi soddisfa.

Non continuo, tuttavia, in questa disamina perché mi porterebbe -almeno per oggi -troppo lontano e potrebbe allo stato delle cose essere anche prematura. Potrebbe benissimo darsi, infatti, che dal programma 1937 Hitler finisse -dopo ponderato esame -con l'escludere ogni e qualunque « numero ~ che richiedesse o potesse richiedere lo scatenamento di un'azione di forza. Come pure, potrebbe darsi che le preoccupazioni di Blomberg fossero, al postutto, l'ef

fetta di una pura pedanteria mentale, squisitamente tedesca... Comunque, l'ulteriore atteggiamento in materia di Goering sarà, naturalmente, molto sintomatico.

In ogni modo, poiché le parole di Goering mi hanno fatto sorgere un dubbio, io ho ritenuto mio dovere esporlo subito a Te che sei il mio ministro.

Questo dubbio io continuerò naturalmente a tenere in the back of my mind e, con le antenne di cui dispongo (penso naturalmente anche a Renzetti), a cercare di chiarire.

Intanto, nuovamente, buon anno!

(l) Vedi D. 691.

(l) Vedi l DD. 586 e 636.

698

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 4320/1774. Mosca, 30 dicembre 1936 (per. il 4 gennaio 1937).

Recatomi stamane al Narkomindiel per i consueti auguri di Capo d'Anno, ho avuto con Litvinov una conversazione protrattasi per oltre tre quarti d'ora, durante la quale il commissario del popolo per gli Affari Esteri mi espose molto apertamente le proprie vedute sulla situazione politica generale ed anche su taluni aspetti particolari di essa.

Senza riferire minutamente sull'intero colloquio, in cui Litvinov mi ripeté cose già dette in precedenti occasioni da alcuni suoi collaboratori del Narkomindiel (mi richiamo da ultimo al mio telespresso n. 4296/1757 del 28 corrente) (l) credo utile riassumere le parti più interessanti.

Circa la situazione generale, Litvinov mi disse di vederla caratterizzata dal completo fallimento della politica tedesca. Secondo le sue informazioni, la missione di Ribbentrop a Londra è stata finora un totale insuccesso. Gli inglesi -ha soggiunto -si sono stancati di sentirsi costantemente ripetere dall'ambasciatore tedesco, come da un record di grammofono, le solite tirate anticomuniste e diatribe contro l'U.R.S.S. Essi hanno finito per veder chiaro nel giuoco di Berlino ed intendono farlo cessare.

Risulterebbe a Litvinov che lo stesso linguaggio energico tenuto a Ribbentrop da Eden è stato tenuto anche a von Neurath dall'ambasciatore britannico (e contemporaneamente da Delbos a Parigi e da François-Poncet a Berlino) Hitler non può oramai non rendersi conto della gravità della situazione creata dalla sua politica aggressiva ma non sarà facile per lui di fare macchina indietro, essendosi troppo impegnato di fronte alla propria opinione pubblica.

A questo punto, riferendomi a quanto Litvinov aveva detto recentemente ad un gruppo di diplomatici fra i quali io pure mi trovavo (mio telegramma n. 241 del 28 corr.) (2) circa la situazione interna in Germania, gli chiesi se la di lui

affermazione fosse fondata su informazioni sicure e positive quanto ai presunti dissensi fra partito nazista e Reichswehr. Egli mi rispose che, pur non essendo documentate, tali informazioni provenivano da fonte seria ed erano da lui considerate come pienamente attendibili. Aggiunse che gli era stata anche riferita la voce di un possibile colpo di stato per .abbattere Hitler, ma che egli nutriva dubbi in proposito.

Il fallimento della politica tedesca, secondo Litvinov, risultava anche dal fatto che oggi la Francia si interessa molto meno di prima alla conclusione di

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un nuovo patto di Locarno. Ottenuta la garanzia dell'aiuto militare inglese, la Francia si sente relativamente tranquilla e non ha più grande interesse ad un patto tipo Locarno. La Germania non potrà quindi esercitare a Parigi le stesse pressioni che esercitava con discreta efficacia fino a qualche settimana fa per cercare di ottenere sempre maggiori concessioni. Oggi è la Francia che potrà mettere le condizioni (suppongo che Litvinov pensasse al patto franco-sovietico).

Ritornando all'Inghilterra, Litvinov mi disse che Ribbentrop era riuscito quasi a terrorizzare Eden e taluni ambienti britannici col predire che, ove la Germania non venisse soddisfatta in qualcuna delle sue aspirazioni, «la caldaia sarebbe scoppiata», e Io scoppio sarebbe avvenuto dalla parte della Cecoslovacchia. Il mio interlocutore non condivideva le apprensioni inglesi al riguardo. Egli credeva si trattasse essenzialmente di una manovra di intimidazione per spingere l'Inghilterra a prendere sul serio le minaccie di Schacht ed a fare delle concessioni nel campo economico e coloniale.

Un terzo fattore del «fallimento tedesco» sarebbe stato il patto anticomunista fra Germania e Giappone. Le reazioni all'estero erano state «disastrose » ed avevano provocate serie ripercussioni anche in Giappone, dove il Gabinetto Hirota si sente molto pericolante.

A proposito del Giappone, Litvinov mi ha detto risultargli che il governo di Tokio rimane perplesso di fronte alla tragi<::omica soluzio_!l~el conflitto fra Chiang Kai-shek e Chang Hsueh-liang, perché non si capisce ancora su q~_!! basi può essere intervenuto il compromesso fra il Maresciallo ed il generale ribelle, ed ha ragione di temere che ne risulti comunque un rafforzamento della opposizione cinese contro il Giappone. Il mio interlocutore ha però aggiunto subito che nelle questioni di Estremo Oriente non è possibile giudicare con criteri europei, quasi ammettendo con ciò che i giapponesi hanno modo di capire la Cina e di trattare con essa meglio di quanto non sia capace di farlo il governo dell'U.R.S.S.

Arrivato a questo punto, e senza che io glie ne avessi dato il minimo spunto, Litvinov entrò nell'argomento dei rapporti itala-sovietici, dicendo che egli non era così ottimista al riguardo come coloro che vedevano nell'attitudine italiana degli ultimi giorni una nuova direttiva della politica di Mussolini.

Interruppi per dire subito che aveva ragione di non vedere tale mutamento, perché la rotta del Governo fascista rimaneva sempre la stessa: quella cioè di un'azione realista, libera da preconcetti e da antipatie, che guarda in faccia problemi come essi sono veramente e cerca di risolverli con criteri politici di equità, di buon senso e di reale collaborazione.

Litvinov rispose che non intendeva contraddirmi, ma che doveva rilevare certi atti ancora recentissimi i quali non sembravano accordarsi con una politica di collaborazione. Mi citò in primo luogo il consiglio che sarebbe stato dato ·dai~

l'Itftlia al generale Franco di non rispondere all'ultima comunicazione indirizzatagli dal Comitato di non intervento (3), il che certo non era atto a facilitare la soluzione ctella crisi spagnuola.

Ivlisi in dubbio la fondatezza di questa notizia, osservando d'altra parte che neppure il governo di Valenza aveva in sostanza risposto alla proposta del Comitsto di Londra.·

Litvinov si limitò a dichiararmi che la notizia gli risultava da fonte assolutamente sicura.

Fece allusione poi ad una promessa che il Capo del Governo avrebbe dato al generale Franco di mandare in suo aiuto in Spagna cinquemila uomini in un primo tempo, e cinquemila altri in un secondo tempo. Aggiunse: «E noi tutti sappiamo che Mussolini è abituato a mantenere le proprie promesse ».

Espressi tutti i miei dubbi sulla esistenza di simile promessa, osservando che anche in Italia erano giunte parecchie voci circa gli aiuti e le proposte di aiuto fatte dall'U.R.S.S. al Governo di Valenza.

Egli mi replicò essere in grado di precisare che la promessa di S. E. il Capo del Governo era stata data circa un mese fa:--Aggiunse~ubitodopo:-chela partenza del « signor Conte Rossi da Majorca era tuttavia una cosa molto buona» (4).

Infine, Litvinov parlò delle « insistenze » che sarebbero state fatte dal Governo italiano presso quello giapponese per concludere con Tokio un accordo anti-comunista simile a quello tedesco-giapponese, e citò in proposito un colloquio che V. E. avrebbe avuto coll'Ambasciatore Sugimura, dicendomi che le sue informazioni provenivano da fonte giapponese.

Espressi naturalmente tutti i miei dubbi anche su questo punto.

In conclusione, egli vedeva in tutti questi fatti -e specialmente in quello che egli chiamò il « flirt » col Giappone -le prove di una politica che seguiva la corrente anti-sovietica, e per questa ragione egli non poteva condividere l'ottimismo di quelli che speravano in una prossima adesione italiana alla «politica costruttiva». (Ho avuto l'impressione dalle ultime parole di Litvinov che egli avesse con ciò voluto attenuare l'impressione che poteva aver lasciato in me la conversazione di tono molto più ottimista avuta da un suo collaboratore con un segretario della R. Ambasciata e sulla quale ho riferito col telespresso citato più innanzi).

Conclusi a mia volta osservando che evidentemente esistevano diverse inter

pretazioni di ciò che poteva essere una «politica costruttiva», ma che la poli

tica fascista era certamente ispirata da intenti costruttivi, e non distruttivi (5).

n. -14338 di Ciano all'ammiraglio Cavagnari).

699.

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1783/1182. Praga, 30 dicembre 1936 (per. il 3 gennaio 1937).

senza precisarne la forma. « Si è parlato e si riparla -mi accennava Krofta del riarmo dell'Ungheria, noi e gli altri Stati della Piccola Intesa non ci siamo opposti e non ci opponiamo, in massima, purché a certe condizioni di proporzioni e di garanzie. Ma poiché il signor de Kanya non vuoi sentir parlare di condizioni, Kobr gli ha prospettato che, per esempio, un patto di non aggressione potrebbe costituire una base di accordo, sul tipo Germania-Polonia (2),

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accordo che mentre garantirebbe la Cecoslovacchia e la Piccola Intesa, nulla toglierebbe al principio della parità cui l'Ungheria intende di aver diritto. E ciò ad evitare quello che sarebbe indesiderabile e cioè che l'Ungheria possa procedere a misure unilaterali e col sistema del fatto compiuto.

Secondo quanto Kobr avrebbe riferito, de Kanya si saremme mostrato non sfavorevolmente impressionato riservandosi di riprendere in esame la proposta cecoslovacca (3).

700.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. U. PERSONALE 12569/1458 R. Londra, 31 dicembre 1936, ore 0,10 (per. ore 4).

(S.E. Grandi a mezzanotte ha telefonato all'ufficio citra pregando di tar trovare stamane alle ore 8 il presente telegramma sul tavolo di s. E. il ministro).

Telegramma di V. E. n. 660 ( 4).

Sono andato oggi trovare Vansittart nella sua villa di campagna dove egli si tratterrà fino prossima settimana. Vansittart mi ha messo al corrente degli ultimi telegrammi scambiati fra Drummond e Foreign Office (5) relativi punti di dettaglio del testo dell'accordo sui quali Drummond ha chiesto istruzioni ulteriormente.

Stamane sono state inviate a Drummond istruzioni telegrafiche che lo autorizzano procedere firma. Drummond sarà in grado di dartene comunicazione

stasera stessa o, al più tardi, domani mattina (1). Ritardo dovuto esclusivamente giornata Natale e contemporanea assenza da Londra di Eden e Vansittart.

Ho trovato Vansittart, come sempre, sinceramente desideroso addivenire conclusione accordo nelle linee stabilite. Egli mi ha detto augurarsi che tu e Drummond possiate procedere cerimonia firma domani o, al più tardi, posdomani primo gennaio 1937.

(l) -Vedi D. 687. (2) -T. 12519/241 R. del 28 dicembre. L'ambasciatore Rosso aveva riferito che Litvlnov, parlando con alcuni diplomatici stranieri, aveva espresso 11 timore che Hitler prendesse in politica estera qualche iniziativa pericolosa per risolvere una situazione interna resa difficile dal contrasto tra Reichswehr e partito. (l) -Vedi D. 526. (2) -L'ordine di lasciare Maiorca era stato dato al «conte Rossi» il 14 dicembre (lettera (3) -Questo documento reca il visto di Mussolini. Il 6 gennaio, Ciano telegrafava a Rosso: «Tuo 1774 del 30 dicembre. Hai fatto molto bene a mettere in dubbio tutte le affermazioni di Litvinov basate su informazioni molto scadenti. Approvo poi pienamente la linea di condotta che prospetti nell'ultimo capoverso del rapporto 1757 del 28 dicembre» (T. 35il R. del 6 gennaio 1937, ore 13,30. La minuta è autografa di Ciano). (l) -Ritrasmetteva il T. per corriere 12225/045 R. del 12 dicembre da Budapest con il quale l'incaricato d'affari, Baldoni, aveva riferito circa un colloquio con il direttore degli affari politici del ministero degli Esteri ungherese, Bessenyey. Quest'ultimo lo aveva informato che !l ministro di Cecoslovacchia, aveva avanzato la proposta d! concludere un patto di non aggressione tra Cecoslovacchia e Ungheria, eventualmente estensibile agli altri due Stati della Piccola Intesa. Bessenyey aveva dichiarato a Baldonl che con ogni probab!lltà 11 governo ungherese avrebbe posto condizioni tal! da rendere impossibile la realizzazione del trattato. (2) -Riferimento all'accordo del 26 gennaio 1934. Vedi p. 7, nota 2. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (4) -Vedi D. 683. (5) -Si veda BD, vol. XVII, DD. 508, 509, 514 e 522.
701

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. uu. s. N. D. 12591/616 R. Berlino, 31 dicembre 1936, ore 15,31 (per. ore 20).

Ho veduto von Neurath, che riparte stasera.

Per tutto ciò che concerne la risposta alla nota anglo-francese (2) (risposta il cui « tono ~ è stato segnato ieri dallo stesso cancelliere del Reich), rinvio alle comunicazioni Hassell (3). Von Neurath ha comunque insistito sul desiderio tedesco che tutto proceda di pieno accordo con l'Italia e che risposta dei due governi sia sostanzialmente identica. Prima di partire, egli darà agli ambasciatori Francia e Inghilterra solo un «preannunzio generico ~ della risposta specificando che, quanto a testo, esso sarà loro comunicato soltanto dopo la «necessaria consultazione con l'Italia~ (4). Vedendo oggi 1 due ambasciatori, egli inoltre dichiarerà loro che all'infuori di tutti gli artifici della diplomazia, la situazione è dominata da un fattore e cioè la determinazione della Germania di non avere, in nessun caso, un governo comunista in Spagna. Von Neurath mi ha pregato che sia portato quanto sopra a conoscenza dell'E. V. per quel parallelismo di linguaggio e di azione che V. E. ritenesse del caso.

Ciò premesso, von Neurath ha aggiunto di avere discusso ampiamente ieri la situazione spagnola con Hitler, presenti anche tutti ministri militari. Egli ha sostenuto che, mentre con armeggi diplomatici la situazione può essere tirata ancora in lungo «per qualche tempo », non è possibile fare questo « a tempo indefinito~. Ha dimostrato la inutilità degli sforzi pi.ù o meno propiziatori nei riguardi dell'Inghilterra suggeriti dai militari e da Ribbentrop, sostenendo invece: a) l'opportunità della dichiarazione agli ambasciatori di Francia e Inghilterra di cui alla prima parte del presente telegramma; b) la assoIuta necessità di rompere ogni esitazione e quindi di affrettare l'invio dei soccorsi a Franco in maniera da metterlo in grado di riprendere avanzata al più presto.

Hitler ha dato, seduta stante, preciso ordine in questo senso sicché, fin da oggi, ministero militare intensificherà invio di tutto ciò che Franco aveva già domandato.

Von Neurath mi ha infine comunicato che Fuehrer ha accettato invito nuova riunione a Roma il 10, riservandosi a più tardi scelta della persona.

(-4) Vedi in proposito il D. 702.
(l) -Vedi p. 778, nota 3. (2) -Vedi D. 672. (3) -Il colloquio Ciano-von Hassell ebbe luogo nel pomeriggio del 31 dicembre. su di esso non è stata trovata documentazione nell'archivio italiano ma si veda 11 circostanziato resoconto dell'ambasciatore tedesco in DDT, serle D, vol. III, D. 176.
702

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. S. N. D. PERSONALE 5630/394 R. (l) Roma, 31 dicembre 1936, ore 20.

Trasmetto domani, con apposito corriere aereo, nostro progetto di un memorandum in risposta al passo franco-britannico (2). Naturalmente sono disposto a concordare con i tedeschi eventuali modifiche, ma sarà opportuno far rilevare che, come sostanza e come forma, tale nostro memorandum mi sembra adeguato alla situazione. Di fronte al mondo, tanto noi quanto i tedeschi dobbiamo evitare di apparire come gli agenti provocatori. Questo è il gioco degli altri, al quale non bisogna prestarsi. Inutile aggiungere che per quanto concerne la sostanza la nostra intransigenza è assoluta e, nonostante tutti i passi e tutte le risposte, continueremo a fare quanto sarà utile per il trionfo della causa comune. Le spedizioni continuano e s'intensificheranno. Anche per facilitare le spedizioni in corso, penso convenga ritardare la risposta fino alla prossima settimana.

703

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12603/210 R. Bucarest, 31 dicembre 1936, ore 23,30 (per. ore 7 del 1° genn aio 1937). Mio telegramma 205 (3).

Mi risulta che governo jugoslavo ha fatto conoscere a Praga che desiderando ricevere degnamente presidente Benès e volendo, fra l'altro, apprestare per lui appartamento speciale nel Palazzo Reale che fu già dimora di Re Carol, suggeriva che visita presidenziale fosse rimandata da gennaio a aprile. Il governo jugoslavo ha cosi dimostrato in modo evidente di volersi sottrarre alla fastidiosa pressione Parigi e Praga per conclusione noto patto mutua assistenza. Mi risulta pure che tale comunicazione ha prodotto a Praga una disastrosa impressione essendo ormai chiaro che politica jugoslava ha adottato un metro ed un metodo che non si misurano più, né si intonano, su Parigi e sugli altri due aggruppamenti creati da Titulescu, da Benès e da Rustu bey ma solo sull'interesse della Jugoslavia ed in maniera altrettanto decisa che continuativa.

Antonescu ha fatto sapere da parte sua che è disposto a assistere al convegno Belgrado dell'aprile p.v.

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi D. 672. (3) -Vedi D. 671.
704

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 12599/212 R. Bucarest, 31 dicembre 1936, ore 23,30 (per. ore 7 del 1° gennaio 1937).

Mi risulta patto bulgaro-jugoslavo sarà firmato in gennaio, prima cioè della riunione Intesa balcanica fissata per il 15 febbraio Atene.

Governo romeno in occasione incontro Resitza (l) ha dato sua adesione, per quanto a denti stretti, al futuro Patto. Anche Grecia si è rassegnata. In quanto adesione turca ho l'impressione che essa fosse già acquisita.

Controgaranzie di cui a mio telegramma n. 208 (2) offerte da Jugoslavia ai tre alleati balcanici consisterebbero nell'assicurazione (da darsi ai tre alleati balcanici) che Jugoslavia non modificherà in nulla impegni assunti, sia nel campo politico che in quello militare, con il Patto balcanico.

Ho sondato Antonescu per conoscere se era nelle intenzioni governo romeno ricoprirsi con analogo trattato di amicizia con Bulgaria. Non solo non ha risposto negativamente ma ha sottolineato che Romania col recente cambiamento del titolo della sua legazione a Sofia e con insolita calorosa allocuzione pronunciata proprio ieri all'atto presentazione lettere credeaziali Re Boris aveva offerta chiara dimostrazione voler instaurare con Bulgaria più cordiali rapporti.

Ho colto occasione per spezzare una lancia a favore rapporti RomaniaUngheria. Antonescu mi ha detto che sue intenzioni erano eccellenti e che sarebbe lieto se riavvicinamento potesse effettuarsi. Gli sembrava però che governo ungherese stesso in questi giorni insistesse troppo sul linguaggio dei due noti giornali Transilvania linguaggio che egli deplora come « inconsulto e dannoso buon nome Romania». Egli avrebbe preso misure necessarie perché «sconcio slmile non si ripeta» ma ritiene che Ungheria non dovesse esagerare.

Gli ho fatto rilevare che se nelle energiche misure di cui parlava fosse compresa immediata definitiva soppressione detti fogli ciò avrebbe costituito gesto molto saggio ed opportuno. Ho anche richiamato sua più seria attenzione sul fatto che nella base di una statua recentemente inaugurata Transilvania stemma ungherese appariva lesivo per prestigio Ungheria. Antonescu mi ha promesso, però con minore calore, di studiare come mettere riparo alla cosa.

705

SCAMBIO DI NOTE VERBALI TRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, E L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND (3)

Roma, 31 dicembre 1936.

The Royal Italian Government may perhaps be aware that the Secretary of State for Foreign Affairs was asked in the House of Commons on 16th De

cember whether he would lay upon the table of the House the precise terms of the guarantee given to His Majesty's Government by the Government of Italy concerning occupation of Balearic Islands by Italian subjects.

To this question Mr. Eden replied that the assurances to which reference was made were given verbally. He proceeded to state that His Majesty's Chargé d'Affaires in Rome, acting on instructions, informed the Italian Minister for Foreign Affairs on 12th September that 'any alteration of the status quo in Western Mediterranean would be a matter of the closest concern to His Majesty's Government'. Mr. Eden continued that, taking note of this communication, Italian Minister for Foreign Affairs had assured Mr. Ingram that the Italian Government had not, either before or since the revolution in Spain, engaged in any negotiations with Generai Franco whereby the status quo in the Western Mediterranean would be altered, nor would they engage in any such negotiations in the future. This assurance, the Secretary of State added, was subsequently reaffirmed spontaneously to British naval attaché in Rome by Italian Ministry of Marine, and Italian Ambassador in London had on severa! occasions given to the Secretary of State similar verbal assurances.

In view of these assurances, His Majesty's Government in the United Kingdom assume that, so far as Italy is concerned, the integrity of the present territories of Spain shall in ali circumstances remain intact and unmodified. They would, however, be grateful if your Excellency saw your way formally to confirm the accuracy of this assumption, and I have accordingly the honour to enquire whether your Excellency could supply me with such confirmation.

I avail myself of the opportunity to convey to your Excellency the expression of my highest consideration.

F.to Drummond

Il Ministro degli Esteri ha così risposto:

Signor Ambasciatore,

ho l'onore di accusare ricevuta della nota di V.E. in data odierna, colla quale Ella attira la mia attenzione su una interrogazione fatta alla Camera dei Comuni il 6 dicembre corrente e sulla risposta data dal Segretario di Stato per gli Affari Esteri, relativamente alle assicurazioni fornite verbalmente dal governo italiano sullo status quo del Mediterraneo occidentale.

Riferendosi alla comunicazione dell'incaricato d'Affari britannico del 12 settembre, V. E. ha ricordato come io avessi avuto ad assicurare il signor Ingram che il governo italiano non aveva, né prima, né dopo la rivoluzione in !spagna, iniziato negoziati col generale Franco a fine di modifica e lo statu quo nel Mediterraneo occidentale e che il governo italiano non intendeva procedere a tali negoziati neanche in avvenire.

Non ho per conseguenza alcuna difficoltà a confermare, a nome del governo italiano, che il governo britannico è nel vero ritenendo che, per quanto riguarda l'Italia, l'integrità territoriale attuale della Spagna debba restare in ogni circostanza intatta e inalterata.

(l) -Vedi D. 646. (2) -Vedi D. 678. (3) -Sul colloquio tra Ciano e l'ambasciatore Drummond nel corso del quale venne effettuato lo scambio di note non è stata trovata documentazione negli archivi italiani. SI veda 11 resoconto dell'ambasciatore britannico in BD, vol. XVII, D. 526.
706

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, DE CIUTIIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. s. 181/63. Salamanca, 31 dicembre 1936 (per. il 7 gennaio 1937).

Ho avuto in questi ultimi giorni conversazioni con dirigenti di Falange e Requetès e con elementi responsabili di governo in relazione alla situazione che si è venuta creando tra i partiti.

La divisione fra Reqnetès e Falange è divenuta sempre più profonda. I Requetès che riuniscono aristocratici e capitalisti sono strettamente uniti ed hanno una organizzazione militare apprezzabile, larghi mezzi di propaganda e reparti combattenti nelle prime linee. La convinzione di battersi per il trionfo dei loro principi di religione, monarchia e privilegi di casta dà loro una notevole forza ed uno spirito combattivo. L'atteggiamento del Vaticano li lascia perplessi e le loro coscienze sono turbate non rendendosi conto come la Santa Sede non faccia un deciso gesto in favore del movimento nazionale sconfessando i cattolici che combattono nelle file dei rossi.

La Falange dopo la morte di Primo de Rivera è rimasta senza capo. Ma essa costituisce una grande forza, per numero dei componenti e per lo spirito moderno del suo programma sociale, inteso alla elevazione del lavoratore spagnuolo: ciò che viene confermato dalle continue iscrizioni nelle sue file di operai e contadini già appartenenti ad organizzazioni socialiste. Per tale suo programma la Falange potrà in avvenire costituire la organizzazione più idonea per raccogliere gran parte dei lavoratori spagnuoli oggi militanti nel campo rosso e che dopo la vittoria nazionale dovranno essere inquadrati in un partito che vada verso il popolo. Dalla Falange, a situazione bellica definita, potrà altresì sorgere quella classe media che flno ad oggi non è esistita in !spagna in una condizione di sbilancio fra una classe straricca di privilegi ed una plebe lasciata nell'ignoranza e nella miseria: causa forse non ultima degli eccessi senza precedenti dell'attuale guerra civile.

II generale Franco è generalmente considerato un ottimo condottiere. Tutta la sua attività è ora concentrata nella direzione delle operazioni. Non mancano gelosie in altri generali ma Franco abilmente non fa pesare la sua posizione di Capo consultando sempre i colleghi ed apparendo quindi come primus inter pares. Egli si appoggia molto sui Requetès anche per le cospicue offerte che sono continuamente fornite da questi per sostenere la causa.

Con aperte manifestazioni egli ostenta grande simpatia per la Falange. Ma in quest'ultimi tempi il suo entourage, composto in gran parte da Requetès e tradizionalisti gli ha fatto assumere un atteggiamento poco favorevole di fronte alla Falange. Ai falangisti che si presentano per essere arruolati nei reparti combattenti si nega l'armamento, sono stati arrestati parecchi operai e contadini (specialmente nell'Aragonese) che desideravano iscriversi nella Falange, perché già appartenenti ad organizzazioni di sinistra: la Falange viene esclusa da qualsiasi partecipazione a decisioni di governo: con la formazione di milizie di Acciòn Popular, d'accordo con i Requetès si cerca di assottigliare il numero degli affluenti alla Falange.

Questa attraversa oggi una grave cns1: in riunioni fra i varii dirigenti si è riconosciuta la necessità che vi sia un capo unico (che la Falange riconosce debba essere lo stesso Franco), un partito unico ed una milizia unica. A tale scopo il capo dello Stato dovrebbe riunire i rappresentanti delle due principali forze del movimento, Falange e Requetès, per raggiungere unitamente un accordo che porti alla unificazione dello Stato.

L'unificazione dovrebbe essere esteriormente: a) boina rossa del Requetès; b) camicia azzurra di Falange; c) saluto romano; d) Fascio e Giogo come emblemi; e) bandiera nazionale unica. L'unificazione interiore: a) Dio e Cattolicesimo (non vi sarà nessun disaccordo); b) Patria unita (tutti d'accordo); c) Regime: un Capo o Reggente; d) questione sociale: sindacalismo nazionale

o sistema corporativo. Il capo dello Stato con decisione inappellabile dovrebbe sancire un tale accordo e dargli forza di legge.

I dirigenti di Falange mi hanno dichiarato che finché il generale Franco non crei uno Stato di sua emanazione si corrono gravi pericoli e che il problema deve avere una soluzione prima che finisca la guerra. Hanno aggiunto che se le richieste di Falange non fossero prese in alcuna considerazione e questa specie di persecuzione dovesse continuare ai suoi danni, Falange potrebbe essere costretta a prendere una decisione od atteggiamento tali non certo atti ad assicurare la vittoria della causa nazionale CD.

APPENDICE DOCUMENTARIA

(l) Il documento reca il visto di Mussollnl.

1

IL SOTTOSEGRETARIO ALL'AERONAUTICA, VALLE, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI RELAZIONE SULLA MISSIONE SVOLTA IN GERMANIA DAL 24 AL 28 GIUGNO 1936. (l)

Impiego del tempo.

La missione, composta di 10 Ufficiali, dei quali 5 rimasti ancora per qualche giorno in Germania a scopo di visite tecniche, ha per cinque giorni percorso la Germania da Dessah a Greiswald fino al Baltico, visitato officine e stabilimenti, campi di aviazione di linea, di manovra e sperimentali, partecipato a 4 pranzi o ricevimenti ufficiali ed altrettante riunioni private. Ha pertanto potuto formarsi, dato lo spirito di schietto cameratismo e l'ordine di tutto mostrare ovunque constatato, una chiara visione della preparazione tedesca in fatto di aviazione.

I componenti della missione erano:

- Generale Valle Generale Pellegrini -Aviazione civile e parte generale Colonnello Bruno -Apparecchi e motori Colonnello Cebrelli -Armamento Colonnello Senzadenari -Situazione politico-militare - Ten. Col. Biseo -parte sperimentale e d'impiego - Ten. Col. Teucci -parte generale

-Maggiore Galante -Apparecchi e motori

-Maggiore Tondi -parte sperimentale e d'impiego

-Capitano Stefanutti -Apparecchi e motori

Considerazioni politiche.

Risultano dai numerosi colloqui avuti col Sottosegretario Milch, dal ricevimento presso il Ministro Goering, dalle numerose conversazioni con varie autorità e dalle personali constatazioni.

Ho visitato la Germania nel '21 e nel '22: ho trovato un cambiamento radicale, analogo a quello compiuto in Italia dal Regime.

Massima disciplina esteriore, esageratamente formalistica secondo il carattere tedesco: ovunque, anche per le strade e campagne, febbre di lavoro come in fase di mobilitazione: tre turni di lavoro nelle officine; senso visibile di benessere nella popolazione.

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Simpatia palese verso l'Italia, dimostrata sia dagli aviatori nei vari campi e riunioni, sin dal popolo radunato numeroso in occasione dei varii ricevimenti al Ministero dell'Aeronautica, alla villa di Goering, al palazzo del Cancelliere, alla parata militare per l'omaggio al Milite ignoto, alla fiaccolata militare.

In quest'ultima occasione assistevano allo spettacolo, rarissimo in genere, eccezionale nei riguardi di stranieri, parecchie migliaia di cittadini che hanno calorosamente applaudito agli inni Italiani suonati per intero dalle musiche militari.

Lo stato d'animo tedesco verso le Nazioni europee è a mio avviso il seguente, fondato specialmente su confidenze fattemi dal Sottosegretario Milch dopo un banchetto in cui aveva abbondantemente libato, e dal ricevimento privato del Ministro Goering:

--Verso la Francia: disprezzo assoluto; si ritiene che la nazione sia per parecchi anni ormai impaurita ed imbelle, incapace comunque di azioni offensive.

-Verso la Cecoslovacchia; odio vivissimo, misto a disprezzo. Non si perdona a tale nazione di aver costituito una pedana per l'Aviazione Russa in caso di guerra. Non le viene attribuita alcuna capacità militare.

Verso l'Inghilterra: odio mal celato, ma necessità di cordiali rapporti. Non si perdona all'Inghilterra la frase che i suoi confini sono al Reno, ma si ha bisogno della sua benevola neutralità contro la Russia e sopratutto si ha bisogno del suo oro. Non altrimenti si spiegherebbe l'imponente attrezzatura di una aviazione da ultra miliardari e la formidabile mole di lavori pubblici in atto. È vero che il popolo tedesco dopo la rovina inflazionistica non risparmia, e che il denaro corre in modo vertiginoso; ma è impossibile aver prodotto in misura così colossale, e continuare sullo stesso ritmo, senza un sicuro appoggio finanziario dell'estero.

La soggezione larvata verso l'Inghilterra è così forte che, pur avendomi il Sottosegretario Milch ripetutamente assicurato che nessuna missione tedesca si sarebbe recata a Londra per l'annuale parata di Hendon e l'esposizione dell'industria aeronautica inglese, nel pomeriggio dell'ultimo giorno, mentre era con me a colloquio dopo la colazione, ricevette improvviso ordine da Hitler di partire l'indomani per Londra a rappresentare la Germania: ciò in seguito a telegramma di .Ribbentrop che rappresentava il pessimo effetto prodotto a Londra dalla nostra missione a Berlino e dalle cordialità ricevute. Tale ordine esasperò Milch -in apparenza almeno -e lo spinse maggiormente sulla via delle confidenze.

-Verso la Russia: odio e timore per il bolscevismo, che ha ancora in Germania ramificazioni, come qualche atto di sabotaggio aeronautico -riservatamente confessatomi -ha dimostrato.

La Russia è considerata come futuro campo di azione e di conquista, da preporre alle rivendicazioni coloniali e all'Anschluss, secondo esplicita energica dichiarazione di Milch e Goering. Si intenderebbe marciare nel '38 contro la Russia, insieme alla Polonia, consenzienti l'Inghilterra e il Giappone. È biasimata la nostra collaborazione (?) industriale con la Russia e la nostra attitudine agnostica (?) nei suoi riguardi. Si pensa alla costruzione di aeroplani

da bombardamento pesante tipo « URAL >> con raggio d'azione che comprende tutto il territorio russo fino agli Urali. -Verso i Balcani e l'Ungheria: stati di nessuna importanza politica nociva, già considerati facenti parte de la sfera d'influenza tedesca.

-Verso l'Austria: riserbo assoluto, ma ripetute assicurazioni di rispetto alla sua integrità territoriale, minacciata soltanto da pochi fanatici bavaresi che non hanno assolutamente il beneplacito da Berlino.

-Verso l'Italia: massima cordialità, speranza, aspettativa. Mal celata diffidenza, inasprita dalla conoscenza di nostri patti militari con la Francia. Ammirazione sconfinata per il Duce. Riconoscenza per la nostra aviazione che li ha aiutati istruendo i loro piloti in momenti difficili. Desiderio vivissimo di collaborare per l'egemonia in Europa. La popolazione -ed è la prima volta --ha spontaneamente e calorosamente applaudito ai nostri inni nazionali.

Hitler, Goering e Milch mi hanno ripetutamente incaricato -e gli ultimi due lo hanno ripetuto nei loro discorsi ufficiali -di assicurare il Duce che non dimenticheranno mai l'aiuto ricevuto da noi per la ricostruzione della loro aviazione.

Constatazione di carattere aeronautico

Premetto una cifra che può dare idea dello sforzo in atto: nel 1935 l'aviazione itedesca ha avuto 340 morti, dei quali 35 per il volo a vela. Tale cifra non accenna a diminuire.

Altre cifre sintomatiche sono: a) produzione di 400 apparecchi mensili, dei quali 200 da bombardamento pesante. b) costituzione di 200 campi di atterraggio, moderni e tecnicamente perfetti, serviti da ferrovia interna, da autostrada perimetrale con pozzetti di erogazione benzina ogni 100 metri. Molti campi sono mascherati da finte strade che attraversano la zona d'atterraggio, non segnalata da alcun distintivo regolare. Ovunque vi sono installazioni per il volo notturno. L'attrezzatura a terra permette l'impiego bellico di almeno diecimila aeroplani. Sono stati spesi per i 200 campi due miliardi di marchi. c) gli operai della Junkers sono passati da 700 sul finire del '33 a ventimila odierni: quelli della Heinkel da 400 a 5000. Nuove officine modernissime sono sorte nel '35 e talune sono ancora in corso di ultimazione: tutte con macchinario ed attrezzaggio ultimo modello e con lavorazione a catena.

1) Ordinamento

Il Ministro dell'Aria, ormai ultimato, ha una capacità quattro volte superiore al nostro. Vi sono occupati circa 2000 impiegati. Si osserva l'orario unico, con sistemi di mensa e organizzazione interna ricopiati dai nostri.

Gli aeroporti sono stati costruiti ex nova nel numero di 200, con superficie media di 200 ettari: molti hanno dimensioni superiori ai 2 Km. di lato. In tutti i campi vi è la divisione in due parti per la partenza e gli atterraggi. Possono contemporaneamente rifornirsi su ogni campo 50 apparecchi, con alimentazione indipendente. Gli hangars e gli alloggi sono mascherati e mimetizzati, approfittando dei numerosissimi boschi marginali. In ogni campo ha normalmente sede un gruppo, diviso in 5 o 6 hangars: gli alloggi e i servizi con tano per ogni gruppo da 35 a 40 padiglioni in muratura, tutti molto confortevolmente attrezzati: ogni gruppo ha 10 automobili a 4 posti ed un numero imprecisato di autocarri.

Le officine sono tutte dotate di ricoveri antiaerei: possiedono una guardia armata molto numerosa, per il servizio di polizia e la difesa antiaerea: lavorano tutte in tre turni.

Nella officina principale Junkers a Dessau, ho assistito ad una interessante fase di lavorazione a catena: in due hangars erano sistemate 6 file di apparecchi trimotori da bombardamento su 4 apparecchi ciascuna: in ogni fila i primi 6 apparecchi, pronti, lasciavano l'hangar con a bordo l'equipaggio di collaudo in volo: in 4 minuti erano sostituiti dai secondi 6, in cui gli stessi operai compivano le stesse operazioni di finitura. L'ultima schiera di 6 apparecchi era costituita da fusoliere cui venivano applicate le ali, già complete, provenienti per ferrovia dalle altre officine affiliate. La sola Junkers produce 6 apparecchi al giorno, 150 al mese.

L'organizzazione della DICAT e della protezione antiaerea, nonché un reggimento paracadutisti, fanno tutti parte integrante del Ministero dell'Aria.

2) Personale

L'improvviso enorme sviluppo ha richiesto provvedimenti di eccezione, taluno dei quali transitorio.

Tre accademie aeronautiche, ciascuna delle quali occupa una superficie superiore a quella dell'intera Villa Borghese, forniscono un gettito di 450 ufficiali all'anno.

La formazione dei quadri è completa nei gradi subalterni e nel grado di di capitano. Per gli Ufficiali superiori e generali, dato l'improvviso incremento e la insufficienza numerica dei vecchi ufficiali piloti di guerra, si è ricorso a prestito dall'Esercito, rivestendo con la divisa aeronautica un buon numero di ottimi ufficiali di terra. Si hanno pertanto molti reggimenti comandati da ufficiali di scarsa competenza aeronautica, che dànno quindi parte preponderante all'istruzione formale e disciplinare, con malumore dei piloti che non riconoscono in essi la necessaria capacità aeronautica.

Tale fenomeno è transitorio, in attesa che gli attuali ufficiali provenienti dall'Accademie maturino l'età (34 anni per gli ufficiali superiori) e l'esperienza per comandare unità complesse.

Forse da ciò dipende l'elevato numero di perdite, segnalato, come si è detto, a 340 annue. Pur tuttavia anche gli Ufficiali provenienti dall'Esercito volano ed hanno autorevolezza.

Non si pubblicano le notizie degli incidenti di volo. Non esiste un annuario, salvo che nelle mani del Sottosegretario e del Direttore del personale.

L'addestramento è intensissimo, assai buono e con formalismo esteriore notevole. Ogni reparto compie voli notturni per due volte ogni settimana. Ogni apparecchio è attrezzato per il volo strumentale e radiogoniometrico.

3) Materiale

Numericamente conta oggi 1500 apparecchi, di cui il 50% da bombardamento. Ha caratteristiche buone, ma notevolmente inferiori alle nostre. È in corso la completa rinnovazione con apparecchi di caratteristiche uguali a quelle dei nostri S. 81. I tedeschi contano di avere 3.000 apparecchi per la primavera del '37, 6.000 apparecchi per la primavera del '38.

L'attrezzatura delle basi è già oggi ampiamente sufficiente a tale numero.

Gli apparecchi sperimentali sono numerosi e notevoli, dislocati in 4 campi finitimi, che occupano 600 fra Ufficiali e ingegneri. Le loro caratteristiche sono inferiori alle nostre, pur sempre però notevolissime. È dato il massimo sviluppo al bombardamento rispetto alle altre specialità, con essenziale attenzione al tiro di caduta che è curato in modo particolare, sia come installazione delle bombe che come strumenti di puntamento.

La conclusione delle visite compiute porta alla considerazione che al principio del '38 la Germania possiederà la più forte armata aerea d'Europa, tutta indirizzata a scopo esclusivamente offensivo: che tutto l'orientamento della nazione è volto ad una disperata valorizzazione dell'immenso sforzo compiuto: che la potenza aerea tedesca costituisce un fattore di formidabile peso, che è desiderabile avere amico anziché avversario.

Si allega una precisa documentazione tecnica.

(l) Il documento è privo di data.

2

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 3783/1300. Berlino, 18 settembre 1936 (per. il 21).

Ho avuto, proprio oggi, occasione di tornare con Ribbentrop sulla questione di Locarno. Date le sue tendenze e la parte che egli ha avuto così nelle discussioni preliminari per un patto aereo, come nella elaborazione del piano di pace del Fil.hrer (1), ho ritenuto opportuno, prima della sua partenza per Londra, di schiarirgli, per così dire, le idee.

Credo di esserci riuscito. Con i testi alla mano, gli ho mostrato che le dichiarazioni del Fuhrer, mentre sono chiare e precise per quanto riguarda l'idea base, non lo sono altrettanto per quelle accessorie, nelle quali egli ha in fondo creduto di venire incontro, con delle mezze concessioni, ai desideri franco-inglesi. Il «piano di pace» di Hitler del 31 marzo dice infatti, ai numeri 10 e 11:

« La Germania, il Belgio e la Francia e le due Potenze garanti convengono di iniziare subito, o al più tardi dopo terminate le elezioni francesi, sotto la presidenza del Governo britannico, trattative per la stipulazione di un patto di non-aggressione e di sicurezza della durata di 25 anni tra la Francia e il Belgio da una parte, e la Germania dall'altra.

La Germania accetta che tale patto di sicurezza sia nuovamente firmato dall'Inghilterra e dall'Italia quali Potenze garanti».

Fin qui, la cosa è chiara. Tanto più se interpretata, come deve essere, alla luce del discorso al Reichstag del 7 marzo, la proposta significa, nè più nè meno, nella sua vecchia concezione, Locarno.

Il successivo numero 12 del piano hitleriano dice peraltro: «Qualora da tali patti di sicurezza derivassero speciali obblighi d'assistenza militare, la Germania si dichiara disposta ad assumere anch'essa simili obblighi».

l) Intanto, si deve trattare evidentemente, di «obblighi» di assistenza militare generici, perché, ove diventassero specifici, cioè si avvicinassero a convenzioni militari vere e proprie a tipo bilaterale, essi diventerebbero incompatibili l'uno con l'altro; ma, ciò che più importa è che:

2) nella frase «la Germania si dichiara anch'essa disposta ad accettare simili obblighi (di assistenza militare)» è -o può vedersi -implicita una nozione di «reciprocità», che non avrebbe niente a che fare con la concezione originaria locarniana.

E, ancora, l'art. 13 dice: «Il Governo germanico rinnova qui la proposta di concludere un patto aereo a complemento e rafforzamento di tali patti di sicurezza». Anche questo andrebbe bene semprechè, però, la costruzione del patto aereo seguisse esattamente le linee del piano principale. Il momento che se ne allontanasse per accostarsi ai patti del genere a suo tempo propugnato dall'Inghilterra, il patto aereo, cioè l'accessorio, finirebbe col falsare il principale, cioè un eventuale nuovo patto di Loca:!"'10. Mi sono reso conto, nella discussione con Ribbentrop, che tutti questi punti erano assolutamente -o quasi -sfuggiti a chi a suo tempo preparò il piano di pace. Ribbentrop si è peraltro reso esatto conto delle mie osservazioni e, comunque, come già a più riprese ho fatto con il personale dell'Auswartiges Amt, ho tenuto a ribadire con lui che in tanto l'Italia aveva a suo tempo approvato il piano hitleriano in quanto lo aveva, sulla stessa base delle dichiarazioni di Hitler, interpretato sopratutto come un invito a negoziare una nuova Locarno nei termini e secondo la concezione della vecchia. Ho, quindi, fatto le mie più ampie ed esplicite riserve per una Locarno che invece fosse concepita, o comunque divenisse, il prototipo di quei nuovi patti regionali a cui, dopo il riconosciuto fallimento del congegno societario generale oggi esistente, la Francia, e forse anche l'Inghilterra, vorrebbero ora affidare il pratico funzionamento dell'art. 16 del Covenant. Devo riconoscere di aver trovato Ribbentrop pienamente consenziente in queste riserve. Per parte sua, egli ha poi aggiunto che:

l) quando si tratterà di riesaminare i cosiddetti « casi di eccezione >> al patto di Locarno, la Germania, mentre potrà ammettere nuovamente l'eccezione polacca, non potrà ammettere, nè l'eccezione russa, nè quella cecoslovacca che praticamente ora la equivale.

2) Un'altra delle difficoltà maggiori del negoziato sarà poi quella di determinare come e da chi debba essere accertata e riconosciuta la qualità di aggressore (difficoltà questa nella quale è implicito tutto il problema della riforma della S.d.N.).

È con queste constatazioni che oggi ha avuto fine la nostra conversazione, che peraltro siamo rimasti intesi di riprendere nuovamente prima della partenza definitiva di Ribbentrop per Londra. Dico definitiva perchè sembra che Ribbentrop si proponga di recarsi a Londra fra non molto, solo per non tardare oltre a presentare le credenziali, salvo poi ad assentarsene nuovamente per un breve periodo di vacanze.

Non è escluso, (io non ho mancato di rinnovare apertamente a Ribbentrop i richiami già fatti così dal Duce come dalla E.V. alle sue ripetute manifestazioni di «tripartitismo ») che, in questo periodo, Ribbentrop trovi pure modo come io l'ho incoraggiato -di fare una scappata in Italia sopratutto se frattanto, come sembra possibile, si decida ad andare a Roma -in cerca di sole la signora Ribbentrop.

P. S. Come V. E. vede, da questa mia conversazione con Ribbentrop -che è poi quello praticamente destinato a negoziare a Londra -le idee tedesche in materia sono tutt'altro che definite e precise. Mi permetto quindi ritenere che, nelle circostanze, convenga di non tardare oltre a fissare -sui punti fondamentali -la posizione nostra.

(l) Vedl p. 177, nota 4.

3

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 444 7/1532. Berlino, 31 ottobre 1936 (per. il 3 novembre).

Ieri ho avuto una nuova, interessante conversazione con Dieckhoff su Locamo. Egli mi ha indicato come segue la posizione tedesca di fronte alla risposta francese.

È evidente, in primo luogo, che il Patto proposto dalla Francia (l) è fondamentalmente diverso dal vecchio Locarno. Quello auspicato dal Quai d'Orsay è un patto di assistenza mutua, in pie>1o e senza sottintesi. La Germania non può aderirvi.

A parte questo, il memorandum francese del 30 settembre contiene evidentemente molta « zavorra », di cui il Quai d'Orsay ha forse voluto munirsi per abbandonarla strada facendo, al solo scopo di aumentare artificiosamente il margine delle possibili reciproche concessioni e transazioni.

È in questa luce che l' Auswartiges Amt interpreta la proposta N. 5 del memorandum francese, secondo la quale la garanzia del patto viene estesa nientemeno che alle «possessions et dépendances » delle parti contraenti. Questo significa spostare tutto il piano del patto e dargli un quadro e una portata «mondiale:.. Che Germania ed Italia debbano essere chiamate anche a

stesso mese (testo in DDF, vol. III, D. 313).

riconoscere la inviolabilità degli imperi coloniali francese e inglese è veramente un poco troppo. Del resto, la stessa Inghilterra sembra ben lontana da una simile pretesa.

Analogamente per quanto riguarda la proposta per una « limitazione degli

armamenti aerei », che con grande disinvoltura la Francia vorrebbe legare ad un patto aereo locarniano. Anche ai tempi delle conversazioni Simon-Eden del 1935 a Berlino era ben inteso che ogni questione di limitazione avrebbe dovuto essere trattata a parte e in un quadro necessariamente generale (comprendente anche l'U.R.S.S., etc., etc.).

Addirittura sbalorditiva appare poi la proposta francese intesa a «limitare lo stabilimento ulteriore di fortificazioni in zone da determinare (N. 7 del memorandum)», proposta che, se accettata, farebbe nientemeno che rivivere la servitù renana!

Il Memorandum francese ha, infine, con molta eleganza, cercato di saltare a piè pari la questione delle <<eccezioni», assorbendola e facendola rientrare nello stesso funzionamento normale del Patto della S.d.N. (N. 10 del Memorandum francese). Ciò naturalmente non risolve niente, in quanto, aumentando, anziché restringendo il numero delle eccezioni, rende ancora più acuta la situazione di fatto creata dall'opposizione itala-tedesca alla S.d.N.

Queste le osservazioni più generali e che, sotto riserva di ulteriori dettagli, mi ha fatto ieri Dieckhoff. L'ultima di queste osservazioni, quella relativa alla S.d.N. ha dato luogo da parte di Dieckhoff ad altri interessanti rilievi, che ritengo utile riportare e che investono la tattica e la condotta da parte tedesca delle discussioni locarniane.

Giova premettere che l'ambasciatore François-Poncet, vedendo mercoledì scorso Dieckhoff, gli ha dichiarato essere sua convinzione che gli accordi Ciano-Neurath per un fronte comune antibolscevico ed antisocietario « ammazzano ogni speranza di una nuova Locarno », antibolscevismo ed antisocietarismo fondendosi, agli occhi di François-Poncet, in una cosa sola dato che, appunto, il memorandum francese -secondo quello che il Quai d'Orsay sembrava ritenere una vera «trovata» -aveva assorbito la eccezione del trattato franco-sovietico nella nozione di consonanza e concordanza generale ai principi societari. Partendo da questa prenessa, e dato che il fronte comune stabilito dalla visita Ciano sembrava sfondare, nel suo punto centrale, il nuovo «piano» del Quai d'Orsay, l'ambasciatore François-Poncet arrivava ad ogni sorta di conclusioni più o meno catastrofiche. Si tratta evidentemente di una manovra, intesa a rigettare sull'Italia e la Germania la responsabilità del fallimento di una nuova Locarno.

Orbene, mi ha detto Dieckhoff, tanto la Germania quanto l'Italia avrebbero interesse a non prestarsi a questa manovra, interesse, anzi, tanto maggiore quanto minori sono in fatto le probabilità di successo delle trattative locarniane. La Germania, per conto suo, ha tenuto a dare sin dal principio l'impressione di ispirarsi a intenti positivi. Questa impressione vorrebbe più che mai mantenere ora, mostrando:

a) che l'attenersi alla concezione della vecchia Locarno, anzichè complicare le cose, le semplifica, ogni proposta di innovazione creando necessariamente difficoltà nuove e maggiori;

b) che, per quanto riguarda l'eccezione del trattato franco-sovietico, essa è inammissibile, sia perché posteriore alla vecchia Locarno, sia perchè, alla luce degli avvenimenti spagnuoli, essa si rivela particolarmente pericolosa alla pace dell'Europa;

c) che per quanto riguarda infine la S.d.N., tre ordini di considerazioni si impongono:

l) in primo luogo, che la cessazione della servitù renana (e conseguentemente di tutti i controlli che virtualmente ne dipendevano) fa, per se stessa, venire meno la ragione d'essere dei legami della vecchia Locarno col patto societario;

2) in secondo luogo, che il vecchio Patto di Locarno, per il solo caso in cui veramente conta (caso della flagranza) è già assolutamente indipendente dalla S.d.N.;

3) infine che, per il resto, sarebbe più che ragionevole, quanto meno, «riservare ~ ogni ulteriore connessione del Patto con la S.d.N. fino a quando non si veda chiaro nelle riforme del Covenant già in istudio e nella forma che esso sarà definitivamente per assumere (art. 16).

Queste argomentazioni di Dieckhoff hanno naturalmente carattere soltanto esemplificativo, ma sono a mio parere sufficienti a far comprendere che la Germania preferisce, pur mantenendo sostanzialmente integri i suoi punti di vista, manovrare in maniera da apparire animata da idee ed intenti costruttivi e da allontanare da sè ogni accusa di sabotaggio e di siluramento di una nuova Locarno. Tutto ciò naturalmente, specie agli effetti dell'Inghilterra, che si desidererebbe tanto più « amenager ~ nella forma e sul terreno diplomatico, quanto meno lo si è fatto e si intende farlo nella sostanza e sul terreno polemico e di stampa.

Istruttivo in proposito è quello che accade, proprio in questo momento, in Germania a proposito delle colonie, attraverso i discor,si e, si può quasi dire, i veri e proprii attacchi all'Inghilterra, di Goring e di Goebbels (1).

(l) Con memorandum datato 30 settembre, di risposta alla nota britannica del 17 dello

4

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. U. 4977/1679. Berlino, 5 dicembre 1936 (2).

V. E. avrà saputo da Hassell --il quale ne è stato informato fin da martedì 1° dicembre -che l'Auswartiges Amt ha fatto avanzare al Foreign Office in merito alla nota inglese locarniana di due-settimane fa (3) una domanda verbale di chiarimenti (4).

Non si tratta già --si insiste qui --di una risposta, anche soltanto preliminare od interlocutoria alla nota stessa, bensì di una domanda diretta ad ottenere delle precisioni sopra un punto essenziale e pertanto indispensabile alla considerazione stessa ed all'esame della nota inglese, mancando le quali la Germania si troverebbe nella impossibilità di comunque pronunciarsi.

Premetto che la nota inglese non è riuscita qui molto chiara. Non si sa, cioè, se interpretarla in un senso negativo oppure relativamente conciliativo.

Quanto al lo punto (patto triangolare) si ritiene che la nota inglese riveli più che altro una situazione di imbarazzo, indice, secondo l' Auswartiges Amt di una certa indecisione circa la convenienza, o meno, a insistere ulteriormente sulla cosa.

Per quanto riguarda il 2° punto riguardante le eccezioni, si riconosce che la formula inglese -sostanzialmente conforme a quella francese (l) -anzichè diminuirle, le moltiplica. Senonchè, l'avere assunto come base il principio della conformità al patto Kellogg di cui anche la Germania è firmataria pone la Germania nella necessità di non lasciarsi andare ad argomentazioni che possano comunque implicare da parte sua dei propositi «aggressivi».

Rimane il 3° punto, che finisce con l'assumere, nella nota inglese, l'importanza maggiore e secendo il quale tutto il funzionamento del patto -e persino di 1quelli ad esso connessi attraverso le eccezioni -dipenderebbe, (o sembrerebbe esser fatto dipendere) dalla constatazione dell'aggressore da parte del Consiglio della Società delle Nazioni.

La questione che sorge a questo punto è la seguente. L'Inghilterra ha fatto questo soltanto a scopo negativo, oppure per mettere nelle ruote del funzionamento, mettiamo, del patto franco-sovietico, l'intoppo -praticamente decisivo -di una votazione unanime del Consiglio?

In questo secondo caso, l'Inghilterra potrebbe avere voluto stendere alla Germania una tavola di salvezza e, quindi, prima di rispondere, sarebbe il caso di saperlo. Donde la domanda di chiarlmenti che, con riferimento ai paragrafi 9 'e 13 della nota inglese, svolge in sostanza il punto seguente:

La nota inglese stabilisce con esattezza il funzionamento del patto per quanto si attiene a conflitti fra firmatari del patto. Non altrettanto nel caso di conflitti tra firmatari e non firmatari (eccezioni). Nel caso, ad esempio, di un conflitto flagrante fra Germania e Russia o Cecoslovacchia, che chiamasse in gioco il patto franco-russo o franco-cecoslovacco chi deciderebbe della flagranza e quindi dell'automatismo del patto? La Francia sola, di accordo, volta a volta, con la Russia o la Cecoslovacchia? Oppure il Consiglio -unanime -della Società delle Nazioni?

È questo il punto essenziale che la nota inglese non chiarisce e che il Foreign Office è ora invitato a chiarire prima che l'Auswartiges Amt possa iniziare lo studio e la considerazione della nota. Questa, infatti, non è stata ancora sottoposta non solo al Fiihrer ma neanche allo stesso Neurath, l'ufficio giuridico avendo dichiarato che esso non si sente di potere -nell'ignoranza della precisione di cui sopra -comunque formulare un giudizio di merito.

Tre ipotesi sono ora possibili: l) çhe l'Inghilterra risponda rimandando questo « dettaglio ~ a discussioni ulteriori. In questo caso la Germania risponderebbe di ... non poter rispondere; 2) che l'Inghilterra riconosca il funzionamento automatico del patto franco-sovietico come devoluto alla sola Francia. In questo caso, essa rivelerebbe i suoi propositi nettamente e interamente negativi e la Germania risponderebbe immediatamente in senso anch'essa decisamente negativo; 3) che l'Inghilterra, invece, subordini il funzionamento del patto francosovietico -in ogni caso, compreso quello della flagranza -ad una decisione « unanime» del Consiglio. In questo caso, la Germania sarebbe costretta a riesaminare la propria posizione cercando di conciliare l'indubbio beneficio della concessione con le sue posizioni antisocietarie.

Ritornerò sull'argomento alla prima occasione. Intanto, mi sembra che quanto sopra basti a dimostrare la necessità di una presa di posizione anche da parte ·nostra. Ci sarebbe da domandarsi ad esempio se non converrebbe anche a noi di domandare all'Inghilterra una risposta alla nota nostra, quella inglese non contenendo al riguardo precisioni di sorta. Che anzi, essa domanda, sul punto fondamentale del carattere del patto, ulteriori precisazioni a noi. Saremmo invece proprio noi a doverle domandare a lei.

A parte questo mi sembrerebbe in ogni caso necessario procedere anche noi allo studio della nota inglese, in maniera da poter iniziare subito con la Germania le consultazioni previste dagli accordi di Berlino. Non è da escludere che l'Auswartiges Amt si proponga di rispondere alla nota britannica per la fine del mese.

P.S. Nell'occasione, mi permetto far rilevare che questa ambasciata non ha a tutt'oggi ricevuto copia della nota inglese cui il presente rapporto si riferisce. Pregherei compiacersi spedirmene una al più presto.

(l) -II documento ha il visto d! Mussolin!. (2) -Manca l'Indicazione della data d! arrivo. (3) -Vedi p. 572, nota 3. (4) -Per la quale si veda DDT., vol. VI, D. 69. Von Hassell era stato incaricato di informare il governo !tallano del passo compiuto a Londra e di chiarire che si trattava di una semplicerichiesta d! informazioni: prima di prendere posizione nel riguardi del memorandum britannico, Il governo tedesco si sarebbe consultato con Roma (ibid., nota 6). Negli archivi itallani non è stata trovata documentazione del passo compiuto da von Hassell in ottemperanza a a queste Istruzioni.

(l) Vedi p. 791, nota l.

5

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5072/1700. Berlino, 11 dicembre 1936 (1).

La precisazione di cui al mio rapporto 5 dicembre n. 1679 (2) è stata, dal nuovo consigliere dell'ambasciata tedesca a Londra signor Woermann richiesta, verbalmente, al Foreign Office nella persona del capo dell'Ufficio legale, Malchim.

La risposta è stata tutt'altro che soddisfacente. Malchim ha eccepito che anche il vecchio trattato di Locarno non conteneva nessuna disposizione circa l'azionamento del patto nel caso di eccezione. Non v'era quindi nessuna ragione perché dovesse contenere il nuovo trattato.

(l} Manca l'indicazione della data di arrivo.

È seguita fra i due una discussione che non vale la pena di riferire, dimostrante però abbastanza chiaramente che, nei limiti in cui non riuscisse ad evadere una risposta, il giurista del Foreign Office si manteneva -sul punto sottomessogli -sostanzialmente negativo.

Richiesto da Woermann se questo suo modo di vedere dovesse essere preso come espressione ufficiale e definitiva delle vedute del governo di S. M. Britannica, Malchim ha risposto di aver parlato soltanto a nome proprio, aggiungendo peraltro che si riservava una conferma ufficiale fra qualche giorno, e ciò, si pensa qui a Berlino, sopratutto per avere il tempo di consultare Parigi.

Ma, non astante questa riserva, l'Auswartiges Amt non si fa ormai alcuna illusione sulla portata reale della proposta britannica (1), evidentemente intesa, soltanto, a coprire con una formula più generale e ritenuta più inattaccabile di quella del Quai d'Orsay, la proposta già fatta dalla Francia (2).

Salvo, perciò, novità, rimarrebbe stabilito che, in caso di eccezioni, il solo giudice della flagranza e quindi della legittimità dell'azionamento del patto rimarrebbe la Francia insieme -volta a volta -con la Polonia, la Cecoslovacchia, la Russia Sovietica.

A questo la Germania non può, in alcun modo, accondiscendere. L'Auswi.i.rtiges Amt si prepara quindi, senza alcuna fretta, a preparare una risposta alla nota inglese in maniera assolutamente negativa.

In questa stessa direzione mi sembra pure agire la crescente convinzione (vedansi le ancor recenti assicurazioni Eden-Delbos di prestarsi mutamente assistenza in ogni caso di aggressione non provocata) (3) che ormai la intesa -cordiale o no, ma comunque incondizionata -tra Francia e Inghilterra è un fatto compiuto e che la nuova Locarno non sarebbe probabilmente che il velo pudico per coprirla.

(2) Vedi appendice. D. 4.

6

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 5280/1777. Berlino, 30 dicembre 1936 (per. il 2 gennaio 1937).

Telegramma per corriere n. 5532 R/C in data 23 u.s. (4).

Un sondaggio da me compiuto giorni fa con Neurath in materia di rapporti e di garanzie belgo-tedesche ha portato alla conferma della opinione già espressami da Dieckhoff che una qualche cosa di diretto fra Germania e Belgio non sarà 'possibile se non in una fase post locarniana e dopo l'eventuale fallimento· di trattative per un nuovo patto occidentale.

Anche la garanzia triangolare anglo-franco-tedesca non trova qui molto seguito, sebbene sembri rappresentare la tesi di Ribbentrop. Si osserva, che la opinione di Ribbentrop e quella del Fllhrer in proposito non coincidono (5).

(l) -Vedi p, 572, nota 3. (2) -Vedi p. 791, nota l. (3) -Discorso di Eden del 20 novembre a Leamlngton (vedi p. 532, nota) e dichiarazioni di Delbos alla Camera del 4 dicembre (vedi p. 734, nota). (4) -Ritrasmetteva Il T. per corriere 12336/091 R. del 25 novembre da Bruxelles nel quale erano riportati i risultati di una Inchiesta effettuata dal giornale Vingtfème Siècle circa 1 posslblllsviluppi del rapporti belgo-tedeschi. (5) -Il documento ha Il visto di Mussollnl.
<
APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(1° settembre-31 dicembre 1936)

MINISTRO

CIANO DI CORTELLAZZO Galeazzo, ambasciatore.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

BASTIANINI Giuseppe, ambasciatore.

GABINETTO

Coordinamento generale -Affari confidenziali -Ricerche e studi in relazione al lavoro del ministro -Rapporti con la Real Casa, con la Presidenza del Consiglio e col P.N.F. -Relazioni del ministro col Parlamento e col corpo diplomatico -Udienze -Tribuna diplomatica.

Oapo di gabinetto: DE PEPPO Ottavio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l" classe.

Vice capo di gabinetto, capo della segreteria particolare del ministro: ANFUSO Filippo, primo segretario di legazione di 2• classe, dal 6 ottobre di 1• classe.

Ufficio del gabinetto: CARuso Casto, console di 3• classe, dal 21 dicembre di 2• classe; VENTURINI Antonio, console di 3• classe, fino al 15 settembre; LANZA n'AJETA Blasco, vice console di P classe, dal 21 dicembre console di 3• classe; SOLARI Pietro, MOSCATO Niccolò, vice consoli di P classe; CARACCIOLO Fi· lippo, CLEMENTI Raffaele, vice consoli di 2• classe; GENTILE Benedetto, addetto consolare, dal 21 dicembre vice console di 2• classe.

Ufficio della segreteria: NICHETTI Carlo, console di 2• classe; SANFELICE Antonio, vice console di 2• classe, dal 21 dicembre di la classe; BELLIA Franco, vice console di 2• classe; MARIENI Alessandro, addetto consolare, dal 21 dicembre vice console di 2• classe.

Studi e ricerche: VIDAU Luigi, console generale di 2• classe.

Segreteria particolare del sottosegretario: AssETTATI Augusto, console di 38 classe, dal 21 dicembre di 2• classe; PuRI Giuseppe, volontario diplomatico consolare, dal 15 ottobre addetto consolare.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo -Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari -Franchigie in materia doganale ai regi agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia -Massimario -Visite e passaggi di capi di Stato, principi e autorità estere -Decorazioni nazionali ed estere.

Capo ufficio: VIOLA Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 1• classe.

Segretari: CITTADINI Pier Adolfo, primo segretario di legazione di 1• classe; MAcCHI DI CELLERE Pio, console di 2• classe, dal 21 dicembre primo segretario di 2• classe; GuERRINI MARALDI Agostino, console di 2• classe.

UFFICIO DI INTENDENZA

Archivio storico -Biblioteca -Pubblicazioni di carattere amministrativo -Custodia e manutenzione della sede del ministero -Servizi automobilistici e telefonici -Disciplina del personale di servizio.

Capo ufficio: ToscANI Angelo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 1• classe. Addetto all'ufficio: UGOLINI Guido, primo commissario consolare.

Archivio storico

Direttore: N.N.

Biblioteca

Bibliotecario: PIRONE Raffaele. Vice bibliotecario: N.N.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI DI EUROPA E DEL MEDITERRANEO

Direttore generale: BuTI Gino, inviato straordinario e ministro plenipot!lnziario di 1• classe. Vice direttore generale: GuARNASCHELLI Giovanni Battista, console generale di 1• classe. Addetto alla direzione generale: GALLI Guido, console generale di 2• classe.

UFFICIO I

Belgio -Danimarca -Francia -Germania -Gran Bretagna -Lussemburgo -Paesi Bassi -Polonia -Portogallo -Spagna -Stati baltici -Stati scandinavi -Svizzera -Unione delle repubbliche sovietiche socialiste.

Capo ufficio: PRUNAS Renato, primo segretario di legazione di 1• classe. Segretario: EMO CAPODILISTA Gabriele, vice console di 2• classe, dal 21 dicembre di la classe.

UFFICIO II

Austria -Bulgaria -Cecoslovacchia -Grecia -Jugoslavia -Romania Turchia -Ungheria -Affari concernenti le isole italiane dell'Egeo.

Capo ufficio: N.N.

Segretari: JANNELLI Pasquale, primo segretario di legazione di P classe; AMBROSETTI Gino, console di 2a classe, dal 21 dicembre primo segretario di legazione di 2a classe; WINSPEARE Vittorio, volontario diplomatico-consolare, dal 15 ottobre addetto consolare.

UFFICIO III

Mediterraneo -Paesi del Mediterraneo e del Mar Rosso -Africa Orientale Italiana.

Capo ufficio: GUARNASCHELLI Giovanni Battista, predetto.

Segretari: ZOPPI Vittorio, primo segretario di legazione di la classe, dal 6 ottobre consigliere di legazione; CATTANI Attilio, console di 2a classe; D'AQUI

8

NO Alfonso, vice console di classe; PIERANTONI Aldo, volontario diplomatico-consolare, dal 21 dicembre vice console di 2a classe, fino al 27 dicembre; PROFILI Giacomo, volontario diplomatico-consolare, dal 15 ottobre addetto consolare.

UFFICIO IV

Albania.

Capo ufficio: GumoTTI Gastone, primo segretario di legazione di 28 classe, reggente.

Segretario: N.N.

UFFICIO V

Affari con la Santa Sede.

Capo ufficio: BELLARDI RICCI Alberto, consigliere, dal 1° ottobre inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 28 classe.

Segretario: TosCANI MILLO Antonio, volontario diplomatico-consolare, dal 15 ottobre addetto consolare.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI TRANSOCEANICI

Direttore generale: CoRTESE Luigi, consigliere; GRAZZI Emanuele, console generale di 18 classe, dal 10 dicembre.

Vice direttore generale: PoRTA Mario, consigliere.

55 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. V

UFFICIO I

Africa (eccetto i paesi di competenza di altri Uffici).

Capo ufficio: PoRTA Mario, predetto. Segretario: N. N.

UFFICIO II

Asia (eçcetto i paesi di competenza di altri uffici) -Oceania.

Capo ufficio: BABUSCIO Rizzo Francesco, primo segretario di legazi'one di 2a classe. Segretario: FERRETTI Raffaele, console di 2a classe.

UFFICIO III

America del Nord.

Capo ufficio: PORTA Mario, predetto; SILENZI Renato, consigliere, dal 10 dicembre.

Segretario: CoNTARINI Giuseppe, volontario diplomatico-consolare, dal 15 ottobre addetto consolare.

UFFICIO IV

America latina.

Capo ufficio: N. N.

Segretario: TALLARIGO Paolo, volontario diplomatico-consolare, dal 15 ottobre addetto consolare.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI

Direttore generale: VITETTI Leonardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Vice direttore generale: PIETROMARCHI Luca, consigliere, dal 1° ottobre inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Addetti alla direzione generale: BovA ScaPPA Renato, consigliere, dal 1° ottobre inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe; RAINERI BISCIA Giuseppe, ammiraglio di divisione; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nell'Università di Roma; Bosco Giacinto, professore ordinario di diritto internazionale nell'Istituto superiore di scienze politiche e sociali Cesare Alfieri di Firenze.

UFFICIO I

Società delle N azioni.

Capo ufficio; PIETROMARCHI Luca, predetto. Segretari: NARDI Luigi, console di la classe, dal 19 ottobre; MALASPINA Falchetto, console di 2a classe, dal 21 dicembre primo segretario di legazione di 2a classe; FLETTI Mario, console di 3a classe; BETTELONI Giovanni Lorenzo, volontario diplomatico-consolare, dal 7 ottobre addetto consolare, dal 21 dicembre vice console di 2a classe; GHENZI Giovanni, volontario diplomatico-consolare, dal 15 ottobre addetto consolare; ALOisi DE LARDEREL Folco, vice console di la classe, dal 6 dicembre.

UFFICIO II

Istituti internazionali e conferenze.

Capo ufficio: VITA-FINZI Paolo, console di la classe; GRAZZI Umberto, primo segretario di legazione di l a classe, dal 18 novembre. Segretario: SPALAZZI Giorgio, console di 2a classe, dal 21 dicembre primo segretario di legazione di 2a classe.

UFFICIO III

Trattati ed atti.

Capo ufficio: LANZARA Giuseppe, console di P classe. Segretario: MATACOTTA Dante, volontario diplomatico-consolare, dal 15 ottobre addetto consolare.

UFFICIO IV

Coordinamento militare, navale ed aeronautico -Affari riservati.

Capo ufficio: GERBORE Pietro, primo segretario di legazione di 2a classe. Segretari: SEGANTI Vittorio, console di 3a classe; Russo Augusto, volontario diplomatico-consolare, dal 15 ottobre addetto consolare; BEVILACQUA Michele, segretario capo dell'emigrazione; CoRsi Fernando, primo segretario dell'emigrazione.

UFFICIO V

Storico-diplomatico.

Ricerche e studi su materie storiche e questioni internazionali -Schedari -Rubriche -Pubblicazioni di carattere storico-diplomatico -Sezione geografica.

Capo ufficio: DI GIURA Giovanni, consigliere. Segretari: D~ RovAsENDA Vittorio, primo segretario di legazione di la classe; ToRNIELLI DI CRESTVOLANT Carlo Cesare, 0RSINI RATTO Mario, consoli di l a classe; BERTUCCIOLI Romolo, console di la classe, dal 9 settembre; CHASTEL Roberto, console di 3a classe.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI COMMERCIALI

Direttore generale: GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di la classe, consigliere di Stato, senatore. Vice direttore generale: CALISSE Alberto, console di la classe.

Addetti alla direzione generale: VAGNETTI Leonida, consigliere dell'emigrazione di 2a classe; FORINO Lamberto, commissario consolare; DEI MEDICI Ugo, vice intendente di finanza.

UFFICIO I

Affari generali -Comunicazioni aeree, terrestri e marittime -Fiere, congressi, esposizioni.

Capo ufficio: MoscA Bernardo, primo segretario di legazione di la classe. Segretario: ROTINI Ambrogio, console di 2a classe.

UFFICIO II

Commercio coi paesi d'Europa e del Mediterraneo.

Capo ufficio: CALISSE Alberto, predetto. Segretario: ScAGLIONE Roberto, console di 2a classe.

UFFICIO III

Commercio transoceanico.

Capo ufficio: SANTOVINCENZO Magno, console di l a classe. Segretari: LANZETTA Umberto, console di 2a classe; SIMONE Nicola, console di 3a classe, dal 18 novembre.

Centro di coordinamento dei servizi commerciali delle regie rappresentanze

Capo ufficio: MATTIOLI Enrico. Segretari: BENZONI Giorgio, console di P classe, dal 15 ottobre; LoGoLuso Antonio, vice console di la classe, dal 7 ottobre.

DIREZIONE GENERALE DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO

Direttore generale: PARINI Piero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe. Vice direttore generale: DE C1cco Attilio, console generale di la classe.

Addetti alla direzione generale: Nuccm Alfredo, console di 28 classe; SIRCANA Leone, console di 3a classe; BENEDETTI Dante, sostituto procuratore generale di corte d'appello.

Vice segretario generale dei Fasci all'estero: THAON DI REVEL Ignazio. Ispettore dei Fasci all'estero: CoLONNA Piero.

UFFICIO I

Organizzazioni fasciste e istituti di cultura.

Capo ufficio: DE C1cco Attilio, predetto.

Segretari: NoBILI VITELLESCHI Pietro, console di 1a classe; MININNI Marcello, volontario diplomatico-consolare, dal 15 ottobre addetto consolare; TEDEsco Pietro Paolo, segretario capo di ragioneria dell'emigrazione; FLAMINI Pietro, primo segretario dell'emigrazione.

UFFICIO II

Affari privati.

Capo ufficio: CAFFARELLI Filippo, consigliere.

Segretari; SOLLAZZO Guido, console di la classe; FORMICHELLA Giovanni, BUSI Gino, consoli di 2a classe.

UFFICIO III

Scuole all'estero.

Capo ufficio: NICOLA! Lorenzo, console di la classe.

UFFICIO IV

Lavoro italiano all'estero.

Capo ufficio: GERBASI Francesco, consigliere dell'emigrazione di la classe.

Segretari: MAsi Corrado, consigliere dell'emigrazione di 2a classe; MANCA Elio, segretario capo dell'emigrazione; CANNONE Nicolò, primo segretario dell'emigrazione; VACCHELLI Alessandro, primo segretario dell'emigrazione, dal 9 ottobre; IMMIRZI Alfonso, primo segretario dell'emigrazione, dal 29 ottobre.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE E DELL'AMMINISTRAZIONE INTERNA

Direttore generale: LEQUIO Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Vice direttore generale: BERGAMASCHI Bernardo, primo segretario di legazione di P classe, dal 6 ottobre consigliere.

Addetti alla direzione generale: ALBERTAZZI Enrico, presidente di sezione della Corte di Cassazione; MARZIANI Luigi, MONTESI Giuseppe, consiglieri dell'emigrazione di la classe; EMILIANI Luigi, primo commissario consolare.

UFFICIO I

Personale di gruppo A delle carriere dipendenti dal Ministero degli affari esteri -Personale consolare di seconda categoria -Uffici diplomatici e consolari all'estero -Ispezioni degli uffici all'estero -Questioni

che si riferiscono all'ordinamento del Ministero e delle carriere diplomatica, consolare e degli interpreti -Concorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento, consigli, commissioni e comitati presso l'Amministrazione centrale -Addetti militari, navali, aeronautici, commerciali, per la stampa e loro uffici -Personale e uffici diplomatici e consolari esteri in Italia -Bollettini del personale -Passaporti diplomatici, di servizio e ordinari, libretti e richieste ferroviarie per il personale -Rapporti con il P.N.F., la M.V.S.N. e le Amministrazioni dello Stato, per quanto riguarda il personale dipendente dal Ministero degli affari esteri.

Capo ufficio: BERGAMASCHI Bernardo, predetto.

Segretari: DANEO Silvio, console di 2a classe; SILJ Francesco, console di 3a classe; GIRETTI Luciano, volontario diplomatico-consolare, dal 15 ottobre addetto consolare.

UFFICIO II

Personale dei gruppi B e C e personale subalterno delle carriere dipendenti dal Ministero degli affari esteri, escluso il personale delle scuole italiane all'estero. Concorsi, nomine e ammissioni -Commissione di avanzamento e consigli del Ministero, ed in generale tutte le questioni relative alla carriera e all'ordinamento del personale suddetto -Bollettini che si riferiscono al personale stesso -Personale di ogni gruppo appartenente ad altre Amministrazioni e comandato presso il Ministero degli affari esteri -Personale avventizio in servizio presso l'Amministrazione centrale e gli uffici dell'emigrazione nel regno -Personale locale in servizio presso le regie rappresentanze diplomatiche e consolari.

Capo ufficio: FECIA DI CossATO Carlo, primo segretario di legazione di 1a classe. Segretario: N.N.

UFFICIO III

Edifici demaniali.

Gestione di tutti gli stabili e locali adibiti ad uso dell'Amministrazione centrale e dei RR. Uffici all'estero -Acquisto, vendita, affitto, permuta, manutenzione ordinaria e straordinaria, miglioramento e arredamento Assicurazioni, inventari e contratti -Locazioni di immobili e locali per uso dei RR. Uffici -Questioni concernenti la nuova sede per il Ministero degli affari esteri.

Capo ufficio: AssERETO Tommaso, consigliere. Segretario: N. N. Addetto all'ufficio: PIGNOCCHI Gino, geometra capo del corpo del genio civile.

Sezione tecnica

Dr FAUSTO Florestano, esperto tecnico.

UFFICIO IV

Servizi amministrativi.

Capo ufficio: RINVERSI Romolo, capo divisione dei commissari consolari.

Segretari: AGosTEO Cesare, capo sezione dei commissari consolari; LEONINI PrGNOTTI Augusto, commissario consolare capo; CERACCHI Giuseppe, commissario consolare capo, dal 10 novembre; ToRRES Oreste, primo commissario consolare, fino al 15 ottobre; SPATAFORA Gaetano, primo commissario consolare, dal 23 settembre; MANzo Ciro, commissario consolare, fino al 16 novembre.

Addetti all'ufficio: PAzzAGLIA Gino, capo sezione di ragioneria dell'emigrazione; RENGANESCHI Vittorio, segretario capo di ragioneria dell'emigrazione; PIRODDI Mario, primo segretario di ragioneria dell'emigrazione.

Cassa

BoNAVINO Arturo, capo sezione dei commissari consolari; RoTA Armando, segretario di ragioneria dell'emigrazione.

UFFICIO V

Corrispondenza e archivi -Tipografia riservata.

Organizzazione, sorveglianza degli archivi -Corrispondenza in arrivo e in partenza: accettazione, registrazione, spedizione ecc. -Controllo del carteggio degli uffici in relazione alla corrispondenza in arrivo -Archivi correnti -Servizio dei corrieri.

Capo ufficio: GRossARDI Antonio, console generale di la classe.

Segretario: GoBBI Giovanni, console di 2a classe, dal 21 dicembre console di la classe.

Tipografia riservata

Direttore: BERNI Fedele.

UFFICIO VI

Citra.

Capo ufficio: RoNcALLI Guido, consigliere.

Segretari: Rossi Paolo Alberto, CANNICCI Achille Angelo, consoli di P classe; BUZZI GRADENIGO Cesare Pier Alberto, console di 28 classe; DE MALFATTI DI MONTE TRETTO Carlo, console di 2a classe, fino al 1° dicembre; ZAsso Francesco, console di 3a classe, dal 21 dicembre console di 2• classe; EYNARD Carlo, console di 3a classe, dal 21 settembre; ScHININÀ Emanuele, console di 3a classe, dal 1° ottobre; GRANDINETTI Eugenio, vice consigliere dell'emigrazione.

Addetto all'ufficio: ANTINUCCI Umberto, maggiore di artiglieria.

RAGIONERIA CENTRALE (1)

Direttore capo della ragioneria: GIANDOLINI Romolo (F).

DIVISIONE I

Personale -Affari generali -Esame dei provvedimenti da sottoporre al Ministero delle finanze ed in genere di tutti quelli aventi comunque effetti finanziari -Riassunto degli elementi per la preparazione degli stati di previsione dell'entrata e della spesa e relative variazioni -Conto consuntivo, parte finanziaria e parte patrimoniale -Esame degli inventari -Competenze e pensioni relative a tutto il personale dipendente dal Ministero degli affari esteri escluso quello delle scuole italiane all'estero e quello del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione Riscontro del giornale di cassa per le gestioni di bilancio ed extra bilancio -Conto corrente infruttifero col Tesoro dello Stato -Partitario dei depositi ricevuti dai privati -Contabilitd speciali -Registrazione dei valori provenienti dall'estero, sia direttamente, sia a mezzo banche corrispondenti -Riscontro dei valori non monetari e degli effetti in deposito presso il cassiere del Ministero -Operazioni relative al finanziamento dei rr. uffici all'estero, accettazione delle tratte emesse dai titolari di essi e registrazione delle aperture di credito -Conto corrente con il Contabile del Portafoglio e conti dei relativi capitoli di entrata e di spesa della categoria Movimento di capitali -Tenuta dei conti impegni relativi ai servizi suddetti -Emissione e registrazione dei mandati -Archivio.

Direttore capo della divisione: BARTOLINI Luigi (F).

Capo sezione: MONTUORI Pietro (F).

Segretari: PALUMBO Francesco (F), BARDI Donatello (F), consiglieri; Tosi Emilio (F), primo segretario; OccHIONERO Matteo (F), AaRò Giuseppe, vice segretario; URBANI FALLANI Velia (F), ragioniere.

DIVISIONE II

Accertamento, riscossione e versamento delle entrate disposte dalla legge e dal regolamento dell'emigrazione -Scritture generali e speciali -Servizio delle marche da bollo da applicarsi sugli atti di arruolamento Liquidazione delle competenze ai rr. commissari imbarcati in servizio di emigrazione e rimborso delle stesse da parte dei vettori -Liquidazione ed approvazione delle contabilità per le spese relative all'emigrazione Inventario -Riscontro degli atti amministrativi e servizio cambiario per le scuole italiane all'estero -Locali scolastici e demaniali all'estero Gestioni speciali e scritture relative -Revisione, approvazione e liquidazione delle spese indicate nelle contabilità scolastiche mensili e varie

(l) Il personale contrassegnato con la lettera (F) fa parte del ruoli del Ministero delle finanze, quello contrassegnato con la sigla (Em.) fa parte del ruoli del Ministero degli ester! proveniente però dal soppresso Commissariato generale dell'emigrazione.

Tenuta degli impegni e scritture partitarie riassuntive per il servizio dell'emigrazione e delle scuole italiane all'estero -Monte pensione dei maestri elementari -Emissione dei mandati di pagamento relativi ai suddetti servizi.

Direttore capo della divisione: CIOTTI Remigio (Em.), direttore capo di ragioneria dell'emigrazione. Capo sezione: TARINI Ugo (F), Tuzi Alberto (F).

Segretari: BLANDI Silvio (Em.), segretario capo; VoLPE Mario (F), primo segretario; RICCA Alfredo (Em.), primo segretario, fino all'H novembre; ZICARI Eugenio (F), GARGANO Guglielmo (F), vice segretari.

DIVISIONE III

Revisione, approvazione e liquidazione delle contabilità dei rr. uffici diplomatici e consolari all'estero, nonché quelli di pubblica sicurezza di confine -Contabilità degli agenti della riscossione -Conti giudiziali Servizio marche consolari -Tenuta degli impegni relativi alle spese del funzionamento dei rr. uffici all'estero, emissione dei mandati di pagamento -Conti correnti del personale diplomatico e consolare in dipendenza delle gestioni all'estero -Esame dei rendiconti di spesa sulle aperture di credito e sugli ordini di accreditamento -Liquidazione dei conti delle società di navigazione per il rimpatrio dei nazionali indigenti · Revisione bilanci e contabilità del possedimento delle isole italiane dell'Egeo.

Direttore capo della divisione: PoNCINI Francesco (F), direttore capo di divisione. Capo sezione: DE ANNA Giuseppe (F).

Segretari: RoMANO Giuseppe (F), AsBOLLI Attilio (F), consiglieri; MARTINA Filippo (F), primo segretario; DRAGO Giuseppe (F), CATANIA Antonino (F), vice segretari.

CONSULENTI GIURIDICI

Consulente generale: N. N. Consulenti: SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di P classe, consigliere di Stato, senatore; ALBERTAZZI Enrico, presidente di sezione della Corte di Cassazione; GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di la classe, consigliere di Stato, incaricato di storia dei trattati e di diritto aeronautico nell'Università di Roma, senatore, direttore generale degli affari commerciali; MoNTAGNA Raffaele, consigliere di Stato con titolo onorario di consigliere di legazione; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nell'Università di Roma; Bosco Giacinto, professore ordinario di diritto internazionale nell'Istituto superiore di scienze politiche e sociali Cesare Alfieri di Firenze; BENEDETTI Dante, sostituto procuratore generale della corte d'appello.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

{1° settembre-31 dicembre 1936)

AFGHANISTAN

Kabul -SABETTA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 5 novembre; QuARONI Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 20 novembre.

ALBANIA

Tirana -INDELLI Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 29 ottobre; JACOMONI Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 5 novembre; LA TERZA Pierluigi, primo segretario; PRATO Eugenio, vice console con funzioni di terzo segretario; D'ANTONI Giovanni, tenente colonnello di Stato :rvlaggiore, addetto militare.

ARABO-SAUDIANO (Regno)

Gedda -PERSICO Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BELLINI Leone Fabiano, interprete.

ARGENTINA

Buenos Aires -GUARIGLIA Raffaele, ambasciatore, dal 21 dicembre; RuLLI Guglielmo, consigliere, incaricato d'affari ad interim; SERENA DI LAPIGIO Ottavio, primo segretario, dal 30 novembre; MAJOLI Mario, vice console con funzioni di secondo segretario; FIORI Romeo, direttore capo divisione nei ruoli del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione con funzioni di consigliere dell'emigrazione; MANCINI Tommaso, addetto commerciale; LONGO Ulisse,

tenente colonnello, addetto aeronautico e navale (residente a Rio de Janeiro). AUSTRIA

Vienna -SALATA Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, consigliere di Stato, senatore; GRAZZI Umberto, primo segretario, fino al 17 novembre; STRANEO Carlo, primo segretario, dal 1° novembre; DEL BoNo Giorgio, console con funzioni di secondo segretario; PAVERI FONTANA Alberto, vice console con funzioni di terzo segretario, dal 21 dicembre console; Dr NOLA Carlo, addetto commerciale; PONZA DI SAN MARTINO Dionigi, tenente colonnello di Stato maggiore, addetto militare; PALLOTTA Natale, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Budapest).

BELGIO

Bruxelles -PREZIOSI Gabriele, ambasciatore, dal 10 settembre; CosMELLI Giuseppe, consigliere; PERRONE DI SAN MARTINO Ettore, primo segretario; DucA Giovanni, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERI Emilio, capitano di fregata, addetto navale (residente a Parigi); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico.

BOLIVIA

La Paz -ToNI Piero, incaricato d'affari; MARIANI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 12 dicembre; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

BRASILE

Rio de Janeiro -CANTALUPO Roberto, ambasciatore; MENZINGER DI PREUSSENTHAL Enrico, primo segretario con funzioni di consigliere; TELESIO Giuseppe, primo segretario, dal 29 ottobre; CASTELLANI Augusto, console con funzioni di secondo segretario, dal 10 settembre; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico e navale.

BULGARIA

Sofia -SAPUPPO Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANNI D'ARCHIRAFI Francesco Paolo, primo segretario; DALLA ROSA PRATI Rolando, vice console con funzioni di secondo segretario, fino al 13 dicembre; PAuLucci Mario, vice console con funzioni di secondo segretario, dal 14 dicembre; LIBRANDO Gaetano, addetto commerciale; SovERA Tullio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

CECOSLOVACCHIA

Praga -DE FACENDIS Domenico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BoRGA Guido, primo segretario; SILVESTRELLI Luigi, console con funzioni di secondo segretario; RALLO Pietro, addetto commerciale; RoDA Alberto, tetente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PALLOTTA Natale, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Budapest).

CILE

Santiago -MARCHI Giovanni, ambasciatore; SILENZI Renato, consigliere, fino al 9 dicembre; GABRICI Tristano, vice console con funzioni di secondo segretario; LoNGo Ulisse, tenente, colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

CINA

Pechino -LOJACONO Vincenzo, ambasciatore; BONARELLI DI CASTELBOMPIANO Vittorio Emanuele, consigliere; BABUSCIO Rizzo Francesco, primo segretario; RossET DESANDRÈ Antonio, primo segretario, dal 3 ottobre; CITTADINI CEs'I Gian Gaspare, vice console con funzioni di secondo segretario, fino al 12 settembre; GIUSTI DEL GIARDINO Justo, vice console con funzioni di secondo segretario, dal 28 dicembre; ANGELONE Romolo, addetto commerciale; DI RENzo Marco, interprete, fino al 24 settembre; Ros Erberto, ff. interprete; Ros Giuseppe, console interprete; VINCENTI MARERI Francesco, ff. interpre

• te; ScALISE Guglielmo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Tokio); SPAGONE Gino, tenente di vascello, con funzioni di addetto navale; CHIAPPARO Alfonso, tenente, addetto aeronautico.

COLOMBIA

Bogotà -CANTONI MARCA Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 13 ottobre; Pomo Giovanni, cancelliere, reggente fino al 12 ottobre: LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

COSTARICA

S. José -CAPANNI Itala, inviato straordinario e ministro plenipotenziario Cresidente a Panama); FARALLI Iginio Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 19 dicembre; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

CUBA

Avana -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGa Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

DANIMARCA

Copenaghen -CAPAsso TORRE DI CAPRARA Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PANSA Mario, primo segretario; GIARDINI Renato, primo segretario, dal 16 novembre; Luzi Renato, addetto commerciale; MARRAS Efisio, colonnello di artiglieria, addetto militare (residente a Berlino); BEnTOLDI Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); GRAMAGLIA Giuseppe, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

DOMINICANA (Repubblica)

San Domingo -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L'Avana); LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

EGITTO

Cairo -GHIGI Pellegrino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; NoNIS Alberto, primo segretario, fino al 27 dicembre; MELLINI PoNcE DE LEON Alberto, console con funzioni di secondo segretario; MAZIO Aldo Maria, vice console con funzioni di terzo segretario; MAserA Vittorio, primo segretario coloniale; OMAR Umberto, interprete; BuFFONI Decio, reggente la delegazione commerciale.

EL SAL V ADOR (Repubblica di)

San Salvador -BOMBIERI Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala), dal 23 dicembre; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

EQUATORE

Quito -GAETANI DELL'AQUILA D'ARAGONA Massimo, Vice console con funzioni di incaricato d'affari ad interim; DE LIETO Casimiro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dall'8 settembre; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

ESTONIA

Tallinn -CICCONARDI Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

FINLANDIA

Helsinki -KocH Ottaviano Armando, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoPPINI Maurilio, primo segretario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia); TEucci Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

FRANCIA

Parigi -CERRUTI Vittorio. ambasciatore; ScADUTO MENDOLA Gioacchino, consigliere, dal 14 settembre; ScAMMACCA Michele, primo segretario, fino al 22 novembre; DELLA PoRTA Francesco, primo segretario, dal 1° settembre; LANDINI Amedeo, console generale; STRIGARI Vittorio, console con funzioni di secondo segretario; MENGARINI Bruno, vice console con funzioni di terzo segretario, fino al 27 settembre; DE FERRARIS SALZANO Carlo, vice console con funzioni di terzo segretario; BARATTIERI DI SAN PIETRO Ludovico, vice console con funzioni di quarto segretario; ToMMASINI Mario, consigliere dell'emigrazione; SALLIER DE LA TouR Carlo, primo segretario dell'emigrazione con funzioni di vice consigliere dell'emigrazione; BARBASETTI DI PRUN Curio, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERI Emilio, capitano di fregata, addetto navale; ERCOLE Ercole, colonnello, addetto aeronautico; ROMANO Giorgio, maggiore, addetto aeronautico aggiunto.

GERMANIA

Berlino -ATTOLICO Bernardo, ambasciatore; MAGISTRATI Massimo, primo segretario, dal 6 ottobre consigliere; ZAMBONI Guelfo, primo segretario; GIUSTINIANI Raimondo, console con funzioni di secondo segretario; TAssoNI ESTENSE Alessandro, vice console con funzioni di terzo segretario; RICCIARDI Adelchi, consigliere commerciale; MARRAS Efisio, colonnello di artiglieria, addetto militare; BERTOLDI Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale; TEucci Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico; GRAMAGLIA Giuseppe, capitano, addetto navale aggiunto.

GIAPPONE

Tokio -AuRITI Giacinto, ambasciatore; ScAMMACCA Michele, primo segretario con funzioni di consigliere, dal 23 novembre; MARIANI Luigi, consigliere, fino all'll dicembre; GARBACCIO Livio, primo segretario; MELKAY Almo, interprete; ScALISE Guglielmo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; GHÈ Alberto, capitano di fregata, addetto navale.

GRAN BRETAGNA

Londra -GRANDI Dino, ambasciatore, deputato; CROLLA Guido, consigliere, dal 14 settembre; FRACASSI RATTI MENTONE Cristoforo, primo segretario; DEL BALZO Giulio, console con funzioni di secondo segretario; CASARDI Aubrey, console con funzioni di terzo segretario; BRUGNOLI Alberto, vice console, dal 21 dicembre console, con funzioni di quarto segretario; LANZA Michele, vice console, dal 21 dicembre console, con funzioni di quarto segretario; DE FACCI NEGRATI Gaetano, con funzioni di addetto; CECCATO Giovanni Battista, consigliere commerciale; MoNDADORI Umberto, colonnello di fanteria, addetto militare; BRIVONESI Bruno, capitano di vascello, addetto navale; CALDERARA Attilio, colonnello, addetto aeronautico; JoRI Gino, capitano del genio navale, addetto navale aggiunto; MARIGLIANO Francesco, maggiore di cavalleria, addetto militare aggiunto.

GRECIA

Atene -BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GUGLIELMINETTI Giuseppe, primo segretario, fino al 13 dicembre; SERAFINI Giorgio, console con funzioni di secondo segretario; DE SANTO Demetrio, interprete; MoRIN Sebastiano, capitano di vascello, addetto navale, militare e aeronautico; BoGLIONE Gabriele, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente ad Ankara).

GUATEMALA

Guatemala -BOMBIERI Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 23 dicembre; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

HAITI

Porto Principe -MAcARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L'Avana); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

HONDURAS

Tegucigalpa -BoMBIERI Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala), dal 23 dicembre; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

IRAN

Teheran -GEISSER CELESIA DI VEGLIASCO Andrea, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARINI Vittorio, primo segretario; BIGI Luciano, capitano di fregata, assistente addetto navale; PENNACCHIO Luigi, interprete.

IRAQ

Baghdad -GABBRIELLI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 21 novembre; POLLICI Dante, interprete.

JUGOSLAVIA

Belgrado -VIOLA Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; INDELLI Mario, inviatu straordinario e ministro plenipotenziario, dal 30 ottobre; CAPRANICA DEL GRILLO Giuliano, primo segretario; BAISTROCCHI Ettore, console con funzioni di secondo segretario; ScELDIA Antonio, interprete; BENEDETTI Giovanni Paolo, delegato commerciale; KELLNER Arturo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; MoRrN Sebastiano, capitano di fregata, addetto navale (residente ad Atene); ToscHI Vincenzo, primo capitano di fanteria, con funzioni di addetto militare aggiunto.

LETTONIA

Riga -MAMELI Francesco Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 16 settembre; RoGERI DI VILLANOVA Delfino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 7 ottobre; Rossi LONGHI Gastone, primo segretario; GuGLIELMINETTI Giuseppe, primo segretario, dal 14 dicembre; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

LITUANIA

Kaunas -FRANSONI Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARRAS Efisio, colonnello di artiglieria, addetto militare e aeronautico (residente a Berlino); TEucci Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -DIANA Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MESSICO

Messico -MARCHETTI DI MuRIAGLIO Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NICARAGUA

Managua -FARALLI Iginio Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 19 dicembre; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NORVEGIA

Oslo -AMADORI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 27 novembre; Muzi FALCONI Filippo, console con funzioni di primo segretario, dal 21 dicembre primo segretario; BERTOLDI Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); GRAMAGLIA Giuseppe, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

PAESI BASSI

L'Aia -TALIANI DE MARCHIO Francesco Maria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MoNAco Adriano, primo segretario, fino al 22 ottobre; DE VERA D'ARAGONA Carlo Alberto, primo segretario, dal 16 ottobre; NOTARANGELI Tommaso, addetto commerciale; DucA Giovanni, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Bruxelles); BERTOLDI Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); GRAMAGLIA Giuseppe, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

PANAMA

Panama -CAPANNI Italo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNao Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PARAGUAY

Assunzione -MARIANI Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 2 ottobre; DE ANGELIS Mariano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 3 ottobre; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PERù

Lima -BIANCHI Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 18 novembre; TALAMO ATENOLFI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 19 novembre; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

POLONIA

Varsavia -ARONE DI VALENTINO Pietro, ambasciatore; BELLARDI RICCI Alberto, consigliere, fino al 15 dicembre; CARISSIMO Agostino, consigliere, dal 28 dicembre; DI STEFANO Mario, primo segretario, dal 5 ottobre; CIRAOLO Giorgio, vice console, dal 22 dicembre; PIETRABISSA Francesco, addetto commerciale; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare, navale e aeronautico.

PORTOGALLO

Lisbona -Tuozzr Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 16 settembre; MAMELI Francesco Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 17 settembre; DE PAOLIS Pietro, primo segretario; MARIANI Erminio, consigliere commerciale (residente a Madrid); BALSAMO Carlo, capitano di fregata, addetto navale (residente a Madrid); FERRARIN Arturo, maggiore, addetto aeronautico e militare (residente a Madrid).

ROMANIA

Bucarest -SOLA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; OTTAVIANI Luigi, primo segretario, dal 6 ottobre consigliere; CAPECE GALEOTA Giuseppe, primo segretario; DALLA RosA PRATI Rolando, vice console con funzioni di secondo segretario, dal 21 dicembre console, dal 14 dicembre; RoeCHI Cesare, ff. archivista interprete; DE MARTINO Giuseppe, addetto commerciale; DELLA PORTA RomANI Guglielmo, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

SANTA SEDE

Roma -PIGNATTI MORANO DI CUSTOZA Bonifacio, ambasciatore; CASSINIS Angiolo, consigliere; VENTURINI Antonio, console con funzioni di primo segretario, dal 16 settembre; SALLIER DE LA TouR CORIO Paolo, console con funzioni di primo segretario, fino al 2 ottobre.

SIAM

Bangkok -NEGRI Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 20 novembre; CORTINI Claudio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 21 novembre; GHÈ Alberto, capitano di fregata, addetto navale (residente a Tokio).

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SPAGNA

Madrid -PEDRAZZI Orazio, ambasciatore; DE CIUTIIS DI SANTA PATRIZIA Filippo, consigliere; FoRNARI Giovanni, primo segretario, fino al 17 novembre; SETTI Giuseppe, console con funzioni di secondo segretario; MARIANI Erminio, consigliere commerciale; GABRIELLI Manlio, tenente colonnello di fanteria, addetto militare; FERRARIN Arturo, tenente colonnello, addetto aeronautico; BALSAMO Carlo, capitano di fregata, addetto navale.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -Rosso Augusto, ambasciatore, fino al 6 ottobre; SuvrcH Fulvio, ambasciatore, dall'8 ottobre; Rossi LoNGHI Alberto, consigliere; MIGONE Bartolomeo, primo segretario, fino al 16 dicembre; DEL DRAGO Marcello, primo segretario, dall'8 ottobre; CAPOMAZZA Benedetto, console con funzioni di secondo segretario; RoEERTI Guerino, console con funzioni di terzo segretario; BoNARDELLI Eugenio, coasigllere dell'emigrazione; BIFULCO Vittorio, segretario capo dell'emigrazione con funzioni di vice consigliere dell'emigrazione, dal 20 novembre; BALLERINI Elisio, consigliere commerciale; CuGIA DI SANT'ORsOLA Umberto, capitano di fregata, addetto navale; CoPPOLA Vincenzo, tenente colonnello, addetto aeronautico e militare.

SUD AFRICA

Capetown -CHIARAMONTE BoRDONARO Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 3 ottobre.

SVEZIA

Stoccolma -MELI LUPI DI SORAGNA 'I'ARASCONI Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SERENA DI LAPIGIO Ottavio, primo segretario, fino al 29 novembre; MONACO Adriano, primo segretario, dal 23 ottobre; MARRAS Efisio, colonnello di artiglieria, addetto militare (residente a Berlino);. BERTOLDI Giuseppe, capitano dl vascello, addetto navale (residente a. Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); GRAMAGLIA Giuseppe, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

SVIZZERA

Berna -TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CARISSIMO Agostino, primo segretario, dal 6 ottobre consigliere, fino al 27 dicembre; MASCIA Luciano, primo segretario, dal lo settembre; SACERDOTI Renzo, console con funzioni di secondo segretario, dal 7 dicembre; PELLEGRINI Vincenzo, addetto commerciale; FANTONI Euclide, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; ERCOLE Ercole, colonnello, addetto aeronautico (residente a Parigi); RoMANo Giorgio, maggiore, addetto aeronautico aggiunto (residente a Parigi).

TURCHIA

Ankara -GALLI Carlo, ambasciatore; DE AsTrs Giovanni, primo segretario con funzioni di consigliere; DE VERA n'ARAGONA Carlo Alberto, primo segretario, fino al 15 ottobre; FoRMENTINI Omero, primo segretario, dal 22 dtcembre; DE GRENET Filippo, vice console con funzioni di secondo segretario, dal 21 dicembre console, dal 6 novembre; CASTRONuovo Manlio, console con funzioni di secondo segretario; ARRIVABENE Antonio, reggente la delegazione commerciale; PrsA Ezra, interprete; BoGLIONE Gabriele, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; F'ERRERO HoGNONr Raul, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico; BIGI Lueiano, capitano di fregata, assistente addetto navale.

UNGHERIA

Budapest -CoLONNA Ascanio, inviato st~·aord\nano e ministro plenipotenziario, fino all'11 dicembre; VINCI GIGLIUCCI Luigi Orazio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 19 dicembj:e; BALDONI Corrado, primo segretario; Lo FARO Francesco, console con funzioni di secondo segretario, fino al 30 ottobre; LEPRI Stanislao, vice console con fun;jloni di terzo segretario; Dr NOLA Carlo, addetto commerciale (reslder1te a Vienna); MAYTIOLI Enrico, tenente colonnello di Stato Maggiore, a<1Cc:tto mili~<:l'l'; I'ALLOT1A Natale, tenente colonnello, addetto aeronR~1tico.

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE

Mosca -Rosso Augusto, ambasciatore, clal 7 ottobre; BERARDIS Vincenzo, consigliere; Dr STEFANO Mario, primo segretario, fino al 4 ottobre; MrGONE Bartolomeo, primo segretario, dal 17 dicembre; CrRAOLO Giorgio, addetto consolare con funzioni di secondo segretario, fino al 21 dicembre; BARIGIANI Andrea, addetto commerciale; RELLI Guido, interprete, dal 7 ottobre; PIACENZA Guido, tenente colonnello c~l Stato l;~aggio;:c, addetto militare, navale e aeronautico.

URUGUAY

Montevideo -MAZZOLINI Serafino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CARBONELLI DI LETINO Raimondo, console con funzioni di primo segretario; LoNGo Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

VENEZUELA

Carqcas -DE PROBIZER DI WEISSEMBERG E ROTHENSTEIN Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGo Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI PRESSO IL RE D'ITALIA

(1° settembre-31 dicembre 1936)

Afghanistan -SAMAD Abdul khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RAssouL Mohamed khan, segretario.

Albania -VILLA Djafer, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 5 novembre; XHoMo Vasfi, primo segretario.

Arabo-Saudiano (Regno) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Argentina -CANTILO José Maria, ambasciatore; CHIAPPE Felipe, consigliere; ONETO AsTENGO Oscar, primo segretario; PoNTI José Carlos, secondo segretario; FOPPA Tito Livio, console, addetto stampa; CoMOLLI Guido, addetto commerciale.

Austria -BERGER WALDENEGG Egon, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROTTER Adrian, consigliere; ScHWARZENBERG Johann E., segretario: FALSER Meinrad, primo segretario; RIEDL-RIEDENSTEIN Friedrich, addetto; FRIEBERGER Kurt, consigliere ministeriale, addetto stampa; LIEBITZKY Emil, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico.

Belgio -DE LIGNE Albert, ambasciatore; Du CHASTEL DE LA HOWARDERIE F., consigliere; DE MEEUS Hadelin, primo segretario; LAMY Léon, addetto.

Bolivia -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Brasile -GUERRA DUVAL Adalberto, ambasciatore; FERREIRA DE MELLO Rubens, primo segretario, dal 14 settembre; BAGGI DE BERENGUER CESAR Jacome, secondo segretario; MATHIAS DE Assrs SILVEIRA Paulo, secondo segretario; DE MIRANDA PACHECO Mario W., addetto; SPARANO Luiz, addetto commerciale.

Bulgaria -POMENOV Svetoslav, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KARANDJULOV Anton, primo segretario, dal 10 settembre; TONTCHEV Petr, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare.

Cecoslovacchia -CHVALKOVSKY Frantisek, inviato straordinario e ministro olenipotenziario; BRAUNER Vladimir, consigliere; HERMAN Frantisek, primo segretario; STANE Vojtech, segretario; KusKA Theodor, consigliere per la stampa; KLECANDA Vladimir, generale di divisione, addetto militare e aeronautico.

Cile -RIVAS-VICUNA Manuel, ambasciatore; CARIOLA MAFFEI Luigi Alberto, ambasciatore, dal 22 dicembre; SUBERCASEAUX Léon, primo segretario; BARRIGA Jorge, consigliere commerciale; FIRMANI René, addetto commerciale; HERRERA Ariosto, colonnello, addetto militare; LECASSIE Juan, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles).

Cina -LIU VoN-TAo, ambasciatore; SHEN TsouTON, consigliere; CHu YIN, primo segretario; HWANG TA-CHUNG, secondo segretario; YoH LuN, terzo segretario; Liu TsiEN, terzo segretario; CHIKENG-MAo, addetto, dal 25 settembre; CHEN CHIA-POH, addetto, dal 24 ottobre; CHAU-HWA Kuo, capitano, addetto militare aggiunto; FANG Jou, capitano, addetto militare aggiunto.

Colombia -CAICEDO CASTILLA José Joaquin, incaricato d'affari, dal 7 novembre; CABALLERO ESCOVAR Enrico, primo segretario.

Cuba -DE ARMENTEROS Y DE CARDENAS Carlos, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRULL Y CABALLERO Mariano, consigliere.

Danimarca -KRUSE Johan Christian Westergaard, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WICHFELD Hubert, consigliere.

Dominicana (Repubblica) -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PARADAS Salvador Emilio, secondo segretario; TRUJILLO MoLINA Anibal, generale, addetto militare.

Egitto -EL-SADEK Mostafà, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HosNY Ornar Mohamed, primo segretario; TAHER AL-0MARI Mohamed, addetto agricolo; MONEIM Mohamed Abdel, addetto; AMIN GHALI Ibrahim, addetto.

El Salvador (Repubblica di) -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Equatore -ZALDUMBIDE Gonzalo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Estonta -LEPPIK Johan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 5 novembre; JANSON Davide, primo segretario.

Ftnlandia -VoN KNORRING Helge, incaricato d'affari (ad interim); SNELLMAN Aarne, tenente colonnello, addetto militare e aeronautico (residente a Berlino).

Francia -DE CHAMBRUN Cbarles, ambasciatore; BLONDEL Jules François, consigliere, dal 31 ottobre incaricato d'affari (ad interim); GUERIN Hubert, primo segretario; GARNIER Jean Paul, secondo segretario; BOPPE Roger, addetto; SANGUINETTI Joseph, console generale, addetto commerciale; MrNGALON André, addetto commerciale aggiunto; LEROY BEAULIEU Paul, addetto finanziario; PARISOT Henri, generale di brigata, addetto militare; PouPoN Roger, tenente colonnello, addetto aeronautico; CATOIRE, capitano di cavalleria, addetto militare aggiunto; DE LAFOND Gervais, capitano di fregata, addetto navale.

Germania -VoN HASSELL Ulrich, ambasciatore; VoN PLESSEN Johann, consigliere; zu ScHAUMBURG-LIPPE Stepban, consigliere; ScHMID-KRUTINA Hermann, primo segretario; VoN HoHENTHAL Joachim, segretario; BERGER Karl, addetto; GRAEFF Friedrich, addetto commerciale; KoEHLER Fritz, addetto per l'agricoltura; MoLLIER Hans. addetto stampa; FrscHER Herbert, generale, addetto militare; VoN RrNTELEN Enno, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, dal 6 ottobre; WuRMBACH Hans Heinrich, capitano di fregata, .addetto navale; LANGE Werner, capitano di fregata, addetto navale, dal 10 ottobre; ScHULTHEiss PauL tenente colonnello dell'arma aeronautica, addetto aeronautico; PRETZELL Ge1·hard, maggiore, addetto militare aggiunto.

Giappone -SuGIMURA Yotaro, ambasciatore; MATSUMIYA Hajime, consigliere; Kuno Tadao, secondo segretario; ONo Kotaro, terzo segretario; INOUYE Kenso, segretario interprete di seconda classe; YosmunA Morizumi, segretario interprete di seconda classe, dal 26 dil embre; TERAOKA Kohei, addetto; HAGA Shiro, addetto, dal 30 novembre; NUMATA Takazo, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; ARrsuE Seizo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico, dal 15 ottobre; HIRAIDE Hideo, capitano di fregata, addetto navale e aeronautico; NoMURA Masahiko, maggiore di artiglieria, assistente dell'addetto militare; ToKr Hokoji, maggiore di artiglieria, addetto militare aggiunto, dal 15 ottobre.

Gran Bretagna -DRUMMOND sir Eric, ambasciatore; INGRAM Edward, consigliere; NoswoRTHY Richard Lysle, consigliere per gli affari commerciali; Mc CLURE sir William, addetto stampa con rango di consigliere; NrcHOLS Philip, primo segretario; NoBLE Andrew, secondo segretario; LoMAX J.G., secondo segretario per gli affari commerciali; GREY P.F., terzo segretario; HARPHAM W., terzo segretario per gli affari commerciali; LAVER W., assistente del consigliere commerciale, dall'll settembre; ScHOFIELD A., addetto onorario; MOTTRADCLYFFE C., addetto onorario, dal 17 ottobre; STONE Robert, colonnello, addetto militare; BEVAN R.H., capitano di vascello, addetto navale; DACRE George, colonnello, addetto aeronautico; DAVEY B.C., capitano, addetto mm:.. tare aggiunto; COBB R., comandante, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

Grecia ~ METAXAS Petros, inviato straorclinario e ministro plenipotenziario; DA~ LIETos Alessandro, consigliere; MELAS Michele, primo segretario; CoNTOUMAS Alessandro, primo segretario, dal 12 settembre.

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Guatemala ~ DuRAN MOLLINEDO Vietar, generale, incaricato d'affari; DURAN y FrGUEROS J. Ramiro, segretario.

Haiti -LARAGUE Enrico Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario ·(residente a Parigi).

Iran -SAED Mohammed, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HADJEB-DAVALLOU Mohammed, primo segretario; KHOSROVI Abdullah, addetto.

Iraq -AL-PACHACHI Muzahim, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AL-FALAHI Abdul Rahman, secondo segretario, dal 24 novembre; AL-PACHACHI Taher, addetto.

Jugoslavia -Ducrc Yovan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario;

· BELJANSKI Paul, consigliere; GAVRILOVIC Milivoje, primo segretario; KoTNIK Ciril, addetto; PLAMENATZ Ilia, addetto; ZAJCIC Bozidar, addetto stampa; TROJANOVIC Radmilo, colonnello di artiglieria in servizio di Stato Maggiore, 11ddetto militare, navale e aeronautico; DRAGUICEVIC Ivan, comandante, addetto militare, navale e aeronautico aggiunto.

Lettonia -SPEKKE Arnolds, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RIEKSTINS Janis, primo segretario.

Lituania -CARNEKIS Valdemaras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VrLEisrs Petras, segretario.

Messico -ORTIZ Leopoldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VrL. LATORO Gustavo, consigliere, dal 17 ottobre incaricato d'affari (ad interim); GARZA RAMOS Mario, Vice console, a,idetto; GARCIA VELASQUEZ Ruben, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Parigi); ALAMILLA FLORES Luis, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Parigi), dall'8 settembre; Rurz GARGOLLa Manuel, tenente colonnello del genio, addetto militare aggiunto; PADILLA AVILA Jesus, capitano di artiglieria, addetto militare aggiunto.

Monaco -CouGET Fernand, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Nicaragua -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia -IRGENs Johannes, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANGENSTEN Ove C.L., primo segretario; BAKKE Arnold, consigliere commerciale (residente a Berna).

Paesi Bassi -VAN PANHUYs W.E., segretario, incaricato d'affari (ad intertm).

Panama -ARIAS Arnulfo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JIMENEZ DE Roux, segretario.

Paraguay -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Perù -MANZANILLA José Matias, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LANATA CounY Luis F., primo segretario; GILARDI VERA Carlos A., colonnello, addetto aeronautico (residente a Parigi).

Polonia -WYsocKr Alfred, ambasciatore; ZAWISZA Aleksander, consigliere; CHROMECKI Tadeusz, segretario; MAZURKIEWICZ Roman, consigliere commerciale; SzELISKI Jan, addetto; MIKULSKI Boeslan, addetto onorario; MICHALOWSKI Jòzef, addetto onorario; NIEWEGLowsKr Cerary, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico.

Portogallo -LoBo n'AVILA LIMA José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VAz SARAFANA José Eduardo, primo segretario.

Romania -LuGOSIANU Ion, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRABETZIANU Victor, consigliere; BILCIURESCU Grigore, segretario; ADAMIU AUreliano, addetto; PoRN Eugen, consigliere commerciale; ENEsco Mihail, addetto commerciale aggiunto, dal JO dicembre; SNELETTI Emil, colonnello, addetto militare; DAMACEANU Dumitru, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare, dal 1° ottobre; GHEORGHIU Ermil, tenente colonnello di aeronautica, addetto aeronautico (residente a Parigi); GunJu Jean, maggiore di aviazione, addetto aeronautico, dal 1° ottobre; DuMITREscu Gheorghe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Londra).

Santa Sede -BoRGONGINI DucA Francesco, monsignore, nunzio apostolico; MisuRACA Giuseppe, monsignore, uditore.

Stam -VIRAJAPHAK Phra Riem, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VISUTRA VIRAJJADES Luang, primo segretario; PRASERT MAITRI Luang, secondo segretario; SuvANADAT Vijien, secondo segretario; JITAWI Luang, terzo segretario.

Spagna -GoMEZ OcERIN Justo, ambasciatore, fino al 18 novembre; GARCIA CONDE Pedro, incaricato di affari, dal 23 dicembre; FoRNs Rafael, primo segretario; JoRRO Jaime, secondo segretario; CARRAsco Manuel, addetto onorario (residente a Bologna); SICARDO José, tenente colonnello di fanteria, addetto militare e aeronautico, dal 28 dicembre; EsTRADA Rafael, capitano di fregata, addetto navale.

Stati Uniti d'America -LoNG Breckinridge, ambasciatore; PHILLIPS William, ambasciatore, dal 4 novembre; KIRK Alexander C., consigliere; TITTMANN Harald H., primo segretario; GADE Gerhard, secondo segretario; REBER Samuel, secondo segretario, dal 10 ottobre; HARRISON Randolph jr., terzo segretario; McGREGOR Robert G., jr., terzo segretario, dal 2 novembre; LIVENGOOD Charles A., addetto commerciale; HOOPER Malcom P., addetto commerciale aggiunto; THOMSON Thaddeus Austin, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico per la marina; PILLOW J.C., colonnello di cavalleria, addetto militare e aeronautico; PAINE George H., colonnello di artiglieria, addetto militare e aeronautico, dal 29 settembre; FisKE Norman E., maggiore, addetto militare aggiunto; WHITE Thomas D., capitano dell'aeronautica, addetto militare e aeronautico aggiunto; DEL VALLE Pedro Augusto, tenente colonnello di marina, addetto navale aggiunto; FORRESTEL Emmet Peter, capitano di corvetta, addetto navale aggiunto; FuRER Julius Augustus, capitano del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra); SHOEMAKER James Marshall, capitano di fregata, addetto navale e aeronautico aggiunto (residente a Parigi).

Sud Africa (Unione del) -HEYMANS Albert, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SKALLAN E.K., segretario; HoRN Emil F., segretario, dal 30 novembre; GELDENHUYS Frans Eduard, consigliere commerciale; VAN DER MERWE D.C., addetto.

Svezia -SJOBORG Erik, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SoHLMAN Rolf R., primo segretario; BAGGE H., addetto; SAMUELSON J.A., capitano di corvetta, addetto navale e aeronautico.

Svizzera -RuEGGER Paul, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MICHELI Louis H., consigliere; FuMASOLI Mario, primo segretario; MALLET Bernard, secondo segretario; SEIFERT Otto, addetto.

Turchia -BAYDUR Huseyin Ragip, ambasciatore; KARABUDA Zeki, consigliere; ARAR Ekrem Ismail, primo segretario; CHADI Kavur, secondo segretario; BIRDEN Abdulahat, secondo segretario, dal 4 settembre; BELBEZ Nejdet Tahir, terzo segretario; KARAGULLE Halil Mithat, consigliere commerciale; HAYIROGLU Mahmut Nedim, addetto stampa; ZIYA Komut, capitano di Stato maggiore, addetto militare e aeronautico ad interim; KoRUTURK Fahri, tenente di vascello di Stato Maggiore, addetto navale ad interim.

Ungheria -VILLANI Federico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE VEGH Miklòs, consigliere; DE SZENTMIKLOSY ANDRAS, segretario; DE HERTELENDY Ladislav, segretario; BETHLEN Gabriele, addetto; HuszKA Istvan, addetto stampa; SzABÒ Ladislav, tenente colonnello di Stato maggiore, addetto militare.

Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste -STEIN Boris, ambasciatore; HELFAND Lev, consigliere; DNEPROFF Pavel, secondo segretario; ScEININ Grigorij, secondo segretario; BELENKI Boris, rappresentante commerciale; EFrMOFF Efimio, rappresentante commerciale aggiunto; PoPov Ivan, rappresentante commerciale aggiunto; BrASI Nikola, colonnello, addetto militare e aeronautico; ScEI Boris, addetto navale; CERNAIEV Nikifor, addetto aeronautico aggiunto.

Uruguay -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRUNWALDT CuESTAs Federico, primo segretario, incaricato d'affari ad interim; FABREGAT Gilbert Caetano, secondo segretario; REVELLO Nicolas, addetto; PIAGGIO BLANCO Raul, addetto onorario; GAvAzzo José, capitano di artiglieria, addetto militare; FARIAS Medardo R., maggiore, addetto aeronautico.

Venezuela -KEY AYALE Santiago, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 4 novembre; CAsAs BRICENO J.M., consigliere; RoJAS Hugo, addetto.

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